I personaggi
di questa storia sono tutti
maggiorenni e le vicende narrate non si collocano in nessun
momento specifico dell'anime o del manga.
La
storia narra esclusivamente situazioni inventate
dall'autrice e
sono senza scopo di lucro.
DIFFERENZE
SOSTANZIALI
Il Tenente Hawkeye si avvicina alla finestra e una leggera
brezza le colpisce il viso accaldato facendola rabbrividire.
Mi volto verso di lei e la vedo sorridere timidamente a
se stessa e al sole che la investe oltre i vetri socchiusi, prima di
inclinare
il viso e riavviarsi i capelli dietro l’orecchio.
E’ così raro vederla comportarsi come
una semplice donna
che quasi non la riconosco.
Ma è piacevole.
Molto piacevole.
Come il suo profumo che si espande nell’ufficio
trasportato dal vento
Lo inspiro forte: è vigoroso e frizzante, come
quello
dell’oceano in tempesta e mentre si china verso di me
indicandomi i documenti
più urgenti, non posso fare a meno di guardare il solco
morbido del suo seno
che si intravede dalla camicia sbottonata.
Adoro il periodo del cambio di stagione. Attendere le
disposizioni per le divise estive mi permette di poterla guardare senza
giacca,
con le maniche arrotolate sulle braccia esili, la gonna stretta.
Ci sono alti ufficiali che metterebbero a rischio qualunque
cosa pur di averla al loro fianco, ma lei è mia. Mi
appartiene da sempre.
Apro un altro bottone del colletto della camicia e
ascolto il rumore dei suoi tacchi che si avvicinano al tavolinetto
basso per
prendere la caraffa e versarmi un bicchiere di acqua ghiacciata.
Seguo i movimenti del suo corpo con la testa accarezzando
con lo sguardo le gambe che si piegano, la gonna che si tende, la
goccia di
sudore che le scivola sulla nuca.
E’ bellissima.
Si volta verso di me e mi scopre a fissarla con il mento
appoggiato sul palmo: solleva un sopracciglio tra
l’incuriosito e il sospettoso
ma in silenzio si avvicina nuovamente alla scrivania.
Il ghiaccio tintinna nel bicchiere e ondeggia
così come
il suo seno che mi riempie gli occhi.
So cosa vuole da me, non è mai stato un mistero.
Senza parole, solo uno sguardo e il suo nome soffiato
sulle mie labbra, basterebbero a farla inginocchiare tra le mie gambe
per
regalarmi il paradiso.
Per la prima volta da quando la conosco mi chiedo come
sarebbe sentire il suo seno stretto tra i nostri corpi, cosa proverei
ad
alzarle la gonna e a prenderla con forza.
E lo farei proprio qui, in quest’ufficio, su
questa
scrivania, tra l’odore dell’inchiostro e delle
divise inamidate.
Immagino la morbidezza della sua pelle mentre bevo dal
bicchiere che mi porge come se potessi dissetarmi di lei.
Vedo me stesso affondare il viso tra i suoi seni, sento
le sue braccia delicate sulla schiena, le sue gambe circondarmi e il
suo corpo
accogliermi in un incastro perfetto, come se fosse stata creata
appositamente
per me.
E profumo di buono, di eccitazione, di donna...unico,
inconfondibile e talmente dolce che un uomo non potrebbe mai
uguagliarlo.
Un uomo...
Socchiudo gli occhi al ricordo di un torace piatto, di
muscoli tesi e nervosi sotto la mia pelle.
Di rabbia espressa in morsi e baci così intensi
da
lasciare segni indelebili, di graffi sui miei fianchi dovuti al metallo
di una
gamba artificiale.
Di lui non ho alcuna memoria di carezze amorevoli,
nessuna tenerezza...nulla che non ricordi una lotta continua per la
supremazia
delle nostre due essenze.
Fare sesso con lui è come resistere ad un
uragano: mi
eccita e mi sfianca, distrugge le mie fondamenta e spazza via ogni
briciola di
me stesso.
