«Quando
smetti di sentire l’egoismo
E cominci a respirarlo
– come se fosse aria? »
•
Far
Away
3 Maggio
Quando
avviene un evento negativo – o un qualcosa
che ha tutte le carte in regola per scombinare la mano di
quell’assurda partita
che ti sbatti tanto a giocare, è matematicamente certo che
piova.
Fottuta
acqua che non la pianta mai di scrosciare sulla tua testa
già abbondantemente
incasinata, senza che ci si metta anche un’ esondazione e
colmarla di roba.
Quella
mattina di allergica e pollinosa Primavera, c’era un sole da
far invidia alla
California nelle migliori giornate estive.
La
lettera
di Monica arrivò sul suo letto sfatto, portando con
sé la scia di delicato
profumo d’arancio che tanto aveva sognato negli anni passati;
Monica era una
studentessa d’arte, dai fiammanti capelli ad onde e occhi da
illuminare la
notte.
Aveva
amato
Monica – tanto, troppo
– ed era
fuggito per quello.
Ora
era lì,
con la lettera di carta rosata e la grafia tondeggiante stretta in
pugno, sulla
dannata passerella di quello schifo di stazione.
«Maledetta
allergia del cazzo!» Sbottò Brian, infilandosi gli
occhiali da sole, giusto per
nascondere il rossore da irritazione che gli tormentava gli occhi da un
mese
buono; dopodiché lanciò un’occhiata
verso il nulla dei binari alla sua destra,
con una nuova imprecazione e uno sbuffo.
«Oi,
ragazzina, sei ancora con
noi?» Mugugnò,
continuando a guardare la sterminata e desolante distesa della Western
Station.
Si
chiedeva
ancora per quale stupido motivo la Femminuccia avesse tanto rotto per
accompagnarlo, se poi non spiccicava parola da più di
mezz’ora.
«Joe?»
Si
decide a dire, mentre si girava a guardarlo attraverso le lenti scure.
Il
biondo si
limitò a sistemare meglio la schiena lungo la parete e ad
alzare il volume
dell’ ipod – probabilmente sfondandosi i timpani
già sordi di loro.
Brian
roteò
gli occhi: come se lui non sapesse cosa stesse accadendo in quella
testolina
bacata; l’epica battaglia tra lo sputargli in faccia,
mandandolo al diavolo o
sciogliersi in lacrime come un’adolescente in crisi
pre-mestruale. Scelta ardua
e complicata e – a giudicare dalle occhiatacce –
propendeva per la vittoria
della “schiera maschile”.
Peccato
che
lui fosse assolutamente terribile nell’attuare qualsiasi
forma anche
lontanamente vicina alla consolazione, soprattutto se poi la colpa era
sua.
«Jay,
ascoltami…» cominciò, passandosi una
mano sulla nuca. Bel tentativo inutile,
visto che già da lì riusciva a sentire quegli
psicotici dei Black Sabbath
sgolarsi a pieni polmoni; provò un assalto frontale,
salvandogli l’udito, oltre
che quegli ultimi momenti insieme.
«Ti
va di
parlare?» Approcciò, mentre un paio di occhi
azzurri cominciavano a radiografarlo
come ogni volta.
«Andiamo,
parlami. Non posso estrapolarti le cose dal cervello».
«Cosa
devo
dirti?» Gli sputò addosso Joe, scostandosi nello
stesso istante che l’altro
saltava sul muretto.
«Quello
che
provi, da bravo ragazzo in psicoanalisi come sempre!»
Ribatté Brian, fermandosi
un attimo prima del limite critico di sopportazione; se avesse
sbuffato, c’era
da giurare che lo avrebbe piantato lì.
«Questa
volta te lo risparmio» sibilò quello, rificcandosi
le cuffie nelle orecchie.
Brian
si
concesse qualche minuto per fissare il suo profilo, poi tirò
delicatamente il
filo della cuffietta di destra «No, ora invece di conviene
dire qualcosa.
Avanti, non me ne andrò con te che fai la statua di
sale» replicò, con
intonazione irritata.
