Riporto i disclaimer per
sicurezza: non conosco i 30 Seconds to Mars e non mi appartengono, non
ho la minima idea di come siano caratterialmente, non scrivo a scopo di
lucro e i fatti sono puramente inventati (tranne eventuali riferimenti
a concerti e/o interviste...).
Come già detto,
è la prima fanfiction che scrivo e pubblico, non sono una
scrittrice anche se leggere e “buttare giù
qualcosa” come dico io mi è sempre piaciuto. Le
recensioni sono accettate sempre e con piacere, non preoccupatevi di
dire quello che pensate!!
Ringrazio Shanna e Nicole per
avermi dato il loro parere iniziale, perché è
grazie a loro se questa storia vede un sito internet..e naturalmente
tutti voi che leggerete e commenterete e che amate la musica dei 30
Seconds to Mars.
UN IDIOTA…
Capitolo 1
Un idiota… un
completo idiota, ecco come mi sento.
Durante tutti questi anni di
aggettivi mortificatori me ne hanno affibbiati talmente tanti che non
riesco a ricordarne nemmeno la metà, se poi aggiungiamo
anche quelli con cui mi chiama a volte mio fratello allora il conto si
può tranquillamente evitare. Il problema sorge quando sono
io stesso a definirmi tale… voglio dire, come posso io,
quello che tutti conoscono come l’egocentrico Jared Leto,
pensare di essere così stupido?
Eppure certe cose non le posso
cambiare.
Ormai sono seduto sui gradini
appena fuori dalla porta di ingresso di casa mia a inzupparmi
d’acqua da almeno due ore, sapendo benissimo che domani
starò male visto che la temperatura è bassa per
la stagione e sto pure tremando di freddo. Se non mi uccide una
polmonite o qualcosa di simile di sicuro ci penserà Shannon.
Mi parte un brivido lungo la schiena al solo pensiero e la mia testa
già sta elaborando un percorso di fuga per non ritrovarmi le
sue mani sul collo. Non che mi farebbe mai niente di male, ma tra un
paio di settimane dovremo partire per il tour in Europa e un cantante
febbricitante e senza voce non è certo il massimo no?
Ma non riesco a smettere di
pensare che la ragazza che ho intravisto in quel piccolo bar potrebbe
essere stata lei. Non so veramente quanti anni siano che non la vedo,
ma il suo ricordo è sempre presente. Non che mi assilli
continuamente, ma a volte capita che spunti fuori prendendomi alla
sprovvista, colpendomi dritto alla testa e in un punto preciso del
petto.
Basta, devo riprendermi e
tornare in casa prima di morire assiderato o domani ci sarà
un bel titolo per i giornali “Jared Leto trovato congelato
davanti alla sua abitazione”.
L’acqua della doccia
scorre bollente sulla mia pelle, lasciando segni rossi ovunque per la
troppa differenza di temperatura, ma va bene così, almeno
sono concentrato su questa sensazione di semidolore che mi impedisce di
far vagare troppo i pensieri.
Esco dalla doccia e con solo
un grosso asciugamano bianco a cingermi la vita mi volto verso lo
specchio. Una passata veloce con la mano per togliere il vapore ed
eccomi lì, riflesso in una lastra d’argento che
potrebbe contenerne altri cinque di me. Mi guardo bene e devo ammettere
che Tomo ha ragione, sono dimagrito ancora nonostante tutte le
attenzioni di mio fratello sulla questione cibo e peso… dopo
“Requiem for a dream” e “Chapter
27” ero ridotto veramente male, ma fortunatamente avevo loro
che mi sostenevano. Ancora adesso ci sono dei momenti in cui non
capisco che mi è passato per la testa… forzare in
quella maniera il mio fisico è da idioti… ecco
che torna di nuovo quella parola… devo smetterla.
Altro sguardo veloce alla
figura davanti a me e quello che noto è quel paio di occhi
azzurri sotto una massa di capelli castani arruffati
dall’acqua e ancora gocciolanti. Rispondono senza paura al
mio sguardo indagatore e, se non sapessi che sono i miei, sarei quasi
sicuro che celino una domanda a cui però ho paura di non
saper rispondere.
Lascio perdere tutte queste
paranoie che mi sto facendo e vado in camera perché forse
è il caso di rivestirmi prima che arrivino i miei compagni
d’avventura e gli altri per controllare
un’ulteriore e speriamo ultima volta che tutto sia pronto per
il tour. Infilo velocemente la prima cosa che trovo sulla poltrona
nell’angolo, vale a dire i pantaloni azzurri della tuta a cui
abbino, senza perderci troppo tempo, una maglietta chiara e per
completare il tutto la felpa nera con la cerniera. Non sarà
il massimo forse, ma tanto non ho in programma di uscire di casa e poi
che a volte ho un pessimo gusto nel vestire me l’hanno detto
abbastanza spesso, ma sinceramente non me ne frega niente.
Ci mancava solo
l’emicrania per completare una giornata già di per
sé pessima. Stiamo ricontrollando queste carte da quello che
mi sembra un tempo infinito e non siamo neanche a metà. Non
ce la faccio, dopo l’ennesimo battibecco tra Emma che tiene
in mano una cartelletta contenente di tutto e di più e
David, una specie di
aiuto-organizzatore–incastratorediimpegni-ecchealtrosoio, in
cui dopo un po’ intervengono anche Shan e Tomo, mi alzo e
vado verso la cucina.
Quando poco dopo mi raggiunge
Shan, mi trova fermo immobile con le mani appoggiate sul ripiano di
marmo e la testa china mentre cerco di respirare profondamente. Si
avvicina e subito mi poggia una mano sulla spalla, facendomi sussultare.
