LA VERA STORIA DI CAZZIO
PIROMALLI
La professoressa Anna B.
è titolare di 3 corsi e 3 seminari presso il Dipartimento di Storia
delle Arti dell'Università di Favalandia; per un totale di 210 ore
annuali, che spalmate su circa 20 settimane di lezione, fanno più di
10 ore settimanali.
Un vero record, in un
momento storico in cui i professori fanno di tutto per rifuggire dal
faticoso compito della didattica.
La professoressa Anna B.,
tuttavia, a dispetto delle incoraggianti apparenze, è detentrice di
un altro record, meno meritorio: di queste 210 ore è riuscita ad
evitarne, delegandole gratuitamente a dottorandi e assegnisti, circa
120. Vale a dire che la professoressa Anna B. tiene personalmente, su
6 corsi totali, non più di due corsi e mezzo.
Questo di media, nel
corso degli ultimi anni.
Ultimamente, inoltre,
risulta registrato a suo nome un laboratorio presso il teatro di ***,
anch'esso prontamente delegato a un volonteroso dottorando.
Il dottorando in
questione si chiama Cazzio Piromalli.
...
Ovviamente questo non è
il suo vero nome, ma un'amica da lui scavalcata a un ricevimento (il
nostro eroe doveva porre alla professoressa Anna B. una questione di
vitale importanza: “Professoressa, lo prende un caffé”) si sentì
in dovere di appioppargli questo affettuoso soprannome, e tale per
noi è rimasto passando alla storia.
Cazzio Piromalli era
iscritto alla Facoltà di Storia dell'Arte e lì, con straordinaria
coerenza, si è laureato.
A quel punto, forse in
seguito alla scoperta che il dottorato in questione è preceduto “di
necessità” dalla scuola di specializzazione (i motivi, a noi
comuni mortali, sono ignoti, ma tant'è, pare che sia così) ha
virato verso una carriera più rapida: il dottorato in Spettacolo
teatrale.
Dato che l'argomento non
gli sembrava del tutto consono ai suoi studi precedenti, né
supportato da adeguate conoscenza scientifiche, Cazzio ha studiato
molto.
Da settembre a novembre
si è aggirato per la biblioteca, sfogliando “Il teatro della
morte” a cura di D. Bablet, un volume nero lucido che tratta di
Kantor e del suo teatro.
Un vero colpo di fortuna,
dato che quell'anno sarebbe poi uscito un titolo che suonava
così:l'antropologia teatrale dei padri fondatori.
Cazzio Piromalli ha
passato il concorso con 60/60: 30/30 allo scritto, un voto con cui si
premia generalmente una produzione degna di pubblicazione, e 30/30
all'orale, che consiste nell'esposizione del proprio progetto di
ricerca.
Al termine del primo anno
di dottorato ha poi rivisto il progetto, e alla conclusione del
secondo anno ha dichiarato di non conoscere ancora la direzione
precisa della ricerca che meritò il punteggio massimo.
Stiamo correndo troppo.
Cazzio tutto sommato è
un ragazzo in gamba. È intelligente e studioso.
Non c'è niente di strano
nel fatto che un professore lo abbia notato e gli abbia proposto un
dottorato.
In Italia funziona così,
sebbene ufficialmente non si possa dire e ci si ostini a spendere
soldi per l'organizzazione dei concorsi, quando i dipartimenti non ne
hanno neppure per le fotocopie.
Certo, perché la
professoressa Anna B. abbia scelto una persona che non aveva
frequentato i suoi corsi se non di striscio e che si era laureata in
una materia tutto sommato piuttosto diversa dalla sua, questo sì,
suscita qualche domanda in più.
D'altro canto si
mormorava che lui fosse il prescelto già diverso tempo prima del
concorso.
Le sue frequentazioni
nell'ufficio della professoressa lasciavano poco spazio a dubbi
Vedevamo Cazzio
affannarsi sulle scale e correre verso la porta, e poco dopo lo
trovavamo nell'atrio accanto a lei, diretto verso qualche bar.
Ci faceva sorridere.
Sorrideva meno Federica
che quell'anno sperava di laurearsi in tempo per iscriversi al
concorso di dottorato e diceva dopo ogni ricevimento
«C'è qualcosa che non
torna. È come se la B. stesse cercando rallentarmi la laurea».
Con il tempo comincia poi
a pensare che forse quell'atteggiamento non sia del tutto casuale.
Per chi non avesse idea
vorremmo velocemente spiegare come funziona un concorso di dottorato.
