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- The Day of the Idra
L'ufficio
era freddo e silenzioso, quasi totalmente buio, fatta eccezione per
le lame di luce che filtravano dalle persiane semiaperte. L'uomo
dietro la scrivania inspirò il proprio sigaro con
tranquillità,
sebbene la situazione fosse gravissima.
«Ebbene,
Sasuke? Mi sarei aspettato una risposta tempestiva, e invece pare che
tu non abbia voglia di aprire bocca».
«Spero
che lei capisca che mi sento un po' strano, dopo quello che mi avete
fatto».
«Ma
come, ci ringrazi così della nostra gentilezza? E noi che
pensavamo
di farti cosa gradita, salvandoti da una morte certa e donandoti un
corpo nuovo! Il cancro non è una bella malattia,
no?»
«L'Idra
lo è ancora di meno».
Le
dita dell'uomo si serrarono con stizza sui bordi della scrivania,
accompagnate da una smorfia di disappunto per la risposta ricevuta.
«Sai
meglio di me che non sei malato, Sasuke. Sei qui proprio grazie a
questa tua peculiarità, perché non c'è
nessun altro in grado di
sconfiggere lui».
«Com'è
la situazione a Manhattan?»
«Pessima.
Abbiamo chiuso tutte le vie d'accesso, nessuno può entrare o
uscire.
I quartieri infetti sono controllati dalle unità speciali
blackwatch, ma l'Idra continua a diffondersi come se nulla fosse. La
città è diventata un inferno».
«Posto
questo, mi pare strano che sia lui
il
vostro
problema principale. Per i vostri dipartimenti speciali non dovrebbe
essere un problema abbattere un unico individuo infetto, no?»
«Non
considerarlo alla stregua di quei mostri stupidi e bestiali che hanno
come unico obiettivo il cibarsi di carne umana. In lui
il
virus ha
subito una mutazione».
«E
sarebbe?»
«La
stessa che abbiamo tentato di riprodurre nel tuo organismo, seppur
con scarsi risultati. Lui
è
immune al
contagio e non trasmette l'Idra agli individui sani, inoltre
è in
grado di sfruttarlo per modificare la propria struttura cellulare a
livelli ritenuti impossibili per l'anatomia umana. Non ha
più nulla
di ciò che era prima, ormai».
«E
mi state chiedendo di braccare un individuo simile?»
«Esattamente.
Non c'è bisogno che tu abbia subito un contatto diretto,
basta anche
una foto segnaletica che ci permetta di identificarlo. Finora non
siamo riusciti ad ottenere un identikit dettagliato».
«Andare
in quell'inferno e sfidare un mostro del genere? Mi rifiuto».
L'uomo
nell'ombra ghignò, intrecciando le mani.
«Non
credo che tu possa».
«Non
potete obbligarmi».
«E
invece sì. Tecnicamente sei un individuo infetto e
potenzialmente
pericoloso, quindi ti conviene acconsentire, se non vuoi finire su un
vetrino sotto il nominativo di "materiale virale destinato alla
ricerca". Che ne dici?»
Sasuke
sospirò, fissando con odio la figura immersa nell'ombra.
«Non
credo di avere molta scelta».
«Bravo,
finalmente hai capito».
L'Idra
era un virus mutagenico di livello quattro, la cui origine era
assolutamente sconosciuta. Aveva un altissimo potere di diffusione, e
in meno di due settimane le autorità sanitarie erano state
costrette
a porre l'intera isola di Manhattan, in cui era scoppiata
l'infezione, in stato di blocco permanente e quarantena.
I
sintomi assomigliavano a quelli di un comune raffreddore, ma dopo tre
giorni dal contagio il corpo si trasformava in un ammasso di tessuti
necrotici, ed i soggetti infetti, ormai aberrazioni potenzialmente
aggressive, attaccavano gli elementi sani per cibarsene. Questo
veniva comunemente classificato come "Stadio 1".
