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Autrice: Melanyholland
Summary: Ci conosciamo da
anni, facciamo tutto insieme ma… lui è lontano. Irraggiungibile. C’è come una
barriera, fra me e lui, fra lui e il mondo, che mai sono riuscita a infrangere.
Rating: giallo
Note: una fic che ci ha
messo un po’ a passare dalla mia mente alla pagina word; di solito non scrivo
storie su DC di genere drammatico/malinconico, ma questa si è annidata nel mio
cervello finché non l’ho buttata giù. Spero che vi piaccia.
Disclaimer: tutto di
Gosho-sensei. Ma lo sapevate già, vero? ;)
Feedback: vi sarò grata
di qualsiasi recensione vogliate lasciarmi, positiva o negativa, corta o lunga.
L’importante è sapere che ne pensate. :)
Prisma
Prisma = Fig. Filtro
ideale o emotivo che ha il potere di alterare e modificare una realtà percepita.
(dal dizionario on-line “Hoepli”).
Io e lui ci conosciamo da quando
eravamo piccoli.
È sempre stato al mio fianco,
contento, triste, strafottente, insicuro e coraggioso. La prima persona a cui
penso quando sono nei guai, il primo ragazzo per cui il mio cuore ha battuto
forte.
Il mio migliore amico.
La mia famiglia.
So che in molte mi invidiano per
questo, vorrebbero essere al mio posto. Lui è così carino, con quegli occhi blu
sinceri e brillanti, quei capelli bruni che non vogliono mai stare al loro
posto, quel sorriso disarmante. Non solo, è un eroe, agli occhi di tutti: spesso
compare sul giornale per aver sventato un furto, incastrato un assassino,
salvato delle vite. Il più grande teenager-detective che esista, così proclamano
i titoli a caratteri cubitali, così esclamano i nostri compagni di classe, così
credo io nel mio cuore. Molte ragazze del liceo Teitan hanno una cotta
per lui, e credo che sia così anche in altri istituti superiori e in qualche
scuola media.
E vorrebbero essere me, che con
tanta disinvoltura cammino al suo fianco, rido con lui, lo prendo perfino in
giro. Qualche volta mi capita di sentirmi dire quanto sono fortunata.
Ma si sbagliano.
Gli ho sempre voluto bene. Lo
amo, anche se non sono mai riuscita ad esprimerlo ad alta voce. Tutti pensano
che siamo molto vicini, ma non è così.
No. Per niente.
Ci conosciamo da anni, facciamo
tutto insieme ma… lui è lontano. Irraggiungibile. C’è come una barriera,
fra me e lui, fra lui e il mondo, che mai sono riuscita a infrangere. Anche solo
a capire.
Non che mi tratti con freddezza
o distacco, tutt’altro. È spiritoso, gentile e pieno di premure e sorrisi nei
miei confronti.
Ma non credo che lui mi dica
davvero cosa prova. A volte mi capita di guardarlo quando è distratto, e allora
non sorride, non sorride mai. In quei momenti, i suoi occhi sono pieni di
desolazione e c’è una gravità, una pesantezza intorno a lui che non trapela
quando si pavoneggia davanti alle macchine fotografiche o ride a una mia
battuta.
Come se un peso tremendo lo
stesse schiacciando.
Come se qualcosa lo stesse
divorando da dentro.
Come se stesse soffocando e
consumando se stesso in una stanza senza uscite.
Vorrei aiutarlo, capire cos’è
che lo fa soffrire così tanto e abbracciarlo e consolarlo e incoraggiarlo e
salvarlo, come tante volte ha fatto lui con me, affrontando criminali
spietati, armati. Perché vederlo così non solo mi fa star male, ma mi spaventa,
tremendamente; mai nella mia vita ho conosciuto qualcuno più coraggioso di lui,
più forte, e se c’è qualcosa che lo distrugge così, allora ho il terrore di
scoprire cosa sia. Qualunque sia stata la situazione in cui si è trovato, lui ha
sempre reagito, sempre. È il tipo di persona che non si arrende mai, che lotta
con tutte le sue risorse per salvare se stesso e chi ama. Ma allora cos’è che lo
sta divorando, cosa?
“Cosa?”. Mi guarda con aria
confusa, ma so che ha capito. Vedo un’ombra velare l’azzurro, prima che i suoi
occhi s’ingrandiscano, carichi di un’ingenuità un po’ infantile. È bravo a fare
il finto tonto, ho notato.
“Non mentirmi. Lo so che c’è
qualcosa che non va. Ti prego, dimmi cos’è”. E lo sto davvero implorando.
Dimmi cos’è, perché vederti morire a poco a poco sta uccidendo anche me.
Questo vorrei dirgli, ma non posso. Dio perdonami, sono una schifosa codarda, ma
non posso.
Sorride dolcemente, guardandomi
con affetto, una di quelle espressioni che nonostante tutto il tempo passato mi
fanno ancora arrossire. Si avvicina e mi accarezza i lunghi capelli bruni,
sfiorando con la punta delle dita la guancia.
“Non ti devi preoccupare.”
sussurra.
