Ni-hao a tutti! Ebbene sì, dopo mesi e mesi di silenzio
stampa, nonostante la mia stanchezza e il mio pochissimo tempo di svago tra
esami e lezioni varie, ho deciso di iniziare a postare l'ennesimo delirio su
Slam Dunk che, come ben sapete, è la mia droga preferita.
Come vi avevo promesso Bar America sarà il sequel di Wild Boys, ma per chi non l'ha mai letta non sarà necessario farlo
(io, ovviamente, ve lo consiglio! :D), anche se, come vedrete, ci saranno
parecchi rimandi agli avvenimenti avvenuti in WB, quindi magari chi non l'ha
letta non li coglierà.
Ci sarà di tutto, proprio come nell'altra, ma con più
personaggi nuovi e con la comparsa di quasi tutti quelli originali... E dato
che le mie creature saranno parecchie, probabilmente prossimamente inserirò una
scheda di ognuno, per farveli conoscere meglio. :)
Un altro piccolo appunto, prima di lasciarvi a questa
follia: i capitoli saranno parecchio lunghi (se sono troppo lunghi fatemelo sapere che provvederò ad
accorciarli) e proprio per questo, e per il poco tempo che ho, non
preoccupatevi se aggiornerò con lentezza... Ho già scritti i primi sei
capitoli, ma manca ancora molto alla fine, anche se ho già tutta la storia in
testa... Spero di non avervi spaventati con questi avvertimenti! XD Ho
intenzione di concluderla, no problem! ;)
E ora... diamo inizio alle danze più sfrenate!
Buona lettura e, spero, buon divertimento! ;)
Marta.
Capitolo 1
Il glorioso ritorno dei
Ragazzi Selvaggi.
«Oh, accidenti!», furono
le prime parole di quella giornata, arrivata un po’ troppo in fretta per i
gusti di tutti. «Svegliati! Tardi!
Scuola! Andiamo!»
Hime buttò letteralmente
giù dal letto un ignaro Hanamichi che ronfava beatamente e sognava di correre
al rallentatore in un campo di grano, mano nella mano con la sua dolce e
piccola Haruko, vestita come un adorabile confettino rosa, mentre in sottofondo
suonavano una dolcissima canzone d’amore e le campane a festa. Quando la
sorella gli tirò con forza le lenzuola al quale era arrotolato come un salame, gli
venne un mezzo infarto e cadde malamente faccia in terra, o meglio, contro le
sue infradito.
«…Hi-Hicchan! Che
succede?», bofonchiò con la voce impastata dal sonno, mentre cercava senza
risultati di liberarsi da quella tela assassina che era il lenzuolo.
«Siamo in ritardo,
baka!», gridò in risposta lei, dal bagno.
Hanamichi guardò
incuriosito la sveglia, pensando che fosse uno dei tanti scherzi della sorella.
Peccato che quando vide le 8:12 a caratteri cubitali gli venne un colpo. «Hicchaaan! Siamo in ritardo!».
Non ne fu sicuro, ma gli
sembrò di sentire la ragazza esclamare qualcosa del tipo: “È quello che ti sto gridando da dieci minuti ma tu non ti muovi,
bradipo!”. Cavolo, quella mattina avevano anche quel pazzo sclerotico di
matematica. Gli avrebbe segato la testa con il vetro di una finestra, ne era
più che convinto, dopo avergli fracassato il cranio contro, ovvio; poi
sicuramente avrebbe gettato i loro cadaveri in corridoio, tanto ormai era
abitudine. Quell’uomo doveva aver creato una sorta di alchimia malefica nei
loro confronti, dato che ogni volta che li vedeva anche solo respirare trovava
un’ottima scusa per sbatterli fuori o mandarli in presidenza, che ormai
consideravano la loro seconda casa.
«Hanamichi, ti vuoi
muovere? Il bagno è libero!», strillò quella schizzata della sorella,
riscuotendolo dai suoi pensieri e ricordandogli così il perché di tutti quei
giri mentali. Così filò come un missile a farsi una doccia veloce,
possibilmente gelida per risvegliarsi meglio.
In camera, invece, Hime
stava combattendo contro quella odiosissima divisa che era costretta a indossare
e, nella fretta di vestirsi, riuscì anche a mettersi la gonna al contrario e a
fare un fiocco alla cravatta. Si guardò perplessa allo specchio, ancora troppo
rincoglionita dal sonno per capire cosa non andasse in lei quel giorno, ma
lasciò subito perdere, consapevole che sicuramente qualche suo amico
gliel’avrebbe fatto notare al più presto.
Quando Hanamichi uscì
lindo e profumato, lei lo prese per la manica della giacca e lo trascinò fuori,
ficcandogli in bocca una fetta biscottata come colazione.
«Yooo!
Aspettaci!», gridarono insieme, catapultandosi sul motorino dell’amico che, al
colpo, resse per miracolo.
«Spostati, guido io!»,
strillò Hanamichi, peggio di una zitella acida, mentre metteva in moto e
partiva a tutta velocità. Dietro di lui Yoehi pregava tutti i Kami del mondo
affinché arrivassero sani e salvi a destinazione e soprattutto che quel
deficiente del suo migliore amico non gli sfasciasse il motorino. Hime, invece,
stava bellamente in piedi dietro Yoehi, capelli al vento che aveva dimenticato
di ritirare con la sua consueta pinza, ma che almeno si asciugarono velocemente
dell’acqua della doccia.
Bruciando semafori su
semafori e rischiando di investire qualsiasi cosa respirasse e che fosse in
traiettoria, Hanamichi li portò a destinazione nel giro di cinque minuti,
proprio quando l’ultima campanella stava suonando. Fortuna che non avevano
praticamente fatto colazione tutti e tre, altrimenti avrebbero rigettato anche
il panettone di dieci anni prima, su quello non avevano dubbi.
Yoehi mise la catena alla
sua moto, parcheggiata fuori dal cancello per evitare problemi con i docenti;
nel frattempo, trionfante, Hanamichi alzò un pugno al cielo, proclamando ai
quattro venti la sua genialità proprio quando gli passò sulla schiena una
bicicletta a caso, guidata da un ragazzo altrettanto a caso, che arrivò
miracolosamente al parcheggio delle bici a zig zag senza ammazzare
nessun’altro.
