Titolo del capitolo: Checkmate
for… (Scacco matto per…)
Personaggi principali
associati al peccato: Rosalie Hale
Personaggi secondari:
Edward, Carlisle, Esme, Royce King, Cedric(nuovo personaggio).
Pairing(per storia):
Rosalie/Edward (solo immaginario).
Raiting: giallo
Genere: generale
Avvertimenti: One
shot
Di
superbia educata, di superbia frodata, sono la regina senza
corona…
Herman Hesse.
Checkmate
for…
Era alto e possente, dotato di spalle decisamente troppo larghe, ma
tale era l’avvenenza del viso da rendere trascurabile quel
suo unico difetto fisico; la mascella pronunciata gli donava grande
sensualità, e la fossetta sul mento ingentiliva e addolciva
il suo sguardo glaciale, blu profondo e avvolgente, ma tagliente e
severo allo stesso tempo. Un ciuffo di capelli scuri ricadeva quasi a
coprirgli un occhio. Spesso lo vedevo distogliere quella ondulata
ciocca ribelle dal viso con una mano arrossata da piccole e numerose
cicatrici, affinché potesse avere una visuale completa della
splendida e florida ragazza che sedeva di fronte a lui. Non
c’era da biasimarlo. Qualsiasi uomo avrebbe trovato
particolarmente interessante osservare quella creatura angelica;
fascino ed eleganza trasudavano da ogni suo gesto, che fosse un lieve
movimento del capo o degli occhi , quei grandi occhi celesti la cui
forma di rara bellezza pareva essere stata creata dalle mani di un
esperto disegnatore. Lei non era una fatina bionda dalla pelle candida
come ci si poteva aspettare; descriverla risulta impossibile e
dispersivo: la sua era una bellezza che le parole e
l’immaginazione avrebbero banalizzato, e adesso è
ancora più abbagliante. Quella ragazza seduta in una postura
impeccabile nel salotto di casa sua ero io: Rosalie Hale.
L’uomo si chiamava Cedric, e aveva all’incirca
ventisei anni. Sapevo che donne e giovani adolescenti morivano per lui,
tutte sognavano di averlo come sposo o come amante. In quel momento il
loro principe si trovava in casa Hale, seduto di fronte a me, con aria
incantata.
Mio padre stava ostentando una certa freddezza nei suoi
confronti, perché era venuto a sapere della sua truffa.
Temeva che se lo avessi sposato, sarei andata in rovina anche io per
diffamazione da parte di potenti e rivali imprenditori.
Detestavo i formalismi nei discorsi politici ed economici, erano solo
dei giri di parole per arrivare al vero scopo della visita: la mia
questione matrimoniale. Io facevo solo da presenza, dovevo restare in
silenzio e mantenere la mia dignitosa postura, mentre Victor, il padre
di Cedric, conversava col mio.
Cedric teneva gli occhi fissi sul mio viso, come se volesse avvolgermi
col calore e il passionale desiderio che trapelavano dal suo sguardo.
Io continuavo ad osservare l’elaborato vaso posato sul tavolo
che s’intravedeva oltre le sue ampie spalle, per nulla
intimidita da lui, anzi, a mio completo agio: mio compito nella vita
era lasciarmi contemplare dagli altri.
Giurai di aver visto più volte nel corso della conversazione
lo stesso padre di Cedric distogliere lo sguardo da mio padre e
guardarmi segretamente, senza riuscire a saziarsi della mia vista in
quei brevi istanti. Ero abituata a tutto ciò, io potevo
concedermi la superbia di ritenermi la più bella di tutte,
del resto ero convinta fosse l’incontestabile e palese
verità. Persino mio padre, l’uomo che mi aveva
cresciuta e protetta ,oramai defunto, aveva iniziato a fissarmi con
proibito desiderio nel corso della mia crescita. Di una cosa mi aveva
sempre -e inutilmente- rimproverato: secondo lui tenevo la testa e gli
occhi sollevati più del dovuto, e quel mio gesto era un atto
di maleducazione, da biasimare. Ma io detestavo guardare in basso, io
volevo guardare in faccia le persone che avevo di fronte, pensavo di
averne il diritto, dato che gli occhi erano i miei. Bella
com’ero ,meritavo di permettere agli sguardi meravigliati
degli uomini e invidiosi delle donne di godere appieno del mio viso.
