Da morti è meglio
Quarta classificata al concorso Birthday's contest
e Vincitrice del premio "Miglior Trattazione del
Personaggio" indetto da Himechan sul forum di EFP.
Sto passeggiando tra le impervie e scoscese vie del Mekai, avvolto da quello che sembra essere un vecchio sacco: è
consunto, logoro e puzza di morto o patate marce, ma non mi è
d’aiuto sapere cosa contenesse in tempi migliori.
Non devo farmi vedere, a quest’ora dovrei essere a
riscuotere la mia quotidiana dose di frustate, e tra le braccia stringo
una cosa che non credevo avrei potuto trovare nel girone dei golosi
– visto che fa schifo –
se venissi beccato probabilmente
verrei
obbligato a mangiarmi questa prelibata e maleodorante leccornia. Piuttosto mi farei prendere a randellate sulle palle.
Il problema è che non dovrei portare questo schifo fuori dal
girone, o quest’inferno non sarebbe un inferno.
Non deve vedermi nessuno.
Devo prestare attenzione, solo un occhio indiscreto e finisco a spalare
per l’eternità le tonnellate di letame che Cerbero
ama
sparpagliare in giro. Quella bestia ha grossi problemi intestinali, e
credo che il tanfo che impregna questo posto sia da attribuire
completamente a lui. A volte questa puzza nauseabonda tira fino al
Cocito ed è terribile. Essendo bloccato nel ghiaccio con
entrambe le braccia, le mie povere narici sono sottoposte alla tortura
di quella puzza oscena. Non posso neanche dire di non meritarmelo.
A ogni ombra sussulto.
Io, Death Mask di Cancer, che sussulto… non sono
più lo stesso da quando sono morto.
Quando vedo un’ombra sin troppo familiare sfiorarmi la punta
del
piede mi acquatto tra le rocce. Se mi vedessero sarei finito e il
sadismo di Milo è niente in confronto a quello di questo
piccione troppo cresciuto e nervoso. Maledetto Minos.
Decido di tornare indietro e prendere un altro sentiero, tanto tutte le
strade portano al Cocito.
«Dove vai animella impaurita?» udii una voce alle
mie spalle.
Beccato. Avrei voluto rispondergli: “Animella impaurita? A
me? Al
grande Death Mask di Cancer?” e poi sfilarmi via il mantello
con
disinvoltura e spedirlo all’entrata del regno dei morti, ma
non
so cosa sarebbe potuto accadere se lo avessi fatto uscire da
lì
per spedirlo all’entrata di quella che è la sua
casa… sempre che sia per me possibile spedirlo fuori da qui.
Siamo tenuti sotto controllo e comunque alcuni di questi
stronzi
vestiti di nero sembrano provare simpatia nei miei confronti, magari
questo ammasso di ferraglia è uno di quelli che apprezza il
mio
modo di fare. Anche se siamo nemici non vuol dire che non ci sia
rispetto tra noi.
Alcuni mi rispettano, altri no.
Io non rispetto nessuno di loro, solo che non posso palesarlo.
Comunque il tizio aspetta una risposta.
«Death Mask di Cancer.» farfuglio da sotto la mia
cappa maleodorante.
«Oh, il cavaliere di Atena! Fammi controllare nel
registro.»
Aspetto che controlli il suo registro: una pergamena lunga un centinaio
di chilometri.
Lo sento lamentarsi che non riesce a trovare la lettera D.
«Ma tu non ci sei!» mi dice dopo
un’oretta di attenta
analisi. Nel frattempo mi ero seduto e quasi addormentato.
«Cosa!?» mi alzo e gli strappo l’elenco
di tutti i
residenti degli Inferi dalle mani e inizio a controllare i nomi uno per
uno.
Non esiste un numero che possa racchiudere tutti, siamo decisamente
troppi. È inutile, non figuro semplicemente.
«Pretendo di essere inserito
nell’elenco!» ordino
perentorio. Devo figurare in quel dannato elenco, se non figuro in
quell’elenco significa che non esisto e siccome esisto e non
sono
neanche tanto piccino da passare inosservato come Dohko, pretendo che
tutte le mie gesta siano catalogate in ordine di data sotto il mio nome.
«Se non figuri significa che non devi stare qui.»
mi dice.
«Forza, seguimi, ti porterò dal nobile Rune che
provvederà a trovarti un posto.»
No, no, no e ancora no.
Non voglio andare da quella carogna. L’ultima volta, ovvero
al
mio arrivo in questo posto, mi ha stritolato per un’oretta
buona,
elencandomi tutti i miei peccati. Gongolavo nel sentir narrare le mie
gesta eroiche, ma quella frusta divenne un po’ fastidiosa.
«Non potresti chiudere un occhio?» gli domando, con
lo
stesso tono con il quale gli avrei chiesto se aveva un fazzoletto.
