Ambra
A Claudia, anche se non leggerai
mai.
La luce della televisione accesa
produceva come sempre delle immagini indistinte sul tuo viso
addormentato, sul tuo accenno di sorriso che sembrava dimostrare
all'esterno quanto fossi serena, in quel momento.
Quando ero solo una bambina, quasi come se davvero attraverso la pelle
del tuo viso potessi scorgere i programmi televisivi, stavo ore a
fissare il tuo volto, i lineamenti e la luce che cambiava in base alle
zone in cui si poggiava. Di certo era molto meglio guardarla attraverso
il tuo corpo, la televisione, piuttosto che stare lì a fissare
quella scatola quadrata priva di vita.
Ti
amavo.
Ti amavo davvero. Non di quell'amore che accomuna due amanti, nè
quello di una madre per il proprio bambino. No, ti amavo come se fossi
una sorta di Dea da venerare, da adorare e da osservare, quasi come se
ogni tua espressione - sebbene stessi dormendo - potesse regalarmi
qualcosa di te.
E così ho fatto per...non
saprei dire quanti anni. Sono cresciuta avendo come unica immagine il
tuo corpo rannicchiato su quel divano vecchio ma ugualmente caldo e
confortevole, il tuo viso assorto in quel sonno e le tue braccia che
circondavano il tuo stesso essere, come se ti stessi amando, nella
notte.
Lasciavi ogni giorno sempre allo
stesso modo, sempre utilizzando quella stessa inconscia posizione e
vedendo passare ore ed ore di programmi televisivi sulla tua pelle,
come se fossi tu la regista, la pellicola sulla quale venivano
registrati quegli spettacoli. Stavi nelle braccia di Morfeo, tu. E ti
sentivi protetta; protetta da un tuo stesso abbraccio, che valeva
più di mille altri ricevuti da estranei, sebbene fossero persone
che conoscessi da una vita.
Ogni mattina, poi, ti alzavi sempre
con quel piccolo dolore al collo, quello all'altezza delle spalle, che
comunque sembrava passare sempre troppo in fretta, come se volesse
essere solo un segno, qualcosa che rimaneva da quella notte appena
passata, da quel sonno scomodo ma pur sempre profondo. Ma quella
mattina no, non ti eri risvegliata, non mi avevi sorriso, non avevi
messo fine a quello scorrere di ore buie con il tuo solito -
buongiorno! - detto con quel tono di voce che solo tu avevi, che
riusciva a darti una carica ed una forza che durava per tutto il
giorno, quasi come se non avessi bisogno di altro, per sentirmi bene.
Occhi color ambra, i tuoi. Occhi che, da quel giorno, non ho più
rivisto. Ed è proprio da quella mattina, che non mi sento
più bene. Non sono più la stessa, non trovo più il
coraggio di sorridere alla vita e di guardare in faccia il sole. No,
oggi mi copro gli occhi, non ho più il coraggio di osare e di
accecarmi le pupille grazie ai suoi raggi e alla sua potenza. Oggi
sono diversa, sono vuota.
Lasciavi ogni
giorno sempre allo stesso modo;
e così hai lasciato la vita. E così hai lasciato me.
Passi lenti e sordi mi trasportavano
fino all'entrata di quel posto tanto lugubre da far paura, tanto
inumano da rendere il circondato come un qualcosa di irreale, di muto,
di assordante nel suo silenzio.
Cammino, ma non mi rendo nemmeno
conto di farlo. Il mio corpo, ormai, viaggia attraverso funzioni vitali
involontarie, che non posso controllare. Tutto ciò che è
volontario, in me, non funziona così bene; anzi, non funziona
affatto.
Cerco di non andare a sbattere
contro al marmo delle varie lapidi, alzando il capo di poco,
incontrando lo sguardo invisibile di qualche persona presente
lì, abbassandolo subito dopo, ritagliando quello che è il
mio spazio, il mio solo spazio.
So dove andare, ormai è
intrisa dentro di me quella strada, quel piccolo vicoletto che ad un
certo punto devo imboccare, per arrivare da te. O meglio, da quel che
resta di te. Una fotografia e l'assurda speranza che al di sotto di
quel terriccio umido ci sia tu, che tu mi possa sentire davvero, quando
vengo a trovarti. Non ne sono certa; anzi, non lo so affatto. Ma la
speranza mi mantiene in vita, mi serve ad aggapparmi con le unghie e
con i denti a quell'esistenza che sembra scivolarmi dalle mani, che
sembra non volermi più mantenere in equilibrio, come se volesse
farmi cadere giù e schiacciarmi contro il suolo, senza far
rimanere niente di me, se non un briciolo di ricordo in qualcuno, forse.
- Ciao, nonna - Un sussurro
impercettibile accompagnato da un sospiro mi escono dalle labbra, che
si increspano immediatamente, come a voler trattenere l'inevitabile.
Una lacrima, due, tre....e ancora una volta, il mio fiume interiore si
allontana da me, rigandomi il viso e infrangendosi nel vuoto, lo stesso
vuoto che mi appartiene, che mi tiene compagnia, che mi riempie.
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Non so da dove sia uscito tutto
questo, sinceramente.
Ci tengo a precisare (sicuramente perchè non sarà chiaro)
che è narrata dal punto di vista di una Sana un po' diversa, un
bel po' stravolta.
Era da tanto che non scrivevo, che
non mettevo nero su bianco. Ma oggi - finalmente - ho avuto la forza e
il coraggio per farlo.
Potrebbe avere una continuazione,
questo piccola 'storia' (anche se chiamarla così è
troppo). Non sono certa della fine che farà; magari
è questa la fine, chi lo sa. Tutto dipende, ovviamente,
dall'ispirazione e dalla voglia di mettermi in gioco, che ogni tanto mi
manca.
Sarò felice, comunque, di
ricevere i vostri pareri, se vi farà piacere farlo. Altrimenti,
allo stesso modo, ringrazio chi leggerà.
A presto, forse.
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