SUNSET
OF SUN AND DREAMS
Non
so perché
ho deciso che questo fosse il posto giusto.
So
che lo è e
basta.
Sapevo
che
dovevo venire qui.
Un’ora
fa ho
lasciato tutti i miei compagni alla casa discografica, ho inforcato
bici ed
occhiali da sole, e mi sono diretto qui, alla luce del tramonto,
perché questa
cosa la devo fare ora e non so perché.
Ma
so che è
giusto così.
Guardo
per
un’ultima volta quello che ho in mano e che nel giro di poco
finirà nella baia
di Los Angeles.
E’
solo carta.
Solo
fogli.
Due
fogli
stampati e rovinati, deturpati da un’impronta di una scarpa
infangata su una
facciata.
Li
fisso per
un attimo.
No,
non è
soltanto cellulosa conglomerata. E’ ben di più,
tanto di più.
Non
è solo
polvere di toner appiccicata, è molto di più.
Non
sono
soltanto parole quelle scritte, è troppo di più.
Così
tante
cose… eppure li ho trovati per caso.
Li
ho scovati
una mattina sotto un sedile del tourbus, il giorno in cui dovevamo
lasciarlo e
abbiamo fatto un giro di ricognizione, io e Shannon, per controllare di
non
aver scordato nulla. Erano incastrati nella rotaia di una poltrona,
ancora
umidi della pioggia dei giorni prima, spiegazzati e calpestati, e
quando li ho
tirati via, uno dei fogli si è strappato quasi a
metà e un pezzo di carta è
rimasto dentro la rotaia, incuneato, sbriciolato, impossibile da
recuperare.
Li
ho guardati
per un attimo, rigirandoli tra le mani, e poi, perplesso, li ho dati a mio fratello:
“E’ roba tua?”, gli ho
chiesto, curioso.
“Ehm…
no… sì…”,
ha risposto, stranamente imbarazzato, prendendoli in mano e
sbirciandoli.
“No
o sì?”
Shannon
ha
annuito, convinto ma non troppo: “Sì.”
“E
cosa sono?”
Lui
ha fatto
spallucce e poi ha guardato un attimo i fogli, come a leggerli, con uno
strano
sguardo: “E’ una cosa che mi ha dato una
ragazza… l’altra sera a Milano. Sembra
che sia un racconto su di me. Una cosa che chiamano fan
fiction.”
Ah
sì, ne ho
sentito parlare. Sono racconti che le nostre fans scrivono mettendo noi
(e
anche sé stesse) come protagonisti, in tutte le salse
possibili ed
immaginabili. Mi è capitato, tempo fa, anche di leggerne un
po’, nei siti
americani, per curiosità.
Alcuni
sono
delle benemerite schifezze, anche scritti in inglese scorretto e
sgrammaticato…
altri sono poesie, merletti di parole meravigliosamente intessuti.
Alcuni
hanno
trame assurde, altri sembrano sceneggiature di film d’amore
smielati, altri
sono parodie o prese in giro o sogni, desideri... Insomma,
c’è un po’ di tutto,
in quei racconti: erotismo, sesso, amore, commedia,
comicità, drammi… tutto
come nella vita reale.
Tutto.
Ma
soprattutto
ci siamo noi.
Io
principalmente, poi mio fratello, Tomo, Tim, Solon, Matt, Emma, mia
mamma, mia
nonna, i miei padri, quello naturale e quello adottivo… E
poi Cameron, Vicky,
Colin Farrell, gli Street Drums Corps, il mio amico Brent, e perfino
Bob,
l’amico di Shannon… un sacco di gente.
E
tutte le
scrittrici tentano di immaginarci come siamo, cosa facciamo, come
viviamo e, di
solito, non ci azzeccano mai…
“Di
te? E di
cosa parla, in particolare?”, chiedo, mentre Shannon mi ha
rimesso in mano i
due fogli, come se gli scottassero le dita.
“Non
so… dopo
due righe l’ho mollata…”
“Perché?
Era
tanto brutta?” Io scrivo canzoni e chiunque scriva qualcosa,
anche due parole,
per me merita almeno di essere letto, fosse anche per una volta, se non
altro
per curiosità.
Mio
fratello
sbuffa: “Non lo so… ero stanco, fatto ed
ubriaco… ho aperto la busta con la fan
fiction che erano le cinque del mattino… ti pare che perdevo
tempo con ‘sta
merda?”
Ma
lo sguardo
di Shannon è strano, e lui è irritato, non
capisco cosa abbia. E’ come se mi
nascondesse qualcosa: “Sei sicuro?”