Non volevo nascondermi. Quello che invece continuava a nascondersi era
proprio mio padre, si rifugiava dietro la scusa che dovevo comportarmi
bene perché non poteva ammettere a se stesso di essere
infastidito quando gli uomini mi guardavano. Ci rimasi male nel momento
in cui comunicò a Victor che non aveva intenzione di
permettere il mio matrimonio con suo figlio. In fondo a me Cedric non
dispiaceva. Ero consapevole di dover sposare un uomo ricco, ma avrei
voluto essere libera di decidere personalmente la persona a cui legarmi
per il resto della mia vita. Allora ero stupida e superficiale: pensavo
di avere il diritto di fare e decidere ciò che volevo grazie
alla mia bellezza, pensavo che quella mi sarebbe bastata per non dover
sottostare agli obblighi impostimi dagli altri, compresi i miei
genitori. Finché non capii che ciò che avevo
sempre considerato un’arma potente, al contempo era
pericolosa e portatrice di sofferenza.
L’anno successivo all’incontro avvenuto con Cedric
e Victor, conobbi Royce King, il figlio del proprietario bancario per
cui lavorava mio padre, colui che era destinato a risollevare la
società nel periodo della grande depressione. Fu Royce King
a farmi capire il danno infertomi da madre natura, fu lui a smontare i
miei sogni e a ricostruirli in un'unica grande illusione:
l’illusione della felicità che mi aspettava dietro
l’angolo, ma che non sarebbe mai arrivata. La mia vita umana
ebbe un triste finale, ciò che avevo sempre desiderato si
rivelò essere diventato una favola irrealizzabile.
Quando Carlisle mi trovò abbandonata sulla strada, mentre i
fiocchi di neve si depositavano sul mio corpo stanco, umiliato e
disfatto dai ripetuti e atroci abusi che avevo subito, la mia esistenza
cambiò. Carlisle mi fece diventare un nuovo essere, mi
trasformò in una vampira; fu proprio colui che quasi
detestavo per la sua bellezza spropositata a darmi un’altra
vita. Non avevo mai visto di buon occhio né lui
né il ragazzo che si diceva essere suo figlio,
perché entrambi erano più belli di me, e questo
mi irritava profondamente. Avevo sempre vissuto con la certezza di
essere la migliore in quanto ad aspetto esteriore; sentir parlare o,
peggio ancora, vedere i Cullen, mi infastidiva, perché loro
sgretolavano la mia convinzione.
Per tre giorni infernali Carlisle rimase al mio fianco e mi
parlò con voce dolce, come si fa con i bambini quando hanno
bisogno di essere tranquillizzati perché fuori dalla loro
cameretta imperversa il temporale. Mi ripeteva le sue scuse ogni volta
che gemevo di dolore e mi teneva la mano, cercando di farmi realizzare
cose mi fosse accaduto e cos’ero diventata.
Quando il doloroso processo della mia trasformazione finì,
potei parlare faccia a faccia con il dottor Cullen e sua moglie Esme.
Mi spiegarono che anche loro erano dei vampiri e mi dissero che il mio
aspetto fisico aveva subito dei mutamenti. Terrorizzata, chiesi loro di
potermi guardare allo specchio. Le mie paure svanirono in un istante
quando vidi la mia figura riflessa nel vetro: ero diventata la cosa
più bella che avessi mai visto.
Arrivò la volta in cui mi dovetti trovare faccia a faccia
anche con Edward, il ragazzo vampiro che Carlisle ed Esme avevano
adottato. Era appena tornato dalla caccia e quando Carlisle me lo
presentò, lessi solo ostilità e diffidenza nei
suoi occhi dorati, nessuna meraviglia. A seguito della mia
trasformazione la mia bellezza si era ulteriormente intensificata fino
a divenire abbagliante, eppure Edward mi aveva guardata come se avesse
avuto di fronte una ragazza qualsiasi: era la prima volta che mi
accadeva una cosa del genere, e non mi stava bene.
Da quel nostro primo incontro lanciai una sfida personale a me stessa:
prima o poi sarei riuscita ad attirare l’attenzione di
maschio, qual’era Edward, su di me. Non che lui mi piacesse,
ma pretendevo di sentirmi dire “Sei bellissima”, o
di essere guardata con desiderio anche da lui come avevano sempre fatto
tutti gli altri. Trovavo la sua indifferenza nei miei
confronti inaccettabile ed inspiegabile.
