Cosa
c'è in
un nome?
Ciò che chiamiamo rosa
anche con
un altro nome
conserva
sempre il suo profumo.
(William
Shakespeare)
“Avanti Bella, dobbiamo
sbrigarci oppure faremo tardi come
al solito! Poi la senti tu quell’impertinente di segretaria
che ci dice quanto
il dottor Cullen sia impegnato e non abbia tempo da perdere nel fare
della
beneficienza a noi. Quindi, se evitiamo di far arrabbiare quella
gallina bionda
magari la prossima volta ci darà un orario più
semplice.”
Continuava a ciarlare, mia nonna, ma
io non volevo
ascoltare. Non volevo sentire le sue chiacchiere, perciò mi
risultava naturale
escluderla, non seguire il flusso dei suoi pensieri detti a voce alta.
Tante
persone a volte dicono le cose che gli altri fanno finta di non
sentire. Io
stavo dalla parte di coloro che non volevano ascoltare. Non sono mai
stata una
brava ascoltatrice, a scuola la maestra mi riprendeva sempre, diceva a
mia
madre che avevo spesso la testa tra le nuvole. A me piaceva
fantasticare, una
bambina di cinque anni poteva permetterselo. Non aveva problemi.
“Insomma Bella! Mi puoi
ascoltare per una buona volta?!”
Alzai lo sguardo verso di lei, ma non
riuscivo a vederla
realmente, perché il mio modo distorto di concepire la
realtà, il mio cervello,
ragionava su un piano totalmente diverso rispetto al suo. Anche se
avessi
voluto non sarei riuscita a risponderle a parole. Quindi feci un
semplice cenno
del capo. Affermativo. Lei mi sorrise, lo sentii, mi
abbracciò, salimmo in
macchina e partimmo.
Aprile
Le giornate di Aprile le trovavo
stranamente piacevoli,
restavo ore incantata ad osservare i piccoli miracoli della natura, i
colori, i
profumi, il risveglio di ogni cosa era visibile ovunque.
Questo accadeva prima.
“Isabella, dimmi, cosa
vedi”
Che richiesta banale questa, mi
veniva posta oramai da un
po’ di tempo. Ma il dottor Cullen era ostinato, davvero
ostinato, era
specializzato nei casi disperati. Sebbene non ne avesse bisogno, il suo
talento
salvava vite che valeva la pena salvare. Con me però si era
impuntato, ero
fermamente convinta fosse un capriccio bello e buono il suo. Oppure
sperava
davvero di far parlare me. Io che non parlavo ormai da dieci anni.
Dieci anni.
Aprile, era
il 21 di
aprile quando era successo, l’incidente che si era portato
via la mia vita.
Mi distrasse subito un profumo, lo
riconoscevo sempre, era
il preferito di mamma, perché lo usava sempre
papà il giorno di festa. Era
profumo di muschio bianco. Lo conoscevo bene quel profumo. La porta
dell’ufficio del dottore si aprì, lentamente, come
se l’intruso che stava
entrando non volesse disturbare. Lo sentii comunque. Si sedette dietro
di me,
nella poltroncina messa nell’angolo a destra. Conoscevo a
memoria l’ufficio del
dottor Cullen. Passavo molto tempo in sua compagnia, era stato pure
vietato
alla sua segretaria di entrare durante le sedute. Mia nonna non poteva
essere,
avrei riconosciuto subito il suo passo stanco, il respiro affannato
causato
dall’asma. No, era decisamente un estraneo. Chi voleva
assistere alla mia scena
muta?
“Isabella, non
preoccuparti, è il mio nuovo assistente, ed è
in ritardo!” sussurrò sorridendo il dottor Cullen.
“Mi scusi
dottore” disse la voce alle mie spalle. Mi
irrigidii immediatamente.
“Vedi Isabella, da oggi in
poi le tue sedute le farai con il
mio assistente. Dovrò assentarmi per un certo periodo dalla
clinica, ma non
voglio che tu ti senta abbandonata per nessun motivo. Ho la convinzione
che tu
possa tornare quella di prima, ma voglio che tu te ne convinca. Le
lastre sono
positive, l’operazione agli occhi è
fattibile.” Disse in un crescendo di
entusiasmo che contagiava solo se stesso. Io non avevo
possibilità, io non
potevo vedere i colori, i visi, le piante, il cielo, la pioggia. Potevo
solo
sentire. E quello che sentivo era buio.
“Posso?” sentii
sussurrare alla mia sinistra, la voce era
volutamente bassa e molto vicina. Come se avesse avuto paura di rompere
qualcosa, se avesse usato un tono leggermente più alto. Non
mi dava fastidio,
ma avrei preferito che avesse usato un tono normale, in seguito, lo
avrei
riconosciuto più facilmente.
“Certo, vieni,
così te la presento” sentii sussurrare il
dottor Cullen, poco prima di percepire uno spostamento
d’aria. Il profumo di
muschio bianco era più vicino. Sentivo solo quello. Poi una
stretta alla mano
destra, calda, sicura, forte.
“Piacere Isabella, io sono
il tuo nuovo terapeuta, il mio
nome è Edward”.
nota autrice: ho ripreso in mano
questa piccola storiella, rivedendo alcune cose tra cui il titolo,
prima SHADOW ora SIXTH SENSE, mi sembra più adatto. Posto
anche il secondo capitolo, ditemi cosa ne pensate e se ha senso
continuarla! ps. spero di non copiare nessuno e se succede non era
nelle mie intenzioni! grazie per il tempo che dedicate nel leggermi.
bacio. B.
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