Il dolce nella vita
«Ambros? Ambros!» chiama una vocetta stridula che sembra filtrare dal pavimento di legno.
Levo gli occhi al soffitto. Conosco quel tono.
«Che c’è questa volta, benedetta donna?»
Mia moglie emerge dalla scaletta che porta al magazzino di sotto. Ha la
faccia impolverata e i capelli scompigliati. Solleva una grossa scatola
sopra la testa, ben attenta che non si apra, e me la mostra. A vederla
così minuta e gracile nessuno penserebbe che possegga tanta
forza da sollevare venti libbre di caramelle senza apparente sforzo. Ha
il fisico di una bambina e la forza di un Golem.
Strizzo gli occhi, leggendo la dicitura a caratteri scuri sulla confezione: Scarafaggi a grappolo (quattro falci e otto zellini il barattolo).
«Qual è il problema, Bessie? Mancano?» domando, allungando una mano verso il calamaio poco distante.
Sto giusto controllando la lista dei prossimi ordinativi.
«Mancare?» sbraita, le iridi azzurro ghiaccio che mi
vorrebbero trapassare per la cialtroneria appena proferita.
«Abbiamo un’eccedenza di tre scatole! Chi li ha
ordinati?»
«Oh, sarà stata una svista del fornitore»
«Svista?» sogghigna, fingendo di calmarsi.
Lo so, sta per scatenarsi una tempesta perché dalla mia risposta
ha capito che il colpevole ce l’ha davanti. Appoggia il cartone
sul pavimento e si avvicina, pulendo le mani nel grembiule prima di
incrociare le braccia sul petto.
«Signor Flume,» attacca, assolutamente tranquilla,
«ha una vaga idea dei termini di scadenza delle sue merci?»
«All’incirca» rispondo con un sorriso.
«All’incirca» ripete, facendosi severa. «E
questo “all’incirca”, a quanto equivale nel caso
degli Scarafaggi a grappolo?»
Fingo di pensarci su un istante.
«Otto mesi?» azzardo.
«Otto mesi in clima freddo, cinque col caldo» specifica.
«Per questo li teniamo nello scantinato» osservo bonariamente.
Si morde un labbro. Vorrebbe attaccar briga, ma è da quando ci
siamo fidanzati venticinque anni fa che non riusciamo ad avere un
litigio degno di questo nome. La mia Elizabeth passa per cattiva solo
all’apparenza. È una donna piena di contraddizioni e
l’adoro per questo. Ogni giorno è come aprire una delle
nostre Uova di Fenice con sorpresa (uova incantate di cioccolato, cereali e melassa, un galeone, sedici falci e venti zellini l’una): impossibile sapere cosa contengano.
«Ambrosius, siamo alla fine di marzo. Se succede come
l’estate scorsa, quando le temperature sono salite oltre la
norma, ci ritroveremo con una marea di bestioline zuccherate e
brulicanti che non potremo vendere alla riapertura di Hogwarts!
Perché non pensi mai a queste cose?» rimbrotta a mezza
voce.
«Perché ci pensi tu, tesoro» rispondo, allungandole una scatola di Gommabaleni (gomme da masticare incantate, un falci e diciotto zellini il pacchetto).
Lei scuote il capo. Sa che è come dico io. Ho la pessima
abitudine di non badare a questi dettagli, sono più portato per
seguire i clienti. E data la mole di avventori che, nonostante il
periodo infelice, passa da queste parti, ho il mio bel daffare. Per
fortuna ho trovato una donna che completa questa mia lacuna.
Prende un chewing-gum e lo mastica nervosamente, sprizzando sottili
nastri multicolori dalle labbra. A poco a poco la sua espressione di
rimprovero si addolcisce.
«Sai che con i tempi che corrono non possiamo permetterci di sgarrare» mi dice con un sospiro accondiscendente.
Il suo sguardo freme. Vorrebbe rivolgerlo alla porta, ma ha troppa
paura. Teme di scorgere una macchia nera stazionare oltre la porta a
vetri o attraversare le vetrine appena pulite. Da quando i Death Eaters
sono saliti al potere la scorsa estate, Bessie vive
nell’angoscia. Non tanto per noi, siamo Purosangue certificati
dal Ministero. Da quando il nostro Alan ha perso il lavoro da Florian
Fortebraccio, la sua famiglia fatica ad arrivare a fine mese. Spesso
gli prestiamo denaro, ma sarebbe meglio dire che lo costringiamo a
prenderlo. È un orgoglioso testone, come mio padre. Sarebbe
tornato di corsa qui a Hogsmeade, dov’è nato e cresciuto,
se la fidanzata non avesse bisogno di costanti cure, che la obbligano a
vivere a due passi dal San Mungo. Non può nemmeno viaggiare, la
nostra povera Irene. Dobbiamo aiutarli, ma la presenza di questi loschi
figuri scoraggia le persone a mettere il naso fuori da casa.