Non tollero queste cose, io, Death Mask di Cancer, non chiedo la
pietà di nessuno. Non l’ho mai fatto, eppure ora
eccomi
qui, quasi costretto a prostrarmi ai piedi di un insignificante specter
solo per far passare una bella giornata a quello stronzo di Aphrodite.
Non che sia semplice nel Mekai fare qualcosa che non preveda una
tortura medievale, sia un momentaneo allungamento di arti sia spostare
massi enormi su per un costone roccioso con lo specter di turno pronto
a spingerti giù quando sei quasi in cima e dover
ricominciare tutto da capo. La cosa bella è la bestemmia
libera,
peccato in più o in meno non fa differenza. Ho tutta
l’eternità per rimediare, anche devo ammettere che
allungo
la lista ogni giorno di più.
Comunque vorrei che Aphrodite riuscisse a passare una giornata
tranquilla,
magari tra una tortura e l’altra o se possibile senza nessuna
tortura.
«Ma non volevi comparire a tutti i costi
nell’elenco?» mi chiede guardandomi in modo strano.
Dev’essere nuovo del girone.
«Sì, ma magari potremmo rimandare tutto a domani,
vedi, ho
una cosa importante da fare oggi e non ho tempo per andare da Rune e
farmi giudicare di nuovo. So già che sarò
condannato al
Cocito e non so perché ho come l’impressione che
si
aggiungeranno altri peccati alla lista e non verranno menzionati i
patimenti affrontati, per cui preferisco ricevere la mazzata di nuove
punizioni domani, quando avrò espletato il mio
compito.»
Lo ammetto, spero di rincoglionirlo a suo di giri di parole.
«Non posso. Cosa mi accadrebbe se uno dei giudici dovesse
scoprire che ho rilevato un’irregolarità
burocratica e non
l’ho denunciata?»
«Tu farai finta di trovarla domani
l’irregolarità.»
Ringrazio Atena di avermi fatto incontrare lo spectre più
stupido della storia degli spectre stupidi.
«Ma domani sono di turno al girone degli avari.»
Questo fantasmino è noioso quasi quanto Mu.
Cerco di convincerlo promettendogli un sacco di fesserie e lui sembra
stare al gioco. Parlo, parlo e parlo, come Mu. Forse ho capito il
perché di tantissimi blabla da parte del pecorone. Alla fine
il
nemico si stufa di ascoltarlo e si fa sconfiggere, non
c’è
dubbio. Ho imparato la strategia vincente a quanto pare.
Lo specter alla fine mi lascia andare. Domani dobbiamo incontrarci qui.
Ha detto che si sarebbe fatto cambiare turno di guardia da non ricordo
chi e quindi si sarebbe fatto assegnare allo stesso girone.
Credo che non sappia che neanche oggi sarei dovuto essere qui, ma non
è un problema mio, a me interessa solo raggiungere Aphrodite
che
dovrebbe essere quasi arrivato al Cocito dopo la seduta di bastonate.
Continuo a camminare, non posso fare altro e soprattutto questa volta
devo fare in modo che nessuno mi veda. Non credevo che
quest’anno
il compleanno di quell’idiota svervegese potesse somigliare
tanto
al precedente.
Dopotutto il pesce è il mio migliore amico e il fatto che
sembri una
donnetta non mi esime da questo. Con lui ho condiviso moltissime cose:
un tradimento, un’ammissione di colpa, un pentimento, due o
tre
dipartite, due o tre ritorni, un fantastico annullamento come fuochi
d’artificio per abbattere un muro apparentemente
impenetrabile.
Per la cocciutaggine di alcuni di noi, me compreso, avrei detto che
avremmo potuto benissimo abbatterlo a testate ottenendo lo stesso
risultato ed evitandoci la segregazione in un sassone brutto come la
morte per asfissia e poi uscirne misteriosamente fuori seza motivo
apparente.
Il problema principale era la mancanza di tempo,
Atena rischiava di salutarci per sempre e a contrario di ogni nostra
legge, ovvero che il bene di molti è maggiore di quello del
singolo, ci siamo praticamente suicidati perché cinque
sbarbatelli potessero salvare la dea. Anche il mondo, ma resta il fatto
che noi siamo morti, il fatto che io e altri lo fossimo già
non
conta, in dodici per salvare una ragazzina.
Le cose si erano messe male, non potevamo pensare a una strategia
decente. Io ero anche morto e a rigor di logica non potevo morire,
invece sono morto lo stesso, di nuovo. Dettagli, dettagli.
Come me eravamo morti in tanti: c’era Aphrodite che era
diventato
mio vicino di casa nel Cocito, c’era Shura che era si era
distanziato da noi di qualche passo per non sentirci
litigare, ma faceva un freddo porco e un po’ di calore umano,
o
spirituale, non mi sarebbe dispiaciuto, ma comprendere fino in fondo
l’animo di Shura è impossibile. C’era
Aldebaran
vicino a lui.
