Questa fanfiction si
classificata al 2° posto al
contest A song for a story indetto da
Emogirl in pink.
E' stata scritta basandosi sulla citazione "Ed
era l’ultimo saluto e non ci penso più. "{Appena
prima di partire –
Zero Assoluto}
Giudizio giudice:
- Ortografia e grammatica 7/10 (5 per l’ortografia; 3 per la
grammatica)
Più che altro, manca un po’ di punteggiatura qua e
là, alcuni punti messi al
posto sbagliato... Nient’altro, davvero.
- Impressione a primo impatto 5/5
Bella, veramente! Mi ha colpita, molto. Devo dirti la
verità: anch’io me li
immaginavo così e non come li ha descritti
l’autrice, lasciami dire, in modo
assolutamente banale. Quindi, grazie per averla messa per iscritto.
- Uso della citazione 20/20
Per-fet-ta!
- Attinenza al regolamento 5/5
Ottimo.
- Forma e stile 10/10
Molto brava, davvero. Mi hai fatto entrare in Jake, in Bella e mi sono
sentita
anche un po’ oceano, che se ne stava lì a guardare
impotente, ma che avrebbe
voluto dare una mano.
- Originalità (8/10)
Molto originale, davvero!
Totale: 57/60
Questa storia si può collocare in Eclipse, ma io non prendo
in considerazione
la parte dopo la battaglia. Per me Bella e Jacob non si sono ancora
detti
"addio".
Note e
ringraziamenti a fondo pagina:)
***
Una,
due, tre, quattro,
cinque.
Una,
due, tre, quattro,
cinque.
Una,
due, tre, quattro,
cinque.
Diamine.
Era la centesima volta che contavo
quelle maledette travi.
Ovviamente il numero non cambiava,
ciò nonostante continuavo a farlo come
chi tortura una stupida pallina di gomma come antistress.
Mi veniva da ridere al pensiero.
Chissà quante ne
sarebbero servite a me.
Non ci avrei messo molto a ridurle
in polvere.
Erano passati tre mesi da quando
avevamo vinto la battaglia contro i
succhiasangue e tutto sembrava essere tornato alla
normalità. Anche le
spedizioni in perlustrazione erano dimezzate. Ordine del capobranco.
“È inutile
passare in rassegna l’intero territorio ogni giorno.
Soprattutto quando la
maggior parte di voi deve ancora finire le scuole.”
Così ci aveva detto Sam
quando convocò l’ultima riunione.
E quindi, ero tornato alla mia
vecchia vita. O almeno così avrebbe dovuto
essere.
Eppure non era semplice, almeno non
per me.
Erano cambiate troppe cose per far
finta di niente.
Nel momento stesso che mi ero
trasformato per la prima volta fu come se
assieme alla mia pelle fosse stato strappato anche il vecchio me
stesso. Quello
in cui avevo sempre creduto era diventato una bugia, mentre
ciò cui non avevo
mai creduto era diventato realtà.
Nonostante ciò, la
peggiore realtà con cui dovevo fare i conti tutti i
giorni non era quella che mi riguardava.
Quella avevo imparato ad accettarla
ormai.
No.
La peggiore in assoluto riguardava
lei.
La ragazza che amavo.
Bella.
La mia Bella.
Sapere di essere innamorati
l’uno dell’altra e non poter fare niente.
Sapere di essere due anime gemelle che per un brutto scherzo del
destino non
avrebbero mai potuto legarsi. Sapere che lei lo amava più di
quanto amasse me.
Avrei potuto sopportare anche tutto
ciò.
Ma sapere che lei avrebbe
sacrificato la vita per il suo succhiasangue… No.
Questo non riuscivo a sopportarlo.
Le travi del soffitto mi fissavano
ancora, o meglio. Ero io che continuavo
a fissare loro, sdraiato su questo letto troppo piccolo per me.
Ciof.
Mi tirai un pugno sulla guancia
quasi inconsciamente.
Al diavolo. La dovevo smettere con
quei pensieri. Reset.
Il telefono aveva iniziato a
squillare nell’altra stanza, ma non mi smossi
nemmeno di un centimetro. Ci avrebbe pensato Billy a rispondere.
Era meglio tornare al mio
antistress e sperare di addormentarmi.
Una,
due, tre, quattro,
cinque.
Una,
due, tre, quattro,
cinque.
Una,
due, tre, quat…
In quel momento sentii bussare alla
porta.
