I LUOGHI DEL DELITTO
“a sessanta Km orari”
di
Gabriela Del
Rosaio Abate
02/09/2004 1.26.00
Verrà un giorno in cui ciò che è stato
celato
si desterà oggi ad una nuova
Consapevolezza…
Anno “2014”
“A sessanta km orari sfreccia il mio
veicolo…
Inerzia.
Il mio veicolo in continuo movimento…”.
“2003”
No, non smette mai di
proseguire nel suo percorso…
Proseguo la mia via senza conoscerne la meta…
Rimpianto…
I tornanti e le discese s’accavallano l’una contro l’altra
senza mai darmi tregua.
Ore ed ore di meditazione.
Nulla…
Tutto tace…
Quella strada percorsa e ripercorsa più volte, dossi e vallate,
l’ una sull’ altre.
Sfocata era l’ombra della luna, cupa, intensa…
Le vibrazioni scoccano intrepide fra le dita.
Pulsano senza respiro, fremono, tacciono.
Quel tepore gelido d’ogni notte al chiaro di luna…
Cercare e ricercare l’ombra del mio avvenire, così
insolito, straordinario…
Un raggio perfetto ed uniforme s’adagia sul mio velo:
foschia, candore.
Avverto la serenità porsi sulle spalle, sul collo, tra i
capelli.
Un vento tiepido circonda il mio corpo: la musica, il
colore, il gelo…
Fiore del sud, vento del deserto, quell’aria sana e pura
della Sicilia spira l’essenza di libertà e chiarezza.
“Nasco e
fiorisco mediante l’anima, il corpo di una donna, la mente dell’arte.
Rinasco e
rifiorisco nell’ardore dell’amore beato…”
Sporgo la ragione a nuovi orizzonti, libero la mente e…
risalgo le scale a “Sessanta km orari”.
Le pupille si dilatano fino ad arrivare alla completa
saggezza dell’amore.
La verità e il rimpianto di non raggiunger quei “sessanta km
orari” della mia vita.
Il fuoco e la passione diventano un tutt’uno, generando
intorno ad essi l’inaffondabile veliero dell’essere…
Ad un punto fisso della mia circonferenza scorgo un
edificio immortale, imponente davanti ai miei occhi…
Corrono, corrono le pulsazioni cardiache, accelerate
all’ennesima potenza, quasi sfiorando i sessanta km orari.
Torna il sereno, s’illumina
la vista, ma il cerchio non è chiuso.
Serena la sera, serena
la mia anima.
“Ricordi, ricordami…”
Il sole e la luna trovano un punto di raccordo: la loro meta è
segnata a metà.
“Tu nello sguardo, tu
nel pensiero, tu nell’anima.
Tu… a sessanta km
orari…”
Il momento è già arrivato.
E’ arrivato l’attimo in cui fare i conti con il mio più
recente passato.
I “Luoghi del delitto” m’attendono al varco.
“Com’è caldo il sole che rischiara le mie tempie!
Sollievo.
Com’è gelido il soffio del distacco che spira sul mio collo.
Incertezza.
Com’è “dolce” questo breve ma intenso momento.
Blackout .”.
Scende la sera, la notte s’avvicina, trascinando via con sé le
braccia del passato.
Il vento penetra intenso nella pelle senza però oscurare ogn’emozione.
“Dolce” sentiero che ogni cosa fa brillare, percorro te, percorro noi
nella emisfero est.”
Le incantevoli muse s’accavallano in eterni pendii, osando
rapire la mia ancora in mare.
Quelle muse avvolgono lo spirito e il risentimento di chi
porta a vacillare quel piede ancora teso.
Un suono dolce di chitarra, sfiorata appena dalle dita e
un oceano di mondi sconosciuti, estranei alla terra fin a raggiungere l’orbita
concentrica di Marte.
Mille parole intorno a quella melodia, picchiata e
scandita dal plettro. Le note sfociano risonanti e lievi imponendo alle battute
un salto di terza, adornando la sinfonia con alterazioni e colori.
Le dita corrono, s’interrompono, vibrano, viaggiano sulle
corde a sessanta km orari.
Tutto svanisce.
La musica s’arresta.
Quello strumento giunge chiaro alla mia vista, come
imponente, ma minuscolo di innanzi all’universo.
