As Mad as a
Hatter
Si è
preparato adeguatamente, il Cappellaio, per quell’esecuzione
formale.
L’eccentrico abbigliamento è impolverato a causa
di quegli ultimi tempi trascorsi nella cella, il trucco pallido sul suo
viso è sbavato, esibendo sprazzi di pelle rosea, ed i ricci
arancio sono rovinati dall’incuria, tuttavia non ha molta
importanza.
Quanto basta a soddisfarlo è il calcarsi in testa
l’amato cappello, nascondendo in parte i ciuffi color
tramonto ed adombrando gli occhi un poco strabici, accesi
d’un bagliore verdastro che sa tanto di follia. E ricorda le
foglie di the – oh, non gli dispiacerebbe un the, magari un
bel the con il Leprotto Marzolino: peccato che a breve sarà
condotto dal boia della Regina Rossa.
Marzolino,
adesso che ci pensa, è un’altra di quelle parole
che iniziano con la lettera M e che ha deciso di esaminare. Ce ne sono
tantissime, di parole con la M – meschinità, miseria,
morte, megera…
Megera come la Regina Rossa, con quella testa enorme ed il corpo che
sembra troppo minuto per essere in grado di sostenerla. La Regina Rossa
che ha rovinato la loro festa con la Regina Bianca.
Il Fante di Cuori lo scorta fuori dalla cella, al centro d’un
gruppo di Carte.
Il Cappellaio non presta attenzione alle estremità delle
loro lance che premono contro la sua schiena, i suoi fianchi, le sue
braccia, né alla sarcastica provocazione del Fante.
Gli occhi del Cappellaio hanno perduto ogni traccia di strabismo e
pazzia e scrutano, pur senza vederla realmente, la terra ove poggia i
piedi, screziati di rosso scarlatto; le sue labbra dimenticano il
costante sorriso, curvandosi all’ingiù in una
smorfia che la Regina Bianca definirebbe ben poco da lui, e sussurrano:
« Abbasso la capocciona maledetta ».
La Regina Rossa, che ha strappato il trono alla sorella e posto il suo
Regno sotto dittatura.
La Regina Rossa, la padrona del Ciciarampa che soltanto Alice e la sua
spada possono uccidere.
La sua espressione si distende appena un poco nel ricordare Alice, che
è venuta sino al Castello per salvarlo ed è
fuggita con la spada. Alice, che ha giurato di non essere capace di
ammazzare.
Il Cappellaio aggrotta le folte sopracciglia al di sotto della tesa del
cappello ed avverte il rosso soffocare quasi totalmente il verde dei
suoi occhi e la rabbia che gli chiude il petto in una morsa, in
particolare nel varcare la soglia delle prigioni, quella che immette
nel Giardino delle Esecuzioni, dove il boia lo attende a poca distanza
e, più in alto, la Regina e la sua corte di menzogne
contemplano lo spettacolo. Un coro di accondiscendenti Sì, mia Regina! segue
il desiderio della Sovrana di sapere se anche a loro piacciono le
esecuzioni mattutine.
Il Cappellaio increspa gli angoli della bocca in un sogghigno beffardo
ed un poco ingenuo che somiglia un po’ a una smorfia. La corte di menzogne,
che cosa divertente. Potrebbe quasi mettersi a ridere e la Regina se ne
accorge, dal suo scranno, di quell’uomo che si appresta a
morire e che trema impercettibilmente. E se dapprima è
convinta che sia terrore, conosce la follia del condannato e comprende
che è puro divertimento.
« Che cosa c’è di così
esilarante, Cappellaio? » sbotta, inarcando un sopracciglio e
sporgendo le labbra all’infuori in un regale broncio che fa
sembrare la sua testa anche più grande, mentre il condannato
muove qualche passo in direzione del boia.
Poi si ferma, leva la testa per incontrare lo sguardo della Sovrana e
porta due dita a stringere la tesa del cappello, di modo che non
scivoli all’indietro. « La vostra corte di bugie,
mia signora » sentenzia innocentemente. « Stavo
pensando a quanto sia buffo che si affannino tanto a farsi piacere da
voi, sebbene nessuno di loro – nessuno di tutto SottoMondo
– voglia davvero essere vostro amico ».
La Regina per un momento rimane senza parole.
Volge il capo verso i suoi amici e, il tempo d’un istante,
intravvede un’espressione terrorizzata dipingersi sui loro
volti, prima che si affrettino a rassicurarla che il condannato
è solo un folle che delira, come effettivamente la Regina sa
che è. Eppure, al contempo, quando guarda nuovamente
giù ed incontra quei suoi occhi d’un verde
brillante che la studiano, sa che non sono gli occhi di un pazzo,
né le parole d’un delirante. Sa che il Cappellaio
sta dicendo la verità e questo la irrita.
Agita il suo scettro, ammiccando verso il boia ed il suo Fante.