«Vedrai che tutto si sistemerà» la rassicuro, addentando la mia Bacchetta di liquirizia (cinque zellini il pezzo). «L’inverno non dura in eterno, no?»
Le faccio una carezza, cercando di allontanare i suoi pensieri.
«Nemmeno gli Scarafaggi a grappolo, spero» ciancica,
sistemandomi il risvolto del gilet. «Sarà meglio che vada
a finire di sotto. Se arrivano clienti… e hai
bisogno…»
«Tranquilla, posso gestirli da me. Fammi vedere quanto sei brava a mettere ordine nel caos dei nostri fornitori!»
Si allontana, i suoi passettini leggeri si dissolvono nell’aria.
Lo scatolone di Scarafaggi è ancora posato a terra. Glielo
porterò dopo, ultimata la lista degli ordini. So che cosa voleva
dire con quella parola. Clienti. Intendeva la gente della cittadina, i
professori, i rari turisti di passaggio, i fornitori degli altri
commercianti. Non loro. Non quelle figure che ora sbucano agli angoli
delle strade, dai viottoli sul retro delle case, nelle ombre troppo
fitte agli angoli delle stanze. Non i Death Eaters.
Ebbene sì, vendo a chiunque metta piede nel negozio, non importa
di chi si tratti. Forse è per questo che i Death Eaters non mi
hanno ancora fatto chiudere, pur non essendo dei loro. Bado agli affari
miei, in senso letterario. E se per farlo devo annoverarli fra i miei
clienti, allora sia. Bessie rifiuta di approvare la mia condotta, sogna
un futuro privo di paure. Spera che un domani, nessuno ricorderà
che ho servito anche i seguaci dell’Oscuro Signore, sfoggiando un
sorriso compiacente e accattivante. Perché può sembrare
assurdo, detto in questi termini, ma persino la peggiore delle persone
di fronte ad un dolce, il suo dolce, può cambiare.
Ad esempio, c’è quella donna, la Lestrange. Viene qui
verso sera, poco prima della chiusura, quando le strade sono deserte.
Compra i Cuori di drago (marzapani ripieni di marmellata al rabarbaro, quindici falci e ventidue zellini la scatola da nove).
Ogni persona sceglie il dolce più in sintonia con l’aspro
che porta dentro e che desidera mitigare, ma questi non sono per lei,
no. I Cuori sono per suo marito. È stato qui un paio di volte,
facendo un gran baccano, senza acquistare nulla. Non ho dubbi, sono per
lui, un uomo frustrato, cupo e profondamente innamorato, che non si
sente riamato allo stesso modo. Ormai ho l’occhio allenato per
certe cose. Suppongo che mangi la pasta reale provando un po’ di
sollievo e l’illusione di possedere la forza di queste bestie. La
strega acquista anche i Sospiri di Circe (praline
al cioccolato fondente ripiene di amarena, sciroppo di whisky
stravecchio ed una fogliolina d’assenzio, due galeoni e
diciannove falci la confezione da dodici). Una leccornia
godereccia e lussuriosa, traditrice, a tratti densa e pungente come
fiele. Quella pazza possiede un cuore da qualche parte, un cuore che
osa un palpito di tanto in tanto, tra un Anatema e l’altro. Sotto
quelle palpebre pesanti, dietro l’ombretto nero polveroso che le
imbratta anche gli zigomi scavati, scorgo sogni da adolescente, che
prendono a ribollire mentre accarezza possessiva la scatola.
C’è poi un ometto grassoccio e ciondolante, che si
presenta a tutte le ore. Si aggira con sguardo famelico tra gli
scaffali, comprando ogni cosa gli capiti a tiro, dalle Cioccorane (quindici zellini l’una) alle Mele Stregate (quattordici falci il sacchetto da quattro pomi).
Detesto questo tipo di avventore, è privo di qualità, di
capacità di discernimento, di selezione, perché privo di
carattere. Vuol compiacere chi lo comanda, non prova ardimento, solo
ossequiosa e ottusa obbedienza. Non provo alcuna soddisfazione nel
servire gente così. Il denaro che entra nel registratore di
cassa ad ogni suo acquisto è copioso e disgustoso. Lo trovo un
guadagno indegno, nessuno dei due ottiene ciò che desidera.