Ogni volta sono in balia del suo vento furioso, mi
maltratta,
mi ferisce e poi sparisce nei silenzi con i quali mi circonda.
Sono stanco.
Non voglio un corpo che mi violenti, non voglio arti
metallici che mi schiaffeggino per aver osato desiderare un bacio o che
mi
graffino a sangue la schiena per aver sospirato piano “Ti
amo”.
I nostri incontri mi demoliscono fisicamente e
psicologicamente.
Ogni volta non resta mai nulla del nostro stare insieme,
se non i resti del mio cuore triturato nel palmo del suo automail e
l’odore
della sua pelle nelle lenzuola strappate.
Basta.
Ho bisogno di certezze semplici, di un corpo che io possa
scaldare e ritrovarmi tra
le braccia al
mio risveglio, di una voce che sospiri il mio nome nella confusione di
un
orgasmo, e non che lo maledica.
Guardo il Tenente Hawkeye sistemarsi i capelli: ha una
penna tra le labbra e mentre si infila una ciocca ribelle nel fermaglio
continua a leggere il documento appoggiato sulla scrivania.
Lei sarebbe perfetta.
La sua bellezza e il suo essere donna purificherebbero con
la sofficità dei suoi fianchi le mie assurde fantasie di
felicità, quelle in
cui appare un ragazzino insopportabile con la carne fusa
nell’acciaio...
Alza i suoi occhi nocciola su di me e abbozza un sorriso
smarrito.
Capisce che la sto guardando come non ho mai fatto e sa
con certezza che qualcosa è cambiato.
Mi ama da sempre e con il tempo anch’io saprei
amarla
come merita.
Si, è giusto così.
Mi allungo e le sfioro la mano sfoderando il migliore dei
miei sorrisi.
“ Tenente vorrei invitarla a...”
Il bussare pesante di un pugno d’acciaio contro la
porta
interrompe il mio tentativo di seduzione e mi si infila nella testa
come un
martello pneumatico.
La cosa mi irrita...quasi quanto vederlo entrare nella
stanza e grugnire quello che dovrebbe essere un saluto.
Avanza socchiudendo gli occhi sulle dita del tenente
Hawkeye che scivolano nervose dalla mia mano e improvvisamente il passo
della
gamba metallica aumenta d’intensità.
Lo fa apposta. Sa che non lo sopporto.
“ in questo ufficio fa decisamente troppo
caldo”
Pronuncia le parole con lentezza, masticandole tra i
denti, mentre aspetta sbuffando che io afferri i fogli che mi tende.
Una nota di rassegnazione mi oscura la mente: irascibile
già
dal primo mattino il piccoletto...e chissà perché
la cosa non mi
sorprende.
Ma oggi non ho intenzione di assecondare i suoi umori.
Lo ignoro sprofondando nello schienale della poltrona e
aspetto fiducioso che li poggi sul pianale della scrivania e che se ne
vada il
prima possibile, ma la mascella gli si indurisce e mentre me li
sventola
minaccioso davanti al viso mi sembra quasi di sentire i denti sibilare
sotto la
pelle.
Tutto deve essere sempre come desidera:
l’alchimia, il
sesso, persino io.
Maledetto ragazzino!
Aggrotto le sopracciglia e con un gesto esasperato glieli
tolgo dalla mano vedendo un pezzo di carta scivolarmi sulle gambe.
E’ l’angolo strappato di un quaderno a
quadretti e
scritto con la grafia nervosa di chi non ha tempo da perdere:
al solito posto.
Puntuale!!!
Lo rileggo un paio di volte e mi viene da ridere.
La sua presunzione mi diverte, ma è come
scherzare con un
serpente. Piacevole finché non ti morde.
Alzo il viso per congedarlo ma è voltato di
schiena e
fissa il tenente Hawkeye come se fosse qualcosa di disgustoso che gli
si è
appiccicato sotto lo stivale.
Gelosia?
No, assolutamente. Non abbiamo quel tipo di rapporto.
