(Nda: da collocarsi nel quinto episodio della quarta serie; poco prima
della gita al parco e del tentativo di suicidio di Effy.
Il titolo viene dalla canzone Goodnight
Moon di Shivaree, che si adatta molto
all’atmosfera che volevo rendere per questa fanfic.
Non so se dovrei alzare il rating dato che, pur non succedendo effettivamente nulla, parla di cose abbastanza inquietanti. Magari se lo trovate inadatto fatemelo sapere :). Grazie!)
Iniziava a mancarle l’ossigeno, ma cercò comunque
di respirare piano. Piano, piano. Senza fare rumore. Se
l’avessero sentita respirare, si sarebbero accorti che era
lì e sarebbero venuti a prenderla.
Iniziava ad essere scomoda in quella posizione, ma se si fosse mossa si
sarebbero accorti che era lì, e sarebbero venuti a prenderla.
Sepolta sotto le coperte, non aveva il coraggio di allungare la testa
fuori per prendere una boccata d’aria. L’avrebbero
presa. Loro, al buio, ci vedevano. E si sarebbero accorti che si era
esposta per prendere quella boccata d’aria. Doveva rimanere
nascosta lì sotto, respirare piano e rimanere immobile.
Freds sarebbe tornato presto. Quando c’era lui, in casa, loro
se ne andavano; probabilmente sbuffavano quando scivolavano fuori dalle
finestre e ritornavano negli angoli bui, perché, ed Effy lo
sapeva, aspettavano soltanto che fosse da sola per poterla finalmente
acciuffare.
Era ben consapevole di non poter sfuggire, prima o poi
l’avrebbero presa e fatta a pezzi, lo sapeva. Ma
finché c’era Freds non potevano farle nulla.
Freddie era forte, materiale, tangibile; lui li spaventava. Ma lei no.
Lei era invisibile e stava lentamente svanendo
nell’oscurità. L’avrebbero presa.
Sicuramente l’avrebbero presa.
Avrebbe voluto alzarsi ed andare in bagno, ma non aveva il coraggio di
allungare un braccio fuori dalle coperte per accendere la lampada.
Gliel’avrebbero mangiato a brani. Avrebbero ghignato con i
loro occhi spiritati e si sarebbero precipitati tutti attorno al suo
braccio, in attesa di mangiarlo a brani.
E se c’erano dei buchi, nella sua barricata? E se ci fosse
stato uno spiraglio tra l’orlo delle coperte e il materasso?
Loro ci vedevano al buio; sicuramente l’avrebbero trovato e
strisciando si sarebbero infilati sotto le coperte con lei, per riderle
in faccia e poi mangiarla a brani. Doveva accertarsene, in qualche
modo. Ma non aveva il coraggio di muovere braccia e gambe per
controllare. Avrebbero potuto localizzarla.
Il vento da fuori faceva strani rumori minacciosi. È il
vento, si ripeté. È solo il vento. Ma non era
vero. Stavano urlando che sarebbero venuti a prenderla. Era un
avvertimento, una premonizione. Avrebbe fatto meglio ad andarsene, o a
morire. Se fosse morta, sicuramente nessuno le avrebbe più
urlato che stavano per venire a prenderla. Presto la voce del vento
sarebbe entrata in casa e le avrebbe urlato in faccia che adesso
l’avrebbero mangiata a brani, e avrebbe sollevato le coperte
col suo soffio e a quel punto le si sarebbero precipitati addosso e
l’avrebbero fatta a pezzi.
Tutto era silenzioso, ma lei era sicura che ci fosse qualcuno che stava
salendo le scale per ammazzarla. Solo che non faceva rumore, erano
furbi, loro, non si facevano scoprire come lei. Era certa comunque che
ci fosse qualcuno, era solo questione di affinare l’udito.
Affinò l’udito; non si sentiva niente, ma era
certa che prima o poi si sarebbero fatti vicini. Già si
figurava il loro rumore nella testa. Perché non si facevano
sentire, così da farla finalmente finita? Non ce la faceva
più ad aspettare, aspettare, e loro non la uccidevano mai.
Facevano finta di non esserci, ma c’erano eccome. E il rumore
c’era, da qualche parte. Nella sua testa? No, c’era,
lì sulle scale, poteva raffigurarlo nel cervello;
cercò quel suono nell’aria circostante, ma non era
chiaro. Era indistinto. Era il suo cervello? C’era davvero?
Adesso sarebbe arrivato, finalmente?
Stava sudando e i brividi le torcevano il collo, ma non si mosse. Non
respirò. Il minimo rumore o spostamento li avrebbe
richiamati tutti. Erano sempre molto attenti a ciò che
accadeva intorno a loro, e volevano lei.
Come avrebbe fatto ad alzarsi,
gettandosi in pasto a loro, e cercare a tentoni la luce mentre loro si
avvicinavano strusciandolesi addosso nel silenzio, e poi accenderla e
attraversare il buio nel corridoio, nelle altre stanze, giù
dalle scale e nell’inferno?
Rifuggivano dalla luce come belve di fronte al fuoco, ma si ritiravano
nelle stanze vicine, aspettandola per fargliela pagare. Anche se non le
avessero fatto nulla sapeva che amavano torturarla, farle aspettare la
sua fine tra guizzi d’ombre, strane luci, movimenti sconnessi
sulla coda del suo occhio.
Ma quando c’era Freds, quando c’era lui, allora
scomparivano. Questo anche perché lei non li cercava
più spasmodicamente, facendo schizzare lo sguardo ovunque in
cerca di quel ghigno e dello scintillio della lama.
