Throw
it away
Forget
yesterday
'We'll
make the great escape
We
won't hear a word they say
They
don't know us anyway
Watch
it burn
Let
it die
Cause
we are finally free tonight
(The Great Escape - Boys like Girls)
Odiavo quelle scarpe.
Odiavo
quel vestito.
Odiavo
i miei capelli che mi facevano sembrare una bambola di porcellana.
Odiavo
quella stupida festa piena di ricconi che sorridevano falsi.
E,
sopratutto, odiavo mio padre per avermi costretto a parteciparvi.
Mio
padre, eccolo lì, in un perfetto smoking con i suoi capelli
nero corvino, con il suo sorriso smagliante, con il suo metro e novanta
d'altezza, con la postura elegante, col suo bicchiere di champagne
intento a conversare con un qualche suo amico, ricco proprietario di
qualche bla bla bla.
Mio
padre, Philip John Knocks III. Si, lo
so mette i brividi. Proprietario della catena di
concessionarie Knocks sparse in tutto il mondo.
A
pochi metri da mio padre intravedevo una donna in un vestito Rosso
Valentino intenta a chiacchierare con qualche sua amica degli ultimi
pettegolezzi di Los Angeles, meglio conosciuta come mia madre, Joanne
Clarisse Knocks.
Più
guardavo i miei genitori e più non riuscivo a capacitarmi
del fatto che io ero loro figlia, andiamo io non potevo avere neanche
un microscopico gene ereditario da parte loro. Amavo pensare che mi
avessero adottata da una famiglia di Hippie.
Io,
beh, Veronica Marylin Marie Knocks. Si, agghiacciante anche questo. Per
questo tutti dall'età di... due secondi di vita circa, mi
chiamavano Ronnie, tutti tranne i miei onnipotentissimi genirori,
ovviamente. Beh, io me ne stavo annoiata in un angolo della sala,
stretta come un involtino primavera in un abito verde petrolio di
qualche famoso stilista di cui negavo l'esistenza, che per di
più mi bloccava la circolazione, "ma ti risalta gli occhi!"
aveva affermato mia madre, a quanto pare per lei era più
importante che i miei occhi risaltassero che io morissi asfissiata.
Come
dicevo prima assomiglio, fisicamente ovviamente, ad entrambi i miei
genitori con i capelli nero corvino di mio padre, gli occhi verde
smeraldo ed il fisico asciutto di mia madre, ma se fuori eravamo simili
caratterialmente eravamo...come dire?! Il Sud ed il Nord, La cioccolata
e le patatine, La Siberia e Cuba, Il comunismo e il fascismo, la musica
classica ed il metal...beh credo di aver reso l'idea.
Loro
erano terribilmente conformisti con i loro party eleganti, le loro
vacanze in alberghi lussuosi, i loro abiti firmati.
Mentre
io amavo andare ai concerti, la vacanza dei miei sogni era un viaggio
on the road per tutta l'Europa in sacco a pelo ed adoravo, adoravo, il mercato
di Los Angeles che si svolgeva tutte le domeniche nella periferia dove
potevi trovare le cose più strane e amavo fare shoppong al
centro commerciale. Non c'è bisogno di dire che i miei non
approvavano il mio comportamento.
Qualcuno
alle mie spalle si schiarì rumorosamente la gola ed
istintivamente alzai gli occhi al cielo prima di girarmi, sicura di
dover intrattenere una noiosissima conversazione con qualche vecchio, e
noiosissimo, amico di mio padre. Ovviamente se si più
definire "conversazione" un imbarazzante minuto e mezzo dove lui diceva
cose stupide e convenevoli ed io annuivo annoiata mortalmente. Con mia
sorpresa, ed immensa gioia, alle mie spalle trovai mio cugino: un bel
ragazzo alto con i capelli neri e gli occhi chiari, tutti credevano che
fossimo fratelli ed affettivamente era come se lo fossimo davvero.
-
Eddie!- esultai, contenta di aver trovato una persona che sapesse
sostenere una conversazione non basata sul denaro, e lo abbracciai.
-
Oh, Veronica sai che in pubblico dovresti chiamarmi Edward - disse
prendendomi in giro mentre io feci una smorfia sentendo il mio nome di
battesimo.
Edward,
Eddie, era senza dubbio la persona della mia famiglia che mi era
più vicina caratterialmente: anche lui odiava tutte quelle
regole che la nostra società ci imponeva, ma lui aveva il
vantaggio di avere 21 anni ed una casa tutta sua.
