Yonbanme
Arisu Wa Futago No Ko
[Following
the small path through the forest, having tea beneath the rosebush
The invitation card from the palace was the Ace of Hearts.]
« Sono
arrivate delle nuove Alice ».
« Delle nuove
Alice, davvero? »
«
Sì. Sono due gemelli: Kagamine Rin e Len ».
« Oh, dobbiamo
inviare loro l’invito immediatamente! Chissà chi
dei due sarà la nuova Alice! »
« Le ultime
tre Alice sono state deludenti… Speriamo che loro riescano a
sopravvivere ».
Rin gli teneva la mano.
Intrecciate alle proprie, le sue dita erano piccole, morbide e calde.
Sua sorella non l’avrebbe mai ammesso, che era un
po’ intimorita dagli alti sempreverdi dalle foglie a forma
d’ago scure e profumate e dal silenzio che aleggiava nella
foresta.
La sua mano impercettibilmente tremante ed i suoi grandi occhi azzurri
screziati di curiosità mescolata all’inquietudine,
tuttavia, erano eloquenti quanto bastava perché il gemello
potesse intuire la sua irrequietezza.
« Forse dovremmo tornare indietro »
suggerì, istintivamente in un sussurro, poiché
spezzare quella solenne assenza di suoni sembrava quasi un sacrilegio.
« Non avrai paura, fratellino? » lo
canzonò la ragazzina, permettendogli di godere
d’uno dei suoi soffici sorrisi affettuosi. «
Continuiamo a camminare, per favore » lo pregò,
stringendosi ad un suo braccio, e premette la testa contro la sua
spalla. « Voglio restare con te soltanto un poco, da sola:
mamma e papà non capirebbero quanto ci vogliamo bene
» borbottò contro il tessuto della sua camicia,
ostinata, aggrottando la fronte.
Len tese la mano libera e le accarezzò dolcemente i capelli
biondi, tanto simili ai suoi ed al tempo stesso diversi, più
vellutati, più scintillanti, più belli, tanto che
infine non poté trattenersi dall’affondarvi le
labbra per baciarli. « Come vuoi, »
soffiò su quei fili dorati « ma poi dovremo
tornare ».
« Sì, lo so ».
Il mormorio mesto di Rin si mescolò alla consapevolezza che,
quando avessero fatto ritorno a casa, sua madre non gli avrebbe
consentito di starle vicino come poteva fare adesso che erano soltanto
loro due – lei glielo leggeva negli occhi, che quel che
provava nei confronti della sorella andava ben oltre il semplice amore
fraterno –, e gli fece anche più male.
« Guarda, Len, dei cespugli di rose! »
D’improvviso, la ragazzina sollevò il capo e gli
indicò una coppia di bassi arbusti cresciuti in una piccola
radura, sgombra dagli alberi quel che occorreva affinché le
rose potessero crescere baciate dal sole ed al contempo riparata dalle
loro fronde sempreverdi.
« Non è strano? »
Rin affrettò il passo, pur senza lasciargli andare la mano,
e lo condusse in quella direzione. Si chinò su uno dei
fiori, ne cinse delicatamente la base, laddove si congiungeva con il
gambo, ed accostò il naso ai suoi petali. La rosa profumava
di fiore e di fresco e spiccava attorno alla sua testa bionda al pari
d’un’aureola scarlatta.
« Rin, vieni qui ».
La voce di suo fratello proveniva dall’altro lato del
cespuglio: ridotta a poco più d’un sussurro,
pregna di meraviglia, echeggiò tra le foglie
dell’arbusto e la strappò alla contemplazione del
fiore.
La ragazzina compì un mezzo giro intorno al cespuglio e
trovò Len, che le dava le spalle, rapito da un bianco tavolo
rotondo, troppo piccolo perché vi si potessero sedere
attorno più di due persone, dove riposava un vassoio da the.
Dalla teiera di candida porcellana si elevava del fumo mescolato ad un
odore piacevole di the caldo.
« Forse qualcuno vive qui vicino? »
suggerì, avvicinandosi di qualche passo alla tavola.
Le tazzine e la teiera erano impolverate e la tovaglia aveva
l’orlo scucito, come se non fossero state usate da molto
tempo, eppure il the sembrava essere stato preparato da poco.
Da sotto la teiera spuntava timidamente l’angolo di quel che
doveva essere un foglio di carta.
