Ho scritto la storia per il "Contest di inizio anno" indetto da LeftEye, scegliendo la citazione "La crudeltà sarebbe deliziosa se si potesse trovare qualche tipo di crudeltà che non facesse veramente male" (George Bernard Shaw).
Spero che vi piaccia ^^
CI SI
ARRANGIA
Era
domenica. Faceva
caldo, c'era la partita e il baretto all'angolo non aveva né
l'antenna tv, né un climatizzatore. Niente di strano dunque
che in
tutto il giorno fossero entrati sì e no dieci clienti.
Seduto
su uno sgabello
dietro al bancone se ne stava un ometto calvo, di mezza età,
con
occhiali spessi come fondi di bottiglia e manine da infante. Era
appiccicato a un ventilatore piccolo e rumoroso e leggeva un libro
ingiallito, da mercatino dell'usato.
Più
o meno alle quattro
del pomeriggio il campanello sopra la porta trillò.
"Buongiorno"
salutò l'ometto posando il libro sul ripiano dei bicchieri.
"Buongiorno."
"'giorno."
Due
uomini sui
trent'anni. Uno biondo, dinoccolato, col labbro inferiore sporgente e
basettoni da poliziesco anni Settanta; l'altro basso, grassoccio,
moro, occhi nervosi e fronte sudaticcia. Jeans e camicia smanicata,
pantaloni da tuta e maglietta.
Presero
posto al tavolino
di fianco all'ingresso.
"Una
birra grazie,"
disse quello basso, poi "Un tè freddo al limone per favore,"
disse il basettone, che biascicava le parole; doveva essere per quel
labbro.
L'ometto
calvo prese due
bicchieri e cominciò a riempirli. Birra e tè
freddo al limone.
"Comunque
io non li
sopporto," iniziò quello basso. "Ti vengono incontro con
una confidenza che sembrano amiconi, praticamente ti saltano addosso.
Ancora un po' e ti infilzano col braccio. Salve, ha qualcosa contro i
ragazzi delle comunità? E il bello è che io
vorrei dirglielo che
sì, diavolo, sì che ho qualcosa contro voialtri
parassiti balordi."
Mentre parlava gesticolava furiosamente, come se avesse voluto
acchiappare nell'aria le parole.
"Non
sho. Non ti
shembra eccesshivo?" gli chiese l'altro, più calmo,
tamburellando le dita sul tavolo.
"E
no, diavolo. A
parte che è tutto da vedere se questi balordi escono davvero
dalle
comunità, perché ci scommetto che più
della metà sono
imbroglioncelli da due soldi. Ma anche se vieni da una
comunità,
vorrei rispondere a 'sti balordi, anche se vieni da una
comunità, mi
spieghi perché mentre tu cincischi o intrecci cesti di
vimini nella
tua comunità, io mi spacco la schiena nove ore al giorno per
campare? Ma mica ti lasciano il tempo di rispondere, eh no. Ti
ritrovi in mano una spilla o una foto o una biro e ti senti chiedere
dieci euro per combattere il cancro, e per una biro."
L'ometto
portò i
bicchieri al tavolo.
"Grazie."
"Grazie."
In
quel momento la porta
si aprì ed entrò un ragazzo di colore, sulla
ventina. Si avvicinò
al bancone e ordinò un caffè.
Quello
biondo fece
spallucce "Non sho. Inshomma, she ti da coshì fashtidio
ignorali, tira dritto e bashta. Shemplice."
"Ma
mi fa rabbia,
diavolo se mi fa rabbia," esclamò quello nervoso passandosi
una
mano sulla fronte per tergere il sudore. "Perché se li vedi
in
giro vuol dire che qualcuno ci casca. La vecchietta, il ragazzino,
quello senza spina dorsale che non ha il coraggio di dire no. Legge
di mercato: se c'è chi compra un prodotto, si continua a
venderlo."
Nessuno
dei due aveva
ancora toccato il proprio bicchiere.
"Ammazzane
qualcuno.
No?" Azzardò il biondo, dopo averci pensato su qualche
secondo.
L'ometto
calvo, che aveva
preparato il caffè e si era rimesso a leggere,
alzò un attimo gli
occhi dal libro.
L'altro
sbuffò. "Ma
no, non cambierebbe niente. Come per i neri venditori ambulanti. Ho
provato, non dico di no. Mica cambia qualcosa! O fai qualcosa di
plateale... e non si fa. Ma nessuno dice niente di un nero che
sparisce."
Il
ragazzo al bancone si
voltò e guardò brevemente la coppia, senza
espressione.
"Non
ne shono mica
tanto shicuro."
"Realista,
ecco cosa
sono. I neri che non sanno giocare a basket o starnazzare dentro un
microfono non piacciono a nessuno. Anzi, mi viene quasi voglia di non
toccarli apposta, i neri. Gli afroamericani.
Mi fanno pena."
