My Damn Genius
Capitolo 1.
Era
una mattina grigia, fredda,
senza colore, una di quelle giornate che il miglior detective di
Londra, nonché
uno dei pochi, avrebbe definito “malsana”, quando
il suo fedele amico, il Dott.
Watson, entrò esasperato in quella camera buia e senza il
minimo accenno di
ordine o pulizia.
Come
immaginava, lo trovò steso
sul grande tappeto, scompostamente, con accanto delle boccette vuote;
le
conosceva bene lui, erano le stesse che usava lui stesso durante le sue
visite
oculistiche.
Si,
il più geniale detective di
Londra si faceva di roba per oculistica, e ancora una volta questo
pensiero gli
fece alzare gli occhi al cielo.
Ma
cosa aveva fatto di male?
“Holmes!”
lo chiamò, con voce
ferma, guardandolo dall’alto in basso, ricevendo
però in risposta solo un verso
gutturale.
Si
innervosì, come tutte le
volte, e come sempre avanzò deciso verso la finestra,
scostando violentemente
le tende.
“Ah,
ma che magnifica giornata!”
esordì, con un sorriso finto, mentre sentiva
l’altro lamentarsi a causa della
luce, che improvvisamente era arrivata a ferirgli gli occhi.
“Watson!!”
ruggì, alzando
finalmente la testa, le pupille ancora lievemente dilatate.
“Poteva essere più
delicato!”, aggiunse, mentre gattonava verso una zona
d’ombra.
Ma
lui, come al solito, aveva
fatto finta di non sentirlo.
Erano
anni che condividevano lo
stesso appartamento, con sommo dispiacere della padrona di casa, e
quindi ormai
era abituato a quei suoi comportamenti.
“Holmes,
sa da quanto tempo non
esce da questa stanza?” gli chiese, e nel vedere la sua
faccia, capendo che
stava per obiettare, rispose lui stesso, velocemente. “Quasi
due mesi Holmes!
Deve cercarsi un nuovo caso!”
“Grazie
mille per rendermi
partecipe dello scorrere del tempo, Watson. Lei è efficiente
come al solito!”,
gli disse, in quel tono velatamente ironico che sapeva fare solo lui.
Battibeccarono
ancora un po’ sul
fatto che non avesse ancora accettato un nuovo lavoro, cestinando ogni
singola
proposta, definendole scontate e poco intellettualmente stimolanti, e
alla
fine, come ogni volta, l’ebbe vinta Holmes, che infine si
mise a leggere il
giornale che l’amico aveva portato con se, rubandoglielo
dalle mani.
Dopo
alcuni minuti di silenzio,
in cui i suoi occhi vagarono sapienti
sul giornale, Watson lo stupì con un
“Si dia una sistemata Holmes, oggi andiamo a
pranzo fuori…”, ricevendo
in cambio uno sguardo stranamente stupito, luminoso.
“…
con Mary, la mia fidanzata”
terminò infine la frase il dottore.
E
Holmes, che intanto si era
alzato in piedi, lo guardò, nel più assoluto
silenzio, incupendosi.
“Mi
spiace, ma ho già un
impegno…” disse, camminando verso il piccolo
tavolincino dove erano posate una
teiera ancora fumante, una tazza e qualche biscotto.
Si
versò una tazza di tè e, dopo
essersi accertato che la cara Mrs Hudson non aveva cercato di
avvelenarlo, si
mise a sorseggiarlo tranquillamente, ancora in piedi.
Watson
sbuffò.
“Ah,
ma davv..EHI! Ma quello è il
mio cane??” esclamò, indicando col bastone quello
che una volta doveva essere
stato il suo sanissimo e curatissimo Gludstone, adesso ridotto a una
massa
informe di pelo.
Holmes
guardò nella direzione da
lui indicata, per poi girare nuovamente la testa, emettendo un
semplice, e dal
tono quasi scontato, “Si”.
“Ma
che gli ha fatto?” protestò
il dottore, indignato
“Oh,
non si preoccupi Watson! Sto
solo testando un nuovo anestetico. Se funziona poi lo rifilo alla
nonnina di
sotto…”
“HOLMES!”