«Maledetta volpaccia! Ci
provi tutti i giorni, eh?!», sbraitò il rossino, balzando verso il suo odiato
amico e agitandolo per la collottola.
«Do’aho, mollami».
«Dai, Hanamichi!
Continuate a battibeccare dopo, brutte lavandaie che non siete altre!», fece
Hime, portandosi via il fratello che non smetteva di inveire, e salutando con
una strizzata d’occhio il suo migliore amico.
Ma avevano fatto male i
conti, quella mattina, perché tale professor Yoshikai, ben più noto come Sua Signoria la Bastardaggine in
persona, era già bello che seduto alla sua cattedra e li guardava con un
sorrisino maligno e meschino. Si alzò dalla sedia e si sistemò i grandi
occhiali quadrati spessi come fondi di bottiglia, per guardarli meglio. «Bene,
bene, bene. I due Sakuragi e Mito. Bene, bene, bene».
“Se ripete un’altra volta quell’accidente di bene gli tiro una testata”,
si appuntò mentalmente Hanamichi, mentre quello psicopatico continuava a
ghignare. E dire che non aveva visto quella brutta faccia da seppia per ben tre
settimane in più, a causa della riabilitazione… a pensarci bene avrebbe voluto
rimanerci un altro po’.
«Professore, per favore,
ci faccia entrare!», lo scongiurò Hime, inginocchiandosi teatralmente e facendo
ridere tutti i suoi compagni di classe. «Per favore!».
«Hicchan, alzati! Ti pare
che devi supplicare questo qui?».
«Baka, guarda che lo sto
facendo anche per te!».
Mito, che se ne stava in
silenzio gustandosi la scena, si passò una mano sul viso, sapendo già cosa
sarebbe successo da lì a due secondi.
«FUORI DI QUI! TUTTI E
TRE!».
I ragazzi si videro la
porta scorrevole chiusa davanti al naso, senza possibilità di ribattere. E
mentre Hanamichi rideva nervosamente, consapevole di aver aperto bocca al
momento sbagliato, Yoehi buttò la borsa su un angolo e si appoggiò alla
finestra del corridoio, chiedendosi perché anche lui dovesse essere compreso
nel pacchetto quando non aveva aperto bocca. Hime, d’altro canto, dava le
spalle ai due, ma dal modo in cui tremava e dalle fiamme che la circondavano
spaventosamente, forse, forse si era
arrabbiata.
«Hi-Hicchan…», Hanamichi
tentò l’approccio che di solito funzionava, ossia sorrisino innocente e
occhioni dolci che avrebbero fatto sciogliere anche un iceberg vivente come
Rukawa.
«Sei. Uno. Scemooo!», gridò Hime, togliendo fuori un ventaglio da
nulla e sbattendoglielo in testa.
«Ahia, Hicchan!», si
lamentò Hanamichi, accarezzandosi la testa e accucciandosi in posizione di
difesa. «Si può sapere da dove salta fuori quello?!».
Hime lo guardò con occhi lampanti
e un sorrisino diabolico in viso. «Me l’ha regalato Ayako. Non è bellissimo?».
«Se è per usarlo contro
di me direi di no, allora». Hanamichi guardò offeso la gemella, che agitava sinistramente
il ventaglio e minacciava di dargliene ancora. Cavolo, quando si arrabbiava era
veramente inquietante!
«Che palle», fece Yoehi,
sedendosi sul bordo della finestra. Se l’avesse visto qualche insegnante ce
l’avrebbe prima buttato giù e poi gli avrebbe fatto una ramanzina che sarebbe
bastata e avanzata.
«L’hai detto», Hanamichi
gli si avvicinò, affacciandosi e guardando il cortile della scuola, deserto.
Quando sentirono la voce della ragazza che chiedeva ancora una volta al
professore di farli entrare, scoppiarono a ridere nel vederle i capelli volare
al vento manco fosse ancora in moto, a causa delle grida furiose di Yoshikai.
«Professore, dovrebbe
stare attento a questi attacchi d’ira, altrimenti potrebbe sentirsi male», gli
disse Hime con faccia di bronzo, mentre l’uomo riprendeva fiato e una vena gli
pulsava paurosamente in fronte. Fu così che la rossa si voltò trionfante,
facendo segno ai due di entrare in classe. Ah, la forza della disperazione!
Hanamichi prese posto nel
solito banco all’ultima fila, vicino alle finestre e guardò la sorella prendere
il quaderno e ricopiare velocemente tutto quello che c’era alla lavagna. Hime
era veramente un controsenso con le gambe: era casinista peggio di lui, però
quando si trattava di mettersi d’impegno con la scuola non voleva sentire
niente. Tranne nelle ore di storia che, come lui e il resto della classe,
odiava profondamente e ne approfittava per fare tutt’altro fuorché ascoltare i
lunghi monologhi soporiferi del professore.
Il ragazzo, a differenza
sua, poggiò svogliato la testa sul grande palmo di una mano e si fissò a
guardare la palestra, che poteva vedere benissimo da quella posizione. Chissà
se Ryota aveva fatto dei buoni acquisti con le nuove reclute? Certo, era
alquanto improbabile che ci fosse qualcuno al suo stesso livello di genialità,
pensò con un sorrisino demente sulle labbra, ma senza Akagi lui avrebbe dovuto
prenderne il posto e un rimpiazzo doveva pur trovarlo… ma no, ma no! Che
diceva?! Lui era un genio, un vero e
proprio fuori classe, il Re dei Rimbalzi… macché rimbalzi, del Basket intero! Avrebbe
ricoperto sia il suo solito posto da ala grande che anche quello di centro. E
che ci voleva? Bazzecole!
*
«Psst…
Ryota!»