Shannon
si
tocca il lobo dell’orecchio come a sistemarsi
l’orecchino che si è tolto da
tempo. E lo fa sempre quando mente. “Ehm…
l’ha letta Bob ieri e si è fatto due
risate di cuore.”
Gli
pianto gli
occhi addosso: “E perché? Tu non l’hai
letta, poi?”
“Ma
no…”
“Davvero?”
Mio
fratello
scuote la testa e si mette gli occhiali da sole,
avviandosi lungo il corridoio del tourbus,
ormai vuoto, per uscire, prima di lanciarmi uno svogliato
“No.”
Ma
io non gli
credo. Nemmeno per un secondo. Ma faccio finta di sì,
tornerò all’attacco più
tardi, quando avrò tempo, ora siamo di fretta.
“OK.”, dico, sembrando convinto.
Poi, velocemente, senza che lui mi veda, piego e mi metto i fogli della
fan
fiction nella tasca posteriore dei jeans.
E
in quei
pantaloni sono rimasti una settimana.
Fino
al giorno
in cui, da Londra, abbiamo preso l’aereo per tornare a casa.
Allora, mentre
franavo sul comodo sedile di prima classe deciso a farmi una bella
dormita fino
a Los Angeles, ho sentito qualcosa scricchiolare nella tasca, ed erano
quei
fogli, che mi chiamavano, che mi tentavano.
E,
alla luce
del sole che tramontava sull’oceano, curioso oltre ogni dire,
ho letto.
Ho
letto
quelle parole scritte con l’inchiostro del cuore.
Ho
letto di
una storia che non potrà mai essere vera.
Ho
letto di un
amore immenso e disperato.
Ho
letto di
una donna che si autodistrugge per amore, giorno dopo giorno.
E
alla fine mi
sono commosso, un freddo brivido lungo la schiena, perché ho
capito benissimo
cosa voleva dire… quelle parole, quelle frasi, quelle
emozioni le ho sentite
mie come non mai…
Perché
quella
fan fiction era una dichiarazione d’amore totale.
Tanto
grande
quanto immeritata.
Sì.
Perché
Shannon non merita nulla del genere e non ti amerà mai,
scrittrice sconosciuta.
Mio fratello è incapace d’amare, ha smesso di
farlo il giorno in cui il nostro
padre adottivo se n’è andato, millenni fa.
Ha
un cuore di
pietra fossile e tu, povera piccola, hai messo nelle mani sbagliate il
tuo, di
cuore.
Mi
fai un po’
pena… anche perchè so cosa si prova ad amare
veramente una persona che non ti
vuole…
E
chissà ora
dove sei, come vivi o sopravvivi, cara amica di scrittura, che butti su
un
foglio la tua amarezza e disperazione, così come io faccio
ogni volta nelle mie
canzoni, sperando, invano, che questi sentimenti negativi e distruttivi
se ne
vadano per sempre...
Ti
starai
forse chiedendo che fine ha fatto la tua fan fiction?
Sì,
lo so che
lo fai…
Se
mio
fratello l’ha letta? Se ci ha pianto, riso, scherzato sopra?
Sì
e
sicuramente non ci dormi la notte…
Ti
chiedi se
ha almeno apprezzato il tuo sforzo di tradurla e donargliela? Donare
non solo
dei fogli, ma pezzi di cuore, eh? Lo sai che è
così, vero?
Sì…
e da quel
giorno niente è stato più lo stesso, vero?
E
mentre ero
lì che pensavo a come fosse fatto il tuo viso, di che colore
fossero i tuoi
occhi, se il tuo sorriso fosse diventato più triste con il
passar del tempo,
una rabbia feroce, rinforzata da una feroce invidia, ha preso possesso
di me. E
una domanda mi è rimbalzata in testa, improvvisa quanto
sconsiderata.
Perché
a lui?
Perché
a
Shannon?
Perché
non a
me, a Jared?
Mi
sono alzato
di scatto e sono andato da mio fratello, che dormiva beato con le
cuffiette
dell’ipod agli orecchi e il berretto di lana calcato in
testa. L’ho svegliato
scuotendolo con malagrazia. “Chi era?”, gli ho
quasi gridato in faccia,
abbassandomi su di lui.
“Chi
era
chi?”, lui aveva la bocca impastata dal sonno, quasi non
teneva i suoi occhi da
sfinge aperti.
“La
ragazza
che ti ha scritto la fan fiction. Chi era?”
“Aaaaah…
boh…
che ne so…”
“Ma
non l’hai
vista in faccia? Si è presentata?”