La prima volta che andai a caccia, Carlisle ed Esme mi insegnarono come
catturare le mie prede. Mi comportai da cacciatrice esperta che non
aveva bisogno di aiuto. D’indole ribelle, ero sempre stata
costretta a sottomettermi al volere dei miei genitori; nella mia nuova,
triste ed eterna vita, pretendevo almeno di poter essere autonoma e
indipendente. Così il mio primo pasto a base di sangue
animale me lo guadagnai da sola. Edward si allontanò da me,
Carlisle ed Esme, perché la mia presenza non gli era gradita.
-Si abituerà a te, vedrai. Edward è un tipo
difficile, ma dagli tempo e imparerà ad accettarti.-, mi
disse Carlisle quando fummo di ritorno dalla caccia. Tuttavia mano a
mano che giorni passavano, cominciavo a dubitare delle sue parole.
Edward trascorreva le giornate chiuso nella sua stanza, a pensare e a
ripensare. Era come se avesse colto la sfida segreta che gli avevo
lanciato dallo sguardo provocatorio che gli rivolgevo ogni volta che
incrociavo i suoi occhi, era come se lui fosse a conoscenza
dell’obbiettivo che mi ero prefissata di raggiungere. Ma
benché le parole di Carlisle mi risultassero sempre meno
convincenti, io non mi scoraggiavo, anzi, divenivo sempre
più agguerrita. Avevo intenzione di vincere la nostra sfida
personale, ed ero certa che, fossero passati secoli, avrei ottenuto
ciò che volevo.
Carlisle ed Esme proposero a me ed Edward di andare a caccia senza di
loro, così da avere un valido pretesto per lasciarci soli.
Ero talmente desiderosa di fare colpo su di lui, che non mi preoccupai
minimamente di Carlisle ed Esme, i quali speravano nella nascita di un
sentimento ben più profondo e reciproco di quanto volessi io
tra me ed Edward. Il mio obbiettivo? Sedurre l’algido
principe dagli occhi dorati. Il loro? Vedere Edward innamorato di me.
*******
Erano passati circa due mesi ormai da quando ero entrata a far parte
della famiglia Cullen. In un’umida mattinata
d’autunno, Edward uscì di casa con aria
infastidita salutando a stento e dichiarando che aveva bisogno di
nutrirsi. Io colsi l’occasione per rimanere sola con lui e lo
seguii. Sfrecciai silenziosa e leggiadra tra gli alberi mantenendomi a
debita distanza per non farmi scoprire, finché lui si
fermò ai piedi di un albero dalla folta chioma che oscurava
il cielo sopra di noi. Decisi che era il momento adatto per rivelarmi.
Sbucai da dietro una pianta con camminata sinuosa ed elegante, mi
fermai di fronte a lui e gli rivolsi un’occhiata penetrante,
seria in viso. I miei sorrisi erano troppo preziosi, non potevo
regalarne a chi non se li meritava.
-Rosalie.-, mi salutò con tono distaccato.
-Edward.-, ricambiai eloquentemente.
Qualcosa mi disse che si era accorto che lo stavo seguendo. La mia
superbia mi portò a pensare che si fosse fermato in un posto
riparato perché aveva deciso di dichiarare la sua attrazione
verso di me. Pregustavo già il trionfo, quando lui mi
spiazzò con le sue constatazioni. – Senti,
dovresti smetterla. Non ti rendi conto dello spreco di tempo che stai
facendo.-
Subito non capii dove volesse andare a parare.
-Non riuscirai mai a sedurmi per il tuo intento personale.-
Quella fu la frase che gli fece fare scacco matto.
-Sei davvero così superbo da credere a ciò che
hai detto?-, gli dissi con aria sostenuta.
Edward alzò un sopracciglio e mi lanciò
un’occhiata sprezzante lasciandosi andare ad una risata senza
gioia.
-Qui l’unica superba sei tu.-
Lo fissai dura, irritata e sorpresa, senza riuscire a capire come
avesse fatto a scoprirmi. Carlisle ed Esme non potevano averglielo
detto.