Il nuovo capitano dello
Shohoku, nel sentire la voce della sua manager preferita si voltò verso destra,
e prese al volo un bigliettino che gli arrivò sul naso. “Bella mira!”, pensò il
ragazzo, sognante. Chissà cosa c’era scritto! Magari voleva chiedergli di
uscire? Sì, non poteva essere altrimenti… dopo il discorso che avevano avuto in
ritiro ormai la strada era bella che spianata!
Senza farsi vedere dal
prof, troppo intento a leggere un passo di qualche vecchio scrittore di cui
ignorava l’esistenza, Ryota srotolò il bigliettino e lesse famelico. Per poco
non gli scese un colpo leggendo la grafia ordinata della sua amata che, a
lettere cubitali, gli aveva scritto: “No,
Ryota, scendi dalle nuvole e torna tra i mortali. Sono preoccupata per te, ti
vedo assente. Che hai?”.
Con gli occhioni lucidi
per la commozione (la sua Ayakuccia si preoccupava per lui!), le rispose di
tutta fretta, lanciandole perfettamente il bigliettino dentro l’astuccio. Non
era un ottimo giocatore di basket per niente, lui!
Ayako dovette ricorrere a
tutto il suo noto autocontrollo per non mettersi a ridere, guardando la
risposta dell’amico. “Hanamichi. E ti ho
detto tutto”.
Eh sì, era arrivato il
giorno in cui il rossino avrebbe ripreso gli allenamenti e un po’ tutti
temevano che il canestro all’ultimo secondo contro il Sannoh gli avesse fatto
bere l’ultimo pezzetto di cervello che gli restava. Già se lo immaginavano,
gridando al mondo la sua Genialità, il fatto che tutti i giocatori del mondo
avrebbero dovuto baciare il suolo che pestava e che Rukawa era sempre la solita
mezza sega. Bella palla, doverlo sopportare di nuovo! Senza l’aiuto provvidenziale
di Akagi sarebbe stato duro tenerlo a bada. Per non parlare del fatto che, con
tutti i casini che si portava dietro come un’ombra, avrebbe fatto scappare quei
tre disgraziati che erano sopravvissuti ai suoi allenamenti e che, a dirla
tutta, non se la cavavano neanche tanto male.
“Vedrai, magari si è dato una calmata in queste settimane.”
Ryota le lanciò
un’occhiata per niente convinta. “Ne
riparliamo questo pomeriggio. Se vinco io, esci con me!”
Ayako gli fece una
smorfia divertita, ma non gli rispose. Voleva farlo soffrire ancora un po’, da
brava ragazza sadica, anche se Hime le aveva più volte detto che non doveva
giocare col fuoco. Ryota era innamorato di lei, certo, ma prima o poi si
sarebbe stancato di quella situazione altalenante, era normale.
E mentre lei si
arrovellava il cervello in quei pensieri contorti, un’altra ragazza
scarabocchiava disegni astratti nel suo quaderno, pieno di qualsiasi cosa
tranne che di appunti. Kiyo Kobayashi non aveva mai adorato andare a scuola e
studiare, se non per poter partecipare al club di nuoto che la vedeva come una
delle migliori atlete di quegli ultimi anni. Lei non voleva continuare
all’università, voleva solo uscire da quella gabbia di matti e proseguire nel
professionismo, fino alle Olimpiadi. Un sogno ambizioso il suo, ma testarda
com’era non si sarebbe schiodata da quell’idea neanche morta.
Il professore di
Giapponese Antico stava traducendo un testo, a detta di alcuni suoi compagni,
particolarmente ostico, ma non se ne curò. La sua amica, in un buco di tempo
libero, le avrebbe dato una mano prima degli esami, come faceva sempre. Guardò
con impazienza l’orologio appeso sopra la porta e sbuffo constatando che era
passata solo un’ora e mezza dall’inizio delle lezioni.
Che due palle.
Lanciò un’occhiata alla
classe, tutta intenta a prendere appunti e a seguire la lezione. Tutti tranne
uno, che ronfava beatamente incurante di tutto e di tutti. Ormai anche il
professore si era rassegnato a quella che era diventata routine giornaliera.
Kaede Rukawa aveva sempre fatto così: entrava in classe, inceneriva con lo
sguardo chi osava salutarlo, borsa sul banco a mo’ di cuscino e buona notte a
tutti. Solo in inglese si degnava di ascoltare e addirittura scribacchiare
qualcosa nell’unico quaderno che sembrava avere. Ma lui doveva andare in
America, doveva imparare l’inglese.
Kiyo scosse la testa,
pensando che quel narcotizzato di ragazzo era veramente strano. E non riusciva
a capire come più della metà della popolazione femminile potesse morirgli
dietro. Assurdo, semplicemente. Sì, era carino, niente da ridire; ma uno che
non parlava, non sorrideva, dormiva anche in piedi e pensava sempre e solo al
basket non doveva essere di troppa compagnia.
Ma a lei poco importava;
si salutavano a malapena solo perché lui si era accorto dell’indifferenza della
ragazza e lei, dopo la scottatura con Toshiro, non aveva alcuna intenzione di
fissarsi con qualcuno, soprattutto se questo era un qualcuno poco socievole
come lui.
Kaede Rukawa, però, anche
se in coma profondo, sentì perfettamente il suono soave della campanella che
decretava la fine delle lezioni e l’inizio della pausa pranzo e, con tutta
calma, prese la sua sacca dell’allenamento e se ne andò come sempre in
terrazza, a mangiarsi il suo bento in
santa pace e a schiacciare l’ennesimo pisolino pomeridiano. Arrivato all’ultimo
piano spinse la porta che dava sul terrazzo e lanciò velocemente un’occhiata in
giro. Nessuno. Si sedette contro il parapetto e mangiò quel poco di cibo che si
era portato dietro, tanto per dire che aveva messo qualcosa nello stomaco.
Voleva stare leggero per gli allenamenti, quindi un piccolo sacrificio poteva
anche farlo. Non che fosse conosciuto come la discarica umana, quel primato lo
detenevano quegli smidollati dei suoi compagni di squadra e non aveva alcuna
intenzione di rompersi lo stomaco come loro. Ma quante lavate di capo si era
beccato dal Capitano, dalle due manager, persino da quella Scimmia Rossa, per
il fatto che fosse troppo magro! Ah, farsi i fatti loro no, eh?