Sono venuti a trovarci Milo, Mu e Aiolia, ma Atena li ha riportati in
vita, lasciando noialtri lì e ci siamo potuti liberare per
soccorrere la dea solo quando il controllo sul Mondo dei Morti si
è allentato. È venuto a trovarci anche Seiya, ma
era vivo
e così com’è venuto se
n’è andato
lasciandoci lì a morire di freddo, ma ci ha lasciato anche
un
cadavere con cui coprirci. Bastardo.
Atena, la nostra dea, ha vinto contro il signore degli Inferi, ma visto
che il mondo dei morti non si può annullare, qualcuno ha
preso
in mano le redini del comando di questa terra e la manda avanti come se
niente fosse accaduto. Gli specter eseguono i loro compiti, come se il
loro Signore fosse ancora vivo, ma non possono assolutamente uscire da
qui. È come se anche loro stessero scontando qualcosa. Ma
fottesega di loro.
Il modo in cui Atena ha vinto è stato davvero una botta di
culo.
Devo però ammettere che come dea della Giustizia ogni tanto
fallisce, ma è ancora giovane. È anche colpa mia
se non
ha potuto prendere il suo ruolo di dea quando avrebbe dovuto, io ero
favorevole a toglierla dai giochi, ero dalla parte di Saga, che non
reputo più tanto forte o intelligente. Forse ero affascinato
dal
suo lato oscuro che tanto mi ricordava me.
Non che io sia mai stato cattivo, cattivo, cattivo. Mi piaceva
sottolinearlo ai nemici e me lo ripetevo spesso, forse per convincermi
più che altro. Più che malvagio direi di essere
stato
sadico bastardo privo di scrupoli. In battaglia scagliavo i miei colpi
con gioia, mi è sempre piaciuto combattere e misurarmi con
gli
altri, dopotutto sono sempre stato abbastanza competitivo, ma non
completamente idiota. Quando ebbi l’opportunità di
combattere due cavalieri d’oro assieme me la diedi
coraggiosamente a gambe, sapevo come sarebbe finita: io morto e quel
troll di Dohko assieme a quell’agnellone di Mu a saltare sul
mio
cadavere.
Va bene, magari non avrebbero proprio saltato sul mio cadavere, cosa
che invece avrei fatto io, ma non volevo diventare cadavere. Proprio
no. E mi diedi coraggiosamente alla fuga. Ah, bei tempi andati.
Ricordo ancora con piacere le battaglie contro i titani, quando tutti
si fecero un mazzo tanto e io e Aphrodite rimanemmo a fancazzare qui e
lì. E sì che mi sarei sentito a casa
nell’affrontare i Titani, ma magari Aphrodite non tantissimo.
Comunque ora sono morto, sono nell’Ade a rodermi il culo per
rimediare a tutti i peccatucci commessi e come se non bastasse dovrebbe
essere il dieci marzo (tenere il conto dei giorni da morti è
un
po' difficile, eh), quindi il compleanno di Nemo. Shura c’ha
abbandonato al nostro triste destino, salutandoci con la manina mentre
ascendeva all’Elisio… e io ricordavo che quella
mano
gliel’avessero cioncata via. Anche Aldebaran c’ha
lasciato
da soli, così come Sion che sembrava un uomo tutto
d’un
pezzo, ma ho scoperto delle cose riguardo alla sua giovinezza che mi
hanno lasciato di stucco. Non credevo che fosse umano, avevo sempre
pensato che fosse nato così come l’ho conosciuto,
senza
considerare che la saggezza che aveva probabilmente era stata acquisita
nei suoi millenni di vita precedenti.
Quello che adesso mi tormenta senza ragione è capire come il
Mekai continui ad andare avanti nonostante la dipartita di Hades, non
riesco proprio a capire la meccanica di funzionamento. Ma dovrei
smettere di pensarci, tanto fottesega,
non c'è pericolo che qualcuno decida di trasferirci tutti ai
piani alti, devo solo fare in modo che Aphrodite passi una bella
giornata,
non perché me ne freghi qualcosa di lui, ma gli devo la mia
salvezza spirituale, nel senso che grazie a lui che mi ha fatto
ragionare non ho dato del finocchio a Minos e non sono stato
violentemente marionettizzato. Offendere una delle figure
più
alte del Mekai è come andare di propria volontà
contro un
treno in corsa oppure convogliare dodici cosmi espansi al massimo sulla
punta di una freccia per poi molecolarizzarsi dopo
l’esplosione.
E avendo già fatto qualcosa di simile è meglio
evitare,
considerando che Minos è un pelo più sadico di me.