« Rin, aspetta… »
l’ammonì il fratello, ma lei aveva già
scostato la teiera e portato all’altezza del volto quella che
si rivelò essere una busta sigillata da un cuore di lacca
gialla.
« Fratellino » disse, incredula. « Ci
sono scritti i nostri nomi ».
Il ragazzino le prese dolcemente un polso, di modo che gli accostasse
la busta per poter leggere il destinatario.
Ai sig. ni Kagamine Len
e Rin.
Poi vide la sorella che si accasciava su una delle sedie – e non erano più rose
rosse, bensì sangue cremisi, ad adornare i cespugli, gli
alberi e l’erba, creando un sentiero vermiglio che si perdeva
nella direzione dalla quale erano venuti.
Si aggrappò al bordo del tavolo, vomitò sul
servizio da the e si sentì mancare il respiro.
Ed il dorso della mano bruciava, come fosse stato ustionato.
[The fourth Alice
was twin children, entering Wonderland out of curiosity.
Passing through countless doors, they had only just recently come.
A stubborn sister and an intelligent brother.]
« Chi
sarà la prossima Alice? Chi sopravviverà a
Wonderland? Kagamine Rin o Kagamine Len? »
« La prossima
Alice? Io… non capisco. E…
dov’è Rin? »
« Tu vuoi
vivere, Kagamine Len? Se lo desideri, dovrai essere la vera Alice e tua
sorella il sacrificio: uno di voi due dovrà
obbligatoriamente morire ».
« Len! Len,
svegliati! »
Era dolce, la voce di Rin, malgrado fosse tinta
d’un’angosciosa preoccupazione, ed il suo fiato si
posava sul suo volto come una morbida carezza.
Len socchiuse gli occhi con lentezza, quasi faticosamente, e distinse
il sorriso sollevato della sorella a poca distanza dal proprio viso.
« R-Rin…? »
I contorni delle cose erano offuscati e la testa era immersa in una
nebbia dolorosa che gli impediva di ricordare che cosa fosse avvenuto,
tuttavia sapere che lei stava bene lo rasserenò.
« Fratellino, stai bene? » chiese la ragazzina,
stringendogli una mano.
Se stava bene.
Prima di rispondere, attese che il dolore al capo si attenuasse e che i
ricordi emergessero dalla nebbia che si diradava: Rin che gli teneva la
mano, cespugli di rose, un tavolo apparentemente preparato per un
festino del the, una busta chiusa da un sigillo a forma di cuore
indirizzata a loro, Rin che perdeva i sensi, il sangue che formava il
medesimo percorso che loro avevano inconsciamente fatto ed il respiro
che gli veniva meno, come se gli avessero schiacciato con violenza un
polmone contro la gabbia toracica. Infine una voce sconosciuta che
parlava nella sua mente di un luogo chiamato Wonderland e di una
ragazza, Alice, e gli chiedeva se voleva vivere.
« Credo… di sì » rispose,
stropicciandosi gli occhi.
Il suo sguardo spaziò tutt’attorno ed
incontrò i confini di una piccola stanza dal soffitto alto
quanto i pini della foresta – a proposito, dov’era
la foresta? –, delimitata da otto porte.
« Dove siamo? »
« Non lo so ». Rin scosse la testa e gli
mostrò il palmo d’una mano dove, impresso nella
carne parimenti una cicatrice, era disegnato un cuore dorato.
« Ne hai uno anche tu. Guarda ». Gli
indicò il braccio, affinché verificasse da
sé che diceva la verità, e poi una porta che
recava lo stesso simbolo inciso nel legno.
Sostenendosi alla parete contro la quale appoggiava la schiena, Len si
alzò in piedi e s’avvide che il tavolo che era
stato presente nella foresta ora si trovava in quella camera, sebbene
il fiele che aveva rimesso ed il vassoio d’argento fossero
svaniti.
La busta era stata aperta e quel che v’era
all’interno giaceva sopra di essa.
Il ragazzino tese una mano, esitante, e prese l’asso di cuori
che era stato il contenuto della lettera.
« Len… » Sua sorella gli tirò
una manica della camicia, inquieta. « Che cosa significa?
»
« Non lo so » ammise, malgrado avrebbe preferito
poterla rassicurare e dirle che andava tutto bene, poiché la
sua espressione intimorita e la sua voce tremante – e la
consapevolezza di non poterla proteggere da qualcosa che non conosceva
– lo addoloravano più d’ogni altra cosa.