Lo
"Stadio 2", detto anche autogenerazione, aveva
visto
il virus assumere le connotazioni di una creatura semisenziente in
grado di riprodursi per mitosi, con una struttura simile a quella di
un gigantesco lichene che ben presto era riuscito ad infestare interi
palazzi. Gli edifici infetti, detti alveari, erano
passati in
tempi brevissimi al terzo stadio, cominciando a produrre, tramite
strutture simile a dei veri e propri uteri artificiali, delle
creature umanoidi alte circa sei metri, capaci di abbattere i mezzi
militari con estrema facilità. I Cacciatori.
Infine,
era noto un unico caso di "Stadio 4". Lui.
Secondo
i rari avvistamenti effettuati, esteriormente appariva come un
normale ragazzo di diciassette anni, giapponese incrociato con la
razza caucasica. Era in grado di controllare l'attività
mutagenica
del virus con il solo pensiero, cambiando in tempi infinitesimali la
propria struttura molecolare ed usando l'organismo come una vera e
propria arma dalle molteplici funzioni, oppure creando un
esoscheletro cheratinoso in grado di proteggerlo da qualunque attacco
per tempi relativamente lunghi.
Ma
la sua abilità più spaventosa era senz'altro
quella della
"replicazione". In pratica, lui era in grado di
inglobare qualunque creatura all'interno del proprio organismo,
decifrarne il codice genetico ed assumerne le sembianze. Era persino
riuscito ad introdursi in alcune basi militari e sterminarne gli
occupanti, dopo aver assunto l'aspetto di un soldato.
Questo
era tutto ciò che sapeva Sasuke, abbastanza per indurlo a
diffidare
del futuro. In pratica, si ritrovava a combattere contro un nemico
privo di volto, di cui lui non era altro che una copia malriuscita.
All'inizio
aveva pensato che gli stessero offrendo chissà quale
possibilità,
quando, orfano diciottenne malato di cancro al cervello, aveva
accettato senza pensarci due volte di aderire ad un nuovo programma
di ricerca sulla cura ai tumori. Non aveva nulla da perdere.
La
verità era emersa poco dopo: quella che si era spacciata
come la sua
più grande salvatrice era in realtà una
società di ricerca sui
virus, la cosiddetta "Eden", che era stata incaricata
dall'esercito statunitense della creazione di un'arma biologica in
grado di distruggere il Prototype, lui.
E
così lui era guarito, almeno sulla carta.
Gli
avevano fatto miriadi di test, prelevato litri di sangue. Ed eccolo
lì, su un elicottero diretto alla base militare centrale di
Manhattan.
«Tutto
a posto, amico?»
«No».
«Davvero?
Hai un brutto colorito, non è che soffri di mal di
mare?»
«No».
E come avrebbe potuto? Grazie al virus, tutti i suoi organi interni
erano stati riconvertiti in un apparato per l'assorbimento delle
prede, e il suo sistema digerente non esisteva più. Lo
avevano
costretto ad assorbire degli infetti per studiarne il funzionamento,
ed era stato disgustoso.
«Ecco,
siamo arrivati».
Atterrarono
in uno spiazzo di strada delimitato da due alti sbarramenti, sito in
una delle zone più "sane" di New York. Dall'alto, la
città
sembrava un macabro collage di strade popolose e quartieri distrutti
e pieni di infetti, dove spiccavano le macchie bruno-rossicce degli
alveari.
Sasuke
scese lentamente dall'elicottero, facendo un check-up del proprio
corpo e ricercando qualche strana anomalia. Doveva appuntare tutto su
un quadernino, in modo da fornire ulteriore documentazione sui
risultati del lavoro degli scienziati della "Eden".
Gli
si avvicinò un uomo alto e muscoloso, dal collo taurino,
che, a
giudicare dall'uniforme, era un colonnello.
«Tu
devi essere Sasuke Uchiha, il marmocchio che ci hanno mandato per
combattere il Prototype. Qui lo chiamiamo Zeus, quindi d'ora in poi
il tuo soprannome sarà Ade, va bene? Tienilo a mente. Io
sono Neil
Crawford, colonnello della quarta divisione operativa, e ti
farò
visitare la base. Ora, se hai dei bagagli...»