Ma volevo parlare del compleanno di Aphrodite, e lui detesta compiere
gli anni, anche da morto.
La sua leggera fissazione per la bellezza, e la sua continua ricerca
per queste cose un po’ frufru lo porta spesso a
dare in
velate escandescenze. Prima di morire come pesci rossi gettati nel
cesso, il suo ultimo compleanno fu terribile. L’idea di
invecchiare lo ossessionava, credo che preferisse morire. Infatti ora
è morto, quindi non dovrebbero esserci più
problemi.
Da morto non compaiono rughe o capelli bianchi e non capisco di cosa
diavolo si lamenti, io ci sono nato con i capelli bianchi e devo dire
che mi stanno divinamente. Ma tendo sempre a parlare di me,
sarà
che mi piaccio.
L’ultimo compleanno da vivo di Aphrodite è stato
peggio di
venti guerre sacre assieme. Non solo una settimana prima del fatidico
giorno è rimasto segregato nel suo tempio a convincersi che
compiere ventidue anni non fosse una cosa particolarmente tragica, che
in fondo era ancora nel fior fiore della giovinezza e che
finché
i ventinove anni sarebbero stati abbastanza lontani da non pensarci
tutto sarebbe andato bene. Io temevo il ventinovesimo compleanno del
Pesce, ma fortunatamente non ci sarà dato che è
morto.
Il timore maggiore, un anno fa, era quello di averlo isterico e
intrattabile per mesi. Aphrodite è un guerriero stupendo, si
muove come un idiota durante gli attacchi e lancia roselline a destra e
a sinistra, poi osa perculare me che mi muovo come un granchio, ma io
sono coerente. Sono Cancer e mi muovo come un dannato crostaceo, lui
è Pisces e si muove come una ballerina, qualcosa non torna.
Eppure è terribile.
Abbiamo, avevamo, le stesse idee riguardo al concetto di forza, anche
lui, come me, pensava che la giustizia potesse solo essere imposta con
la forza, dopotutto se mancano i controllori tutto rischia di andare in
malora e l’ho capito, ma solo perché Atena
è
più forte di noi (messi insieme oserei aggiungere). Solo che
il
pensiero di Aphrodite era leggermente più sofisticato, lui
non
cercava solamente la forza in battaglia, ma anche la bellezza, intesa
come purezza di sentimenti e stronzate del genere. Credo che per
bellezza in battaglia non intendesse vedere ettolitri di sangue da
tutte le parti, benché il rosso sangue sia un colore che
apprezza parecchio, ma più che altro la passione. In fondo
non
c’è niente di più bello che combattere
per il
giusto.
Solo che ha frainteso il concetto di giusto: ammazzare la dea non
è giusto.
Comunque, secondo Aphrodite, l’unica cosa per cui vale la
pena
vivere è la bellezza e la ricerca di questa. Immagino che
non
avere più un corpo che invecchia lo renda particolarmente
felice, dopotutto può mantenere il suo faccino
d’angelo
per l’eternità. Magari un giorno ci
sarà concesso
l’Elisio e non vuole sfigurare, se fosse rimasto in vita e
quindi
invecchiato, magari si sarebbe riscattato in vita arrivando al piano
superiore con l’aspetto di un novantenne.
Ma volevo raccontare del suo ultimo compleanno.
Casualmente cercavo di evitarlo, dopo quello che mi aveva fatto passare
durante il penultimo. Compiere ventuno anni era stato un trauma per
lui. Ma i ventidue sono stati equiparabili alla castrazione tramite
tenaglie arroventate.
Ricordo ancora la meravigliosa giornata che fu il dieci marzo
dell’anno scorso. Ero intento a concentrarmi sul suo cosmo,
pronto ad allontanarmi il più velocemente possibile nel caso
lo
avessi percepito uscire dal suo tempio, esattamente come facevo ogni
anno.
Shura, aveva imparato a fare lo stesso. Si rifugiava da Aiolos, prima
che morisse, e questa volta il bastardo non si pone il problema visto
che è riuscito a prendere l’ascensore per la pace
eterna.
So già che passerà il tempo a ciarlare con
l’amico
Robin Hood di quanto è felice di scampare il compleanno di
Nemo.
Stare all’inferno è già un inferno, ma
con
Aphrodite che compie gli anni riesce a essere peggio. Quella nacchera
mangiafagioli ha tutto il mio odio e la mia invidia. Voglio parlare
anche io con Aiolos, magari mi contagia in bontà.
Per tornare al discorso che avevo deciso di intraprendere,
l’anno
scorso Aphrodite mi ha trovato mentre tentavo di attraversare la casa
dei Gemelli. Ero deciso a passare una settimana in Sicilia e magari
rivedere il mio maestro e tirargli due pugni sul grugno o farmi
massacrare. Sarà stato vecchio e io sarò stato un
cavaliere d’oro, ma è a lui che devo il me
attuale, o
meglio, il me dell’epoca, ero così dannatamente
crudele.