Infine, Lucius Malfoy. Crede non lo riconosca dietro quella orribile
maschera, nascosto sotto quella palandrana nera, ma dopo aver passato
anni a darcele di santa ragione nei tornei di Quidditch lo riconoscerei
anche dietro ad un muro. Topighiacci North Pole, i più forti (menta extra dry con un pizzico di lime, ventun falci a sacchetto).
Li amava anche da ragazzo, me lo diceva mio padre. Allora era lui a
venderglieli. Talvolta ho pensato che ne abbia mangiati così
tanti che alla fine, a forza d’ingozzarsi, abbia dimenticato come
si fa a rabbrividire. Ma quando arriva al bancone, silenzioso e
guardingo, penso che sia solo il suo corpo ad essere immerso nella
quiete totale. Ho l’impressione di sentire la sua anima,
rattrappita in un angolo, che trema terrorizzata, cercando di spezzare
le catene che la imprigionano.
Mi chino sul bancone, abbassando gli occhiali che avevo tirato fin
sopra la fronte. Tra un paio d’ore passerà Oswald per
ricevere le richieste per le forniture e sono in alto mare e Merlino
solo sa quante storie è capace di farmi se mi trova impreparato.
Sento il campanello tintinnare. È un giovanotto dall’aria
stanza e imbarazzata, come se sapesse che quello non è il suo
posto, il posto dove dovrebbe trovarsi. Capelli rossi scompigliati dal
vento che imperversa in città, occhiali tondi dalla montatura
pretenziosa. Mi rivolge un appena un’occhiata. Tiene stretto il
mantello mentre si aggira tra gli scaffali. Teme di urtare le ceste e i
pacchetti. Guarda le scatole senza vederle realmente. È triste.
Cammina a testa bassa, gli occhi sulla punta delle costose scarpe di
vernice. Indugia sulle Piume di zucchero (alla vaniglia, alla menta piperita e alle fragoline di bosco, undici zellini la confezione da tre pezzi), sfiora gli Sciroppi di Rosolio (classico alle rose, alle spezie orientali o al finocchio, sedici falci e dieci zellini la bottiglietta da cinque once), supera i Pallini acidi (al cedro o al cetriolo, due falci e dodici zellini l’oncia). Allunga la mano e la ritrae un attimo dopo. Nulla lo attira davvero, non sa cosa sta cercando.
Rimango al bancone. Tutti gli habitué sanno di potersi aggirare
tra le scansie quanto li aggrada, che sono liberi di domandare
informazioni quando preferiscono. È sbagliato fare pressioni
agli acquirenti: è come imporgli di fare una scelta, spingendoli
verso una decisione che non può dar loro pieno appagamento.
Torno a compilare la lista, scrutandolo da sopra le lenti.
Il giovanotto continua la sua perlustrazione, muovendosi in silenzio.
Intravedo lo stemma del Ministero sul mantello, ma non me ne preoccupo.
Non è qui per le ispezioni di routine né per quelle a
sorpresa. Gli addetti a questo genere di operazioni li conosco bene:
puntano dritti alla cassa, berciando che non hanno tempo da perdere e
che devono ispezionare il magazzino senza tanti complimenti. Questo ha
tutta l’aria di essere uno di quegli infelici passacarte che
vivono nell’ombra dei loro superiori, incapaci di levare capo per
esprimere la propria opinione.
Un pacchetto di Pipistrelli al caffè (tredici falci e nove zellini il sacchetto)
si posa sul bancone. Sollevo lo sguardo, incrociando per un secondo il
suo. Aggrotto la fronte. Ora che ce l’ho davanti, mi pare un
volto familiare.
«Tu eri a scuola con Alan» dico.
Trasale. Stava certamente pensando al altro, e udire la mia voce doveva essere l’ultima cosa che si aspettava.
«Sì. Eri nello stesso corso di mio figlio. Eri il suo Prefetto. Wendell… no, aspetta…»
«Weasley» mi corregge prontamente.
«Weasley, esatto. Percy Weasley» confermo io.
Ora lo rammento a dovere. È rimasto quasi uguale a cinque anni
fa, per colpa della miopia che avanza non l’ho riconosciuto
subito. Petulante e saccente, ritroso a volte, ma un bravo ragazzo, se
si aveva la pazienza di dargli retta per un po’.
Torno al suo acquisto.
«Una volta compravi i Ridacchiotti» osservo scettico.