«Non
ne ho» lo interruppe Sasuke, causando nel soldato una
reazione di
disappunto «e forse è il caso che legga gli ordini
di missione che
il generale Madara mi ha chiesto di portarle».
Detto
ciò, estrasse una busta dalla tasca della pesante felpa nera
che
indossava. Crawford la afferrò, aprendola con forza, e dopo
averne
letto il contenuto impallidì.
«Conosci
il contenuto di questo messaggio, ragazzo?»
«Parola
per parola»
«É
praticamente una missione suicida».
«É
ciò che vogliono che faccia, né più
né meno».
«Nessuno
è mai riuscito ad avvicinarsi a Zeus tanto da vederlo in
viso. Cosa
ti fa pensare che riuscirai a scattargli una foto?»
«Il
fatto che non ho più nulla da perdere, nemmeno la mia
umanità».
***
Un'ora
dopo, Sasuke camminava lentamente in direzione del quartiere infetto
dove avrebbe cominciato a cercare Zeus. Avrebbe girovagato per la
città fino a quando non fosse riuscito a scattargli una
foto, poi
Madara gli aveva promesso di venirlo a prendere. Che bastardo.
Non
aveva nemmeno bisogno di cambiarsi i vestiti, visto che poteva
controllare la produzione di secrezioni corporee, e di cibo ne aveva
in abbondanza. Si era portato dietro solo un taccuino e una specie di
macchinetta fotografica ad alta tecnologia, grande quanto una
zolletta di zucchero, che portava appesa al collo a mo' di ciondolo.
L'unica
cosa inutile che non aveva potuto scollarsi di dosso era una paura
quasi trascendentale di venire ucciso.
A
mano a mano che andava avanti, il paesaggio assumeva una connotazione
sempre più apocalittica. Le strade divennero vuote, mentre,
in
lontananza, cominciò a farsi strada un rumore impercettibile
ma
cacofonico, un miscuglio di suoni indistinti che fecero fermare il
moro. Dopo una veloce valutazione di ciò che avrebbe potuto
trovare,
decise di raggiungere la meta per vie traverse.
Saltò
sul cornicione dell'insegna di un cinema, poi si diede lo slancio e,
come se fosse stata la cosa più naturale di questo mondo,
cominciò
a correre in parallelo alla facciata dell'edificio. Raggiunse il
tetto con un'aggraziata capriola aerea e guardò in basso,
constatando che si trovava a circa trenta metri dal suolo.
Una
piccola fonte di autocompiacimento in quel marasma di orrori in cui
era immerso.
Saltò
di tetto in tetto senza guardarsi mai intorno, finché un
pungente
odore di fumo e sangue gli stuzzicò le narici, insieme alla
baraonda
che, da lontana e indistinta, lo circondava e lo stordiva con il suo
miscuglio di suoni. Sentiva le urla, disumane e bestiali, di coloro
che erano divenuti schiavi del virus. Udiva il grido dei Cacciatori,
così come lo stridio del ferro che veniva piegato e
distrutto e il
rumore di vetri infranti.
Un
suono ritmico lo avvisò della presenza di un elicottero
anche prima
che alzasse lo sguardo, abbassandosi poi per osservare lo scenario
macabro che si stendeva una ventina di metri più in basso.
Le
strade erano affollate, gremite di infetti. Attaccavano tutto e
tutti, protendendo le carni marcescenti nel tentativo di abbrancare
gli altri miserabili che, come loro, non avevano avuto la fortuna di
scappare prima di venire contagiati. In mezzo a quella calca si
facevano strada i carri armati e i Cacciatori, spazzando via senza
misericordia quelli che una volta erano esseri umani.
I
primi ammaccati e malridotti, poco efficaci nella loro lentezza; i
secondi alti e possenti, coperti di venuzze e cisti pulsanti sulla
carne viva, le teste piccole dalle fauci spaventose.