“Si può
sapere che hai Jay? E’ da quando sono tornato che sei
strano… e non provare a tirare fuori la solita storia che te
lo dico da quando siamo piccoli ok?” mi dice con aria
leggermente preoccupata.
Lo fisso un momento negli
occhi, devo sostenere il suo sguardo prima di rispondere o
crederà davvero che ci sia qualcosa che non va, anche se a
dire il vero sono proprio io il primo a non sapere che sta succedendo.
“Niente, non ho
proprio niente. Avevo solo bisogno di un attimo di pausa per
riprendermi. Sai, quei due in soggiorno che alzano la voce non fanno
molto bene al mio mal di testa” e dicendo questo cerco di
sorridere per tentare di convincerlo che veramente è tutto a
posto.
Faccio per prendere
un’aspirina dall’armadietto, ma il suo sopracciglio
alzato è un chiaro segno che non se l’è
bevuta completamente e sì che non sono un attore proprio di
infima lega.
“Sai che credo alla
metà di quello che mi hai appena detto vero? Cristo, sono
tuo fratello e ti conosco bene. Non crederai di potermi rifilare questa
stronzata e pretendere che ci creda vero? Mi basta guardarti negli
occhi per capire che c’è dell’altro che
non mi vuoi dire, ma so che non caverei niente adesso,
perciò lasciamo stare ok? Ma non prendermi per il culo
Jay…”.
Fortunatamente Tomo spunta
dalla porta della cucina con il sorriso stampato sulla faccia e
un’aria soddisfatta, di là dev’essere
successo sicuramente qualcosa. Si avvicina e ci guarda attentamente,
poi fa un sospiro e scuote la testa. A volte proprio non lo capisco, ma
è un buon amico e un musicista eccezionale, oltre ovviamente
a una specie di eterno bambino con cui poter fare, o forse sarebbe
meglio dire combinare, tutto quello che la mia contorta mente riesce a
generare. Devo ammettere però che anche la sua di idee
malsane ne ha prodotte parecchie e che risate ci siamo fatti dopo tutti
e tre!
Senza dire una parola mi
sposta la mano dall’anta e apre quella vicina per prendere
una tazza in cui versarsi del caffè.
“Ragazzi, ma che
avete? Dovreste essere contenti che abbiamo finito per oggi, non vedete
il mio super sorriso? Finalmente Emma e David stanno facendo sparire
quella montagna di fogli e possiamo riposarci” ci informa,
non prima di aver sottolineato ulteriormente con un gesto della mano
una zona imprecisata del suo volto.
“Amico, è
difficile vedere la tua bocca sotto quella barba nera. Non è
il caso di dargli una bella tosata? Proprio non so come faccia Vicki a
sopportarti in questo stato” scherza Shan suscitando una
bella risata da parte del croato e un sorriso sincero da parte mia.
Sembra che
l’atmosfera si sia allentata, ma so che prima o poi mio
fratello cercherà di tornare sul discorso e allora
dovrò inventarmi qualcosa di sensato e credibile, o aver
dato una risposta a ciò che in qualche modo mi tormenta,
anche se questo è più complicato. Per lui
è una cosa innata questo senso di perenne protezione nei
miei confronti, e tutto perché è il maggiore. Fin
da bambini si è sempre occupato di me quando la mamma non
c’era per lavoro e, in un certo senso, sono quello che sono
anche grazie a lui… soprattutto perché mi ha
sempre incoraggiato a seguire i miei sogni e mi ha impedito
più di una volta di fracassarmi la testa durante le mie
arrampicate e/o scavalcate di alberi, muri e chissà che
altro.
Mi piace che ci sia qualcuno
che si preoccupa veramente per me, ma penso di essere abbastanza grande
e poi vorrei che pensasse un po’ di più a lui.
C’è da dire poi che anche se abbiamo quasi
quarant’anni entrambi, sono più le volte che ci
comportiamo come dei ventenni, perché è molto
più divertente dato anche il lavoro che facciamo, inoltre
dicono che uno non invecchia finché si sente giovane dentro.
Ho paura che appena comincerò a comportarmi davvero come uno
della mia età sarà la fine, niente più
in giro per il mondo a suonare, posti da visitare e perché
no altre cazzate da fare, ma solo una montagna di acciacchi…
quindi, perché fermarmi?
Mi riscuoto da questi pensieri
e li vedo entrambi che mi osservano corrucciati.
“Che
c’è?” faccio.
“Ti sei imbambolato
con quel sorrisetto da ebete sulla faccia, è lecito
preoccuparsi un attimo non credi? E poi stavamo anche notando quella
piccola ruga vicino all’occhio. Dovresti fare qualcosa, o
nostro personale Dorian Gray” mi risponde Tomo quasi
piegandosi in due dalle risate prima ancora di terminare la frase.
Con lui nei paraggi
è facile dimenticare tutti i problemi, perciò mi
lascio andare anch’io a una sonora risata che si sparge per
la casa ormai vuota dato che Emma, David e pure Tim se ne sono andati.
“Devo ammettere che
quella di Dorian Gray ti e venuta bene Tomo!” dice mio
fratello aggiungendo poi “Bene, e ora che ne dite di ordinare
qualcosa da mangiare e poi una bella partita alla playstation
ragazzi?”
Ci guardiamo di nuovo,
sorridiamo complici e poi loro spariscono verso il salotto lasciandomi
lì come sempre a ordinare la cena. Non
ringrazierò mai abbastanza per aver avuto la fortuna di
averli trovati entrambi… sono la mia famiglia e la mia
ancora di salvezza e a volte non saprei davvero che fare senza di loro.
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