Il
ragazzo di colore
vuotò il caffè in un sorso. Appoggiò
una monetina di fianco alla
cassa, ringraziò l'ometto e uscì senza degnare di
uno sguardo la
coppia. Mentre la porta si richiudeva con uno scampanellìo
dietro di
lui, da fuori entrò chiaro e forte nel bar un "Idioti."
I
due sprofondarono in un
silenzio meditabondo.
"Va
beh. Allora
shpero di vincere io," disse il biondo alla fine. Dal taschino
della camicia pescò una moneta.
"Teshta
o croce?"
"Croce,
come al
solito."
Il
biondo basettone
lanciò la moneta in aria, la acchiappò con
destrezza e la premette
sul dorso della mano. La mostrò al compagno, che nel
frattempo aveva
tirato fuori dai jeans un cronometro digitale.
"Testa.
Tuo,"
disse quello grasso facendo l'occhiolino.
Il
biondo annuì
sorridendo, si alzò e uscì dal locale. L'altro
premette il dito sul
tasto di avvio del cronometro.
L'ometto
calvo stava
chino sul libro senza alzare lo sguardo, ma aveva seguito lo scambio
con crescente perplessità.
Il
tizio basso grassoccio
sudaticcio si mise a fischiettare. Non aveva ancora toccato la birra.
Dopo
qualche minuto il
biondo basettone labbrone rientrò nel bar. Tre chiazze di
sudore si
allargavano sul petto e sotto le ascelle, come se avesse corso. Non
appena si sedette, l'altro fermò il cronometro.
"Cinque
e
ventisette," esclamò. "Diavolo se sei stato veloce,
credevo ci avresti messo almeno il doppio! Com'è stato?"
"Difficile,"
rispose il biondo sbottonandosi il colletto e abbandonandosi contro
lo schienale della sedia. "Per poco non shi è accorto di me
prima che lo prendesshi. Credo fosshe un atleta, è shtato un
cashino."
Dlin
dlin.
Entrò
una signora anziana supertruccata con occhiali da sole e capelli di
un biondo acceso, vestita elegante; salutò calorosamente
l'ometto
calvo dietro al bancone, ordinò "Il solito" e si sedette a
un tavolo di distanza dalla coppia.
Il
basettone sollevò un
braccio, mostrando uno squarcio nella camicia, poco sopra il gomito.
Quello grasso fischiò.
"A
maggior ragione
sei stato bravo. Con ieri sei a... tre in ventidue minuti e quindici
secondi?"
"Shedici."
"C'è
da dire che
sei stato fortunato, insomma, vinci quasi sempre quando c'è
una
vecchietta o un ragazzino."
Il
biondo si accigliò
tutto d'un tratto e piegò la testa di lato.
"Non
ti piace più
la moneta?" chiese freddamente, spingendo ancora più in
fuori
il labbro inferiore in una grottesca parodia di broncio. Quello
grasso si affrettò a sollevare le braccia e mostrargli i
palmi.
"Scherzi?
Ma no, ma
no, la moneta è grandiosa, non dicevo mica per questo." Il
biondo sembrò rilassarsi subito.
"Davvero,
hai avuto
un'idea geniale, con la moneta. Quando facevamo a turno mi dava
sempre l'idea di essere così, non so..." ruotò un
dito
nell'aria, in cerca della parola.
"Meccanico?"
Lo
soccorse il biondo, e al grasso si illuminarono gli occhi.
"Ecco!
Diavolo, sì,
così meccanico. Insomma,
entra un tizio, esce, lo si ammazza una volta per uno,"
proseguì
scuotendo la testa. "Mancava... come lo avevi chiamato? Il
pathos."
La signora anziana si voltò quel tanto che bastava per
puntare gli
occhiali scuri su quello grasso. L'ometto dietro al bancone, che
stava versando cubetti di ghiaccio e aranciata in un bicchiere
oblungo, pareva totalmente assorto nella preparazione.
Birra e tè freddo stavano ancora sul tavolo della coppia ad
aspettare la prima sorsata.
"Sai un'altra cosa che mi irrita, oltre a quelli che ti
assalgono per strada?" Chiese di punto in bianco quello grasso,
facendo schioccare le dita come se avesse avuto un'illuminazione.
"Le vecchie che si conciano come ragazzine."
La
signora anziana uscì
poco dopo, lasciando a metà il suo drink all'arancia. Il
biondo tirò
ancora la moneta e stavolta vinse quello grasso, che uscì
dal bar
sfregandosi le mani. Non appena la porta si chiuse, il biondo fece
partire il cronometro.
La
fronte dell'ometto era
madida di sudore, nonostante il ventilatore puntato in faccia.
Fingeva di leggere. Con la coda dell'occhio faceva attenzione al
basettone labbrone, che si limitava a fischiettare e aspettare.
Passò
qualche minuto,
prima che l'ometto si alzasse bruscamente e sparisse oltre la tenda
di tela che separava la sala dalla piccola cucina sul retro.
Andò
dritto al telefono;
con la mano sospesa a mezz'aria sopra al vecchio cordless si morse il
labbro.