Sullo
sfondo, presagio di sventure, spiccava l'alveare, un gigantesco
edificio coperto di viticci rossi e pulsanti ed enormi sacche
elastiche, che partorivano Cacciatori ad intervalli regolari. L'aria
era ammorbata dalla puzza del fumo e dalle nuvole di cenere, che si
levavano come colonne grigie a coprire la luce del sole.
«Bel
posto per una vacanza». commentò freddamente
Sasuke.
Quella
confusione non era affatto positiva, perché cercare una
singola
persona in un luogo così disordinato poteva rivelarsi
impossibile.
Se poi calcolava che i Cacciatori sembravano tutto, meno che
amichevoli, buttarsi nella folla alla ricerca di Zeus gli sembrava
sempre meno auspicabile.
Altro
problema: e se i militari lo avessero malauguratamente scambiato per
Zeus? Sarebbe riuscito a scappare in tempo?
In
fondo, si consolò. era sempre meglio morire sotto i colpi di
una
mitragliatrice che per un cancro in ospedale, magari piangendosi
addosso come un ragazzino spaventato.
Aprì
le braccia, lasciandosi cadere lungo il muro e atterrando a quattro
zampe, come un gatto. Era finito in uno stretto vicolo pieno di
sacchi di immondizia, completamente vuoto, fatta eccezione per i
ratti, che, indisturbati, gironzolavano tra i cumuli di rifiuti.
Sasuke avanzò, fluido e silenzioso, immettendosi
direttamente nella
baraonda della strada principale.
Non
fece in tempo a posare un piede sul marciapiede, che si
sentì
afferrare per un braccio.
Era
una donna infetta, completamente coperta di sangue, che, se un tempo
doveva essere stata bella, in quel momento assomigliava ad un
cadavere in avanzato stato di putrefazione. Il moro non si prese
nemmeno la briga di assorbirla, spaccandole il cranio con un pugno
ben assestato.
Proseguì
di corsa, inframmezzando agli scatti salti e capriole per superare
gli ostacoli, girando intorno all'alveare alla ricerca di una qualche
traccia di Zeus. Niente.
Eppure,
da quello che gli avevano spiegato, si trovava di fronte all'alveare
principale, quello che, almeno in teoria, avrebbe dovuto attirare il
Prototype più degli altri.
Un
ruggito alle sue spalle lo distrasse dalle proprie elucubrazioni,
permettendogli di scostarsi un secondo prima che il gigantesco pugno
di un cacciatore si abbattesse sul muro a cui era appoggiato,
riducendolo ad un ammasso di calcinacci.
Sasuke
finì contro la carcassa sventrata di una macchina, urtando
contro
ciò che rimaneva del cofano e scivolando a terra, la vista
offuscata
dal dolore alla schiena. Percepì una sostanza calda e
appiccicosa
colargli lungo il fianco. Sangue.
Il
Cacciatore lo fiutò, girando la testa nella sua direzione e
annusando l'aria, i minuscoli occhi ciechi che si giravano in
continuazione nel tentativo di individuarlo. La situazione era
chiara: se non si fosse tolto di lì alla svelta, quel mostro
lo
avrebbe fatto a pezzi. Doveva sbrigarsi.
Provò
ad alzarsi, ma la felpa, nel punto in cui la lamiera gli era
penetrata nella carne provocandogli una brutta ferita, si era
impigliata ad un pezzo di ferro e non accennava a volersi strappare.
Sasuke scalciò nella polvere nel tentativo di liberarsi, e,
nel
frattempo, vide il Cacciatore che, identificata la propria preda,
macinava la poca distanza che li divideva con passi lenti e possenti.
«Cristo...»
sibilò, riuscendo finalmente a strappare la stoffa che lo
imprigionava. Ma era troppo tardi.
Prima
che potesse anche solo alzarsi, il Cacciatore lo afferrò e
lo
sollevò in aria, stringendo la presa attorno al suo busto.