Ininterrotti calano su me i secondi che battano con modo
ritmico il passare del tempo.
“Foschia d’inverno che a levar del sole si
desta fra le membra dello spirito”.
Troppo veloce è la cadenza con la quale la strada ondeggia
al verde: fluiscono frecce appuntite, l’asfalto scivoloso di una giornata di
pioggia e quel vento incessante che nella sua orbita ruota a “Sessanta km
orari”.
No, è troppo veloce il mio veicolo e… le immagini diventano
sempre più sfocate tanto da non poterle strapparle alla vastità del cielo.
La nebbia cresce
fitta, da sera a mattina.
Si dilata e si sparge
con il lieto fluire del vento.
Pian piano si dirama, generando mille sfumature, assumendo
tonalità sulfuree.
Le particelle di luce
che la compongono si vanno lentamente sciogliendo, permettendo al sole di
scaldare “i miei luoghi del delitto”.
Come lava
incandescente picchia il sole e la mia mente nei suoi raggi si confonde.
Un silenzio improvviso calò sulla fronte e quei raggi ne
abbagliarono la visione: l’ombra, la mente, la musica…
La memoria sembra segnare la via dell’abbandono, infrangersi
fra i cespugli secchi di alberi indefiniti e l’essenza delle note si fa sempre
più presente all’orizzonte.
“Giovine era la mia orma allorché oltrepassò quel portone di faggio e
tenera fu ancora quell’orma che la varcò con andamento sicuro.”
Cercare e ricercare intra le mie memorie quella verità da
tempo celata, valicare il nuovo universo addormentato nella mente e ritrovare la mia pace…
“Su, al di sopra d’ogni cosa, d’ogni atomo, d’ogni materia.”.
Cerco insicura di afferrare il sapore dei ricordi.
Nascono nell’anima e giungono a me, i “luoghi dei miei
delitti”.
Sguardi…
sorrisi…respiri….
Fioriscono e rinascono nell’inconscio, rimembrando in me
l’innocenza di bambina.
Le braccia di quei luoghi mi circondano, rendendomi parte di
essi.
Li sento vicini e li sento pulsare dentro l’anima.
Crescente fu quel tratto di strada che percorsi, salendo
pian piano quelle scale che mi condussero alla salvezza, giungendo, nell’
ignoto, alla velocità di “sessanta Km orari”.
Lentamente scivolai verso il primo gradino e, subito dopo il
secondo, proseguendo dunque con il terzo ed il quarto, ed ancora il quinto,
così il sesto fino a raggiungere la ventottesima orbita con il cuore alla gola:
intrepido, palpitante, impaziente.
Come un gabbiano a primo volo varcai la vetta del monte,
quel balcone di marmo che silenzioso conduceva me all’ insicuro riscatto.
Brillai dunque al chiaro picchiettare del sole fra le
pareti.
“Fragile il mio cuore, ostile la mia mente”.
Soffocai il respiro che
tendeva ad affannarsi, respinsi la mia ansia nell’incrociare gli occhi della
dolcezza interiore.
Quell’immenso odore di
gomma per matita e del caffè placarono i battiti del mio cuore, che infuriato
come un orologio batteva i sessanta km orari.
Trattenni ancora quel
fiato stretto alla gola, impedendogli di sfociare in piena e d’un tratto lo
lasciai scivolare, evitando che sbattesse contro le candide mura.
Sollevai il capo, rivolsi
un sorriso quasi stentato e poco invadente.
“Mi sorrise con dolcezza e abbracciai ancora una volta l’ingenuità”.
Di un umile salottino ne
conservai vivo il ricordo così come di quelle mani ne percepii il placido
calore.
Incrociando due segmenti
paralleli che pian piano si univano, trovando il punto fermo dello “Zero”,
viaggiai nella sua mente scorgendo un paesaggio autunnale.
Nuvolosi neri e cupi
scorsi in quel villaggio, così misteriosamente oscuro. Cercai di insidiarmi ancor
di più ma… nulla. Tutto si bloccò. Non era giunto ancora il momento di
abbracciare la consapevolezza.
Fra quelle mura torbide
di una mente inquieta camminai a lungo per le sue vie spoglie, osservando un
cappello di paglia rosato trainato dal lungo corso del fiume.
Mi lasciai dunque
trasportare incredula avvertendo in lontananza, sul finire del mio tragitto,
uno sparo.