I suoi pensieri furono
risvegliati dalla voce squillante di Hanamichi che, giù in cortile, sbraitava
qualcosa a qualcuno. Probabilmente le solite stronzate sulla sua genialità. Ma
come diavolo faceva a farsi sentire anche lassù?
«Do’aho», mormorò, mentre
nello stesso istante la
Scimmia si strozzava col suo cibo, manco avesse avuto il
sesto senso di sentire quel nomignolo.
La porta della terrazza
si aprì e la solita ragazzina silenziosa fece la sua comparsa, salutandolo con
il solo sguardo. Kaede non sapeva chi fosse, ma l’aveva sempre trovata lì
all’ora di pranzo. Arrivava silenziosa, mangiava il suo bento e l’ora dopo faceva i compiti per il giorno successivo; poi
spariva nel nulla a tutta velocità alle lezioni, e poi probabilmente per andare
a frequentare il proprio club, forse di musica dato che a volte si trascinava
dietro una chitarra che sembrava più grande di lei. Beh, almeno non gli menava
le palle sbavandogli dietro e lo lasciava dormire in pace.
Ma Rukawa non ci pensò
più di tanto, troppo occupato a trovare una posizione comoda per addormentarsi
meglio. Evidentemente la trovò subito, perché entrò in letargo due secondi dopo
che aveva chiuso gli occhi.
*
«Hisashi!», gridò Hime,
saltando al collo dell’amico per la gioia di rivederlo.
«Ehi, testa rossa!», le
sorrise, dandole un pizzicotto sulla guancia. «Era ora, vi stavamo dando per dispersi».
«Oh, allora vi
mancavamo!», cinguettò Hime, saltellando dalla contentezza.
«Ora non montarti la
testa come il tuo solito. E tu, mezza sega! Come va la schiena?».
«Mezza sega a chi?!», sbraitò l’altro, indemoniato. «Per la cronaca
il Genio qui presente è più in forma di prima! E voi pipette dovrete fare i
conti con me, agli allenamenti! Ahaha!»
«Ma sentitelo. Nella
riabilitazione non era compresa anche una visita dal neurologo?».
«Ma va’ un po’ a cagare!».
Mitsui gli tirò un
colpetto in testa, ghignando. «Scherzi a parte, seghetta, come va?».
Hanamichi sorvolò
sull’ennesimo “seghetta” gratuito che gli aveva lanciato, facendo spallucce.
«Per ora non ho problemi, ma devo vedere cosa succede agli allenamenti».
Hime incrociò le braccia,
con fare da maestrina. «Il medico ti ha detto di non sforzarti, Hana».
«Sì, Hicchan, me l’avrai
ripetuto cento volte».
«E continuerò a farlo,
perché ti conosco», ribatté la sorella, guardando Hisashi per cercare sostegno.
Questo annuì, consapevole che il momento post-riabilitazione era quello più
critico e che bisognava saper utilizzare la massima cautela per non avere
problemi in futuro e troncarsi la carriera sportiva con le proprie mani.
«Hanamichi, fai come ti
dice tua sorella e il medico. Non vorrei che per la tua stupidaggine ti
accadesse quello che è successo al mio ginocchio».
Il rossino grugnì
qualcosa in risposta, ma si fece attento tutto d’un tratto quando Takamiya gli
gridò in un orecchio “Ehi, guarda chi c’è
la!”. Per poco Hanamichi non si strozzò con l’acqua che stava bevendo,
rischiando di sputarla tutta addosso all’ex-teppista e dire addio al mondo con
tanto di sviolinata funebre. Chi aveva visto? Ma la sua dolce Haruko, ovvio.
«Ciao ragazzi!», li
salutò la sorella del Gorilla. «Siete tornati!».
Hime annuì sorridente,
mentre il fratello era in totale brodo di giuggiole e pendeva dalle sue labbra.
«Oh Kami…», borbottò
Hisashi, alzando gli occhi al cielo.
«Come va la schiena,
Hanamichi?», chiese gentilmente Haruko, sedendosi a mangiare con loro.
Hime, Mitsui e gli altri
si passarono una mano sul viso, rassegnati, quando Hanamichi saltò in piedi,
esclamando al mondo: «Sono più forte di prima! Ahaha!».
E l’altra soggetta, che
avrebbe fatto bene a starsi zitta una buona volta, diceva sorridente: «Non
avevo dubbi, Hanamichi!».
«È anche più deficiente,
a quanto pare», commentò Ryota, raggiungendoli con Ayako.
«Tappo! Quanto mi sei
mancato!», gridò Hanamichi, mentre il povero playmaker dello Shohoku si vedeva
arrivare addosso un bisonte di un metro e novanta che iniziò a strapazzarlo
neanche fosse un pupazzo. Hanamichi rischiò il linciaggio per l’eccessiva dimostrazione
di affetto, che giustamente Hime volle sottolineare con un “Come siete carini!”, gli occhioni
luccicanti e le mani sulle guance rosse.
«Siete la coppia più
bella del mondo…», cantilenò qualcuno alle loro spalle, facendoli voltare.
«Akira!», esclamò Hime,
andando ad abbracciare l’amico, mentre la-coppia-più-bella-del-mondo
in questione continuava a darsi dimostrazioni d’affetto con morsi e pugni.
«Ehilà, ragazzi!», fece il
bel numero 7 del Ryonan, che con il suo solito sorriso candido avrebbe illuminato
l’intero Paese, risolvendo la problematica faccenda energetica.
«Bah? Che c’è, riunione
qui?», borbottò Hisashi, guardando di sbieco il nuovo arrivato.
Akira gli si avvicinò,
dandogli qualche amichevole pacca sulle spalle. «Aha!
Hisa, non mi dire che sei ancora arrabbiato?», gli
chiese con un visino angelico.
«Secondo te? Razza di
demente».
«Che è successo?»,
domandò interessata Ayako, per la serie facciamoci
i fatti degli altri senza il benché minimo pudore.