« Ma forse, se attraversiamo quella porta, troveremo una
strada per tornare a casa » suggerì, scrutando il
battente contrassegnato dal cuore, e ripose la carta da gioco nella
tasca dei pantaloni.
« Su, vieni ». Le strinse le dita nelle proprie per
trasmetterle una decisione che in realtà non provava e la
condusse in direzione della porta.
« È meglio che tu resti qui »
osservò, quando il battente cigolò sui cardini,
sotto la spinta della sua mano. « Io andrò a
controllare che non sia pericoloso ».
« No » protestò la ragazzina.
« Non ho nessuna intenzione di farti andare da solo
».
« Rin, potrebbe essere… »
« Io vengo con te » l’interruppe Rin con
quanta più fermezza potesse ostentare nella sua paura.
« Voglio sapere dove siamo e perché ci troviamo
qui » aggiunse, ostinata, e, prima che Len potesse ribattere
ulteriormente, varcò la soglia della stanza.
Istintivamente, suo fratello tese un braccio e riuscì a
prenderle nuovamente la mano prima che fosse inghiottita
dall’oscurità oltre la porta.
La camera successiva era molto più piccola e stretta della
precedente, dal soffitto poco più alto di loro e spoglia,
eccezion fatta per sei battenti, dalle forme differenti: trifoglio,
rombo, cuore e quello che doveva essere un fiore che non riconobbero.
« Len, » mormorò Rin con un fil di voce,
precedendo il rimprovero che il ragazzino si apprestava a cominciare
« credi che ci sia stato qualcun altro qui, prima di noi?
Qualcuno che ha attraversato le porte che noi non sceglieremo, forse
».
« Non lo so » egli scrollò le spalle.
« Forse erano… altre Alice »
commentò fra sé, assorto.
« Altre Alice? » Sua sorella aggrottò la
fronte in un gesto perplesso. « Chi è Alice?
»
« Non lo so » ripeté il ragazzino.
« Credo… persone che sono state qui prima di noi.
Nel sogno che ho fatto prima di svegliarmi, la voce le chiamava Alice.
Diceva che noi siamo i prossimi ».
Che uno di noi deve
morire, rifletté, pur astenendosi dal
rivelarglielo.
Rin ridacchiò nervosamente. « Tu credi in quel che
dicono nei sogni, fratellino? » lo canzonò.
« I sogni non sono mai veri » affermò
con traballante fermezza. « È la nostra mente a
crearli: non sono la realtà ».
« No, hai ragione tu » concordò Len
– eppure a lui, quel sogno, non era apparso così
irreale. « È meglio se torniamo a casa »
tagliò corto, incamminandosi verso il battente a forma di
cuore.
Una seconda volta, l’attraversarono.
Non potevano fare nient’altro, dopotutto.
[They came the
closest to being the true Alice, but...]
« E dunque,
chi è la nuova Alice? »
« Ancora non
lo so. Sono vivi entrambi ».
« Nessuno dei
due è diventato la nuova Alice? »
« Per il
momento, no ».
« Potrebbe
essere pericoloso per noi se si trattenessero troppo qui: dobbiamo
ucciderne uno ».
« Ma chi dei
due? »
Rin si lasciò
cadere seduta sul pavimento dell’ennesima stanza. «
Sono stanca » si lamentò, stringendo al petto le
gambe doloranti. « Possiamo fermarci per un poco? »
« Dobbiamo uscire di qui » obiettò Len,
chinandosi e tendendole una mano per aiutarla a riportarsi in posizione
eretta. « Suvvia, sono sicuro che a breve troveremo
un’uscita » la rassicurò, ostentando una
speranza che non possedeva.
« Solo qualche minuto »
l’implorò la ragazzina. « Non ce la
faccio più ».
« Va bene, riposeremo un po’ » dovette
arrendersi infine il fratello, poiché, dopotutto, era molto
stanco anche lui; le si sedette accanto e le cinse le spalle con un
braccio, conducendo gentilmente la sua testa a posarsi contro il
proprio petto.
Nulla aveva senso, in quel luogo, ovunque fossero capitati: non avevano
fatto altro che varcare le soglie di innumerevoli camere, ognuna di
esse vuota, ognuna di esse con delle nuove porte che riportavano i
quattro simboli: trifoglio, rombo, cuore e quel che, che fosse per
rispettare le regole delle carte da gioco o per trovare un dettaglio,
per quanto piccolo, che accostasse quella situazione al mondo reale,
avevano ritenuto dovesse essere picche.
