"Sei
stanco pittore?
Il tuo corpo e la tua anima hanno vissuto troppo, troppo a lungo.
Desideri versare lacrime ma i tuoi occhi sono aridi dalla rabbia.
O dalla solitudine forse?
Ma non temere, mio caro artista errante.
Il tuo incontro con Morfeo non si farà attendere..."
Fermò
il pennello a pochi millimetri dalla tavola. Per la prima volta in vita
sua non sapeva cosa dipingere.
Aveva
dipinto tanti, tanti quadri. Ma un colore gli aveva rovinato la vita.
Per sempre.
Eppure
l'adorava ancora. Quella bellissima tinta chiara che poteva assumere
tantissime sfaccettature.
Quella
tinta che l'aveva fatto innamorare da bambino.
Quella
tinta che rappresentava il cielo sconfinato.
Voleva nuove idee. Voleva qualcosa o qualcuno su cui dipingere. Si
sentiva come un'anima in pena
in cerca della sua irraggiungibile musa ispiratrice.
Posò il pennello sul tavolino e si alzò. Con
passi lenti si diresse alla finestra.
Non lo vedeva più. Quel colore che dava vita ad ogni
mattina. Non c'era più per lui.
Hayato era stato maledetto. Tempo fa non ci avrebbe mai creduto. Come
nessun essere normale d'altronde.
Da bambino il suo adorato papà gli disse che dipingere il
cielo era un taboo. Non gli credette.
Nel suo villaggio ai piedi del Monte Fuji risiedeva una sorta di stirpe
di pittori. Questi erano rinomati in tutta la capitale:
lavoravano per l'imperatore, per feste nazionali o comunque pereventi
di una certa importanza.
Questo mestiere si tramandava da padre a figlio, e la gente ne andava
molto orgogliosa.
Tuttavia nelle profondità del villaggio erano nascoste delle
antichissime scritture che riportavano diverse maledizioni.
Esse, si diceva, andavano a punire i pittori che con la loro superbia
credevano di raggiungere Dio con le loro opere.
Una delle maledizioni più frequenti era la "The Wrath of the
Sky" ovvero l'Ira del Cielo. Si pensava che la Divina Provvidenza
punisse coloro che in mille quadri ritraevano il Cielo. Questo
incantesimo rendeva immortali, ma non permetteva più di
vedere
il cielo. Nemmeno il suo colore.
Hayato non avrebbe mai pensato che tutto ciò potesse davvero avverarsi.
Ormai era immortale da più di 200 anni e non riusciva a
trovare
un modo per mettere la parola fine alla sua esistenza dannata.
Si sentiva come un corpo vuoto, senz'anima. Vagava e vagava di
città in città per dipingere, nella speranza di
trovare
una soluzione.
Sospirò. Lasciò la finestra e si buttò
a peso
morto sul letto. Dopo un pò chiuse gli occhi, sapendo che il
sonno non lo avrebbe mai raggiunto.
Aveva commesso un grave errore. Per quanto ancora il Cielo lo avrebbe
punito?
Il giorno dopo uscì di casa. Era una tiepida giornata di
Domenica. Sembrava che la città fosse in festa
perchè ovunque
girasse il suo sguardo non vedeva altro
che bancarelle adornate da festoni e decorazioni vivaci e appariscenti.
Con un leggero sorriso sul volto, decise di farsi una bella passeggiata
e mischiarsi tra la folla e le grida gioiose dei bambini. Sembrava un
paese del balocchi in miniatura. Sulle bancarelle c'erano leccornie
di ogni tipo, giocattoli e articoli artigianali. Il tutto era
presentato da venditori e mercanti dal viso gentile e paffuto.
Camminava lentamente, godendosi l'euforia delle famiglie che una volta
tanto uscivano con i loro figli a divertirsi e a godersi la giornata.
Poteva sentire gli odori delle pietanze mischiarsi tra di loro. Certo
che il mondo era proprio cambiato. Ormai lo pensava spesso.
Però, nonostante si trovasse nell'anno 2000, ovunque andasse
si
sentiva ancora a casa, perchè in ogni posto che visitava
ritrovava un pezzettino di sè.