«È successo che questo
Istrice della malora mi ha fregato le chiavi della moto da casa e me lo son
ritrovato che gironzolava intorno al mio quartiere come se niente fosse».
Akira, che nel frattempo,
si spanciava al ricordo dello scherzetto che gli aveva fatto, si mise a sedere,
ancora divertito. «Eddai, Hisa,
ero una vita che ti chiedevo di farmi fare un giro su quella benedetta moto!».
«E non ti sei schiantato
da nessuna parte?», fece allibito Hanamichi, tornando dall’incontro di boxe che
l’aveva visto vincitore contro Ryota.
«Guarda che sei tu quello
incosciente che rischia di ammazzarsi ad ogni curva, Hanamichi», gli fece
saggiamente notare Yoehi, che due secondi dopo si beccò una testata memorabile.
«Schiantato? Se ne fosse
uscito vivo l’avrei finito di ammazzare io, altro che!», sbraitò Mitsui peggio
di un venditore al mercato.
«Ma son stato bravo,
neanche un graffio», disse pieno di sé il Porcospino, facendo ridere Hime,
mentre Hisashi grugniva un “E per fortuna
tua”.
Hanamichi guardò di
soppiatto l’amico. «Dì un po’, Hentai, com’è che non sei al Ryonan oggi?»
Con un sorrisone degno
della più nota pubblicità di dentifrici per denti smaglianti, Akira si passò
una mano sulla nuca. «Non ha suonato la sveglia!».
«E ti pareva!».
«Aki,
dovresti seriamente fare qualcosa con quell’aggeggio», disse Hime, fintamente autorevole.
«La prossima volta ti sparo un razzo in camera, vediamo se così funziona».
«Bah, questo qui è peggio
di Rukawa», fece Hisashi. «Domenica scorsa sono andato a casa sua per
portarmelo dietro in ospedale, dato che ci teneva così tanto a farmi da mamma.
Mi ha aperto la signora Sendoh dicendomi che l’avrei trovato in camera sua. “Se sta ancora dormendo, sveglialo!”, mi
ha detto».
«Sì, “sveglialo”. Non “fargli perdere venti anni di vita in un colpo”».
«Che hai fatto, perché?»,
chiese Ryota, interessato.
Mitsui ghignò alla volta
dell’amico dai capelli anti-gravitazionali. «Gli ho gridato nelle orecchie imitando
la voce del signor Fukkoi».
E mentre tutti piangevano
dalle risate, soprattutto Hanamichi e Hime che non avevano ancora dimenticato
lo scherzetto fatto in ritiro ai danni del povero Sendoh Nazionale, Akira
sospirava, sconsolato. «Non solo son bastardi, ma se la ridono anche!».
«Beh, non puoi negare le
mie innate doti per le imitazioni», si pavoneggiò Hisashi, stiracchiandosi e
mettendosi in piedi.
«Certo, senpai, che anche
tu ti difendi bene! Ci sono così tante persone da imitare… ma devi fare proprio
l’uomo dei suoi incubi ricorrenti?», lo bacchettò Ayako, anche se nonostante
tutto era divertita.
«E se no che gusto ci
sarebbe, scusa?».
«Oh, fai pure quando
vuoi, Hisashi».
Mitsui tirò un colpo
amichevole alla spalla di Akira, mentre questo se la rideva come se niente
fosse accaduto. Anche se sentirsi appena sveglio la voce del padre della sua
ex, un uomo tutto fuorché gentile, non era il massimo del divertimento.
«Dai, ragazzi. È arrivata
l’ora di allenarsi!», cinguettò Hime, che come il fratello non vedeva l’ora di
riprendere con la routine pomeridiana.
«Hanamichi!», lo richiamò
il nuovo Capitano. «Non ti dico niente, mi raccomando». Il rossino lo guardò
con aria perplessa, grattandosi il mento. «Ti sto dicendo di non metterti a
fare il deficiente con le nuove reclute, ritardato!».
«Ritardato a chi?! E poi
mica devi farmi le raccomandazioni, Ryo-chan. Lo sai che sarò un angioletto
come sempre!».
«Andiamo bene», borbottò
qualcuno, mentre la mandria si mise in viaggio verso la palestra.
Sulla via trovarono due
ragazzotti alti almeno un metro e ottantacinque, anche loro con la sacca
dell’allenamento in spalla.
«Ciao ragazzi!», esclamò
Ayako, agitando una mano per farsi vedere. Come se poi quei bestioni dietro di
lei non si facessero notare già di per sé.
«Oh, Ayako-san! Ciao!
Capitano! Senpai Mitsui!», esclamarono in coro i due, che si rivelarono essere
due gemelli.
Hanamichi, appena si
accorse di loro, balzò davanti ai novellini ragazzi, guardandoli da ogni lato e
rendendosi più ridicolo di quanto già non apparisse per conto suo.
«Ecco che ora li fa
scappare», biascicò Hisashi, passando dritto e deciso a non intervenire per non
pestare quell’idiota e rischiare di sporcarsi le mani di sangue.
«E voi due chi sareste?»,
chiese Hanamichi, continuando a gironzolare intorno ai gemelli.
«Eichiro e Kimi Shimura,
piacere di fare la tua conoscenza, Sakuragi!», fece uno dei due, Eichiro.
«Ti abbiamo seguito ai
Campionati, e pensiamo che sia stato veramente un grande!», proseguì entusiasta
Kimi.
«Oh no, non dite così che
si monta la testa», mormorò Ayako, coprendosi il viso con il berretto. E
infatti, appena Hanamichi sentì che i due lo conoscevano anche senza bisogno di
presentazioni, gli saltò addosso, iniziando a ridere sguaiatamente e guadagnandosi
decine e decine di occhiate preoccupate. «Voi due già mi piacete!».
«Lo abbiamo perso»,
decretò Akira, ficcandosi le mani in tasca, con il suo solito sorrisino sulle
labbra.
«Più che altro spero di
non perdere quei due. Sono in gamba», borbottò Ryota, avvicinandosi al rossino
e tirandoselo dietro per un orecchio. «Fila negli spogliatoi e vedi di
sgasarti!».