“Boh…
E chi se
lo ricorda? Ne ho viste centinaia, di donne con regali, pretendi che me
le
ricordi tutte?”
Sbuffo.
Ha
ragione, nemmeno io ricordo i visi delle persone che mi chiedono foto e
autografi, sono troppi. “C’era la firma alla fine,
ma è andata persa. Cosa
c’era scritto? C’era un recapito?”
“Ma…”
“Dimmelo,
cazzo! C’era il suo nome? Dove trovarla?”, alzo la
voce, qualche estraneo si
gira verso di me, Emma mi fissa dal fondo del corridoio, Bob si sveglia
di
soprassalto.
Mio
fratello
annuisce: “Sì, c’era tutto.”
Ecco:
l’ho
intrappolato. Se è arrivato alla fine per vedere il nome,
vuol dire che l’ha
letta pure lui: “Hai letto la fan fiction, vero?”
Shannon
annuisce lentamente e non risponde.
“E
perché
l’hai gettata via?”
Lui
sospira e
si gira a guardare il finestrino dell’aereo, le nuvole che
corrono sotto di noi
e sopra l’oceano. Poi scuote le spalle, non ne vuole parlare.
“Dimmi
perché…”, incalzo.
“Perché…”,
si
ferma un attimo, si tocca la barba, “Perché quelle
parole mi fanno male… e non
lo sopporto… sono…
imbarazzanti…”
“Perché?”
A
questo punto
lui quasi si alza dal sedile, come se volesse fare a botte:
“Ma che cazzo te ne
importa?”
Già.
Che cazzo
me ne importa di sapere che cosa ha provato lui a leggerla?
Che
cazzo me
ne importa se pure lui, come me, é solo come un cane, e se
è venuto ad abitare
a casa mia perché si stava rovinando con puttane, alcool e
droghe?
Che
cazzo me
ne importa se quella che ha scritto queste cose lo ama oltre ogni tempo
e ogni
spazio?
Che
cazzo me
ne importa?
E
invece me ne
importa, perché capirai cosa hai perso soltanto quando
sarà troppo tardi,
Shannon.
E
allora sarà
a te che importerà.
E
per questo
sono arrabbiato con te, fratello.
“Lei
ti ama,
Shannon...”, ho fatto una pausa e l’ho guardato
negli occhi, fisso, mentre si
risistemava sul sedile, seccato e con lo sguardo torvo. “Ti
ama davvero e tu…
tu non capisci un cazzo... e butti via tutto…” Non
ho detto altro e sono
tornato subito al mio posto, senza nemmeno aspettare che mi
rispondesse,
incurante della sua eventuale parolaccia di risposta.
Poi
ho preso i
due fogli e, come se fossero la cosa più preziosa al mondo,
li ho messi dentro
la mia agenda, sapendo già cosa dovevo fare.
E
ora sono
qui, in piedi su un molo
che dà sulla
baia della mia città.
Non
c’è
nessuno, ci sono soltanto io.
No.
Soltanto
noi.
Io
e te, mia
scrittrice.
Perché
so che
ci sei.
Sei
prigioniera
di questi fogli, di queste parole, di questo amore assurdo e
soffocante, amica
mia.
Ma
ora ti
libero.
Alzo
il
braccio, apro la mano e lascio i fogli.
Subito
il
vento vorace se li porta via, come se non aspettasse altro.
Come
bianche
farfalle prendono il volo e vanno, volteggiano, si piegano, inghiottiti
dall’aria, si perdono.
Uno
va verso
destra, l’altro a sinistra.
Vicini
e
separati, i due fogli prendono la via del mare.
Li
vedo
scomparire nel riverbero del sole morente, in un tramonto di sole e di
sogni.
Forse
toccheranno l’acqua e allora l’inchiostro si
scioglierà e quelle sofferte
parole spariranno, mangiate dalla salsedine. O forse i fogli finiranno
nello
stomaco di qualche pesce curioso, nelle viscere di una murena affamata,
nei
vortici dell’elica di una nave, decomposti sul fondo marino.
Ma
a poco a
poco spariranno, e il sale delle lacrime che li hanno bagnati si
unirà al sale
del mare.
E
in quel
momento, tu sarai libera, ragazza lontana.
E
so che lo
sentirai, lo saprai.
Sarai
libera…
Libera
di
amare ancora…
Libera
di
amare qualcuno che non sia il mio scriteriato e stupido
fratello…
Libera
di
amare me, che non avrei esitato un secondo a cercarti, a trovarti, a
ricambiare
il tuo infinito amore…
FINE
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