“suvvia,
Watson, stavo
scherzando!”
Ancora
quel tono! Doveva
ammettere che certe volte gli veniva voglia di prenderlo a pugni.
In
alcune occasioni, se pur rare,
lo aveva fatto, in effetti…
“
E comunque… che ha da fare di
così importante?” gli chiese, poggiandosi alla sua
scrivania, ormai ricoperta
da ritagli di giornali, fogli ed alcune
sue invenzioni, l’ultima delle quali un congegno
che, applicato alla
pistola, avrebbe dovuto attutire il rumore dello sparo. Ovviamente
Holmes aveva
avuto la magnifica idea di testare la sua invenzione in casa,
così che, oltre a
constatare che era presente un errore di valutazione nel suo progetto,
ora
aveva anche dei fori di proiettile sui muri.
“Un
pranzo…”
“Ah,
davvero? E con chi?” chiese,
indagatore
A
quel punto il detective spostò
lo sguardo su alcuni vecchi quotidiani sparsi sul tavolino.
Gli
serviva un’idea. Un nome.
“con
Lestrade!” disse, leggendo
il primo nome che trovò.
Con Lestrade??! Ma che diavolo…??, si
disse mentalmente, sempre
però continuando a sorridergli. In fondo, in quegli anni
aveva imparato che a
volte non era importante cosa una persona diceva, ma il modo in cui la
diceva.
“Con
Lestrade?” ripetè Watson,
alzando un sopracciglio.
“Si,
con Lestrade! Dobbiamo
parlare di un caso… hanno chiesto una mia consulenza,
quindi… mi spiace Watson,
non ho proprio il tempo di venire a pranzo con lei ed
Elisabeth!”
“Si
chiama Mary!” protestò
“si,
come vuole” gli disse,
agitando in aria una mano.
“Ed
inoltre Watson…” aggiunse
passandogli un articolo ritagliato da un giornale, “Legga!
Legga qua!”
Lo
lesse a bassa voce, quasi tra
se e se.
“Donna
uccide il marito per
ereditare ogni suo bene materiale… Dio, Holmes!!!”
lo guardò, a metà tra
l’esasperato e l’indignato. Ogni volta che voleva
fargli conoscere una donna
con cui usciva era sempre la solita storia.
“Questi
sono i fatti Watson! E
per questo ci dovrebbe pensare due volte prima di sposare quella
Lucy!”
terminò, guardandolo con sguardo eloquente, mentre dava con
dei gesti, con
ancora un biscotto in mano, maggiore enfasi al suo discorso.
Non
faceva una piega come
ragionamento!
“MARY!”
rispose, chiudendo gli
occhi per non abbandonarsi all’isteria. “Si chiama
Mary!! E che le piaccia o
no, è la mia fidanzata, con cui io e lei oggi ci godremo un
magnifico pranzo! E
adesso si dia una sistemata!”
E
con questa sua ultima
ammonizione autoritaria se ne tornò nella sua camera, mentre
Holmes sospirava,
finendo di sorseggiare il suo tè, con sguardo spento,
rivolto ad un punto indefinito
della parete, con
il pensiero che vagava
negli angoli più remoti della sua mente
geniale.
Ed
era in quei brevi, rari,
momenti che si disprezzava per il suo genio, e per le sue acute
capacità
deduttive. Era in quei momenti che avrebbe desiderato non essere lo
stramaledetto genio che in realtà era.
Era
in quei momenti che avrebbe
preferito non capire cosa gli stava succedendo.
To Be Continued…
Salve
miei cari lettori. È con
piacere che ho postato la mia prima fic su Sherlock Holmes,
l’uomo della mia
vita! xD (ovviamente ispirata dal film).
Ovviamente, essendo il mio animo
puramente yaoista, non
poteva essere altro che una Holmes/Watson.
E
quindi… niente, spero solo che
vi sia piaciuta, almeno questa prima parte. ^^
Fatemi
sapere che ne pensate. ^^
Ci
vediamo, se vorrete, al
secondo capitolo.
Buona
Pasqua a tutti!!
Ciao!!
ladyElric92
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