All'interno della stessa
macro-area concorsuale sono inglobate più materie, per un numero
totale do posti che può ripartirsi o per curricula oppure essere
assegnato sulla base della graduatoria generale, indipendentemente da
curriculum dei candidati. Del totale complessivo di posti non più
della metà sono “senza borsa”, i rimanenti, ovviamente, “con
borsa”.
La borsa di studio è
incompatibile con posti di lavoro pubblici, es. scuola o
Amministrazioni varie, e in generale con un reddito superiore ai
6.000 euro annuali. Ogni altro incarico stipendiato deve comunque
essere approvato dal Consiglio di Dottorato e/o di Facoltà. Se chi
vince un posto “con borsa” rientra in una categoria
incompatibile, mantiene il dottorato ma cede la borsa al primo dei
vincitori “senza borsa”.
Il dottorato, inoltre,
con o senza borsa che sia, è incompatibile con la contemporanea
iscrizione a master e scuole di specializzazione, che può essere
congelata in attesa di terminare il dottorato (fate caso a questo
verbo: “congelare”, avremo modo di rincontrarlo ancora più
avanti).
La prova si compone di
uno scritto e di un orale, le cui caratteristiche sono descritte in
un apposito bando di ricerca.
La commissione è
composta da professori delle materie interessate, che possono variare
nel corso degli anni oppure rimanere gli stessi.
I titoli dell'orale sono
stabiliti dalla commissione, generalmente in un numero maggiore
rispetto a quelle poi effettivamente proposte ai candidati, scelte
tramite sorteggio.
La commissione, a suo
insindacabile giudizio, assegna un punteggio allo scritto e all'orale
dei candidati, in base al quale redige una graduatoria nella quale
vengono indicati i vincitori, le possibile riserve (selezionate in
caso di rinuncia dei precedenti) e gli esclusi.
Ora, per chi non ne
avesse idea, vorremmo altrettanto velocemente spiegare come funziona
davvero un concorso di dottorato.
Un professore sceglie un
allievo (a caso) e gli propone il dottorato, della cui commissione fa
solitamente parte. In altri casi propone invece un dottorato nella
cui commissione ha conoscenze o con la cui commissione ha scambi di
favori in corso.
Se il prescelto non è
del tutto analfabeta (il che pure qualche volta capita) riesce a
farlo piazzare secondo gli accordi.
In sostanza l'Università
italiana, ritenendo forse ormai vetuste le sue normative, ha
semplicemente deciso di adeguarsi alle abitudine già vigenti in
molti paesi esteri, dove il criterio di selezione non è un concorso
ma, molto più banalmente, la cosiddetta chiamata : vale a dire la
selezione sulla base del curriculum, dei titoli e del progetto di
ricerca proposto (in Italia solitamente redatto insieme al professore
che dovrà giudicarlo).
Ora, ovviamente, un
professore solo virtualmente ha totale libertà di scelta. I suoi
acerrimi nemici diventano in questo caso gli altri professori, i
quali, ben lungi dall'idea di giudicarlo per aver pensato di poter
utilizzare il concorso come una fabbrica di leccapiedi personale,
combattono contro lui per poter fare lo stesso.
Pare, secondo voci, che
un elevato numero di allievi conferisca prestigio (oltre che
alleggerire dal gravoso compito della didattica).
La libertà di scelta di
un professore è dunque limitata da quella dei suoi colleghi (“la
libertà di ciascuno finisce dove comincia quella dall'altro”,
riportava la Smemoranda in tempi non sospetti), e per questo gli
esimi Accademici, onde evitare snervanti lotte di trincea, scelgono
generalmente l'astuta strategia dell'accordo.
In sostanza, si mettono a
un tavolino e si dividono la torta: “quest'anno ne scelgo uno io e
due lui (che però poi mi appoggia l'assegno di ricerca per la
dottoranda che è uscita l'anno scorso), l'anno prossimo due tu e uno
lei (che però ne può mandare uno a ***, dove tu conosci il Prof.
Taldeitali che due anni fa ci ha mandato un dottorando)”.
Così accordatisi, si
avviano giulivi all'allegra selezione.
Federica, dunque,
comincia a intuire qualcosa del meccanismo.
La Prof.ssa Anna B., con
cui lei ha conseguito la laurea triennale ed è in procinto di
concludere la specialistica, quell'anno ha a disposizione un solo
posto e non intende far entrare lei, che è troppo poco allineata al
suo metodo di lavoro io-comando-tu-esegui (anche di questo avremo
modo di riparlare).
