“Lenne … devo andare.”
Silenzio. Riempiva ogni angolo della stanza. Sembrava assordante, nonostante
fosse solo il nulla. Poi fu invaso da piccoli battiti, che provenivano dal petto
della giovane Lenne e che acceleravano sempre di più, come se il cuore della
ragazza si fosse appena risvegliato e cercasse di respirare di nuovo. Ma
l’effetto che le parole di Shuyin avevano avuto su di lei non si era ancora
dileguato, continuava a ferirla. Si voltò verso la finestra e osservò le
magnifiche luci notturne di Zanarkand. Intanto lacrime di dolore lottavano per
sgorgarle dagli occhi, ma lei non voleva che Shuyin le vedesse. Non voleva che
si accorgesse che soffriva, non era così che voleva che andassero le cose. Vide
riflessa nel vetro l’immagine del ragazzo che aveva abbassato gli occhi. Si
chiese che cosa provasse lui in quel momento. Perché voleva abbandonarla? Perché
voleva andare incontro alla propria morte? Era tutta colpa di Vegnagun! Quell’orribile
macchina assetata di guerra! Era lei che aveva scatenato il conflitto! Era solo
per quello che Shuyin rischiava la propria vita! Perché era stata costruita?
“Lenne” sussurrò il ragazzo. “Non resterò fermo a guardare mentre gli
Invocatori verranno sterminati … mentre tu verrai uccisa! Questa guerra è
ingiusta, tutto su Spira è ingiusto. Nessuno da rinunciare all’odio, i popoli
cercano lo scontro, e sembra che l’abbiano ottenuto. Se non faccio qualcosa per
fermare tutto quanto, domani Zanarkand non esisterà più, e con lei tutto il
nostro mondo! Vegnagun è molto potente, lo sai bene, e l’unico modo per salvare
tutti quanti è distruggerlo.”
Ma Lenne non lo ascoltava, o meglio, non riusciva a credere ad una sola
parola: le scorrevano addosso, ferendola e scivolando poi via, lontane. I suoi
occhi, che non volevano incrociare lo sguardo di Shuyin, bruciavano, e la
ragazza non riuscì a trattenere un singhiozzo che risuonò nella casa. Shuyin
attese ancora un attimo in silenzio, forse ad aspettarsi che lei lo pregasse di
non andarsene, o facesse qualsiasi altra azione, ma Lenne rimaneva lì, girata
verso le strade deserte, fredda come il ghiaccio. Allora il ragazzo abbassò il
capo tristemente e si avviò verso la porta. L’aprì e prima di uscire si voltò
per un’ultima volta. In quel momento un lampo illuminò la stanza e riuscì a
scorgere nel vetro l’immagine riflessa della ragazza: lacrime silenziose
affioravano dai suoi occhi socchiusi, mentre cercava di nascondere il dolore che
le provocava quella separazione, perché, nel cuore lo sapeva, si trattava di un
addio. Shuyin resistette all’impulso di correre da lei, afferrarla per le
spalle, voltarla e stringerla a sé, perché sapeva che avrebbe solamente
complicato le cose. Semplicemente, mentre usciva, sussurrò piano nel silenzio:
“Non piangere, perché tornerò.”
Quelle parole, per qualche motivo, parvero risvegliare Lenne. La ragazza si
voltò di scatto, pronta a implorarlo di non lasciarla, a scomparire nel calore
delle sue braccia, ma ormai era troppo tardi: l’unica cosa che vide fu la porta
che si era chiuso alle spalle, forse per sempre. Le gambe non la ressero più e
si lasciò cadere in ginocchio, mentre il buio, il silenzio, il vuoto riempivano
il suo cuore.
“Dove sei, Shuyin? Perché stai mettendo in pericolo la tua vita?”
Lenne stava correndo come il vento tra le strade della città; continuava a
chiedersi dove fosse andato il suo ragazzo, cosa avesse intenzione di fare … se
sarebbe mai veramente tornato come aveva detto. Pensieri terribili le assalivano
la mente, pensieri che avrebbe voluto scacciare, ma che le sembravano reali e
inevitabili.