SPH! SPH! SPH!
“Vorrei ancora una
volta rivivere i “miei luoghi del delitto”, cento, mille, milioni di volte
ancora.
Ancora per un istante
abbracciare quel momento che lentamente svaniva tra le mie mani, rivedere e
risvegliare quell’ardore di pura naturalezza, in eterno”.
La corrente sale,
s’appresta nello sgorgare.
La guerra in fondo al
cuore mai più tacque.
…E di colpo la tristezza
m’avvolse.
Tornai immediatamente
alla realtà, ignorando ciò che vidi un instante prima.
Tre pilastri mi fecero da
scudo, come a rassicurare la mia ansia, placando lo sconvolgimento interiore.
La mia vita stava per
varcare una nuova frontiera inaspettata, un confine per me insicuro e
spaventoso che rendeva fragile la mia esistenza.
Il processo stava per
avvenire, il verdetto era quasi alle porte, escludendo da questa cornice un
giudice imparziale.
Passo dopo passo mi volto
indietro nel tempo, nel tempo che passa e oltrepassa sulla mia testa,
cavalcando lento, silenzioso, stanco.
L’orologio segnò l’ora in
cui la mia vita risorgeva a rilento: dieci e trenta spaccate.
Un’inquadratura
all’obbiettivo che arrestava tutto ciò: il caffè, il cornetto, la sua orma…
Spezzai il circolo che ruotava
a 360 gradi, i luoghi del delitto viaggiavano ad una velocità senza tempo: i
“miei luoghi del delitto” scomparvero di colpo… correndo a sessanta km orari.
Via…
***
“2003”
FINE AGOSTO
Il muro comincia a
sgretolarsi, permettendo al cielo di rischiarare la sua foschia.
Fuggono via dai ricordi…
Fuggo via da me…
Fuggono via, senza
lasciare traccia.
Correvo, correvo,
correvo…
Via.
Il vuoto incombe nella
mente.
Tralci di pareti pian
piano vanno risalendo all’origine.
Spicchi di luna offuscati
vengono ora schiariti dal sole e la mente si fa sempre più limpida, fino a ricollegare
il punto d’incontro con l’infinito.
Il sottosuolo mormora le reminiscenze
ormai sopite da un anno.
I momenti risalgono
sempre più lievi, sempre più chiari.
Lunghi periodi di
tormentato silenzio. Quella notte cupa ed ombrosa, ricca di interrogativi.
M’interrogavo qua e là
ove il mistero non ha mai fine.
Sulla vita, sul destino,
sul passato erano concentrate le mie domande.
Quella calda notte
dell’agosto 2003 mormorava sospiri e ronzii, troppo assordanti per essere
ascoltati.
La mia domanda era sempre
quella:
“mente quieta,
agosto rivelatore, sostieni il mio cammino, rinvigorendo il mio passato,
tramutandolo nel mio presente. Mia dolce ed infinita guida conduci me verso la
pace. Portami tra gli orizzonti rischiarati dal sole cosicché possa io
risorgere a nuova vita”.
Non ebbi mai una
risposta… mai mi fu dato a sapere l’ignoto…
Quella notte, lo spazio e
le dimensioni si concentravano l’un l’altro, generando foschie e bagliori nel
campo.
Risalii le vette del mio
monte, ma caddi.
Concentrai tutta la mia
energia nell’oscurità non vedendo niente, guardando il niente.
Ascoltando solamente la
voce di una calda notte d’estate.
Ancora oggi non trovo una
risposta, alcuna voce mi è rivelatrice, solo l’assurdo...
Scompaio ancora una volta
a sessanta km orari e Via…
***
… è ancora tutto come tre
anni fa.
Nell’agosto ho lasciato
sopire il mio passato ed ancora nell’agosto rinasce il mio presente.
INIZIA IL MIO CAMMINO
03 SETTEMBRE 2003
Non seppi mai il perché
dei mondi che popolano il villaggio dell’anima.
Nell’incertezza camminai
a lungo, sospesa nell’aria, tenuta da un filo invisibile che rendeva libero il
mio destino.
Assaporai l’odore del
mare che tranquillo spumeggiava nelle giornate di maestrale.
“Otto sono le voci che
udii bisbigliare dentro l’anima. Era quasi giunta l’ora del mio processo
evolutivo.