« Tagliategli la testa, tagliategliela! » ordina in
tono quasi isterico. « Non voglio più sentire i
vaneggiamenti senza senso di questo stupido Cappellaio! »
« Oh, è un vero peccato » replica il
condannato e la sua voce è sinceramente permeata di
tristezza. « È un peccato che non vogliate dare
ascolto a questi vaneggiamenti, poiché sono le uniche
verità che sentirete mai da una persona, un animale od un
oggetto di SottoMondo ».
« Ma che cosa ne puoi sapere tu? » strepita la
Regina Rossa, alzandosi dal trono ed aggrappandosi con rabbia al
parapetto di pietra. « Come puoi dire che il mio Fante non mi
ama, che i miei amici mi mentono! » Una seconda volta fa un
cenno al boia. « Tagliategli la testa! »
Il Cappellaio si toglie il capello e si china in un’elegante
ed appena un poco traballante riverenza.
« Sapete, stavo esaminando le parole che iniziano con la
lettera M » annuisce fra sé e sé,
totalmente incurante delle guance cremisi della Sovrana, dei suoi
strepiti e degli occhi fuori dalle orbite che lo scrutano come per
ucciderlo. « M come menzogna,
mia signora, come tutte le menzogne che vi raccontano
affinché voi non facciate tagliar loro la testa »
commenta. « Posso anche dar loro ragione: dopotutto, se fate
tagliare la testa a tutti, non vi rimarrà più
nessuno che possa tagliarla e al quale tagliarla, non credete?
»
E, prima che il Fante possa sospingerlo verso il suo assassino a calci
pur di non dover più sopportare le urla incollerite della
Sovrana, si inginocchia accanto all’uomo incappucciato e alla
sua grande ascia e depone la testa nell’incavo di legno
dinanzi a sé.
Il boia allunga una mano per sfilargli il cappello, tuttavia la sua
voce lo prega cortesemente di permettergli di tenerlo –
dopotutto, quella è un’esecuzione formale e deve
indossare i suoi abiti migliori.
« Basta che mi lasci il collo scoperto » acconsente
l’assassino, spostando oltre la spalla del condannato il
nastro rosa che avvolge il cappello, di modo che ricada sul suo petto e
non impedisca il compimento del suo dovere.
« Tagliagliela, tagliagliela! » esorta
ripetutamente la Regina – e ormai il suo tono non
è più quasi
isterico: è isterico e basta –, ma il Cappellaio
non la sente più.
Non vede più il legno sul quale ha appoggiato il capo, non
avverte più l’odore del sangue che esso emana, in
ricordo di chi è stato ucciso prima di lui, e nemmeno sente
il fruscio dell’aria squarciata dall’ascia che si
solleva poco sopra la sua nuca.
E non pensa, il Cappellaio.
Non pensa più al the con il Leprotto Marzolino, alle parole
che iniziano con la lettera M, alla Regina Rossa e alle
crudeltà che ha commesso, al Ciciarampa e ad Alice che deve
ucciderlo con la sua spada e a quanto suoni divertente
l’espressione la
corte di menzogne, forse perché è
veritiera.
« Buon viaggio arrivederci » si limita a mormorare.
Infine la lama argentata cala sul suo collo e la Sovrana si acquieta
mentre la testa del condannato rotola sull’erba, lasciandosi
dietro una scia di sangue. La Regina contempla il prato verde, in parte
lurido di rosso, e d’improvviso si ritrae, avvedendosi di
quanto quel verde smeraldo le ricordi le iridi del Cappellaio e quel
rosso vermiglio i capelli che spuntano dal cappello.
« Andiamocene! » grida ai suoi cortigiani, voltando
le spalle al Giardino delle Esecuzioni e alla consapevolezza che il
condannato le ha davvero detto la verità, forse per la prima
volta – certamente per l’ultima – da
quando è salita al trono.
Sotto di lei, la bocca del Cappellaio è incurvata in quel
suo sorriso sghembo che sembra prendere in giro ed al contempo
accompagnare un complimento ed il cappello non è rotolato
lontano durante la caduta.
E non ci sono più tutti quei pensieri folli che traboccavano
dalla sua mente, rischiando quasi di spargersi nell’intero
SottoMondo e far diventare tutti pazzi, forse perché non li
ha pensati prima che l’ascia gli tagliasse la testa.
V’è soltanto una domanda che aleggia
nell’aria appestata dal fetore di morte.
Perché un corvo
assomiglia ad una scrivania?
E' molto che non scrivo al presente: se ci sono degli strafalcioni,
avvisate <3.
Nient'altro da dire se non che è il what if...? della
scena in cui al Cappellaio sarebbe stata davvero mozzata la testa, se
non fosse arrivato lo Stregatto.
Il titolo lo lascio a voi: potete vederlo letteralmente, ossia matto come un Cappellaio,
ma anche come l'equivalente della nostra espressione matto da legare.
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