Capitolo 2.
Il
loro pranzo fu ovviamente un
vero disastro, e durò solo il tempo
sufficiente al cameriere per prendere le loro ordinazioni,
terminando
con Holmes che, dopo aver dato
un
profilo di Mary che dire pungente sarebbe stato un eufemismo, si era
beccato da
questa un bicchiere di vino in pieno viso.
Decisamente,
doveva imparare a
mordersi la lingua invece
di parlare in certe
situazioni.
Anche
perché ovviamente Mary se
ne era andata, indignata, e il suo caro John l’aveva
accompagnata a casa.
Come
pensava, si stava già
allontanando da lui.
*******
Watson era tornato a casa nel tardo
pomeriggio, dopo aver
preso un tè con Mary ed i suoi genitori, con
l’intento di fare al suo
coinquilino un bel discorso autoritario su come avesse rovinato il loro
pranzo.
Difatti, si stupì di non trovarlo nella sua camera, a
suonare il suo adorato
Stradivari, o a fare folli esperimenti chimici.
Di lui non c’era traccia.
Dopo cena, quando stava seriamente
cominciando a
preoccuparsi, un agente di Scotland Yard bussò alla loro
porta, e lo
informò che il Signor Sherlock Holmes era
in prigione, per aver causato una rissa.
Prese la prima carrozza, ed in fretta
e furia arrivò alla
prigione.
La guardia, dopo
che
ebbe pagato la cauzione, lo accompagnò fino alla sua cella.
E lo trovò li, che
se la rideva, visibilmente ubriaco, o forse drogato, insieme agli altri
detenuti; sdraiato, con la testa poggiata sulle ginocchia di uno di
quegli
uomini.
“Holmes, puoi
uscire!” esclamò la guardia in tono piatto,quasi
infastidito, aprendo
la porta della
cella.
Quindi il detective si
voltò verso l’amico, esclamando un
“Watson!”,
sorridendogli, per poi alzarsi, stringendo la mano ad ognuno dei suoi
compagni
di cella, rivolgendo loro un “signori, è stato un
piacere conoscervi, sebbene
in questo luogo. Quando uscite andiamo a berci una birra!”.
Per poi camminare barcollante verso
l’uscita della cella,
mettendosi la giacca, mentre questi gli rivolgevano un
“Arrivederci Holmes!”.
Una volta fuori da Scotland Yard,
mentre attendevano una
carrozza che li portasse a Baker Street, Watson parlò,
preoccupato ed irritato
allo stesso tempo, prendendolo sotto braccio.
“Holmes! Lei non riesce
nemmeno a reggersi in piedi! Si può
sapere di cosa si è fatto??”
“Uhm… quesito
interessante Watson…” disse, guardandolo,
crollandogli poi addosso prima di rispondere.
Riuscirono ad arrivare a casa, e al
povero Watson si
presentò la sfida più ardua di tutte.
Le scale.
Per arrivare al loro appartamento
dovevano salire una rampa
di scale, 16 gradini per la precisione, cosa non molto semplice visto
che l’altro
si reggeva a malapena in piedi, e farneticava discorsi senza senso.
Maledì entrambi per non
aver trovato una casa al piano
terreno, dopodiché gli rivolse un
“Holmes, dobbiamo fare le
scale adesso”.
Ma non appena lo lasciò un
attimo, giusto il tempo di fare
un po’ di luce nel corridoio, il detective scivolò
a sedere sul primo scalino,
le spalle ancora incollate al muro, ridacchiando mentre, guardandolo
negli
occhi con lo sguardo reso spento ed acquoso dall’alcool, gli
rivolgeva un “Ma
io la amo Watson! Sono innamorato di lei! Non sposi quella
Grace!”
Watson sbuffò sonoramente,
alzando un sopracciglio.
Dopodiché, invocando tutta
la pazienza di cui disponeva, si
fece forza e se la caricò in spalla ,
cominciando a salire i primi gradini.
“Watsooon! Lo vuole
capireee?”, continuava
a dire Holmes, e questo fece uscire
nel corridoio Mrs Hudson, che li guardava con sguardo truce, ancora in
vestaglia.
Il medico se ne accorse, e si
fermò, voltandosi lievemente.
“Mi scusi! Non era mia
intenzione svegliarla! Holmes è
ubriaco, ma non si preoccupi, ci penso io. Torni pure a
letto…” le disse,
aggiungendo poi un “Buonanotte!” quando questa
torno nelle sue stanze,
sbattendo la porta.
Quindi riuscì finalmente ad
arrivare fino alla camera dell’amico, che
intanto continuava a ripetere “Watson
io sono…sono in-inamorato di…
di…”, non riuscendo nemmeno a terminare la frase,
abbandonandosi tra le invitanti braccia di Morfeo, mentre il dottore lo faceva ricadere
delicatamente sul suo
letto, coprendolo poi con una coperta.
Mentre nella sua mente si
materializzava una domanda, nel
vederlo in quello stato.
Ma perché, nonostante
conoscesse le sue ordinarie abitudine,
nonostante conoscesse il suo sregolato stile di vita, le sue pazzie
autolesionistiche dovute al suo genio, continuava a preoccuparsi per
lui?
Perché non riusciva a
stare bene, a sentirsi tranquillo, se
non lo vedeva veramente in se, come ogni volta che affrontavano,
insieme, un
nuovo caso?
E soprattutto perché non
lo aveva ancora mandato al diavolo,
andandosene, come avrebbe fato un qualsiasi altro individuo mentalmente
sano al
suo posto, ma anzi,
stava bene in sua
compagnia, scoprendosi veramente felice, tanto da saltare alcuni
appuntamenti
con Mary per seguirlo?
Non seppe, o forse più
semplicemente non volle, rispondere a
queste domande, quindi dopo
avergli
rivolto un ultimo sguardo preoccupato, con un mezzo sorriso dolce e
comprensivo
che gli increspava le labbra, si ritirò nella sua stanza,
mentre l’altro
mugugnava nel sonno un lieve “non la sposi, non mi lasci
solo…”.
Quella giornata
per lui era stata
veramente movimentata, e
arrivato a quel punto della
notte voleva
soltanto lasciarsela alle spalle.
To Be
Continued…
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