Joe
rise con
amarezza «Non so cosa dirti, Brian.
Sembra
che abbia fatto già tutto tu… siamo in una
stazione» fece, guardandosi intorno.
«Io mi sono limitato a prendere atto di una cosa
già decisa in partenza» concluse
poi, bevendo dalla cannuccia della coca cola.
Brian
sospirò
«Questa cosa ti fa star male?»
Non
terminò
la frase che Joe ricominciò a ridere, saltando
improvvisamente giù dal muretto
e calciando la lattina vuota tra i binari assolati.
«No
“star
male” non è il termine
giusto…» soppesò, mentre lo sguardo
vagava un po’
ovunque, fino a soffermarsi su di lui. «Non conosco il
termine giusto per questo. So solo
che stai partendo, così
– da un giorno all’altro – senza
preavviso, per l’Europa. Dopo aver ricevuto la
lettera di una donna che hai amato ma ti ha fatto soffrire. Avete
sofferto
entrambi. No, non so se tutto questo ha un nome»
spiegò Joe, affondando le mani
nei cascanti pantaloni scuri.
Brian
non
aveva mosso muscolo e non cambiò espressione quando disse
«Sarà per poco».
Bugia.
Sapeva
che
non avrebbe potuto resistere, non se avesse rivisto lei.
Joe
rimase a
guardarlo, immobile per un istante, come a chiedersi se anche lui
credesse a
tutto quello che diceva «L’ultima volta sei rimasto
via per due anni. Due anni,
Brian».
«L’ultima
volta non conoscevo voi, non conoscevo te»
ribatté l’altro, tuttavia la sua voce era atona,
come se cercasse di placare un
bambino esagitato.
Joe
sospirò,
mentre guardava al cielo «Non ti è interessato
minimamente di me o di noi,
altrimenti avresti avvisato di questa tua nuova altruistica
idea!» Sbottò, prendendo un attimo il controllo
che si
era imposto di mantenere fino alla fine.
Ci
fu un
attimo di silenzio – vento caldo sulla pelle immobile, sui
pensieri che
scorrevano veloci.
«Devo
farlo,
Joe. E’… è una decisione mia, solo
mia» sussurrò alla fine Brian, senza
abbassare lo sguardo: non sarebbe stato giusto.
Joe
ghignò,
sinistramente quasi «Ecco, ora ripetiti il tuo nuovo mantra “Se l'egoismo fosse una religione io ne
sarei il profeta”»
fece, tentando
di sorridere, mentre una strana rabbia si faceva strada su per i nervi.
Sentiva
il
prepotente impulso di picchiarlo, picchiarlo fino a svenire.
Brian
saltò
dal muretto, incrociando le braccia e inclinando il capo di lato
«Sei ingiusto,
adesso».
«’fanculo,
sei un fottuto egoista…» mugugnò Joe,
stringendo i pugni tremanti.
L’altro
sospirò «Sì, forse sono egoista, ma
devo farlo. Tu non capisci, questa storia…
deve concludersi, in un modo o in un altro. Devo buttarmi indietro
tutto, per
ricominciare» spiegò, mentre gli si avvicinava.
«Fa
quello che
vuoi, rimani anche lì, non mi interessa»
grugnì Joe, saltando via dalla sua
presa.
«Bimbo,
non
farmi questo… non abbandonarmi anche tu, non posso andarmene
sapendo che ce
l’hai con me…» fece Brian, allungando
una mano ad accarezzargli una guancia.
«Io…
credo
che tu mi abbia deluso…» provò Joe, con
voce fievole, mentre sentiva il calore
che si irradiava dal suo palmo maledettamente prepotente.
«Lo
so…»
sussurrò l’altro, tirandolo a sé.
«Mi farò perdonare, te lo prometto».
«Se
tornerai» ribatté con uno sbuffo, ma ormai sentiva
la rabbia scivolargli via
come pioggia. Odiava l’effetto che aveva su di lui.
«Tornerò»
replicò sicuro Brian in un orecchio. «Mi hai
sentito? Non ti lascerò solo»
continuò, mentre gli scriveva piccoli circoli sulla schiena
ossuta.