“Ma-“
“Sei sempre stata troppo
apprensiva!” ride leggermente, ma i suoi occhi sono seri, lo vedo. “Ingigantisci
le situazioni fino a deformarle totalmente. Sì, sono un po’ crucciato da un caso
importante che non riesco a risolvere, ma è tutto qui! Chissà cosa sei andata a
pensare tu, invece!”.
Un caso. Solo un caso. Che abbia
ragione, che sia io quella esagerata? Vorrei credergli, sto per credergli,
perché mi fido di lui, perché non voglio vederlo stare male, perché mi piace
pensare che il nostro rapporto sia profondo e sincero.
Ma ci sono i suoi occhi a
contraddirlo, occhi fatti per vedere la verità e che non sanno dire il falso.
“Sei un bugiardo!” lo accuso
sottraendomi al suo tocco, e lui sussulta per l’improvviso urlo. Sento le
lacrime che imperlano le mie ciglia deformando un po’ l’immagine del suo volto,
ora sbalordito.
“Ma perché fai cosi? Non ti fidi
di me, è questo?”.
Sospira, sconfitto e il suo
falso sorriso scompare, mentre la bocca si uniforma al sentimento che esprime il
suo sguardo. Vederlo così demoralizzato mi stringe il cuore e vorrei non aver
urlato così. Ma non voglio ritrattare, questo no. Devo sapere.
“Mi dispiace.” mormora
solamente, così piano che a stento riesco a sentirlo. “Ma io non posso…”,
deglutisce, stringendo i pugni. “Non posso. Non è colpa tua. Lasciami stare”.
Si volta per andarsene. Ormai
non riesco più a bloccare il pianto e mi sento una completa idiota quando la
confessione sfugge dalla mia bocca, incontrollabile.
“Ma io…io ti amo!”.
Lui si irrigidisce
improvvisamente. Un’eternità passa tra noi mentre la frase si fa sempre più
pesante nel mio cuore, un ferro ardente che ustiona i tessuti.
Lui non si gira a guardarmi.
Forse è questo che mi fa più
male. Più ancora del suo ultimo “Mi dispiace” prima che lasci definitivamente
l’aula vuota, mollandomi lì, distrutta, mentre dalla finestra trapela l’ultimo
fioco raggio di sole del giorno.
*
“Sei un bastardo.” Ai Haibara
parla con voce fredda, ma sento la rabbia palpitare in ogni sua parola come una
cosa vivente.
“Che cosa avrei dovuto dirle?”
ribatto furiosamente, sprovvisto del suo naturale autocontrollo. Sto male
anch’io per come sono andate le cose, ma non sapevo che altro fare. Darei metà
della mia abilità investigativa per avere un briciolo di competenza negli affari
sentimentali, ma non ce l’ho. “Che la amo anch’io? Dovevo darle un bacio?”.
Haibara non risponde, guardando
altrove.
“Quand’è il lieto evento?”
chiede, disinvolta. Lei sa bene come farmi male.
“Lo sai.” ribatto con un tono
che spero suoni indifferente, stringendo però i pugni nelle tasche tanto da
sentire le unghie nella carne. “Sabato prossimo.”
“Ci andrai, vero? Ma certo che
ci andrai… e magari ballerai anche con lei, dopo. L’ultimo ballo. Il drammatico
addio”. Il suo tono pungente e divertito mi fa ribollire il sangue. “Sei così
melodrammatico, Kudo-kun!”.
“No chiamarmi così.” la
ammonisco in tono brusco. Haibara sorride, soddisfatta di essere riuscita a
cogliermi sul vivo. Vorrei poter cancellare quel suo odioso sorrisino urlandole
che non ci andrò, ma sarebbe inutile. Sappiamo entrambi che ha ragione.
Sospiro, mentre la collera
defluisce lasciandomi solo desolatamente vuoto. Era quasi stato bello poter
provare qualcosa per un po’, anche se un sentimento così negativo.
“Le parlerò, domani. Cercherò di
rimediare.” la rassicuro.
“Sarà meglio per te.” giudica
lei, annuendo. “Beh, allora ci vediamo…Conan Edogawa”.
Si allontana, i capelli biondi e
la gonna a pieghe azzurra della divisa che ondeggiano cullati dalla prima brezza
fresca della sera.
Sì. Domani parlerò ad Ayumi e
cercherò di correggere lo sbaglio che ho fatto oggi. Non era mia intenzione
farla soffrire, le voglio bene, ma come a una sorellina. Non potrebbe essere
altrimenti. E, come ha profetizzato Haibara, accidenti a lei, andrò ad assistere
al matrimonio di Ran. Sono sicuro che sarà una sposa bellissima. Sento una fitta
rovente di dolore al petto pensandolo, ma non posso farne a meno.
Voglio la sua felicità. E la sua
felicità è anche vedere l’adorato ‘fratellino’ il giorno delle sue nozze, quindi
ci andrò.
Ballerò con lei.
Così forse, anche se per un solo
istante, anche se sarà solo un’illusione, mi sentirò come se fosse il nostro
matrimonio.
E per un attimo fugace mi
ricorderò cosa significa essere felice.
FINE
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