King’s Cross. Binario nove e tre quarti. La locomotiva a vapore scarlatta
sbuffava ferma lungo le rotaie e il cartello “ Espresso per Hogwarts” si esibiva
in testa al treno nei suoi caratteri dorati.
La stazione era gremita di persone impegnate in frettolosi discorsi e
raccomandazioni ai giovani maghi in partenza, che carichi dei loro carichi dei
loro bauli annuivano stancamente, intervallando sospiri impazienti a distratti
“Sì, va bene mamma…”, “ Tranquilla mamma…”, “Sicuro mamma…”
Un ragazzo era immobile in mezzo al via vai nervoso di genitori e studenti:
indossava un paio di jeans blu scuro e un maglione nero con lo scollo a V, e i
suoi occhi verde smeraldo continuavano a guardare attorno alla propria figura,
nella speranza di vedere finalmente dei volti conosciuti. I suoi capelli scuri
erano folti e scompigliati, come sempre, ma nei continui movimenti della testa
lasciavano intravedere sulla fronte del giovane una lunga cicatrice a forma di
saetta: Harry Potter, il bambino sopravvissuto. Tuttavia almeno in quel momento
la mente dal ragazzo non dava tanto maggior importanza al fatto di essere
scampato ad una maledizione senza perdono da parte del mago più malvagio e
temibile di tutti i tempi, quanto all’essere sopravvissuto ad una dura,
umiliante, straziante, intera vacanza con i Dursley.
Di fatti il giovane mago noto come Harry Potter aveva dovuto trascorrere le
sue intere vacanze estive a casa dei propri zii, patendo così mesi, giorni, ore,
nella più assoluta solitudine. Non che il suo migliore amico, Ron, non lo avesse
invitato a casa propria come aveva sempre fatto, ma stavolta Harry era stato
costretto a rifiutare per volere del proprio preside, Albus Silente. Quest’ultimo
aveva infatti insistito affinché il ragazzo rimanesse nel mondo babbano, nella
maggiormente sicura, seppur sgradevole, compagnia dei propri zii. Dopo i tragici
eventi dell’anno precedente era comprensibile che il mago volesse tenere Harry
lontano dal pericolo, dalle grinfie dell’oscuro signore, Voldemort, ma
ciononostante Harry avrebbe preferito rischiare piuttosto che rimanere per
un’intera estate nelle grinfie di suo cugino Dudley e tra i commenti sottili ma
continui dei propri zii sulla sua natura magica. Certo, era stato trattato
meglio che negli anni precedenti grazie alle minacce dei membri dell’ordine
della fenice: dormiva sempre nella vecchia stanza di Dudley, ma gli era stato
permesso di lasciare libera Edvige quando voleva e avrebbe potuto anche chiedere
denaro allo zio per comprare ciò di cui avrebbe avuto bisogno, come ad esempio
abiti nuovi, maggiormente alla moda, e anche delle lenti a contatto, che
risaltavano i suoi magnifici occhi giada. Nonostante tutto Harry Potter era
uscito indenne dalla compagnia dei detestati parenti solo grazie alle continue
lettere dei suoi migliori amici: Ron ed Hermione. Anche Luna Lovegood gli
scriveva ogni tanto, e si era rivelata, oltre ogni previsione, una ragazza molto
simpatica e gentile, non solo una svitata che crede a quasi tutte le storie
assurde del Cavillo ( anche perché grazie al Cavillo, l’anno prima, Harry aveva
potuto mostrare al mondo dei maghi la propria versione dei fatti, e cioè il
racconto di come aveva visto risorgere Voldemort ).
Ron continuava a chiedergli come mai non avesse accettato la sua proposta di
passare le vacanze estive da lui. Harry non aveva infatti ancora rivelato a
nessuno di suoi amici il contenuto della profezia scoperta l’anno prima, e aveva
perciò trovato una banale scusa qualsiasi per rifiutare l’invito. Non sapeva
quando sarebbe finalmente riuscito a svelare loro la verità sul suo destino, non
certo in quel momento, quando neppure lui era ancora riuscito ad accettarlo.
Per tutta l’estate non aveva fatto altro che pensare alla morte di Sirius, e
mai aveva smesso di sentirsi in colpa. Se solo non fosse stato tanto stupido e
avesse contattato il proprio padrino attraverso lo specchio che gli aveva donato
invece di chiedere a quello stupido elfo domestico! Lacrime brucianti avevano
allora percorso quelle guance rosee, e le mani si erano strette in morse così
vigorose che le dita erano divenute bianche.
Rivedeva quel velo che aveva inghiottito la sua unica possibilità di andare a
vivere nel mondo dei maghi con un parente fidato, una persona che l’avrebbe
realmente amato come un figlio.