Joe
appoggiò
la fronte sulla spalla muscolosa e grugnì contro la
maglietta scura «Fallo. O
non tornare mai più in America»
minacciò, tra il serio e il faceto.
Il
ghigno
sardonico del Rambo lo raggiunse dall’alto, mentre lui
roteava gli occhi.
«D’accordo»
rispose poi, più seriamente. Si scostò giusto lo
spazio per poterlo guardare,
scostandogli leggermente il pagliaio
biondo dagli occhi «Tu fa il bravo,
ragazzino».
«Sì.
Tu
torna un po’ più umano».
«Intendi…
meno egoista?» Chiese, con il sorriso che si allargava sulle
labbra sottili.
Joe
scrollò
le spalle, con finta indifferenza «Non ci riusciresti,
solo… più umano, in
generale».
Lui
e le sue
frasi comprensibili.
Brian
sospirò, poi si abbassò a posargli le labbra
sulle guance rosate dal vento «Mi
mancherai, piccolo. Anche le tue follie da isterica».
Joe
sentì il
respiro congelarsi in gola per un lungo, dilatato, istante.
Quando
riuscì a respirare, Brian era già lontano, borsa
in spalla e ghigno perenne sul
viso abbronzato.
E
c’era
anche il treno, quello che l’avrebbe portato via per
chissà quando.
Solo
la
notte prima aveva deciso che non gli avrebbe scritto ed era
intenzionato a
mantenere la promessa; era più bello lasciare immutata quella
sensazione: la sensazione che , così, da un momento
all’altro, il Mondo stesse
per fermarsi – bloccandosi nel suo eterno giro.
E
faceva
anche più male.
Tuttavia
il
dolore lo avrebbe convinto che, come tutte le volte, la vita continuava
a
scorrere anche se lui non c’era – anche lontano da
lui.
«Che
egoista
che è, la vita» borbottò alla fine,
camminando vicino alla porta del terzo
scompartimento.
Brian
portò
il borsone verso l’imboccatura del corridoio, poi si
girò a guardarlo «Cosa?»
«Niente,
niente… penso di non essere fatto per, sai, la
vita…» spiegò Joe, indecifrabile
quasi più del solito.
Brian
mugugnò qualcosa tra sé, poi gli passò
velocemente una mano tra i capelli,
scompigliandoli «Scusa, ho dimenticato il vocabolario di Joenese, per questa volta il viaggio a
Delirio City me lo
risparmio!»
Joe
scrollò
il capo «Non capiresti comunque, sei troppo rozzo
Rambo».
Si
fissarono
per un lungo momento, mentre il penetrante fischio di partenza si
sfilacciava
nelle loro menti come bruma di umidità.
Quando il treno fischio
nuovamente, Brian
mosse le labbra, sussurrò qualcosa – forse
– che si perse lì, nell’aria calda.
Joe
avrebbe
voluto sentirlo, ma forse non era
importante.
L’importante
era guardarlo trasformarsi in un puntino sempre più
insignificante stagliato
contro il cielo, via verso un tempo che sperava passato, via da lui.
Nonostante
la loro discussione, aveva mentito: Brian non era l’unico
egoista, non lo era
mai stato.
Lui
dopotutto desiderava, con ogni fibra del suo corpo –
egoisticamente – che
quella donna fosse un errore. O
anche
che, se per uno strano scherzo della vita lei fosse il suo destino,
lui non
se ne accorgesse.
Lo
desiderava ardentemente.
N/a
Ancora
una
volta su di loro.
Per
capire
un po’ di più su Joe e Brian, rimando alle altre
One Shot della raccolta “Red
Lights” – soprattutto “That
day”, che contiene riflessioni di Brian sul suo
passato e su Monica.
Nonostante
sia troppo presto per capire fino
in
fondo, spero vi sia piaciuta.
Questa partecipa al “A year together”
del Collection of Starlight.
Con
il
prompt «Se l’egoismo fosse una religion, io ne
sarei il profeta!».
Buona
lettura!
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