Improvvisamente sentii vibrare l’aria attorno
all’orecchia
destra e vidi una rosa rossa piantarsi nel marmo davanti a me.
“Che ti si possa conficcare su un piede ed inchiodarti a
terra” pensai e mi voltai mostrando un sorriso sincero,
soprattutto sincero.
«Aphrodite! Ti stavo giusto cercando!» tante
smielatezze
dette con la speranza che se le bevesse, ma far fesso Nemo è
difficile se non lo si distrae con uno specchio, ma se è
incazzato non funziona.
«Death Mask di Cancer!» mi disse.
Quando è nervosetto tende a usare il nome completo,
compresi
onorifici e altro, ma ho scoperto qualche giorno fa che è
una
perculata. Quando inizia “Oh nobile cavaliere d’oro
del
tempio del Cancro” è perché
è incazzato come
una volpe finita con la zampa nella tagliola dopo aver saltato per
prendere un grappolo d’uva davvero acerbo. Ma dicevo: dopo il
gentil richiamo, con tanto di faccia corrugata – che poi lo
avrebbe fatto disperare per timore rughe – mi
invitò ad
accompagnarlo in Groenlandia.
Senza motivo apparente, Aphrodite aveva deciso di passare il giorno del
suo compleanno alla ricerca del maestro, probabilmente sperduto sulla
cima di qualche ghiacciaio del polo nord.
All’inizio fui titubante nel seguirlo, anche
perché
nessuno conosce meglio di me quell’infingardo giardiniere.
A vederlo non sembra pericoloso, ma anche dei piraña si dice
la stessa cosa.
“Non sembra pericoloso con tutti quei denti che sporgono, poi
guardalo, è lungo cinque centimetri, che male
potrà mai
fare?” e tutto questo prima di ritrovarsi con le ossa esposte.
Per convincermi ad accompagnarlo nel lungo cammino usò degli
argomenti validissimi: occhiata fredda, materializzazione di rosa
rossa, poi nera e infine bianca, ricatto “non mi hai fatto
gli
auguri e allora fatti perdonare lurido schifoso”. Con queste
motivazioni non ho potuto non accettare con un sorriso a novantotto
denti dipinto in faccia.
«Appena saremo in Groenlandia, per ringraziarti della tua
gentile
offerta, ti porterò a mangiare qualche tipica leccornia del
luogo, altro che cucina italiana, Cancer, ti leccherai i
baffi!»
Non ho avuto il coraggio di fargli notare che mi obbligava ad
accompagnarlo e che io avrei passato la giornata a contarmi i peli
delle braccia con entusiasmo maggiore, ma in fondo era il suo
compleanno, che cosa sarebbe potuto accadere di tanto negativo?
Niente, pensai. Che grossa cazzata.
Partimmo immediatamente per le calde e assolate coste della Spagna.
Volevo fermarmi un po’ a guardare i sederi dondolanti di
qualche
donzella del luogo, ma eravamo lì solo di passaggio e il mio
cicerone non mancò di ricordarmelo, dicendomi che in
Groenlandia
avrei potuto trovare donne molto più belle.
Non me lo feci ripetere due volte e in un battito di ciglia fummo in
Inghilterra. Poi in Irlanda.
Quando cominciai a pensare che Aphrodite mi stesse prendendo per il
culo mostrandomi tutta l’Europa, ci recammo in Islanda.
Lì si volle fermare perché non so che ricordo
avesse
legato a quell’isoletta, allora lo accontentai e lo seguii
annuendo in continuazione a ogni sua parola, ovviamente non ascoltai,
per cui mi accinsi ad assaggiare la prima leccornia senza sapere che
accidenti stessi per trangugiare.
Fu bellissimo, credo di non aver mai vomitato tanto in vita mia: ebbe
il coraggio di farmi assaggiare una cosa chiamata sorsidn
qualcosa[1].
Il sapore a dire il vero era delizioso, ma scoprire di che accidenti si
trattava mi uccise, quasi.
Dopo aver rivisto nuovamente i testicoli di montone pressati e averci
bestemmiato contro, lo vidi ridere.
«Tu non li hai mangiati.» notai con arguzia.
«Piccola vendetta, Cancer. Hai detto che erano buoni,
no?» mi perculò a dovere.
«Sono buoni finché non se ne conosce
l’origine,
vorresti che qualcuno mangiasse i tuoi testicoli pressati?»
domandai da strenuo paladino di tutti i rappresentanti di sesso
maschile dell’intero mondo animale.
Mi congedò con una risatina da vero bastardo, senza darmi la
soddisfazione di una risposta.