Ridacchiotti ai mirtilli per l’esattezza (muffin ai mirtilli con una goccia di Pozione Esilarante, sette falci per sei dolcetti).
Fa spallucce, rovistando nel borsello in cerca di monete. Ho ragione.
È abbattuto e frustrato: le lentiggini spiccano evidenti sulla
pelle smunta. I tempi della scuola devono sembrargli lontanissimi.
«Sì. Ridacchiotti e Porcospini di melassa e mandorle, il pacchetto piccolo» riprendo.
(Sei falci e sedici zellini il piccolo, sette falci e otto zellini il grande)
Mi fissa sbalordito mentre li appello entrambi.
«Ah, davvero signor Flume? Non ricordo»
Mente. Se lo ricorda benissimo. Diceva che era l’unica spesa
sulla quale la madre non avrebbe mai avuto nulla da ridire. Trovava il
prezzo inadeguato, inferiore alla bontà di quei dolciumi, e date
le scarse finanze di famiglia, era grato al sottoscritto per non aver
mai messo mano ai prezzi, così che non li sprecasse.
Piega un po’ la testa, e noto quanto siano profonde quelle brutte
occhiaie violacee. Gli incarti semitrasparenti allettano il suo
desiderio, mostrando e nascondendo le piccole delizie disposte attorno
ai roditori caffeinomani, improvvisamente molto meno appetitosi. La
voglia di addentare quelle aluccie frementi scema rapida, se mai
l’ha provata.
Non capisce.
«Prendili» spiego.
«Non voglio comprarli. Solo i Pipistrelli»
«Non voglio che li compri. Te li sto regalando»
Pensavo fosse chiaro. Deve essere molto tempo che qualcuno non ha un gesto gentile per lui. È intimorito.
«Hai la faccia di uno che ha bisogno»
«Bisogno?»
«Sì. Hai bisogno di ritrovare un po’ di dolce nella
vita» rispondo, un po’ troppo paterno. «Vivere
nell’amarezza fa macerare l’anima, la scioglie e ci
dimentichiamo cosa significa essere felici. E di questi tempi, se non
riusciamo a tirar fuori un poco di gioia da quel che abbiamo intorno,
cosa ci resta?»
Ho fatto un discorso analogo ad Alan, qualche mese fa, quando le
condizioni di Irene si erano aggravate e lui si sentiva impotente e
sconfortato. Si stava abbandonando al dolore senza combattere, e la
cosa stava nuocendo ad entrambi.
«Si sbaglia, signor Flume. Io sto…» protesta
debolmente, lo sguardo ancora più basso, introvabile in quel
viso.
«Dico la verità, lo sai anche tu» insisto.
«Hai la faccia di uno che mangia sassi e ravanelli da mesi. Ti
serve un po’ di zucchero per cambiare sapore a questo periodo.
Fidati di uno che vive queste cose ogni giorno»
«Ma… veramente…»
«Prendili o te ne rifilo altri due pacchetti!» minaccio ammiccando.
«Mi… mi vuole corrompere? Perché sono del Ministero?»
Questa è davvero bella. È la difesa più inverosimile che abbia mai udito.
«Perché mai dovrei corrompere uno come te? Devo forse
migliorare la mia posizione presso i vostri uffici? Non mi pare»
esclamo divertito. «Su, su, giovanotto. Poche storie» e
metto tutto in un sacchetto prima che si opponga di nuovo.
Le monete tintinnano nel borsello di pelle.
«Qu- quant’è?» chiede esitante.
«Tredici falci e nove zellini»
«Tutto, in… intendo» balbetta.
«Tredici falci e nove zellini» ribadisco, questa volta più deciso.
Boccheggia, tenta di ribattere ancora, poi si risolve a contare le
monete. Me le porge, perfettamente ordinate in due colonnine. Falci da
un lato, zellini dall’altro. Tutte con la stessa faccia rivolta
in alto. Aspetta che verifichi l’esattezza dell’importo e
gli faccio il piacere di contarle una per una, deponendole nello
scomparto della cassa. Appena termino, afferra la busta e raggiunge la
porta prima ancora che possa salutarlo.
Riesco a seguirlo per i pochi passi che gli occorrono per Smaterializzarsi.
Lascio la pergamena ormai completa sul banco e raccolgo lo scatolone degli Scarafaggi.
Bessie mi darà dell’idiota quando le dirò
cos’ho fatto, con tredici falci e sedici zellini persi, ma sono
convinto di non averli affatto buttati. Un po’ di dolce nella
vita, può far miracoli.
|