Risentiva la risata di Bellatrix Lastrange.
Rivedeva quegli occhi profondi e iniettati di sangue, quelle dita pallide,
simili agli arti di ragni candidi… Voldemort. Colui che l’aveva designato quale
suo eguale, colui che lui solo avrebbe potuto sconfiggere, per il bene del mondo
magico, colui che avrebbe potuto ucciderlo in quel fatidico duello che Harry
sapeva avrebbero dovuto affrontare un giorno…
Era così dura. Era così dura andare avanti, giorno dopo giorno, a vivere come
se Silente non gli avesse mai detto nulla e allo stesso tempo leggere le lettere
dei propri amici, e rendersi conto che se nella battaglia finale lui avesse
perso, anche loro sarebbero stati perduti per sempre. Tutto era nelle sue mani.
Nelle mani di un ragazzo, un giovane che non aveva nessuna colpa se non quella
di essere nato nel mese sbagliato. Il settimo mese… se fosse nato nel quinto
sarebbe stato ancora lì, nella sua casa, insieme ai propri genitori, a ridere e
scherzare e a raccontare di come lui, Ron ed Hermione si divertissero ad
Hogwarts, a criticare i comportamenti disgustosi di Malfoy, a discutere su cosa
avrebbe fatto Harry dopo la scuola… e invece no . Era lui il bambino nato nel
settimo mese, era lui che doveva sopportare quel peso.
E in quel momento, alla stazione King’s Cross, di fronte al binario nove e
tre quarti, Harry attendeva con trepidazione di scorgere una massa di capelli
rossi, che stava ad indicare che la famiglia Weasley era arrivata. Naturalmente
anche Hermione gli mancava da morire. Il ragazzo continuava a spostare il peso
da una gamba all’altra, allungando il collo cercando di scorgere le tanto
bramate figure in mezzo alla folla.
Era solo: suoi zii se ne erano andati subito dopo averlo portato alla
stazione, per timore di rincontrare quegli “strambi individui”, come li
chiamavano loro, ed Harry non aveva potuto che esserne felice.
Poi improvvisamente, con la delicatezza di un elefante troppo cresciuto, due
braccia lo avevano stretto da dietro, e lo slancio era stato tale da
scaraventarlo a terra. Ancor prima di distinguere ciò che lo aveva ancorato a
terra Harry vide una folta chioma di capelli vermigli in disordine: Ron !
- Ron! - esclamò con gioia. Il ragazzo si rialzò spostando il proprio “ peso
piuma” di dosso a Harry ed esibì un inchino maldestro, evidentemente ironico.
- Felice di rivederla, signor Potter! - esclamò per poi scoppiare a ridere,
accompagnato da Harry. Poi una voce conosciuta parlò:
- Se non è troppo scortese, vorrei unirmi al qui presente Ronald per
salutarla, signor Potter - . Una ragazza dai lunghi capelli castani si era fatta
avanti sorridendo.
- Hermione!-
Harry l’abbracciò felice. - Ciao Harry! Ci sei mancato così tanto! Ron si è
quasi fatto venire le crisi di nostalgia delle vostre “chiacchierate tra
maschi”! - aggiunse poi la ragazza, sempre esibendo un grande e smagliante
sorriso.
- Mi siete mancati tantissimo anche voi! E’ stato terribile dai Dursley per
tutta l’estate, temevo di impazzire! -
Raggiunsero poi il trio i signori Weasley, Ginny, e i gemelli. Harry salutò
tutti, poi, guardando George e Fred, disse: - Ma voi due… non mi direte che
tornate a scuola! -
I gemelli repressero una risata. - Sì, come no, tanto per far disperare i
professori un altro po’! Naa, noi facciamo solo da accompagnatori! - esordì
fiero Fred.
Dopo che la signora Weasley ebbe fatto le solite raccomandazioni ai ragazzi,
Harry, Ron, Hermione e Ginny salirono sul treno.
Doverono attraversare molti scompartimenti prima di trovarne uno libero:
avevano perso un sacco di tempo per salutarsi e rassicurare Molly Weasley che
non avrebbero fatto saltare in aria la scuola, e nel frattempo la maggior parte
dei ragazzi erano saliti, occupando quasi tutti i posti.
Dopo aver appoggiato i vari bagagli i quattro ragazzi si sedettero, appena in
tempo per sentir fischiare il treno in partenza.
- Finalmente! - esordì Ron, - credevo saremmo dovuti rimanere in piedi
durante il viaggio! -
Harry si permise il lusso di osservare i propri amici dopo così tanto tempo
passato lontani.