«E dire che rimpiangeva
Akagi», fece Hime con gli occhi sgranati. «Ryota sarà anche la metà, ma si fa
rispettare».
«Cosa sarei io?!».
La ragazza scoppiò a
ridere, cercando di nascondere un evidente imbarazzo per la brutta figura. «Ma
no, Ryo-chan! Scherzavo! Ahaha!», disse
innocentemente, mentre il fratello si beccava un sonoro calcio nel di dietro
per aver azzardato un “Tappo” rivolto al Capitano.
Nel frattempo arrivò
anche un altro ragazzo mai visto, che salutò tutti con cordialità, per poi
soffermare la sua attenzione sulla rossa. «Ciao, io sono Masuhiro Araki, tu
devi essere Hime Sakuragi, vero? È un onore poter lavorare con te!».
Hime divenne rossa come
un pomodoro nel ritrovarsi quel giovanotto che la guardava con occhi fuori
dalle orbite e la bavetta alla bocca. «Uh… ciao, Masuhiro». Guardò Akira, al
suo fianco, cercando aiuto, ma quello sembrava non curarsene, troppo divertito
per porre fine a quella situazione.
«Ha! Sendoh del Ryonan!»,
esclamò il nuovo arrivato, eccitato. «Ti batterò, vedrai!».
Akira sorrise affabile
come sempre, mentre puntuale arrivò il commento di Kaede Rukawa: «Un altro
esaltato».
L’aria si fece pesante
tutta d’un colpo: Araki che, da dolce cucciolotto innamorato, passò a uno
sguardo di ghiaccio rivolto a Kaede che, a sua volta, lanciava un’occhiataccia
fulminante al suo rivale-amico Akira che, a differenza degli altri, alleggerì
il tutto con una sana risata.
«Ma che hai tu sempre da
ridere, Iena?», esclamò Hanamichi, comparendo dagli spogliatoi. «Toh, la Volpe!».
«Hanamichi, un giorno
dovrai farmi il riepilogo di tutti i nomignoli che hai dato in giro, perché ho
sinceramente perso il conto», disse Akira con un sorriso.
Ma Hanamichi non lo stava
nemmeno ascoltando, troppo intento a capire cosa stava succedendo: c’era un
nuovo ragazzo, poco più basso di lui, con dei capelli vergognosamente tinti di
blu sulle punte, che non sapeva bene se bearsi della vista della sorella o se
fulminare con lo sguardo la
Kitsune, che comunque non se lo filava neanche con uno
sguardo. «Hicchan, vieni qui! Non mi piace questa cosa».
Araki si accorse solo in
quel momento della presenza di Sakuragi, che salutò con una cordiale presentazione
e filò velocemente negli spogliatoi.
«Questa cosa, cosa?», chiese Hime perplessa.
Il fratello grugnì
qualcosa in risposta, ma non aggiunse altro, raggiungendo i compagni al centro
del campo per l’inizio degli allenamenti.
Appena i ragazzi
iniziarono i loro giri di riscaldamento, Hime si sedette vicino ad Ayako,
guardando le schede dei nuovi arrivati. «Che mi puoi dire dei pargoletti?».
«Mah, se la cavano
abbastanza bene, per ora. Ma li abbiamo visti giocare senza Kaede e Hanamichi
in campo, quindi oggi ne vedremo delle belle», sospirò Ayako, consapevole di
quello a cui stavano andando incontro. «Comunque i gemelli sono alti 1,86 e
pesano intorno agli 80 chili. Eichiro è un'ottima ala grande, mentre Kimi è
bravo sia come guardia che come play».
«E l’altro?», chiese
Hime, lanciando un’occhiata veloce al suo nuovo spasimante.
«Oh, Araki è alto 1,83,
pesa 70 chili ed è un’ala piccola. Credo che tra lui e Rukawa ci sarà una bella
lotta. Era alle Tomigaoka anche lui ed era sempre una delle riserve, dato che Kaede
era la stella della squadra. Puoi immaginare l’astio che provi nei suoi
confronti».
«Beh, l’importante è che
non si ammazzino a vicenda. Dobbiamo tirare su una buona squadra».
«Uhm… interessante…»,
stava dicendo intanto Akira, curiosando negli appunti della prima manager.
«Ehi! Spia,
allontanati!», esclamò Hime, spintonandolo via.
«E dai, solo
un’occhiatina!», fece innocente l’amico, tentando di intenerirla con uno dei
suoi consueti sorrisi malandrini.
«Scordatelo!».
E tra battibecchi, corse
e passaggi, arrivò anche il tanto atteso momento della partitella per testare
le condizioni della schiena di Hanamichi e dei tre acquisti.
«Bene, ragazzi, ci
divideremo in due squadre», stava dicendo Ryota, con tono di chi non ammetteva
repliche.
«Ehi, smettila di farti
figo. Non ti riesce», parlò invece il Figo per eccellenza, a suo dire, Hisashi
Mitsui, asciugandosi il sudore del viso sulla maglia blu.
«Ha parlato quello che si
crede ganzo solo perché indossa giacche di pelle e guarda male tutti».
«Almeno io ho il fascino
del tenebroso!».
«E basta cincischiare,
narcisisti dei miei stivali!», sbottò Ayako, tirando fuori il ventaglio e
dandone una passata a ciascuno. Le reclute si allontanarono di qualche passo,
dato che avevano capito che la prima manager, quando si arrabbiava, diventava
estremamente pericolosa.
Ryota, dopo aver
mormorato un “Ayakuccia!”, proseguì.
«Dicevo, titolari contro i novellini».
«E Akagi chi lo
rimpiazza?», chiese Hisashi. Hanamichi gli si parò davanti, indicandosi.
«Sì, vabbè, comunque siamo
in quattro».
«Non mi dite che già vi
manco?», ghignò una voce all’ingresso della palestra, facendo gelare il sangue
a tutti. Takenori Akagi li guardava con una punta di soddisfazione in viso, le
braccia incrociate… e la tuta dell’allenamento addosso.