Tutto intorno a me
assumeva una nuova forma, un nuovo contenuto, una nuova unità.
Ebbi timore di palpare
con il cuore ciò che un giorno mi avrebbe condotto a sentire quello che oggi è
l’essenza, la viva presenza, di un essere umano.
Inizia così il momento in
cui tutto si fa silente. Tutte le voci che odo appaiono silenziose, pur
composte da un assordante suono.
Iniziavo ora a rendermi
partecipe della mia stessa vita, a destare il mio sapere verso la maturità.
Non ebbi modo di sapere
allora cosa o chi fosse quello specchio che rifletteva la mia anima.
Trascorsero due anni
prima di acquisire la certezza….
L’inizio di quel mese fu
per me rivelatore.
Il mio primo luogo del
delitto adesso si mostrò chiaro, travolgendo me, inquietando me, trasformando
me…
Ricordo ancora oggi
quella stanza in cui superfici verdi ed angoli grigi si mostrarono partecipi
della mia ascesa.
Sguardi intensi e sorrisi
sinceri bussarono al mio rigido involucro. Il sole splendeva e le Sue parole
risuonavano chiare e consapevoli.
Atterrita non osai
leggermi l’anima. Vidi tutti i miei momenti più importanti della mia vita
scorrermi per la mente. Attraversai lunghi e tortuosi torrenti nella speranza
di giungere alla pace. Placai le acque che in fermento scorrevano nella mia
testa.
Ridiedi voce a quei
silenzi nel nulla taciuti. Analizzai ogni minimo frammento di ciò che potesse
essere un cambiamento nella mia vita.
Il viale dei ricordi mi
giunse ora frammentato ed oscuro. Tutto era mutato. Tutto, ogni cosa si
evolveva.
***
Sfocati sono i ricordi di
quell’uno ottobre 2003. Ma ancor più in fermento furono quelli in cui il 15 di
quel mese iniziai a dialogare con il mio riflesso.
***
Oggi, silenziosi bussano
alla porta i miei pensieri. Una voce che ogni anno si ripete. Una voce sottile,
una gracile orma s’accosta al mio orecchio pronunciando il mio nome.
Estranea era allora
quella voce fino al momento in cui la consapevolezza diventava più profonda.
Oggi non ho ancora
visitato il più prezioso dei “Luoghi del delitto”, per il sol timore di
riabbracciare con la mente morbidi vivaci tessuti.
Il tempo che passa è una
clessidra in continuo fermento. La sabbia scorre lenta permettendo al passato
di rischiarare luoghi oscuri. No, il vento non si ferma. Sento te nell’aria ma
non sento noi nel presente.
Tanta ombra ci fu nei
tuoi movimenti. Tanta oscurità mai rivelata.
***
Ti guardo ad una distanza
di 6000 km
orari. Ti guardo e la musica è troppo alta poiché io possa percepire il suono
del tuo respiro. E’ davvero troppo forte l’energia che possedevi nelle mani
quando lasciavi che la dolcezza risplendesse nei tuoi occhi, nei tuoi sorrisi,
nei tuoi gesti, dentro te.
Dentro te, così
maledettamente e dolcemente dannato di pura rabbia interiore che, silente,
celavi dietro un involucro di carta e cotone.
E’ così straziante la tua
anima che oggi non osa mostrarsi.
Ricordo con tanta
chiarezza quando guardavo nei tuoi occhi, nelle tue mani, nelle tue labbra. Ti
osservavo spingere con forza le dita contro le rigide corde, mostrandomi
inconsapevole i tuoi pensieri.
Leggevo e mi perdevo in
quello sguardo immerso nel vuoto, nella tristezza che filtrava da te a me come
spirare di tenera violenza. Sbatteva
contro le pareti del mio cuore, frantumandolo e annegandolo nel tuo etere.
Mi fissavi con i raggi
del sole che t’abbagliavano la vista. Mi fissavi lasciando intravedere un
pizzico di serenità; ma dopo, dopo solo un momento l’oscurità mi mostra al
giorno. L’oscurità che nei tuoi occhi e nelle tue mani mi squarciava l’anima.
***
Non esiste più niente.
Tutto è devastato. Ogni cosa sprofonda nelle tenebre, in un giorno illuminato
dal sole.