È un suo comportamento tipico, riesce a essere tanto
ambiguo da
spiazzarti, e quando si tratta di gabbasisi voglio che tutto sia chiaro
e soprattutto che stiano dove devono stare. Almeno i miei.
In quel momento cominciai a pensare alla salma di Aphrodite
orrendamente deturpata, con centinaia di persone lottare per arrivare a
strappargli via le uova con lo scopo di mangiarle.
Ricordo esattamente che feci una smorfia di puro disgusto e sputai il
residuo del sapore acido che avevo in bocca. Mi ero ustionato la gola,
accidenti ad Aphrodite. Giurai che me l’avrebbe pagata. Mi
fece
assaggiare anche una strana cosa bianca, morbida e dal sapore quasi
gradevole, ma non volli sapere né l'origine né il
nome.
Mentre gli facevo notare che era il caso di muoversi, mi fece notare a
sua volta che in fondo anche gli spagnoli mangiavano i testicoli del
toro.
Dal giorno ho iniziato a guardare Shura con occhi diversi.
Il freddo della Groenlandia mi fece dimenticare in fretta
l’abbuffata di testicoli di montone.
Davvero un bel posto. Pensare che quello stronzo aveva imparato a
usare il suo cosmo in quelle ghiacciate lande mi lasciò
turbato.
Non cresceva niente in quel posto, lungo le coste potei osservare
qualche forma di vita, ma poi niente che non fosse tanto piccolo da non
poter essere visto.
Fiori e ghiaccio, tsk, bell’accoppiata del cazzo.
Camminammo per chilometri, chilometri, chilometri e ancora chilometri
di nulla.
Gli speroni dell’armatura ogni tanto si incastravano nel
ghiaccio
e non solo mi dovetti sorbire le perculate di Aphrodite che mi dava
dell’incapace, ma dovetti lottare strenuamente contro il
ghiaccio
che cercava di inghiottirmi.
Tentai di spiegargli, con la calma che mi contraddistingue, che lui era
abituato a fare pattinaggio sul ghiaccio, io no. In Sicilia ero ben
lontano da ogni forma di acqua solida, a meno che non mi si portasse a
fare qualcosa nei pressi della gola del vulcano.
Ma non feci altro che far aumentare le perculate.
Riuscii a liberarmi per poi incastrarmi di nuovo al passo successivo.
Quella situazione iniziava a darmi fastidio, non potevo continuare a
camminare come se avessi un secchio attorno al piede.
«Togliti l’armatura» mi disse.
«Così riuscirai a camminare.»
Credo che non avesse ben chiaro il fatto che sarei morto senza
armatura. O forse era un velato tentativo di farmi fuori, non lo
saprò mai, ma ora sono morto e non ho certo paura di morire.
Mi
è già capitato di morire da morto, non credo che
possa
succedere ancora.
Spero, almeno.
Procedemmo ancora, diretti a Nord, quando mi venne un’idea
che definire brillante è poco.
«Visto che siamo approdati fin qui spostandoci alla
velocità della luce, pensi che sia da idioti continuare a
farlo?
Voglio dire: perché camminare a passo d’uomo se si
può procedere a passo di fotone?»
«Perché non ti godresti il paesaggio.»
Paesaggio.
Sì, ha detto proprio paesaggio. Guardai alla mia destra, poi
alla mia sinistra, alle mie spalle e di fronte a me.
L’unico paesaggio che potevo scorgere lo avevo davanti, e
Aphrodite non è un paesaggio. È uno stronzo.
«Lungi da me contraddirti, ma c’è solo
fottuto bianco qui intorno.»
«Cancer, sei lagnoso. Comunque siamo arrivati, vedi
laggiù?»
Guardai nel punto indicatomi. Peccato che non vedessi niente che non
fosse ghiaccio.
«Guarda meglio.»
Continuavo a non vedere nulla.
«Stai cercando di dirmi che non vedi quella colonna di
fumo?» mi disse stizzito, piccato e anche un filo incazzato.
«Certo che la vedo.» risposi, scatenando una lunga
serie di borbottii.
Camminammo verso il punto in cui si innalzava quel fumo. Era bianco,
esattamente come tutto il resto.
Dopo poche centinaia di migliaia di centinaia di migliaia di passi
arrivammo a una casetta, ovviamente bianca, perché credo che
al
polo nord la mimetizzazione sia tutto.
Aphrodite bussò un paio di volte, finché non
venne alla
porta un uomo con una lunga barba bianca. Altro che terra verde: terra
bianca semmai. Non c’è niente di colorato in
Groenlandia,
eccetto le coste, le coste pullulano di persone[2].
Ero felice che Aphrodite mi avesse obbligato ad accompagnarlo a
conoscere il maestro, mi faceva davvero piacere, come l'orticaria. Poi
scoprii che quell’uomo non era il maestro: era il fratello
del
maestro, che comunicò al mio parigrado la prematura
dipartita
dell’uomo a cui doveva la formazione e l'investitura a
cavaliere
alla tenera età di novantaquattro anni.