Quel posto è
evidentemente riservato a Cazzio che, pur provenendo da un altri
corso di laurea, ha ampiamente dimostrato il suo amore per il teatro
in una sezione della sua tesi di laurea dedicata allo studio della
scenografia.
Tuttavia non vuole dirle
di rinunciare, pensando forse di poterla fare entrare l'anno
successivo (la Prof.ssa ama circondarsi di dottorandi adoranti, e ne
possiede, come abbiamo già detto, un numero sufficiente a delegare
loro circa 120 ore di lezione gratuite).
Questa, almeno, è l'idea
che si fa Federica.
Effettivamente, vuoi per
un motivo vuoi per un altro, non riesce a laurearsi in tempo e viene
rincuorata con le parole “sarà per l'anno prossimo”.
Qui lasciamo Federica
alle sue riflessioni e proseguiamo con Cazzio che affronta il
concorso con spirito indomito.
Nell'atrio di Favalandia
confida a un collega la sua rassegnazione “tanto si sa che questi
concorsi sono già decisi” e poi vince riportando come detto il
massimo dei voti.
Immediatamente dopo,
riceve dalla professoressa Anna B. il suo primo incarico accademico:
assistenza agli esami e all'interrogazione.
Ricapitoliamo.
Cazzio, laureato in
Storia dell'Arte e dottorando di Spettacolo teatrale, iscritto di
fresco al primo anno, con all'attivo al massimo un paio di esami di
teatro e un capitolo della tesi sulla scenografia teatrale,
interrogherà studenti di discipline dello Spettacolo teatrale
(dell'apposito corso di laurea), magari al loro 4, 5, 6 esame
sull'argomento o in procinto di laurearsi.
Ora, Cazzio non è uno
stupido.
Questo piccolo sunto
mentale se lo fa da solo e conclude di non essere assolutamente
preparato ad affrontare una cosa del genere. Prova a farsi un'idea di
quello che potrà chiedere, ma si sente spaesato.
Per questo un paio di
giorni dopo chiede a Maria Cristina, dottoranda senza borsa
(ripescata tra i ripescati l'anno precedente) di suggerirle un paio
di domande di domande facili, e poi aggiunge
«Io non so niente di
Emma Dante».
Non possiamo non
apprezzare la sua lucida consapevolezza di sé, e la sua socratica
manifestazione di ignoranza.
Apprezziamo anche la sua
disarmante onestà, priva di qualunque orgoglio o pudore.
Tuttavia ci domandiamo:
che valore possono avere gli esami da lui presieduti?
Questa degli esami, in
effetti, è una faccenda molto più seria di quanto non sembri a
prima vista.
È ovvio che gli studenti
sono generalmente felici di trovarsi di fronte un ragazzo giovane,
tranquillizzante, con cui magari hanno preso il caffè fino a qualche
giorno prima.
È ovvio anche che gli
esami in sé, a dispetto di quanto abbiamo appena sostenuto, non sono
affatto una cosa seria. Forse lo sono stati, tanti anni fa, quando li
hanno sostenuti i nostri genitori. Forse avevano mantenuto uno
strascico di serietà anche quando noi eravamo appena arrivati e un
professore si poteva ancora permettere di bocciare una persona che
alla domanda
«In quale verso è
scritta la Divina Commedia?»
rispondeva
«Non lo so, ma lei aveva
detto che non avrebbe fatto domande di metrica»;
o che all'invito
«Mi parli di
Guicciardini»
chiosava
«Io i minori non li ho
studiati».
Poi anche quei tempi sono
finiti e quella residua patina di serietà è stata definitivamente
eliminata.
Oggi si chiederebbe
«La Divina Commedia è
scritta in endecasillabi, vero?»
oppure
«Non è che per caso ha
una vaga idea di chi sia Guicciardini? Sa, quello ce ha scritto la
Storia d'Italia, più o meno contemporaneo di Machiavelli...Vabbé,
se non lo sa mi parli di Petrarca».
Tutto questo, dicevamo, è
ovvio, ma tant'è Cazzio, come tanti altri, non ha alcun diritto per
stare lì a esaminare. Nessuno ha verificato che sia abbastanza
preparato e competente. Nessuno può dire se ne sappia effettivamente
più degli studenti che dovrà giudicare.
D'altro canto, lui non è
nemmeno il peggiore, e qui comincia un'altra storia.
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