“Jacob,
telefono.”
Sul momento non risposi.
“Ragazzo dormi?
C’è una telefonata per te.”
Se fossero stati Quil o Embry
giurai che li avrei azzannati alla prima
occasione.
“No, sono sveglio.
Arrivo.”
Sentii il cigolio della sedia a
rotelle che si allontanava; svogliatamente
mi alzai, e andai nell’altra stanza.
Billy non c’era. Al
contrario la cornetta nera era appoggiata sul piccolo
mobile al muro.
“Pronto.”
biascicai stizzito
Silenzio.
“Pronto.”
Silenzio.
“Quil, ti avverto. Non
sono in vena oggi.” Sbuffai nervosamente.
Ma con mio enorme stupore non
c’era Quil dall’altra parte della cornetta.
“Ti aspetto stanotte,
all’una alla spiaggia di La Push. Ti prego. Vieni.”
Tutututututu
Rimasi lì.
Immobile come uno stoccafisso con
la cornetta in mano e la bocca socchiusa.
Non mi aveva lasciato nemmeno il tempo di dire una parola.
“Ehi Jacob.”
Mio padre mi fissava con aria
preoccupata sulla soglia della porta.
“E’ tutto a
posto, ragazzo?”
Immaginai di avere
un’espressione sbigottita dipinta sul volto, ma mi
limitai ad accennare un sì con il capo.
“Era Bella, non
è vero?”
“Già.”
Finalmente ero riuscito a pronunciare di nuovo una parola.
Il volto di Billy non riusciva a
nascondere la propria ansia.
“Hai saputo
quindi?”
Quella domanda riuscì a
destarmi completamente.
“Saputo che
cosa?” Era da dopo la battaglia che non avevo più
sue notizie.
Billy rimase un attimo in silenzio.
Forse, dubbioso se parlare o no.
“Che dopo domani se ne
andrà da Forks.” Si decise infine a rivelarmi.
Bang.
Colpito e affondato.
Fu come ricevere una pallottola in
pieno petto.
“Chi… chi te
l’ha detto?”
Domanda scontata.
“Charlie. Era
preoccupato, ma Bella non ha voluto sentire ragioni. Il
figlio del dottor Cullen andrà a studiare in Alaska e lei ha
deciso di
seguirlo.”
Sentii la rabbia crescere dentro di
me.
Studiare in Alaska?
Che gran cazzata.
Sì, in Alaska molto
probabilmente ci sarebbero andati, ma non di certo a
studiare.
Il mio corpo stava iniziando a
tremare e la bestia che c’era in me
scalpitava affinché la lasciassi predominare.
Era passato del tempo
dall’ultima volta che mi era stato così difficile
controllarmi.
La preoccupazione sul volto di
Billy aumentò.
“Figliolo…”
Ma non lo lasciai parlare.
Mi diressi velocemente verso di lui
che, capendo la situazione, si affrettò
a spostarsi dalla porta per lasciarmi passare.
Non ce la facevo più.
Stavo per perdere contro
l’altra parte di me stesso.
***
Ero arrivato con fatica nei pressi
dei primi alberi del bosco, mentre
ancora lottavo per non farmi battere.
Mi ero ripromesso che non mi sarei
mai più trasformato perché incapace di
dominare il mio stato d’animo.
Non volevo essere in balia della
mia parte animalesca.
Io ero Jacob. Io volevo essere
umano.
Concentrato su quei pensieri
riuscii lentamente a riprendere il controllo
di me stesso.
Anche il respiro, ormai tornato
regolare, sembrava darmi ragione.
Avevo vinto la mia battaglia
personale.
Eppure non ebbi nemmeno il tempo di
essere fiero di me stesso, che la
realtà tornò prepotentemente a farmi visita.
Bella mi aveva telefonato.
Bella stava per andarsene.
Bella stava per morire.
Sì, una persona quasi
identica a lei forse avrebbe continuato ad esistere,
ma la mia Bella no. Quella sarebbe sparita per sempre.
Un gesto istintivo e fulmineo mi
portò a sferrare un pugno contro il tronco
dell’albero a me più vicino.
“MALEDIZIONE!”
imprecai contro me stesso.
Le piccole ferite che mi ero
provocato nello sferrare il pugno si stavano
già sanando; quelle del povero albero invece no.
L’impronta della mia rabbia
sarebbe rimasta impressa nel suo tronco per anni, secoli, forse per
sempre.