Nemo si dispiacque. Io fottesegai.
Dopo pochi minuti di silenzio, Aphrodite parlò.
«Va bene, tocca a tutti morire. Pazienza.» E
pensare che
credevo di essere io quello cinico e leggermente misantropo. Ma anche
Pisces non scherza.
Sinceramente a me cominciarono a vorticare in modo spasmodico le
gonadi. Significava semplicemente che avevamo macinato tutti quei
fottuti chilometri per niente. Niente maestro da salutare, un
compleanno rovinato, e io che avrei dovuto ascoltare le paturnie di
Nemo senza potermi sottrarre.
Salutammo il vecchio rincoglionito che propose ad Aphrodite di
candidarsi come Miss Groenlandia e seguimmo l’idea di
Aphrodite
di passare il resto della giornata a Nuuk, incontrastata capitale del
divertimento sfrenato e del gioco d’azzardo.
«Non possiamo andare al ristorante con le
armature.» suggerì brillantemente Nemo.
Tornammo al Santuario, ci cambiammo e in tre secondi (in
realtà
meno, ma stare lì a cronometrare i millesimi è
lungo e
noioso) eravamo di nuovo nella splendida metropoli che è
Nuuk.
Mi portò nel primo ristorante che ci capitò
sottotiro e
mi disse con tranquillità:
«Questo è uno dei pochi ristoranti di tutta
l’isola
che serve il kiviak anche dopo il Natale. Sai, è un piatto
tipicamente natalizio, ma sono sicuro che lo adorerai.»
Annuì con poca convinzione nel guardare il menù,
chiedendomi se lo stessi tenendo al dritto.
Mentre pensavo, Aphrodite me lo strappò di mano, lo
girò e mi diede dell’ignorante.
«Ordina tu per me.» gli dissi, visto che ci teneva.
Il
menù avrei sempre potuto dedurlo brillantemente in seguito
ordinando tutto. «Visto che è il tuo compleanno,
ti do il
permesso di pensare al mio sostentamento.»
Rise.
Ebbi paura.
Rise ancora.
Mi guardai intorno. Il ristorante era semi deserto, io risaltavo in
particolar modo per la mia abbronzatura e una ragazza mi fece
l’occhiolino. Gongolai finché non mi venne servito
questo
famoso kiviak.
Ebbi l’impressione iniziale di trovarmi davanti a un pezzo
di
formaggio stagionato almeno per tre-quattro secoli. Guardai il mio
piatto e poi quello di Aphrodite.
Aveva ordinato la stessa cosa per entrambi.
Lo vidi chiaramente leccarsi i baffi e strofinarsi le mani pronto a
tuffarsi in quello che sembrava l’incrocio tra un pezzo di
carne
putrefatta e un pessimo formaggio andato a male.
«Buon appetito, Cancer!» trillò lo
stronzo.
Lo imitai, afferrando coltello e forchetta.
«Tagliagli via la testa, è un po’
velenosa.»
disse mentre rompeva con delicatezza quello che credo fosse una spina
dorsale. Ebbi, in quel momento, la certezza di trovarmi davanti a un ex
essere vivente.
Almeno mi avvertì della tossicità di qualunque
cosa stessi per mangiare.
«Ah, assicurati che assieme alla testa vengano via le
budella.»
Strabuzzai gli occhi e me lo feci pulire da lui.
«Posso mangiarlo ora o devo tagliargli via qualche altra
parte
potenzialmente pericolosa?» chiesi storcendo la bocca al
pessimo
tanfo che quel piccolo cadavere emanava.
«Mangia e saziati, cavaliere!»
Obbedii disgustato. Pensavo di aver già mangiato la cosa
peggiore del mondo in Islanda, ma sbagliavo.
A contrario, Aphrodite sembrava contento e degustava con somma gioia
ogni singolo pezzetto di carne. Solo quando uscimmo dal ristorante, lui
massaggiandosi la pancia soddisfatto e io desideroso di infilarmi due
dita in gola, ebbi il coraggio di domandare cosa fosse esattamente il
kiviak e, grosso, grossissimo errore, con quale procedura si preparasse.
«È carne di un uccello molto simile al pinguino,
la
preparazione è semplicissima ma lunga.»
iniziò.
Ringraziai che non parlasse con le mani come facevo io, anche le
movenze nella descrizione sarebbero state troppe da digerire,
soprattutto assieme a quella pessima pietanza.
«Vedi, è molto semplice: acchiappi
l’uccello, lo
ammazzi, lo avvolgi nel grasso di foca e lo metti sotto terra con un
peso sopra per sette mesi. Poi si presenta esattamente come hai
visto.»