In quel
momento l'Uchiha ringraziò di non essere un semplice
infetto, perché
in tal caso sarebbe stato già morto. Era tutto merito del
suo
scheletro rinforzato, se non si era ancora trasformato in una pila di
carne macinata.
Cercò
di liberarsi con tutte le proprie forze, esigue rispetto a quelle del
mostro che lo fronteggiava, e rivolse un ultimo sguardo di supplica
all'elicottero che, incurante della sua sorte, lo sovrastava e
continuava a sparare contro l'alveare.
Ironia
della sorte, in quel momento lo vide.
«Zeus...»
gli sfuggì un mormorio quasi adorante, mentre guardava il
suo unico
obiettivo che, come a beffarsi di lui, si presentava proprio nel
momento della sua dipartita.
Lo
vedeva da lontano, niente più che un puntino nero adagiato
sul tetto
dell'alveare, ma il suo istinto gli diceva che si trattava di lui.
Ogni fibra del suo corpo urlava il suo nome,
surclassando il
dolore in una strana euforia che non aveva nulla di normale.
Zeus
saltò, annullando la distanza che lo separava
dall'elicottero e
sparendo momentaneamente alla vista. Una manciata di secondi dopo, il
mezzo si inclinò come un gigantesco insetto d'acciaio,
precipitando
al suolo sempre più velocemente tra lo stridore del metallo
e le
urla dei militari che si affrettavano a sgomberare il campo. Sasuke
realizzò ben presto che quella carcassa di ferro si stava
dirigendo
verso di lui.
Problema:
il Cacciatore era cieco, quindi non riusciva a capire cosa stesse
succedendo e rimaneva immobile nello stesso punto, disorientato dal
rumore assordante delle pale dell'elica. L'Uchiha chiuse gli occhi.
Il
Cacciatore non scappò.
L'elicottero
li travolse, sfracellando il mostro sull'asfalto e fermandosi a pochi
metri dalla parete dell'alveare. Quando Sasuke aprì le
palpebre,
stupendosi persino di essere vivo, si scoprì ancora stretto
nella
mano del Cacciatore, saldamente attaccata ad un braccio che spuntava
da sotto la carcassa del veicolo.
Tentò
disperatamente di liberarsi, impaurito da ciò che sarebbe
potuto
capitargli, bloccato e indifeso com'era, e non prestò
attenzione
alle ombre che si agitavano all'interno dell'abitacolo distrutto.
Improvvisamente,
il portellone dell'elicottero si spalancò.
E
Zeus fece la sua comparsa.
_Angolo
del Fancazzismo_
O_O
vipregoviscongiurovisupplico perdonatemi. Ok, ok, non dovrei iniziare
un'altra fic in queste condizioni, ma mica è colpa mia se
mia cugina
mi ha convinto a giocare a Prototype e mi ha fatto ritornare la
vecchia ossessione che provo per questo gioco, no? NO?
Vabbè,
scleri a parte, con l'influsso delle vacanze pasquali sono riuscita a
scribacchiare anche qualcosa per le mie altre due fic, "Never
Too Late" e "Highway To Hell", quindi conto di postare
al massimo tra due giorni i nuovi capitoli di entrambe. Se non
dovessi farlo le mie lettrici sono autorizzate a fustigarmi.
Per
quanto riguarda questo sclero qui, invece, mi andava di trattare un
argomento un po' originale nel fandom di Naruto, in quanto non mi
pare di aver visto altre storie del tipo "survivor". Sì,
lo so, probabilmente non beccherò nemmeno un decimo delle
recensioni
delle SasuNaru classiche, ma che volete farci, Prototype è
un
videogioco splatter e la sua sezione su EFP conta solo quattro storie
(con mio sommo disappunto).
Conscia
che anche io, come il buon Sas'ke, mi sto imbarcando in una missione
suicida, vi faccio i miei saluti e vi auguro di riposare in pace fino
al prossimo aggiornamento, che, per la cronaca, si chiamerà:
001
- Zeus
Baci
bacioni e tanti auguri di buona Pasqua.
Che
Ronnie James Dio sia con voi.
Roby
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