Muovendosi tra le stradine che s'intersecavano nella cittadina,
notò che in uno spiazzo si ergeva imponente quella che
sembrava un'entrata di un
antico santuario.
Non aveva mai esplorato quella zona, così decise di
addentrarsi
in quel posto sconosciuto, anche se non andava pazzo per i luoghi sacri.
Attraversò quel portone formato da enormi colonne di pietre
e si
meravigliò di ciò che trovò
dinanzi ai suoi
occhi.
Sembrava un paradiso naturale. Un bellissimo bosco faceva da ponte tra
la città e il santuario. Rimase lì, impietrito da
tale bellezza.
E' come se avesse varcato la soglia per un altro mondo,
perchè
solo ora si accorse che, dopo esservi entrato, la notte era calata
improvvisamente.
Incantato si mise ad osservare l'ambiente che lo circondava. Piccole
lucciole danzavano tra le piante in cerca della loro anima gemella,
illuminando flebilmente
la strada che si parava di fronte al pittore. Muoveva le gambe senza
accorgersene, avanzando sempre di più.
Sentiva la natura attorno a lui avvolgerlo, come se volesse
proteggerlo.
Era morto o cosa?
Avanzò in quella foresta incantata ancora per qualche metro,
ma
poi si fermò. In leggera lontananza sentiva dei singhiozzi.
Fece
ancora qualche passo.
Più si avvicinava alla fonte di quei singulti,
più si rese conto che non dovevano essere di una persona
adulta.
Si ritrovò a guardare ai piedi di un tronco di un grosso
cedro.
Una bambina era rannicchiata su se stessa e si dondolava
ossessivamente. Sembrava un fagottino, piccolo e indifeso.
Le si avvicinò lentamente e si accovacciò accanto
a lei.
-Tutto bene?- chiese con tono gentile e pacato.
La bambina sussultò, alzando il volto per guardarlo con
occhi sgranati. Era completamente rigato dalle lacrime.
-Su, su. E' tutto a posto- prese un lembo della sua manica e le
asciugò il viso.
La piccola creatura indietreggiò di scatto, impaurita.
-Non voglio farti del male.- le sorrise. Alzò le mani in
segno di arresa.
Quandò vide che si era calmata, si riavvicinò.
-Come ti chiami?-
-C-Chiyo...- rispose con le labbra tremolanti.
-Che bel nome!- la guardò. Il suo corpo sussultava ancora.
Forse aveva freddo.
Prese il mantello che aveva dietro la schiena e lo posò
sulle sue spalle. La bambina, dopo un attimo di stupore, sorrise.
-Oh, allora sai anche sorridere!- esclamò dolcemente. -Cosa
ci fai qui, piccola Chiyo?- chiese poi.
-Mi...mi sono persa, signore- disse guardandosi intorno. -Stavo
seguendo la mia mamma ma poi non l'ho vista più...- stava
per
scoppiare di nuovo a piangere.
-Vuoi che ti aiuti a ritrovarla?- domandò in fretta.
-N-no...- rispose abbassando lo sguardo. -Non le ho ancora fatto il
regalo...- aggiunse borbottando.
-Cosa volevi regalarle?-
-U-un disegno....Le piace tanto il cielo- lo guardò negli
occhi, sorridente.
Solo ora il pittore si rese conto che sul volto della bambina mancava
qualcosa. Mancavano i suoi occhi. Sospirò, sapendo
già di
che colore li avesse.
Al loro posto vedeva due pozzi neri, come se le iridi non fossero mai
esistite.
-Hmm. Beh, non posso dipingere il cielo, ma posso aiutarti se
vuoi- cercò di sorriderle.
Il viso di Chiyo s'illuminò -Sai dipingere, signore?- chiese
poi scattando in piedi.
-Ha ha ha. Si. Sono un pittore, sai? E non chiamarmi signore che mi
sento vecchio- beh, forse lo era. Ma quelli erano dettagli. -Il mio
nome è Hayato-
La piccola saltellò su se stessa emettendo dei gridolini.