«Gori!», strillarono i
gemelli Sakuragi, saltandogli addosso e abbracciandolo con le lacrime agli
occhi.
«Pussate via,
deficienti!», gridò il King Kong, rosso in viso, cercando di scrollarseli di
dosso. Ma quei due erano peggio di due cozze e gli rimasero appesi al collo
finché non buttò la spugna, guardando gli altri con aria rassegnata. «Ecco uno
dei motivi per cui ho mollato».
«Seh,
seh. Dì la verità, è che stai invecchiando e non ce
la fai più», lo stuzzicò Mitsui, sfidandolo con lo sguardo. Quanto gli mancava
quel gendarme del cavolo!
Come si immaginavano un
po’ tutti, Akagi raccolse l’amo e si trascinò in mezzo al campo, con quegli
altri due dementi ancora attaccati al collo. «Titolari contro novelli, eh? Io
son pronto».
«Yeah!»,
gridarono Hime e Hanamichi, battendosi il cinque. Akagi sorrise, scuotendo la
testa. No, non poteva certo sperare che quei due potessero cambiare nel giro di
poche settimane. Tanto meno poteva sperare di riuscire a stare senza il suo
amato basket, cosa per cui stava letteralmente impazzendo. Una partitella con i
suoi vecchi compagni non avrebbe fatto altro se non giovargli.
«Bene, la squadra rossa
sarà formata da me, Akagi, Mitsui, Rukawa e Sakuragi.», fece Ryota, richiamando
l’attenzione di tutti, troppo intenti a guardare il Gorilla. «La squadra gialla
invece avrà la seguente formazione: Eichiro Shimura nel ruolo di ala grande,
Kimi Shimura in quello di guardia, Yasuharu Yasuda playmaker, Masuhiro Araki
ala piccola e Satoru Kakuta centro. Domande?»
Hanamichi alzò la mano, lasciando
tutti parecchio perplessi. «Io con questo volpino non ci voglio stare». Immediato
arrivò anche il tanto agognato pugno del King Kong, che quasi lo fece piangere
dalla commozione.
«Hime, tu arbitrerai come
sempre, d’accordo?», le chiese Ryota, che in risposta ottenne un ok e una
strizzata d’occhio.
«Ehi, Kit, vedi di non
fare la divetta come sempre e non preoccuparti della mia schiena, ok?», gli
fece Hanamichi, con una strana espressione che voleva dire: “Sono più forte di prima, se passi a me fai solo
bene!”.
Kaede, d’altro canto, lo
guardò come se gli fossero spuntate tre teste. «E chi si preoccupa, Do’aho».
«Dai, ragazzi, tutti ai
vostri posti!», fischiò poi Hime, per farsi sentire. Inutile dire che quando
Masuhiro la vide in pantaloncini e con la maglia del fratello addosso,
fischietto da una parte e pallone dall’altra, non poté non avere un momento di
collasso. Era amore a prima vista, quello!
«Chiudi quella ciabatta,
amico. Ti ci entrano le mosche», gli consigliò Hisashi. «Quella è proprietà privata».
Araki si risvegliò,
guardando il senpai con vergogna. «S-scusami, Mitsui-kun,
non volevo… è… è la tua ragazza?»
Hisashi scoppiò a ridere,
per quella che a lui parve una battuta in pieno stile. «Ma no, è solo che se
Hanamichi si accorge che te la mangi con gli occhi sono cavoli tuoi. Ti consiglio
di contenerti, tutto qui».
«Oh». Masuhiro lanciò
un’ultima occhiata alla ragazza, che stava tirando due palloni in testa a
Hanamichi e Kaede, dato che avevano iniziato a battibeccare come due bisbetiche
in mezzo al campo.
«Hi-Hicchan! Ha iniziato
lui!», si lagnò il fratello, mentre Rukawa gli passava accanto, massaggiandosi
la testa e borbottando “Uno più scemo
dell’altro”.
La partitella di
allenamento iniziò due minuti dopo. Al salto si piazzarono Akagi ed Eichiro e,
come prevedibile, il King Kong ebbe la meglio sul novellino.
«La prossima volta piega
di più le gambe», gli consigliò e Shimura annuì, partendo in difesa. La palla
era in mano a Ryota, che fece qualche passo oltre la linea di metà campo e
studiò la situazione. Vide Rukawa tallonato da un ammirevole e indemoniato
Masuhiro, ma era ancora troppo presto per passargli la palla e fargli
assaggiare il talento del volpino. Palleggiò velocemente, penetrando a sorpresa
la difesa, seguito da Yasuda, suo marcatore. Passò a Mitsui, con uno splendido
cambio di mano dietro la schiena, e il cecchino dello Shohoku, proprio a
qualche passo dalla linea dei tre punti, saltò indietro, prese la mira e tirò.
Quando alzò il pugno al cielo tutti capirono che i primi tre punti della
partita erano per la squadra rossa.
«Vai così, Mitchi!».
«E non chiamarmi Mitchi,
deficiente!».
Il possesso era ora in mano
ai pivelli; Yasuda passò a Masuhiro, che fremeva per avere il pallone e far
vedere a tutti di che pasta fosse fatto. Due secondi più tardi fu accontentato
e guardò con occhi di brace il suo rivale. «Ora vedremo se sei ancora tu la
stella della squadra, Rukawa».
Hanamichi prese un
coccolone nel sentire quelle parole, soprattutto nel vedere lo sguardo
determinato del suo compare. Conosceva quell’espressione, e così non andava
bene! «Ehi! Si da il caso che Rukawa è
mio, chiaro?!».
«Do’aho, taci che
potrebbero scambiarlo per altro».
La partita si fermò
qualche minuto, il tanto giusto per far riprendere un po’ tutti dagli attacchi
epilettici dovuti alle troppe risate. Hime rischiò seriamente di ingoiare il
fischietto che teneva poggiato tra le labbra e persino l’imperturbabile Akagi
dovette darsi una rinfrescata alle idee dopo l’uscita colossale del rossino.
«Questo è troppo anche
per me!», stava dicendo Akira, spalmato in terra con le mani sulla pancia,
incapace di fermarsi.