Giunse sul freddo Monte Gagazet e continuò a correre più veloce che poteva
sul sentiero che portava verso la sua destinazione: il tempio di Bevelle. Sapeva
che qui avrebbe ritrovato Shuyin, non sapeva spiegarsi come, ma ne era certa,
era il suo cuore a guidarla da lui. Ma quando giunse alla Piana della Bonaccia,
le gambe non la ressero più e cadde a terra sfinita dalla lunga corsa. Non
sarebbe mai riuscita a raggiungere Bevelle in tempo, non riusciva più a
muoversi, e lacrime di disperazione le rigavano il viso, infrangendosi sui fili
d’erba che le accoglievano come rugiada. Poi un’idea le balenò nella mente:
impugnò l’asta da Invocatrice, la sollevò davanti a sé ed eseguì qualche breve
passo di una strana, magica danza. Improvvisamente si aprì uno squarcio tra le
nuvole e un maestoso Eone scese in picchiata verso di lei, spiegando un paio di
possenti ali un attimo prima di toccare terra. Valefor accolse Lenne sul suo
dorso e la ragazza lo spronò in direzione del tempio. L’Eone si alzò in volo e
partì a tutta velocità, mentre Lenne pensava solo a Shuyin e sperava di riuscire
ad arrivare in tempo. Sorvolarono la Piana, poi il Bosco di Macalania, infine
giunsero finalmente in vista di Bevelle. Lenne scese immediatamente dal dorso
dell’Eone, che scomparve di nuovo nel cielo, e si precipitò all’interno del
tempio. Il suo cuore la guidò nel dedalo di corridoi, e infine si ritrovò di
fronte ad un pesante portone socchiuso. I battiti del suo cuore accelerarono:
sentiva che dietro quella porta avrebbe trovato Shuyin. Doveva solo convincerlo
a tornare indietro con lei … eppure aveva un brutto presentimento.
Spinse con forza e aprì la porta. La stanza era buia; entrò lentamente, ma
non riuscì a vedere Shuyin; poi improvvisamente le luci si accesero e scorse il
ragazzo, in piedi su una piattaforma posta in alto al centro della sala, di
fronte a … Vegnagun! Allora era questa la temibile macchina che aveva causato la
guerra: un mostro enorme che occupava tutta la stanza, per quanto fosse
spaziosa. Come vide Shuyin, Lenne corse fino alla piattaforma allargando le
braccia e gridando il suo nome. Il ragazzo si voltò di scatto: “Lenne! Cosa fai
qui? Torna a casa!”
“Non me ne vado senza di te! Shuyin … ti prego, andiamocene insieme! Lascia
perdere tutto quanto! È una pazzia!” L’Invocatrice gridava con tutto il fiato
che aveva, ma improvvisamente si interruppe voltandosi verso la porta, perché
aveva sentito il rumore di passi che si avvicinavano correndo, e il tintinnio di
qualcosa di metallico: erano le guardie del tempio. Intanto Shuyin era sceso di
corsa dalla piattaforma e corse verso l’invocatrice abbracciandola stretta,
mentre una decina di templari facevano irruzione nella sala e si inginocchiavano
davanti all’entrata abbassando i fucili e puntandoli contro i due ragazzi. Lenne
e Shuyin si guardarono in silenzio; entrambi sapevano che quella era veramente
la fine. La ragazza abbassò lo sguardo dal volto del ragazzo, e Shuyin la guardò
con una nota di tristezza, consapevole che tutto stava accadendo perché non era
rimasto a Zanarkand con lei. Lenne se ne accorse, fissò di nuovo lo sguardo nel
suo e sorrise, mentre una goccia salata si spingeva fino alle sue ciglia, vi
rimaneva appesa pochissimi istanti e cadeva rapida e silenziosa sulla su
guancia, scivolando per un po’ prima di fare il suo ultimo salto nel vuoto. In
quel momento le guardie premettero i grilletti e una decina di spari risuonò
nella sala rimbombando sulle ampie pareti. I giovani si staccarono l’uno
dall’altra mentre i proiettili li attraversavano rapidi e infallibili. L’invocatrice
cadde sulla schiena, mentre Shuyin compì mezzo giro su se stesso e si abbandonò
a terra, una guancia premuta contro il pavimento freddo. Si rivolsero l’ultimo
sguardo, dicendosi addio con gli occhi. Shuyin provò ad allungare una mano verso
la ragazza, ma non ne ebbe la forza, e Lenne continuò a guardarlo con lacrime
d’amore che le scorrevano sul viso, mentre tutto si scuriva fino a scomparire in
una fredda oscurità dalla quale non vi era via d’uscita.