Se smetti di
crederci…
Una formica zampettava sulla superficie della roccia. Giulia la
soffiò via, quindi sedette e accavallò le gambe.
Le fatine stavano in silenzio.
«Siete nervose» disse Giulia.
«Tu», puntò col dito quella
più vicina, «hai un tic
all’ala.»
La fatina strinse forte le ali da libellula, che da un
po’ sbattevano a vuoto. «Scusa.»
Le palpebre basse, Giulia: «Non ho ancora iniziato a
parlare e siete nervose.»
Una fatina le si avvicinò in volo, le sopracciglia
tirare sopra i LED spenti che le facevano da occhi. Tra le dita una
bacchetta delle dimensioni di un fiammifero.
«Ragazza» esordì, i LED illuminati a
ogni sillaba. «Non sei più la stessa da qualche
giorno. Te ne rendi conto?»
«Argomenta.»
La fatina inclinò il capo, le sopracciglia ancora
tirate.
«Non sono più la stessa? Argomenta. In
cosa sarei cambiata?»
La fatina aggrottò la fronte: minuscole rughe
solcarono la carne sotto i LED, spenti.
«L’atteggiamento, Giulia. Pensa un po’ al
raduno di settimana scorsa!»
«Ci sto pensando. Vai avanti.»
«Ci stai pensando?» Bacino arretrato e
gambe stese in avanti, la fatina proseguì: «Come
puoi pensarci? Ti sei addormentata prima che Fatina Essemmedi facesse
l’appello degli Spiriti Protettori! E fatina Tiqueffepi dice
che hai continuato anche dopo.» Sistemata la frangia verde
con la punta della bacchetta, la stella, la fatina scosse il visino. I
LED si illuminarono di rosso fiamma: «Mi vengono in mente
altri esempi, però non credo ch—
«Ho letto il regolamento»
l’interruppe Giulia.
La fatina incrociò le braccia. «Quale
regolamento?»
«Quello del Raduno degli Spiriti.»
«E allora?»
Giulia si mise in grembo la cartella di scuola. Una formica,
forse la stessa di prima, la stava scalando: George Mallory alle prese
con l’Everest. Ricavò il diario e lo
aprì alla pagina del segnalibro: dietro all’elenco
dei libri di quell’anno c’era un pezzo di carta
grande due dita che porse alla fatina.
«È il regolamento» disse la
fatina, perplessa come suggerito dai LED verdi.
Uno schiocco secco, Giulia con le mani giunte. «Noti
qualcosa?»
La fatina riesaminò il foglio.
«È solo il regolamento.»
«Infatti.» Giulia annuì.
«Il semplice regolamento non vieta a nessuno di dormire
durante il Raduno.»
LED rosa. «Ah, no?» La fatina sorrise.
Puntò col dito una riga minuscola: «Richiesta
massima attenzione. È scritto qui.»
«Già, ma da chi?»
domandò Giulia.
La fata la guardò come avesse scritto scema sulla
fronte. «I partecipanti! È ovvio.»
«Ma non è specificato.»
«È sottointeso.»
Giulia scosse la testa. «No, affatto.»
La fata le fece cadere il foglio sulla testa. La ragazza lo
ripose nel diario. «Mi stai dicendo che ti eri preparata la
risposta? Sapevi che avrei tirato in ball—
«Era una possibilità» disse
Giulia. «Il signor Garrone mi ha detto che le
possibilità vanno considerate e che è opportuno
premunirsi.»
«Chi è il signor Garrone?»
Giulia, il braccio nella cartella: «Proprio a questo
volevo arrivare.» Estrasse un blocnotes che aprì
alla prima pagina. «Il motivo per cui vi ho convocate
è per parlare di Garrone.» Dito su una riga
scritta a mano. «Me lo ha fatto conoscere la Mamma, circa due
settimane fa.» Volse lo sguardo al cielo e si
grattò la nuca. «Pochi giorni dopo averle detto
che parlo con voi fatine, tra l’altro.»
«Le hai detto cosa?» Stavolta i LED erano
bianchi. D’incredulità.
Giulia tornò a guardare davanti a sé.
«Che parlo con voi fatine. Oh, e l’ho detto anche
al signor Garrone. Pensate che sembrava già saperlo. E
be’, abbiamo discusso a lungo. Alla
fine…», sorrise, le palpebre basse,
«… ho capito che io non ho mai parlato con le
fatine.»
Tutti i LED delle presenti erano spenti, implicando silenzio.
«Giulia, che stai dicendo?» disse la fatina dai
capelli verdi.
Giulia mostrò la pagina del blocnotes.
«Questo è un elenco di regole che ho scritto
assieme al signor Garrone.
«Regola numero uno: fate e fatine non esistono se
non nel folklore e libri di fantasy italiano scadente.
«Regola numero due: la magia intesa come atto
sovrannaturale, pertanto inspiegabile scientificamente, non esiste. Per
quanto riguarda i giochi di prestigio, li si può chiamare
appunto giochi di prestigio senza dover ricorrere
all’obsoleta parola ‘magia’. Che presto
sparirà con la neolingua.
«Regola numero tre: cogito ergo sum. In quanto
essere pensante, sono in grado di formulare pensieri così
come accettare quelli degli altri, ma solo se basati su fatti
documentati e accertati.» Chiuse il blocnotes e
tornò a guardare le fatine.
Ma loro non c’erano più.
Il prato era seminato di brillantini. Brillantini che il vento
stava già iniziando a disperdere. Giulia rimase un attimo a
guardarli.
Infine si alzò, chiuse la cartella, la
caricò sulle spalle e avanzò verso la baita della
nonna, giù per la collina.
Col piede, pestò un paio di ali da libellula.
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