Con i polpastrelli seguo il lato strappato e ruvido del
messaggio. Perfino questo biglietto, non centra nulla con
l’amore.
Una frase fredda e anonima senza nessun
“tesoro” nessun
“ti aspetto” solo dei punti esclamativi che mi
ricordano la fretta con la quale
gestisce i nostri amplessi.
Io sono solo il tramite di un gioco crudele.
E’ annoiato, curioso, e vuole solo un corpo da
manipolare
per soddisfare una sessualità acerba che ancora non riesce a
gestire.
Non siamo amanti, non potremmo sembrarlo neanche volendo.
Non siamo nulla. Solo due corpi che condividono un
piacere impossibile da confessare.
Li guardo entrambi e non posso fare a meno di
confrontarli ancora una volta: il corpo di lei è armonioso,
sensuale da mordere
e da succhiare. Una culla soffice e accogliente per i miei pensieri e
per la
mia carne.
Il corpo di lui è spigoloso, ruvido, fallato.
Le sue unghie mi graffiano e i suoi denti mordono strati
di pelle così sensibili da piangere.
Sotto le sue carezze affrettate il mio corpo sanguina e
la mia mente perde ogni volta un po’ della sua
lucidità.
Lui è un veleno che mi corrode.
Nemmeno un pazzo oserebbe scegliere qualcosa che non
risulterebbe
piacevole neanche in un sogno.
La sua schiena si allontana ma quando apre la porta per
uscire
si attarda sull’uscio e mi fissa stranamente serio, come se
avesse capito dai
miei silenzi che non gli permetterò più di
paragonarmi ad una semplice sega
notturna.
No.
No.
Improvvisamente il suo sguardo muta nei miei occhi e la
differenza sostanziale tra lui e la Hawkeye, quella che mi confonde e
mi
cattura, mi appare chiara come un mattino d’estate.
Riconosco quello sguardo: è quello che mi mostra
solo
dopo l’orgasmo, quando diventa così caldo e
avvolgente da eguagliare la luce
del sole, quando posso baciargli le labbra sospiranti senza timore di
essere
colpito.
Sono gli occhi che avrebbe avuto se il destino fosse
stato più clemente, se la sua vita non fosse un continuo
rincorrersi di sangue
e morte.
Una debolezza sublime che mostra solo a me e a nessun
altro.
Una responsabilità che mi impone solleticando il
mio
orgoglio e il mio cuore e trasformandomi nella
sua vittima sacrificale.
Chiudo gli occhi e abbasso il viso sulla scrivania. La
mia resa è fin troppo evidente.
Sento la porta chiudersi
e gli unici pensieri che riesco a formulare sono:
“ stanotte riposerà
sul mio petto? Mi permetterà di accarezzarlo?”
No, non sarà così. Non è
mai così.
Ogni volta fugge come un animale braccato appena le gambe
smettono di tremare e il fiato cessa di essere il tumulto che lo scuote.
Infilo un guanto e mentre il foglietto nel posacenere si
circonda di fiamme alzando sottili spirali di fumo, la presenza del
Tenente
Hawkeye ritorna reale nel rumore dei suoi tacchi.
“Colonnello cosa stava per chiedermi
prima?”
Alzo appena lo sguardo su di lei.
I loro capelli hanno la stessa tonalità di
biondo, la stessa
lunghezza, ma sono sicuro che anche intrecciati in un letto, saprei
dividerli e
riconoscere quelli di lui ad occhi chiusi.
Rido di me stesso e di quella maturità che
dovrebbe porre
fine a tutto questo, ma tra le sue braccia sono un uomo diverso,un uomo
che non
avrei mai pensato di poter diventare.
Un uomo stupido, incosciente...innamorato.
Ascolto il mio cuore in attesa della notte e mentre
prendo una penna per firmare uno dei tanti documenti, le sorrido
debolmente
senza guardarla.
“...nulla d’importante Tenente.
Sarà per la prossima
volta.”
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