Dovevo trovare un modo per non
pensare, qualcosa che mi permettesse di
isolarmi per un po’.
Trasformarmi e correre come un
folle nel bosco?
Meglio di no.
C’era il rischio di
ritrovarmi qualche rompiscatole nella mia testa.
Me li immaginavo i commenti di
Jared o Paul.
“Jake, non ne vale la
pena.” Oppure, “ Sei un pappamolle,
fratello.”
Sarebbero stati dei buoni
escamotage per una bella rissa, ma alla fine non
volevo coinvolgere direttamente i miei fratelli in questioni del genere.
Bocciata anche
quell’idea, mi decisi.
Sarei andato a rifugiarmi nel mio
paradiso personale.
Il mio garage,dove regnava il
disordine, e dove il profumo più buono era
quello d’olio e benzina che si mischiavano
nell’aria.
***
Passai le ore successive a
trafficare sulla mia Golf.
Concentrato su bulloni arrugginiti
e filtri.
Riuscii anche nel mio intento;
scacciare per un po’ la realtà.
Fuori era ormai buio e
l’orologio appeso al muro segnava già le undici di
sera.
Il tempo trascorreva estremamente
veloce, ed io non avevo ancora preso la
mia decisione.
Mi sarei dovuto presentare a
quell’assurdo appuntamento d’addio?
Non era forse meglio, obbligarmi a
non andare?
Non mi diedi una risposta.
La resistenza della chiave inglese,
che non voleva combaciare con il
bullone, mi distrasse dalle miei domande. Stavo usando quella sbagliata.
“Ma dove cavolo
l’avrò messa.”
Cercai nervosamente la chiave
giusta tra gli attrezzi deposti sul bancone
da lavoro, quando però, mi tornò in mente di
averla riposta nella cassetta
degli attrezzi.
Cercare di essere ordinati porta
solo a scocciature. Pensai, entrando nel
piccolo ripostiglio dove avevo lasciato ciò che mi serviva.
Andai così a colpo
sicuro, che evitai anche di accendere la luce.
Mossa sbagliata.
Insieme alla cassetta degli
attrezzi, finii per tirarmi qualcos’altro appresso
che cadde rumorosamente per terra.
Sbuffando per
l’inconveniente non mi restò che accendere la luce.
Click
La stanzina buia si fece fin troppo
luminosa, permettendomi di vedere cosa
avevo fatto cadere.
Uno scatolone polveroso era ai miei
piedi.
L’avrei riposizionato
semplicemente sullo scaffale se non avessi notato la
scritta laterale: Non tocare. Jacob.
Era la mia calligrafia. Ma
chissà di quanti anni prima.
Non che adesso fosse
particolarmente migliorata, ma perlomeno ero capace di
riconoscere quando serviva una stupida consonante in più.
Incuriosito l’aprii,
dimenticandomi della mia chiave da diciotto.
Fili d’oro, palline rosse
e blu, lucine colorate. Ecco cosa vi si
nascondevano all’intero.
Gli addobbi natalizi.
E in quell’istante, fu
come riavvolgere il nastro di una videocassetta.
Vedi scorrere ad una
velocità pazzesca gli avvenimenti della tua breve
vita, finche, la tua mente non decide di stopparsi su ciò
che voleva ricordare.
***
Avevo cinque anni.
Stavo addobbando l’albero
di Natale con la mamma quando Billy ci chiamò
invitandoci a raggiungerlo nel corridoio.
Senza farmelo ripetere due volte
corsi da lui euforico.
Papà era in compagnia di
un uomo, una donna e una bambina leggermente più
alta di me.
Io li guardavo incuriosito.
Nel frattempo anche la mamma ci
raggiunse e Billy fece le presentazioni.
“Questi sono Charlie e
Renee mentre lei è la loro figlia, Isabella. Si sono
trasferiti da poco in città.”
“Charlie
prenderà il posto del vecchio sceriffo.” Concluse
mio padre.
Vidi mia madre andare incontro ai
due adulti e presentarsi.
Io invece ero rimasto un
po’ in disparte, ma continuavo a fissare quella
bambina.
Fu mio padre con una leggera spinta
ad incoraggiarmi a presentarmi.
E così feci.
Mi avvicinai e imitando i grandi,
allungai la mano vero di lei.
“Ciao! Io sono
Jacob.” Le sorrisi.