Ron aveva le stesse migliaia di lentiggini su tutto il viso, leggermente
concentrate sul naso, ma aveva cambiato pettinatura: i capelli ora gli
scendevano spettinati sulla fronte, più lunghi dell’ultima volta che l’aveva
visto; e probabilmente, straordinario ma vero, era riuscito ad innalzarsi ancora
di qualche centimetro. Ormai Harry si sentiva un piccolo nanetto di fronte al
suo metro e ottanta. Hermione aveva i capelli più lunghi di almeno una spanna, e
il suo viso si era raddolcito, con guance appena un po’ paffutelle che
ravvivavano ancora di più il suo sorriso. I capelli di Ginny erano divenuti più
mossi e le scendevano in onde leggere sulle spalle, ad eccezione di una frangia
liscia che si andava a poggiare sulla sua fronte. Anche lei era divenuta
leggermente più alta, ma Harry constatò con un sospiro di sollievo che ancora
non riusciva a sorpassarlo.
Sorrise raggiante pensando che avrebbe trascorso i prossimi mesi in compagnia
dei suoi migliori amici, nella sua vera casa, il suo mondo, Hogwarts.
Il paesaggio ormai famigliare scorreva al di là dei finestrini, e il sole
illuminava giocondo l’interno dello scompartimento. I ragazzi trascorsero tutto
il tempo a chiacchierare riguardo le proprie vacanze, vacanze che Harry, a
differenza degli altri, aveva trascorso da solo. Ma l’allegria dei compagni era
contagiosa, e il bambino sopravvissuto narrò delle settimane passate con i
Dursley come si racconterebbe una barzelletta: insieme ai propri amici, rivedeva
tutte le scene unicamente con ironia.
Dopo circa un’ora dalla partenza del treno la porta dello scompartimento si
aprì: per un attimo Harry temette si trattasse di Malfoy, che ogni anno,
inevitabilmente, interrompeva la loro quiete per far saltare i nervi sia a lui
che a Ron, accompagnato dai suoi due scimmioni: Tiger e Goyle.
Ma non era Malfoy.
Una gracile ragazzetta uscì da dietro la grande porta scarlatta dello
scompartimento, dai biondi capelli disordinati lunghi fino alla vita, gli occhi
chiari. Luna Lovegood.
- Ciao a tutti! - esclamò frivola la ragazza.
- Luna! Ciao! - rispose Harry, seguito a ruota dagli altri occupanti dello
scompartimento.
Luna chiese di rimanere in loro compagnia all’interno della carrozza,
naturalmente fu ben accetta.
- Sapete, penso di aver visto la cosa più straordinaria che possa esistere su
questo mondo. Chiederò a mio padre di pubblicarlo sul Cavillo. - esordì poi.
- E cioè? - chiesero gli altri quattro interessati. - Dev’essere davvero
sensazionale per poter ricevere l’onore di essere pubblicato su quella rivista -
disse Ron.
- Oh, lo è. - rispose Luna, senza dare peso all’ironica allusione. - Ho
appena visto Tiger e Goyle camminare per i corridoi del treno…-
- Beh? Che c’è di strano? Sono sempre in giro a infastidire la gente quei
due, insieme al loro capo supremo, Malfoy! Il signore dell’olimpo! - la
interruppe Ron, provocando una risatina generale. Luna però la soffocò quasi
subito, assumendo una falsa espressione profonda. - No. - disse - Camminavano
per i corridoi… da soli. SENZA MALFOY! -
Harry finse un’espressione scioccata. - Senza Malfoy?!? Non credevo sapessero
nemmeno camminare quei due senza averne a lato una spalla! -
Il gruppo ricominciò a ridere. - E che ci facevano da soli? Stavano
mangiando, vero? Per quello sono autosufficienti! - chiese Hermione.
- No! - rispose Luna, ancora ridacchiando. - E’ questo il fatto spettacolare!
Non avevano nemmeno una caramella in mano! -
- Noo… non ci posso credere! - intervenne Ginny. - lo dicevo io che il mondo
sta andando a rotoli! Tra poco vedremo la Mcgranitt saltellare su un piede solo
in giro per Hogwarts! -
I successivi dieci minuti trascorsero così, battute su battute, risate su
risate, fino a quando la voce di Hermione esclamò: - Siamo arrivati! -
I ragazzi si alzarono in piedi, guardando fuori dal finestrino: era vero,
riuscivano già a scorgere le calde luci di Hogwarts che si riflettevano nel
profondo lago nero. Le torrette di pietra grigia del castello parevano in quel
momento le nuvole del paradiso terrestre al bambino sopravvissuto.
Harry sorrise: era di nuovo a casa, e oltretutto, ciliegina sulla torta, vi
era arrivato senza nemmeno scorgere la figura arrogante di Draco Malfoy.