Quando c’era Tony, non c’erano mai. Sapeva che
quando fosse tornata a casa lui l’avrebbe salutata dalla
finestra; e non aveva paura di salire le scale perché
lì in cima, nella camera accanto, c’era lui.
C’era, o sarebbe arrivato presto, nel caso avesse fatto
più tardi di lei.
E adesso, invece, anche quando fuori c’era il sole, dentro
era come vivere nella casa delle ombre. Non importava quanto spesso
potesse controllare dietro le tende, negli angoli, dentro agli armadi,
negli interstizi tra i mobili e la parete. Loro sguisciavano dietro i
mobili o sottoterra e si nascondevano altrove… oppure,
ghignando maleficamente, le giravano attorno e si appostavano dietro di
lei, e la seguivano, e la osservavano. Si chiudeva a chiave in tutte le
stanze, controllando terrorizzata il buco della serratura da cui, ne
era certa, la stavano guardando, e non riusciva più a
muoversi finché non arrivava Freddie, gli occhi puntati su
quella maledetta serratura.
E mentre non controllava la serratura era certa che dagli altri angoli
stessero galleggiando attorno a lei, in attesa di mangiarla a brani.
Lei era debole, e loro lo sapevano. Lei non aveva più alcun
potere, e intendevano approfittarsene. Era preda facile, ora.
L’unico che poteva salvarla era Freddie, ma, per
l’appunto, Freddie era anche l’unico che poteva
condannarla, perché, quando non c’era, loro
l’assalivano.
Sospirò, e subito se ne pentì.
L’avevano sentita? Stava per morire? Era la fine di quella
tortura straziante?
No, non lo era mai. Mai, a parte quando si drogava o si ubriacava al
punto da cadere addormentata sul divano, senza rendersene nemmeno
conto. In quel caso riusciva a chiudere gli occhi senza sentirsi
divorata dal panico. Ma Freds le aveva tolto la bottiglia dal comodino,
e comunque non poteva tirare fuori una mano e prenderla, e quindi come
avrebbe fatto a dormire?
Aspettò Freddie. Sarebbe arrivato, prima o poi. Si
ripeté. Tornerà,
si disse.
E se non tornasse?,
le dissero loro.
Ma il punto era, loro parlavano dentro o fuori la sua testa? Spesso non
riusciva a distinguerlo. Forse abitavano nella sua testa. O forse la
sua testa era tutta la sua casa. Forse la sua mente era uscita dal
cervello e si era sparpagliata in ogni angolo buio. Forse stava per
morire. Forse avevano sentito il suo sospiro e l’avrebbero
mangiata a brani. Forse…
-Eff?
Una scarica di adrenalina la paralizzò dalla paura.
-Eff, sono io. Sei di sopra?
Era Freddie. Era solo Freddie. Freddie, che la trovò rigida,
tesa, con gli occhi spalancati sul vuoto e le membra immobili, richiuse
su se stesse.
-Hai di nuovo dormito tutta la mattina, mh…?
La prese dolcemente tra le braccia, ed Effy si sentì come se
l’avessero liberata dalle catene, tirata fuori da una scatola
angusta in cui era stata chiusa troppo tempo.
Gli occhi finalmente le si chiusero, senza alcun pensiero.
Ma…?
No, non era tranquilla nemmeno ora. Perché? Una volta
bastava che Freddie fosse lì, perché si sentisse
sicura. E invece ora perché aveva paura che la prendessero?
Freddie non era più in grado di spaventarli, di cacciarli
via…?
O forse sapevano che lei, in fondo, non lo riteneva più in
grado di proteggerla…?
La vodka. La vodka avrebbe risolto tutto.
-No, Eff… basta. Facciamo colazione.
-Ma faranno colazione con le mie budella, se non bevo la vodka.
-Chi…?
-Loro.
Le parve di sentire Freddie sospirare; faceva finta di non capire, ma
sapeva benissimo; sospirava solo per rassicurarla. E ora loro
riuscivano ad arrivare fin dietro la schiena di Freddie, e li stavano
circondando. Certo, non avrebbero preso lui, ma era certa che se avesse
fatto penzolare una mano dal bordo del letto gliel’avrebbero
staccata e l’avrebbero mangiata. Oppure l’avrebbero
guardata con ingordigia ed accarezzata impercettibilmente, invisibili e
voraci, e lei non poteva vederli ma sapeva, sapeva che c’erano.
Gliene davano sempre mille segni.
A volte vedeva i loro occhi, solo i loro occhi, cerchiati e iniettati
di sangue, e ridevano come dei demoni. Non li vedeva davvero, non con le
pupille e tutto il resto, ma sapeva che erano lì e che
avevano quegli occhi. Prima o poi si sarebbero palesati e avrebbe
scoperto che aveva ragione, e allora sarebbe morta.
-Sanno che possono farlo – disse a Freddie, con voce roca.
Lui la guardò interrogativo. – Uccidermi. Ora
possono. Lo sanno.
-Nessuno vuole ucciderti – lui
l’abbracciò, ma sapeva che dietro la sua schiena
c’erano loro pronti a morderle le braccia. Le
ritirò subito e si raggomitolò sul torace di
Freddie; lì era al sicuro, come sotto le coperte, a patto
che non si muovesse. A patto che rimanesse lì per sempre.
A patto che lui non se ne andasse.
Un giorno avrebbe messo una fine a tutti quegli sguardi diabolici che
la fissavano dagli angoli nascosti.
Era stanca di aspettare che si decidessero loro.
Se non l’avessero fatto in tempi brevi, pensò
solennemente abbandonandosi al sonno tra le braccia di Freddie, presto
avrebbe trovato il modo di farlo lei.
-Freddie! Effy non vuole
uscire dal bagno.
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