Mi guardò un
po’ perplessa poi ricambiò il mio gesto.
“Io mi chiamo
Bella.”
La sua piccola mano era chiara e
fredda rispetto alla mia.
“Stavo facendo
l’albero con la mamma. Vuoi vederlo?” Le proposi
gentile.
Timidamente rispose con un
“Sì.”
La presi allora per mano e la
condussi nel salotto.
***
Senza rendermene conto avevo
rivissuto il primo incontro con Bella.
Possibile?
Era passato talmente tanto tempo,
ma ne conservavo ancora il ricordo.
Mi tornò in mente anche
il giorno in cui Billy mi disse che Bella e sua
madre se ne erano andate da Forks. Provai un infinita tristezza.
Non avevo avuto nemmeno il modo di
salutarla quella volta.
E allora capii.
Quel ricordo era la risposta alla
mia domanda.
Qualunque cosa mi attendesse su
quella spiaggia non mi importava.
Avrei incontrato Bella.
***
La notte era silenziosa e
l’unico rumore a farmi compagnia era quello del
vento.
Camminavo a passo lento e mani in
tasca.
Non avevo fretta.
D'altronde chi è che
muore dalla voglia di farsi male?
Raggiunsi la spiaggia dopo circa
dieci minuti.
Ero ancora distante, ma la notai
subito.
Bella era lì ad
aspettarmi.
Rannicchiata contro il nostro
vecchio tronco.
Immaginai stesse guardando
l’oceano, ma non potevo esserne sicuro, visto
che mi dava le spalle.
Mi fermai qualche istante a
osservarla da lontano.
Erano passati tre lunghi mesi
dall’ultima volta che l’avevo vista.
Mi aveva telefonato solo una volta,
per assicurasi di come stessi, dopo
essere rimasto ferito in battaglia.
Eppure, non era passato un singolo
giorno senza che pensassi a lei.
Nonostante tutto, era sempre
presente.
E poi…
Quel bacio.
Il nostro bacio.
Non lo avevo certo dimenticato.
Feci un lungo sospiro e poi presi
di nuovo ad incamminarmi verso di lei.
Uno,
due, tre.
Infine
era arrivato il
momento.
Uno, due, tre.
L’ultimo
saluto e non
ci penso più.
Uno,
due, tre.
Si
voltò di scatto
nella mia direzione.
Uno,
due, tre.
I
suoi occhi adesso
erano fissi su di me.
Uno,
due, tre.
L’ultimo
saluto e non
ci pensi più, vero Jacob?
Uno,
due, tre.
Che
bugiardo che sono.
Ed eccoci infine, l’uno
di fronte all’altro.
“Ce ne hai messo di
tempo.”
“Già.”
“Credevo non saresti
venuto.”
“Lo credevo anche
io.”
Silenzio.
“In questi mesi avrei
dovuto chiamarti, avrei…”
“Ma non l’hai
fatto.”
“No. Non l’ho
fatto, hai ragione.”
Silenzio.
Non abbiamo smesso un secondo di
guardarci negli occhi.
Una folata di vento ti scompiglia i
capelli e ti vedo rabbrividire
leggermente.
Hai freddo, e non sai quanto vorrei
dirti: “Ehi, la tua stufetta è qui.” Ma
è assolutamente impensabile.
Il primo a distoglierlo lo sguardo
alla fine sono io.
Faccio qualche passo e adesso ti do
le spalle.
Ti guarderei per ore intere, ma
farlo adesso, fa terribilmente male.
Sento ancora il tuo sguardo su di
me.
“Ti dovevi coprire di
più.” Acidità allo stato puro la mia.
Bel modo per
infrangere quel silenzio.
“Hai ragione.”
“Come sempre.”
Sogghigno. “Allora?”
“Allora che
cosa?” Mi rispondi debolmente.
“Andiamo Bella. Cerchiamo
di rendere la cosa più indolore possibile.”
Non rispondi.
“So perché
sono qui. Il tempo è scaduto, no?”
Di nuovo. Non rispondi. Questo tuo
silenzio è snervante.
“Forza Bella. Fallo. Non
capisco questa tua esitazione.”
“Jake…”
sussurri
“Adesso. Dillo.”
“Cosa?”
Inclino la testa alle mie spalle e
ti guardo di nuovo.
“Addio.”
Mi guardi implorante. Non capisco.