-
Oh, scusi signorino- Sorrisi
-
Sei bellissima stasera, e come sempre daltronde- disse lanciandomi uno
sguardo
-
Ma non sono io - sospirai
-
Effettivamente vederti senza le calze stracciate, il giubotto di pelle
e con quei boccoli mi disorienta un pò. Cambio di
personalità?- ammiccò con un sorriso
Risi
divertita - Per niente! Ma conosci meglio di me le regole della
famiglia Knocks-
Sorrise
sghembo e prese al volo due bicchieri di Vodka alla pesca da un vassoio
che portava un cameriere, me ne porse uno e continuò -
Allora, qual'è il tuo piano di fuga stasera?- bevve un
sorso. Lo imitai nascondendo un sorriso. Di solito a queste feste ero
solita fuggire dopo un pò. Ovviamente dopo essere sicura che
mio padre, come da copione, mi avesse presentata a tutti i suoi amici e
dopo che mia madre avesse bevuto abbastanza drink da non accorgersi
della mia assenza.
-
No, stasera niente fuga- risposi
-
Come? Hai intensione di sorbirti questi vecchi noiosi tutta la serata?-
chiese sorpreso
-
Affatto. Ho chiesto il permesso a mio padre per andare a dormire a casa
di Kate-
-
Ed in realtà?-
Sorrisi.
Mi conosceva fin troppo bene - C'è il concerto degli Atreyu
a St. Monica e c'è una busta col mio cambio d'abito che mi
aspetta nel ripostiglio all'entrata-
-
La solita- disse squotendo la testa divertito.
Improvvisamente
sentì la mano con cui tenevo il bicchiere leggera, guardai e
notai che qualcuno me l'aveva tolto di mano. -Edward- disse una voce
severa, mia madre
-
gradirei che non desti a mia figlia alcolici, almeno fino a quando non
avrà compiuto 21 anni-
-
Zia, ti posso assicurare che da 17 a 21 anni non c'è poi
tutta questa differenza. Ed inoltre Ronnie a 17 anni è molto
più matura di me che ne ho 21- concluse con un sorriso.
-
Preferirei comunque che non bevesse- concluse lei con voce piatta.
Povera mamma, non sapeva che in realtà la
possibilità che io non bevessi neanche un goccio di alcool
era pari a quella che io non sarei tornata dal concerto ubriaca
fradicia puzzando d'alcool più di un pirata dei Caraibi.
Cioè nessuna.
Alzai
gli occhi al cielo proprio nel momento in cui il grande orologio a
pendolo suonò, mi voltai e vidi che erano le 10.
-
Oh cavolo- sussurrai, di lì a poco le mie amiche sarebbero
venute a prendermi.
-
Mamma sono le 10, tra poco Kate sarà qui-
-
Oh nessun problema cara, saluta tuo padre e vai- sorrise.
Salutai
con un cenno mia madre mentre mi tuffai nel vero senso della parola su
mio cugino stampandogli un bacio sulla guancia e sussurrandolgli
all'orecchio - ci vediamo domani al concerto-
Poi
mi avviai verso mio padre che era intento a parlare con tre uomini
dall'aspetto severo. -Buonasera- dissi interrompendoli.
-
Veronica!- salutò mio padre - hai già avuto il
piacere di conoscere i signori Prince?- la noia infinita voleva dire
-
No papà- sorrisi.
-Beh,
Signori questa e la mia adorabile figlia Veronica- fece un pausa,
durante la quale mi chiesi come mai quando indossavo calze strappate e
magliette a brandelli non mi definiva "adorabile"
-
Veronica loro sono i signori Timothy, Anthony e Benjamin Prince,
proprietari della grande industria tessile Prince- ...ovviamente
-
lieta di conoscervi Signori Prince- sorrisi "adorabile", e da loro
provenì una specie di mugolio d'assenso. In Alaska avrebbe
fatto più caldo.