Alla
fine afferrò la
cornetta, compose il centotredici e se la portò all'orecchio.
Niente.
Fissò
il microfono con
aria spaesata. Annullò la chiamata e provò
un'altra volta.
Muto.
Fu
allora che sentì il dlin dlin del
campanello d'ingresso, accompagnato da un sonoro "Diavolo!".
L'ometto
calvo uscì
dalla cucina. Il grassoccio sudaticcio era tornato al suo posto e si
stava premendo un fazzoletto sull'occhio destro. Aveva la faccia
tutta rossa.
"Ma
shette minuti
non è coshì male..."
"Porco
diavolo ma
non capisci?" sbottò togliendo la mano dalla faccia e
mostrando
l'occhio, che lacrimava ed era iniettato di sangue "Quella
vecchia baldracca mi ha quasi accecato!" Tartassò il tavolo
con
un pugno ad ogni parola, facendo tremare i bicchieri pieni.
"Mi
ci ha spruzzato
la faccia, quella, quella... Diavolo."
"Shu,
shu... shono coshe che capitano," lo consolò il biondo.
"Col
cavolo! Una volta non capitavano. Oggi invece rischi che i vecchietti
e i ragazzini ti sbattono sul muso la canna di una trentotto non
appena gli pesti un piede! Siamo nel Far West, te lo dico io. Non ci
si può più divertire in santa pace."
Continuò
a sbraitare e a borbottare "Porco diavolo" a destra e a
manca, finché l'ometto non uscì da dietro il
bancone. Gli tremavano
le gambe e aveva la faccia bagnata come se l'avesse appena infilata
in un secchio d'acqua. Una gocciolina gli stava colando sul naso
dalla montatura degli occhiali.
Non
appena l'ometto si fermò davanti al tavolo, quello grasso si
zittì.
"Ehm...
signori. Purtroppo devo chiudere," disse dopo essersi schiarito
la voce.
I due
lo fissarono senza una parola.
"Mi
scuso per il disagio," riprese con più sicurezza, e dopo
qualche istante "Oggi devo chiudere in anticipo. Ho dimenticato
di mettere il cartello, mi dispiace."
Ancora
zitti e immobili. L'ometto mosse i piedi a disagio.
"Le
bibite le offro io," aggiunse guardando i bicchieri pieni. Non
erano stati nemmeno toccati.
Il
biondo parlò senza staccare gli occhi dall'ometto.
"Teshta
o croce?"
L'ometto
era così
confuso che fu lì lì per dare una risposta, ma
quello grasso lo
precedette.
"Croce,
come al
solito."
La
moneta volò in aria.
L'ometto sbiancò.
"Devo...
devo
chiudere," balbettò mentre arretrava di un passo.
"Croce.
Mio!" I
due si alzarono simultaneamente. Quello grasso lasciò cadere
il
fazzoletto dentro al suo bicchiere, nella birra. Il biondo si
affacciò dalla porta del bar e girò il cartello
appeso al vetro.
CHIUSO. Poi tirò fuori il cronometro.
L'occhio
iniettato di
sangue di quello grasso fissava la faccia dell'ometto.
"Prendete
pure i
soldi della cassa, prendeteli tutti. C'è anche una
cassaforte dietro
allo specchio, vi do la combinazione, vi prego non..."
"Hai
pensato tu al
telefono, Tommy?" lo interruppe quello grasso.
"Shì.
E alla porta
sul retro. Guarda che il tempo è partito."
L'ometto
raggiunse
incespicando l'ingresso della cucina; era lento, aveva le gambe molli
e per poco non si impigliò nella tenda di tela, ma nessuno
dei due
fece niente per fermarlo. Si fiondò verso la porticina di
servizio,
quella che dava sul vicolo dietro al bar, e ruotò la
maniglia.
La
porta non si mosse.
Qualcosa la bloccava da fuori.
"Chiamo
la polizia!
Fuori dal mio bar o chiamo la polizia!" Gridò l'ometto,
ansimando, mentre colpiva inutilmente la porta a manate. Nella foga
gli cascarono gli occhiali.
Quando
si girò, quello
grosso era sulla soglia e teneva la tenda scostata con una mano.
L'ometto si appiattì contro la porta e sollevò le
mani come per
difendersi da una luce intensa.
"Non
vi ho fatto
niente! Perché? Perché fate così?"
Quello
grasso sorrise.
"Com'era
quella,
Tommy? Me ne ricordo una buona che sapevi tu. Hai presente quale?"
L'ometto
sentì la voce
del biondo, dalla sala.
"La
crudeltà
sharebbe deliziosha she shi potesshe trovare qualche tipo di
crudeltà
che non facesshe veramente male," recitò, come cantilenando
una
filastrocca.
Il
sorriso di quello
grasso si allargò.
"Giusto.
Giusto.
Solo che non si può, no che non si può."
Fece
un passo avanti.
"Quindi
ci si
arrangia."
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