-Non puoi giocare con me. Non te l’ho mai permesso, e non te
lo permetterò mai.- sibilò. – Cosa
m’importa del tuo bel aspetto, se è tutto
ciò che hai da dare? -
Quelle parole penetrarono a fondo dentro di me senza che potessi
accorgermene, mi ferirono. Un ringhio fuoriuscì dalla mia
bocca. Edward continuò il suo discorso
imperterrito. –Carlisle si è dimenticato di
rivelarti un piccolo dettaglio: so leggere nel pensiero.-
Fu come se mi avessero gettato raffiche di pietre taglienti e gelide
nello stomaco. Doppio scacco matto a Rosalie
Hale Cullen.
Non poteva essere vero, mi stava prendendo in giro.
-Si che è vero, non ti sto prendendo in giro.
Però su una questione siamo d’accordo: ho fatto
doppio scacco matto.-
Mi fissava soddisfatto. Mi aveva in pugno. Visivamente e mentalmente.
Come potevo contrastare quella sua capacità sovrannaturale?
Come potevo sfuggirgli? Cercai disperatamente di annullare ogni mio
pensiero e di svuotare la mente.
-Rilassati, non ho più intenzione di entrare nella tua mente
da questo momento in poi. Oggi mi hai stancato abbastanza mentre ti
torturavi per cercare una soluzione al tuo stupido dilemma, tanto che
per avere un po’ di pace ho dovuto lasciare quella stessa
casa che sono costretto a dividere anche con te.-
Tacevo, umiliata e piena di vergogna. Ciò che più
mi rammaricava era non avere niente di sensato da dire. Ero rigida come
uno stoccafisso.
-La tua innata bellezza ti ha rovinata, Rosalie Hale.-
Edward scandì ogni parola con decisione, calcando il mio
nome. Interpretai quel suo atteggiamento come un modo per sottolineare
che non mi avrebbe mai accettata come una sua famigliare, che per lui
non sarei mai diventata una Cullen. Ma nonostante quella constatazione,
riscoprii che il mio turbamento era incentrato principalmente sulle
prime parole.
Tua bellezza. Rovina. Innata. Innata bellezza uguale rovina. La mia
innata bellezza equivaleva alla mia rovina.
Quelle parole rimbombarono nelle mie orecchie come pugnali pronti a
lacerarmi i timpani, riecheggiarono acute. Infinitamente e
dolorosamente.
Edward aveva ragione: la mia straordinaria bellezza era tutto
ciò che avevo da dare, ed essa era stata la causa della fine
della mia vita e dei miei sogni infranti.
-Hai un’eternità davanti per imparare a capire il
valore dell’esistenza. Ti è stata data una seconda
possibilità- Edward parve raddolcirsi. -Ritieniti fortunata.-
Che cosa si aspettava? Che gli facessi le mie scuse? Mai, quelle poteva
scordarsele.
-Non voglio le tue scuse, non saprei di che farmene.-
-Smettila d’invadere la mia mente!-, gridai frustrata.
-Lo farò. Ti va di cacciare?-
Colsi la sua richiesta dapprima con sospetto, poi lessi nei suoi occhi
una luce nuova, l’ombra di un sorriso. Per la seconda volta,
quel girono Edward riuscì a spiazzarmi. Volevo rispondergli
di no, ma straordinariamente riuscii a mettere da parte
l’orgoglio e ad accettare la sua richiesta. Dopotutto, era
stato lui a chiedermelo …Avevo pur sempre vinto la mia
sfida, e non importava come.
-Vediamo se sei bravo ad azzannare quanto a leggere nel pensiero.-,
risposi con voce tagliente e aggressiva.
Lui in tutta risposta rise divertito ...Divertito dal mio
comportamento. Ancora una volta fu il primo a dimostrare tale
sentimento nei miei confronti.
Ma in fondo, mentre i nostri sguardi di sfida s’incrociavano
e noi sfrecciavamo tra gli alberi, non provai rancore nei confronti di
Edward, anzi, grazie a lui sentii che il mio umore si era un
po’ sollevato e che ero quasi …quasi felice. Avevo
trovato un fratello.
Il tempo passò. Giorni, settimane e mesi volarono in un
battito d’ali. E io attuai la mia vendetta verso Royce King e
i suoi vigliacchi amici. Una vendetta spietata. Consolatrice.
Dolce. Meritata.
Così non potei incolpare del triste finale della mia prima
vita la bellezza che ero costretta a fronteggiare ogni volta che mi
guardavo allo specchio.
L’unico colpevole fu Royce King.
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