-
Papà scusa se vi ho interrotto, ma io avevo quell'impegno
con Kate...-
-
Oh, ma certo. Salutami i Signori Sunders- E si girò di
spalle. Sospirai e mi avviai verso l'uscita. Sbuffai rendendomi conto
che ormai era troppo tardi per cambiarmi, avrei dovuto farlo in
macchina. Entrai nell'atrio dove accanto al guardaroba c'era Lucy, una
delle cameriere, la salutai e mi infilai nella grande cabina armadio
alla disperata ricerca dei miei vestiti ormai sepolti da
un'infinità di cappotti. Una volta trovate le mie cose mi
infilai la giacca di pelle nera che stonava terribilmente col mio
vestito elegante, uscendo dalla porta vidi la macchina di Kate
parcheggiata di fronte casa mia e per la fretta inciampai nei gradini -
Maledette scarpe!- urlai prima di cadere. O almeno, sarei dovuta cadere
ma due mani mi presero per le braccia tirandomi su, salvandomi dallo
spiaccicarmi con la faccia sulle scale e dal fare una enorme
figuraccia. Guardai il mio salvatore e rimasi sorpresa, di solito
quelli che partecipavano alle feste dei miei genitori erano gli over
50, invece ora difronte a me c'era un ragazzo magro con i capelli ricci
castani e gli occhi color cioccolato, anche con i tacchi era
più alto di me di qualche cm e aveva i lineamenti delicati
ed un sorriso dolce, troppo dolce; Il ragazzo avrà avuto
circa la mia età.
Dopo
un attimo di smarrimento mi ripresi - Oh, grazie per avermi salvato la
vita- sorrisi.
-
E' stato un piacere- rispose e mi lasciò le braccia.
Il
ragazzo stava per dire qualcosa quando un clackson suonò
-
Ronnie! Muovi il culo!- Kate.
Guardai
una delle mie migliori amiche e scossi la testa sorridendo, mi
incamminai e dopo pochi passi mi voltai verso il ragazzo - Grazie
ancora, ciao!- e corsi in macchina senza dargli il tempo di rispondere.
-
Chi era quello?-
-
Ciao anche a te Lexus-
Ed
eccole lì le mie migliori amiche: Kate, Lexus e Jamie.
Ci
conoscevamo dalle elementari ed eravamo diventate inseparabili.
Kate
era alta e magra, aveva i capelli a caschetto biondo platino, gli occhi
color cioccolato ed un sorriso ed un allegria contagiosi. Era la
più matta. Avrebbe scalato l'everest a mani nude in una
mattina di metà dicembre solo perchè "gli andava".
Lexus
era la più...particolare. Aveva i capelli lunghi fino a
metà schiena rosso fuoco, gli occhi verdi ed una lingua
tagliente. Aveva un carattere difficile, era molto diffidente verso
tutto e tutti, ma una volta conquistata la sua fiducia era fantastica,
una vera amica.
L'ultima,
Jamie, con i capelli castani lasciati mossi, occhi azzurri e
l'orribile vizio di mangiucchiarsi le unghie. Era la più
timida delle tre. Ma come Lexus era solo apparenza, una volta che
prendeva confidenza con le persone e l'ambiente che la circondava, la
timidezza andava a farsi benedire.
Avevamo
molte cose in comune: la musica, lo stile nel vestirsi, gli ideali
libertini, la felicità di stare assieme, la spensieratezza
dei nostri 17 anni e la voglia di scoprire il mondo insieme.
-
E comunque non so chi sia- dissi dando uno schiaffo alla mano che Jamie
teneva in bocca, lei mi trafisse con uno sguardo.
-
Vogliamo commentare prima il tuo vestito o i tuoi capelli?- chiese
sghignazzando
-
Nessuno dei due ti supplico- alzai gli occhi al cielo - aiutami a
cambiarmi- le chiesi poi.
Mentre
raggiungevamo St.Monica Lexus accese lo stereo ed in quel momento
partì una delle nostre canzoni "the great escape", senza
pensarci un attimo, come al solito, Kate abbassò i
finestrini della sua nuova macchina e, con me ancora non del tutto
vestita, iniziammo a cantare a squarciagola.
E
mentre il vento mi soffiava tra i capelli, gridavo mezza nuda e
rischiavamo di morire schiacciate contro un albero a 180 km/h, non
potei fare a meno di pensare che loro per me erano indispensabili, come
gli dicevo sempre loro erano le mie anime gemelle. Era con loro che
voltevo trascorrere il resto della vita, con cui avrei fatto il mio
viaggio "on the road", con cui avrei ballto, riso e pianto per sempre.
Per
sempre.
Tonight
will change our lives
It's
so good to be by your side
But
we'll cry
We
won't give up the fight
We'll
scream loud at the top of our lungs
And
they'll think it's just 'cause we're young
And
we'll feel so alive
Saaaaalve mie care. Eccomi qui
con una FF e quale soggetto migliore di Nick Jonas poteva essere al
centro dei miei pensieri psicopatici la sera di pasqua ?! Ecco,
nessuno. Spero tanto che vi piaccia e sopratutto che commentiate per
invogliarmi a continuare, grazie a tutte in anticipo, al prossimo
capitolo :)
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