«La gelosia ti fa maleeee, lo saaai…», canticchiò tra le lacrime Hisashi, mentre
Hanamichi sbraitava che intendeva dire “Mio
nemico pubblico, razza di stronzi!”. Ovviamente Kaede non poteva lasciare
impunita la cosa e le suonò di santa ragione all’amico, mentre il resto della
squadra quasi rimaneva senza fiato per le risate. Non ce n’era uno che
riuscisse a reggersi in piedi dai singhiozzi.
Dieci minuti dopo stavano
ancora ridacchiando, ma riuscirono a rimettersi bene o male sulle proprie
gambe.
«Hanamichi, era una vita
che non ridevo così tanto!», lo ringraziò Ryota, seguito da Hisashi, che gli
battevano le mani sulle spalle, mandandolo letteralmente in bestia.
«Forza, si ricomincia!»,
batté le mani Akagi, richiamando l’attenzione di tutti.
Si riprese con rimessa
laterale per la squadra gialla e si proseguì. Kimi palleggiava placidamente,
con troppa calma per i gusti di Mitsui. Era convinto che da un momento
all’altro sarebbe partito con l’attacco. E infatti eccolo, lo sguardo sempre
calmo, ma la velocità e l’agilità con cui si mosse tradirono la sua apparente tranquillità.
Kimi passò al gemello, ma una mano si mise in mezzo. Il contropiede che Kaede
fece partire fu fulmineo. L’unico che riuscì a stargli dietro della squadra
avversaria era Araki, che tentò di fermarlo. Kaede, con un movimento fluido e
veloce, si passò la palla dietro la schiena, scartandolo nel giro di pochi
secondi e lasciandolo inebetito sulla lunetta. La schiacciata che seguì dopo fu
spettacolare.
«Aaah!
Maledetta Volpacciaaa!»
«Cavolo, è veramente
bravo», disse Eichiro a Kimi, passandosi la maglia sulla fronte.
Il fratello annuì. «Già,
è arrivato in un istante e subito dopo aveva già fatto canestro. Siamo
fortunati a non averlo come avversario».
«Su, ragazzi, non
addormentatevi!», li risvegliò Araki, fin troppo indiavolato per non aver
potuto fermare il suo attacco.
Akira, intanto, poggiato
contro il muro della palestra, guardava interessato lo svolgersi della partita,
e sorrise nel vedere che Kaede era migliorato ancora. Il ritiro con la Nazionale Juniores
sembrava avergli fatto bene e quello che poteva leggergli negli occhi era
chiaro: non si sarebbe fatto battere da nessuno, ora men che meno. Sarebbe
stato difficile quanto entusiasmante giocare contro di lui, ma non impossibile.
Del resto, lui amava le sfide.
«Oh oh oh!».
I ragazzi si voltarono
verso il proprietario inconfondibile di quella risata, l’allenatore Anzai, che
li salutava con un bel sorriso.
«Nonno!», esclamò
Hanamichi, beccandosi poi un calcio da Hisashi.
«Quante volte dovrò
ripeterti di portare rispetto al signor Anzai, eh?»
«Oh oh oh!
Sakuragi, vedo che sei tornato in forma smagliante», fece la Nonnetta, con allegria.
«E certo! Ti aspettavi il
contrario, forse?», si pavoneggiò come da copione l’altro, mentre Akagi gli
assestava un altro bel pugno in testa e i tre novizi dovevano raccogliere le
mascelle rotolate a terra, troppo sgomenti per come si rivolgeva al proprio
allenatore.
«Bene, ragazzi,
continuate così e prendete esempio da Sakuragi», disse Anzai, mentre qualcuno
borbottava “Ci mancherebbe anche questa!”
e l’ego dell’invasato in questione quasi faceva scoppiare i vetri della
palestra. «Dobbiamo avere grinta se vogliamo vincere il Campionato Invernale».
«Sì, signore!»
«Proseguite pure e
scusate l’interruzione», concluse, sedendosi accanto ad Ayako, che prendeva
appunti e dati.
La partitella proseguì,
con un netto vantaggio dei titolari. Nonostante fossero bravi, niente potevano
contro una squadra unita e incredibile come quel quintetto. Eichiro e Kimi
Shimura erano veloci e abili, ma un po’ troppo affrettati nelle conclusioni;
Masuhiro Araki, poi, era quello più veloce e determinato a battere Rukawa, ma
proprio per questo motivo non brillò certo per spirito di squadra. Lo stesso
Kaede gliel’aveva detto: «Questo non è un one-on-one, pivello. Se vuoi batterti con me lo facciamo dopo gli
allenamenti, non ora». E detto da un ghiacciolo egoista come il numero 11 era
il massimo.
«Checcosa?!», sbraitò Hanamichi, appena sentì quella frase. «Perché lui sì e
io no?! Cos’è, hai paura di me?».
«Ci risiamo», fece Akagi,
ringhiando.
«Sembrano marito e
moglie», fece Ryota, affiancandosi a Mitsui, che si poggiò con un braccio sulla
sua spalla. «Comodo?».
«Perfetto, direi».
«Do’aho. Ti ho già
battuto una volta», sbuffò Kaede. «Vuoi umiliarti ancora?».
Hanamichi divenne rosso
peggio dei suoi capelli e da lì al finimondo il passo fu veramente corto.
Le porte della palestra
si chiusero su una letterale batosta dei pivelli, che portarono a casa numerosi
e saggi insegnamenti: non contraddire Sakuragi, far girare la palla (ben
diverso da “far girare le palle”,
sottolineò qualcuno), correre correre e correre,
nuovamente non contraddire Sakuragi, subire in silenzio i rimproveri e le
messinscene dei più grandi e stamparsi in testa a chiare lettere “Dovrò pulire la palestra fino a che non
torna lucida e splendente al posto dei veterani”.
Che dura la vita da basketman.
Continua...
* * *
E il primo capitolo è andato... Spero vi sia piaciuto! Io mi
son divertita troppo a scriverlo! :D
State pronti, ci saranno altre nuove comparse! ;)
A presto e buona domenica!
Mille bacini, Marta.