Sentii le guance gonfiarsi, ma mi trattenni. Ero nel bel mezzo della
pubblica via, un italiano che vomita in un angolo non è una
buona pubblicità.
«Aphrodite…» rantolai tenendomi lo
stomaco vibrante. «Mi hai fatto mangiare carne
decomposta?»
«Sì. Buona, eh?» Sorrise.
Solo quando tornammo al Santuario ebbe il buon gusto di svelarmi che
quell’altra pietanza che mi aveva fatto mangiare in Islanda
assieme ai testicoli di montone altro non era che carne putrefatta, poi
affumicata, di squalo. Credevo fosse urina condensata a giudicare
dall’odore. Ma il sapore non era male.
Giurai di evitare tutti i compleanni a venire di quel pesce nordico,
poi Atena venne a reclamare il Santuario e morimmo.
Ora, nel Mekai, siamo rimasti solo io e lui. O almeno, qualcuno ogni
tanto si vede, ma prevalentemente io e lui siamo stati quelli che si
son pentiti meno degli altri. Anche Saga lo incrociamo spesso. Kanon
è fisso da noi, così impara a perculare due
divinità.
Finalmente sono di nuovo al Cocito, la mia nuova casa. Aphrodite sta
blaterando con Kanon, aspettavano me per mettersi nuovamente sotto lo
strato di ghiaccio e aspettare l’alba del giorno dopo (non
c’è sole nel Mekai, vorrei sapere di che alba si
tratta)
tra una parola e i denti che sbattono.
Mi libero del mantello che ora so di che puzza e chiamo Aphrodite da
una parte.
«Cosa c’è?»
«Auguri, buon compleanno, questo è per
te.» gli dico lanciandogli addosso il suo regalo.
Lo afferra al volo e sorride.
«Non ci credo!!» esclama annusando quella
prelibatezza. «Come hai fatto a procurartelo?»
«Credo che ci sia qualche goloso che viene dalle parti tue
ghiotto di questa porcheria. Sottrarlo non è stato
difficile,
però vorrei che lo mangiassi in un posto preciso.»
gli
dico, facendo finta che non mi interessasse averlo fatto felice.
«Dove vuoi che lo mangi?»
«Seguimi.»
In tutto l’inferno c’è solo un posto
dove crescono i fiori ed ero deciso a portarcelo.
«Qui ti sentirai a casa.» sussurro appena schiaccio
il primo fiore.
«Ma in fondo mi sento a casa anche nel Cocito, il freddo
della
Groenlandia è simile.» dice guardandosi attorno.
Non vuole
darmi la soddisfazione di averlo sorpreso.
«Sì, ma non ci crescono questi aborti colorati che
tanto
ti piacciono. Non ci sono rose ma accontentati.» gli dico
sedendomi in mezzo a quel turbinio di puzze strane.
Aphrodite mi si accuccia accanto, stacca con minuzia certosina la testa
del pennuto e sfila via le budelle con maestria, come aveva fatto al
ristorante, anche se immagino gli dia fastidio mangiare con le mani.
Appena preparato l’abominio, me lo porge.
«Ne vuoi un pezzo?»
«Neanche morto!!» esclamo schifato.
Ho già trattenuto quell’abominio nel mio stomaco
una volta, e non ho intenzione di ripetere.
«Ehm, Cancer, non per contraddirti… sei
morto.» mi
dice serio. E ha ragione. «Poi è il mio
compleanno,
potresti anche sforzarti.» e mi guarda con quegli occhi da
triglia appena pescata che solo lui è in grado di fare.
Atena,
quanto lo odio.
Mancano poche ore a domani. Se resisto abbastanza non potrà
più costringermi a ingurgitare pinguini decomposti.
«Ma hai visto che non crescono neanche i tulipani in questo
posto? Chissà come mai.» dico, nel tentativo di
distrarlo.
«Ehi, faccia da culo, non cambiare discorso e accetta
l’invito.»
«Guarda! Le margherite!» dico, indicando un punto
casuale di quel postaccio.
Solo poche ore, ancora poche ore…
**
[1]
Súrsaoir hrútspungar. Non ho la minima idea
di come si pronunci, e a quanto pare lo stesso vale per Cancer.
[2]
Death Mask parla a vanvera come sempre, e nel caso che a qualcuno
fregasse qualcosa: Nuuk è la capitale della Groenlandia e
conta più di 17.000 abitanti. Non moltissimi di
più, eh.
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Belli i bannerini, vero? Li adoro.
Tanto per lasciare due righe, è un po' in continuity
e un
po' no, è abbastanza surreale anche per il mondo di Saint
Seiya
e... e niente, non lo so. L'idea mi è venuta guardando un
documentario che vedeva protagonisti tutti i piatti più
immangiabili di sempre.
Grazie a tutti coloro che leggeranno e vorranno lasciare un parere.
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