Poi si
accovacciò e prese qualcosa da uno zainetto poco distante da
lei. Tutta contenta si sedette
vicino ad Hayato, aspettando che lui le insegnasse come dipingere un
bel cielo per la sua mamma.
Ridacchiando cominciò a spiegarle come crearne uno perfetto.
Le
disse che questa doveva essere la prima e l'ultima volta che doveva
dipingerlo.
La bambina lo guardò stranita, ma non vi badò
più di tanto, felice com'era in quel momento.
Passarono diverse ore e in quel bosco misterioso l'oscurità
si fece più buia.
-Sarà meglio tornare a casa non credi?- esordì il
pittore guardandosi intorno.
La piccola si alzò in piedi. All'improvviso però
sentirono una voce di donna in lontananza. Sembrava chiamarla.
-Oh. E' la tua mamma vero?-
La creatura annuì sorridendo.
-Su, va da lei e mostrale ciò che hai fatto- disse
accarezzandole dolcemente il capo.
-Ci rivedremo signore?- chiese con una leggera espressione malinconica.
-Sicuramente- le rispose semplicemente.
Chiyo sorrise, fece un profondo inchino e cominciò a correre
verso la voce della propria mamma.
La vide andare via. Sospirò felice. Rimase ancora
lì per
un pò, appoggiando la testa al grosso cedro dietro di lui.
Stava
cominciando ad alzarsi una leggera brezza.
Chiuse gli occhi, godendosi quel leggero vento che gli accarezzava il
volto e i capelli.
Li riaprì e alzò lo sguardo verso il cielo nero e
sconfinato. Almeno quello poteva vederlo.
Si mise ad ammirare le stelle, meravigliato di poterne vedere
così tante. In quei momenti si sentiva vivo.
Quando poteva vedere quella cosa che adorava così tanto si
sentiva trasportare indietro nel tempo,
dove i ricordi lo avvolgevano in un caldo abbraccio e riempivano i suoi
pensieri annebbiati dalla tristezza.
La brezza stava diventando più gelida. Si alzò,
cingendosi le spalle con le braccia, rabbrividendo.
Mentre si guardava intorno si chiese in che razza di posto si trovasse.
In città era ormai estate inoltrata e si domandò
il
perché li dentro fece così freddo.
Notò che il sentiero nel bosco continuava ancora per un bel
pò. Decise di esplorare più a fondo quel luogo
misterioso, tanto non aveva niente da perdere.
Con passo lento s’incamminò, buttando
continuamente lo
sguardo intorno a se. Era una posto incantevole, quasi surreale.
Sembrava di essere in uno di quei libri fantasy che tanto adorava
leggere. L’atmosfera presente in quel luogo era
così
magica e affascinante che ogni cosa i suoi occhi vedevano riusciva a
meravigliarlo sempre di più.
Dopo circa una ventina di minuti arrivò alla fine del
sentiero.
Si trovò davanti un santuario, piccolo ma imponente per la
sua
bellezza. Si avvicinò e lesse un piccolo cartello. Diceva
che
era dedicato ad Okami, Dea del Sole. Si fece più vicino
all’altare e vide la statua della divinità in
questione.
Era a dir poco bellissima. Una splendida e fragile figura femminile era
avvolta da un elegante kimono cerimoniale. Anche se era una statua, i
particolari sui vestiti erano stati riportati perfettamente e con
estrema cura. Il suo viso poi era impressionante, sembrava reale. Le
labbra apparivano morbide e le ciglia degli occhi, solennemente chiusi,
sembravano vere. Ammirò quel capolavoro per una manciata di
minuti
quando all’improvviso si rese conto di essere circondato
dalle
lucciole.
Era uno spettacolo impareggiabile. Quelle piccole creature luminose
danzavano lentamente attorno al suo corpo. Tuttavia più le
guardava
e più sentiva gli occhi appesantirsi. Pian piano si
addormentò e l’ultima cosa che vide prima di
cadere al
suolo fu il sorriso benevolo della statua di fronte a se.