E tuttavia quanto era stato in grado di comprendere era soltanto che a
loro apparteneva il cuore, perché, quando avevano tentato,
gli altri battenti erano rimasti chiusi.
Ed ancora, Len temeva il sogno che aveva fatto – come poteva esistere un essere
tanto crudele da chiedere l’omicidio d’una persona
da parte del suo stesso fratello?
Così tante domande, nessuna risposta.
Socchiuse le palpebre, ascoltando il respiro regolare della sorella
contro il suo cuore.
Ed avrebbe potuto assopirsi, non fosse stato per i flebili singhiozzi
che, se dapprima erano eccessivamente deboli perché potesse
darvi peso, adesso si facevano strada nella sua mente, terrorizzati ed
infinitamente tristi.
« Len, » lo chiamò Rin sottovoce
« chi è che sta piangendo? »
« Proviene da quella porta ». Il ragazzino si
costrinse a sollevare a malincuore il capo e a guardare in direzione
del battente che recava il disegno d’un trifoglio verde.
Sua sorella si alzò in piedi e si accostò alla
porta. « C’è qualcuno? »
domandò, esitante.
Dall’altra parte della parete vi fu un singulto che avrebbe
potuto essere una frase e la ragazzina tese un braccio per bussare sul
legno. « Chi c’è? Che cosa ti
è successo? »
« A-aiuto… » sussurrò una
voce femminile. « Aiuto… per favore… Io
mi sto… consumando… »
Rin serrò le dita attorno al pomello del battente e lo
girò, tentando di spezzare la serratura che lo
immobilizzava. « Fratellino, vieni, » disse, senza
voltarsi « c’è qualcuno qui dentro!
»
E poi percepì una mano sulla spalla, che stringeva sin quasi
a conficcarsi nella pelle e penetrare sino alle ossa. La ragazzina
emise un gemito, lasciò andare la maniglia, strattonata
indietro da quello stesso braccio, e si volse, incrociando gli occhi
screziati di scarlatto di Len.
Gridò, atterrita da ciò che vide in quello
sguardo.
Non ebbe parole per esprimere l’orrore e lo strazio:
semplicemente, sapeva che aveva perso suo fratello e che ora
v’era l’anima di un assassino nel suo corpo di
ragazzo.
Infine vi furono il sangue cremisi e l’oblio nero.
E tuttavia, quegli occhi d’ambra offuscati dal rosso della
follia non l’abbandonarono mai.
[They
won’t wake from their dream.
They’re lost in Wonderland.]
« Oh, sembra
che alla fine non ci sarà nessuna Alice ».
Il cadavere pesava fra
le sue braccia stanche.
La testa era reclinata all’indietro, lo sguardo vitreo e la
bocca socchiusa in un atroce lamento erano rivolti al nulla. Di Rin
Kagamine, oramai, non era rimasto che carne per i vermi che dimoravano
nella sua salma.
E di suo fratello Len, nient’altro che un corpo svuotato
dalla pazzia e dal dolore, che attraversava Wonderland con il morto
stretto al petto e non trovava pace da nessuna parte.
« Che peccato, dovremo
attendere i prossimi candidati ».
Vaghi riferimenti a Meiko
ed Hatsune, la prima e la terza Alice - Kaito non ho saputo dove
infilarlo, devo ammetterlo, a parte che nei simboli delle porte XD - :
Meiko si riconosce nel cammino insanguinato che Len vede nella foresta
prima di svenire, mentre Hatsune è la ragazza chiusa nella
stanza dietro la porta che Rin ha cercato di aprire.
Le voci che parlavano tra loro - ed una volta con Len - dopo ogni
strofa della canzone appartengono al "piccolo sogno" che racchiudeva
Wonderland, da me diviso in due diverse entità.
Ed il titolo, preso dal testo giapponese translitterato, dovrebbe
significare "La quarta Alice erano due gemelli". Dovrebbe. Liberissimi
di correggermi, anzi, ve ne sarei grata.
E poi, niente.
Solo una piccola storiella a proposito della quarta Alice, Rin e Len,
che ripercorre le ultime strofe della canzone Alice Human Sacrifice.
Chu.
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