Cosa vuoi ancora da me? Ti sto offrendo
tutto su un piatto d’argento.
“No, Jake. No,”
pronunci frettolosamente mentre ti alzi.
“Bella… mi hai
chiamato per questo. Ho aspettato per tre lunghi mesi una
tua telefonata che non è mai arrivata. Adesso che
l’hai fatto, so cosa vuoi. E
lo sai benissimo anche tu. Dillo e facciamola finita.”
“Non voglio dirti addio.
Io voglio solo salutarti, ma non dirti addio.
Vorrei che un giorno tu, noi…”
“Pensala pure
così se ti fa più comodo.” Sorrido
sarcastico.
Ti avvicini a me e sento il tocco
della tua mano sul mio braccio.“Jake, io
ti voglio bene, sai quanto importante tu sia per me.”
“Certo, certo”
Vedo il tuo sguardo rabbuiarsi
completamente. Mi dispiace, vorrei dirti ciò
che vorresti, ma non ce la faccio.
Qualsiasi cosa ti dicessi verrebbe
portato via dal vento, nel momento
stesso in cui te ne andrai.
Siamo così vicini. I
nostri sguardi fissi l’uno nell’altro.
E’ un gesto istintivo e
privo di logica il mio.
Allungo la mano e ti sistemo un
ciuffo di capelli dietro l’orecchio.
A quel contatto chiudi gli occhi.
“Bella…”
Rimani immobile e per un attimo mi
chiedo se ti stessi aspettando qualcosa.
Ma sarebbe estremamente insensato. Nonostante ciò, la
tentazione sia
terribilmente pericolosa.
“Io ti
ricorderò così. Non dimenticherò un
solo istante passato con te.
Questo è ciò che posso prometterti.”
Con gli occhi ancora chiusi, provi
a dire qualcosa, ma ti blocco
appoggiando un dito sulle tue fredde labbra.
“Shhh. Rimani
così. Ancora qualche istante. Ti prego.”
Una volta tanto sembri darmi
ascolto. Sorrido e ti guardo. Un’ultima volta.
Uno,
due, tre.
Un
passo dopo l’altro.
Uno,
due, tre.
Ancora
uno, Jake. Ancora
uno.
Uno,
due, tre.
Mi
sento stanco; come
se avessi dato fondo a tutte le mie energie.
Uno,
due, tre.
Sì,
adesso posso
lasciarmi andare.
Uno,
due, tre.
Adesso
il passo è
veloce e scattante.
Sono
solo un lupo che
corre nella foresta.
“Jake…”
Nessuna risposta.
“Jake.”
Nessuna risposta.
Bella aprì gli occhi e
davanti a sé non trovo più nessuno. Solo un
oceano
nero a fare da sfondo.
Confusa e disorientata si
guardò intorno, eppure, tutto rimaneva immobile e
buio.
Jacob non c’era
più. Se ne era andato prima che potesse farlo lei.
Gli occhi iniziarono a bruciarle.
Stava per abbandonarsi alle lacrime,
quando abbassando lo sguardo in direzione della battigia, noto delle
parole
incise sulla sabbia.
“Goodbye my
friend”
Non poteva trattenersi ancora. Si
lasciò cadere per terra in preda ai
singhiozzi e alle lacrime. Forse, le ultime che avrebbe mai versato.
Le onde dell’oceano
s’infrangevano delicatamente a riva, cancellando quello
che ormai rimaneva di Jacob.
Ed è così,
che come in un copione di una qualsiasi storia d’amore, la
parola fine prima o poi arriva sempre.
***
Questa è stata
assolutamente la storia che mi ha dato più problemi da
quando ho iniziato a scrivere.
Vuoi mettere che alla fine ho
deciso di scrivere dal punto di vista di
Jake, vuoi mettere che questa storia è nata per partecipare
al mio primo
contest, vuoi mettere le mie mille paranoie, vuoi mettere
che… alla fine ho
quasi rischiato l’esaurimento XD
Eppure sono riuscita sia a finirla,
che ad esserne abbastanza soddisfatta
complessivamente.
Per questo devo ringraziare
infinitamente Erica, (Kukiness)
che come al solito ha saputo aiutarmi e sopportarmi durante questi
giorni.
Arigato gozaimasu
Bhe non ho altro da aggiungere. Per
adesso passo e chiudo!
Ovviamente se lasciate un
“impronta” del vostro passaggio mi farà
piacerissimo! ^_^
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