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Sbagliato
*
“Mi raccomando,
tesoro, fai il bravo.” Romina Amalfi strinse le labbra per non cominciare a
piangere, ma si lasciò comunque trascinare dai sentimenti e, in un battito di
ciglia, si avvicinò al figlio e lo strinse a sé, passando un braccio intorno
alla sua vita e mettendogli una mano sulla nuca, com’era abituata a fare quando
ancora aveva qualcosa come uno o due anni. “Non causare problemi al Comandante
La Kleuze e ai tuoi compagni di squadra, ma sei un bravo bambino, sì… Non c’è
bisogno di dirti certe cose.”
“Ragazzo, mamma.” Nicol Amalfi arrossì violentemente, sia per i modi
di fare affettuosi della madre e sia per la scelta sbagliata di parole. “Sono
un adolescente, ora.”
Romina si allontanò
di un paio di passi, premendo la mano stretta a pugno sul petto, ed aprì la
bocca per replicare, ma suo marito, Yuri Amalfi, le strofinò delicatamente la
spalla, facendola guardare in su. “Mia cara, il nostro ometto è cresciuto,”
disse con un sorriso smagliante che fece annuire vigorosamente il più giovane
dei tre. “Guarda, ha pure la divisa da Red Coat… Se c’è una cosa che non devi
fare, quella è preoccuparti per certe inezie.”
“Sì, è vero,” ammise
la donna, a sua volta con le guance leggermente vermiglie. “Mi dispiace, ma per
me lui sarà sempre il mio bambino.”
“Chiamala ossessione materna, se ti va.” Yuri
scoppiò a ridere, imitato dal figlio, sebbene fosse comunque imbarazzato,
mentre la moglie rientrava in casa. “Ma è solo il suo modo per esprimere quanto
tenga a te.”
“Mi sta bene, papà.
So che la mamma è apprensiva e quello che faccio non è esattamente sicuro… Le
chiederesti se può prendersi cura del mio pianoforte, mentre sono su
Heliopolis?” Nicol scoccò un sorriso smagliante al padre quando annuì.
“Grazie.” Si accomodò sul sedile posteriore dell’auto di famiglia e Yuri si
sporse per guardarlo un’ultima volta. “Sì, papà, starò attento.”
“Questo è il mio
ragazzo,” replicò lui, ghignando. “Buon viaggio, non credo sia il caso di
augurarti un buon divertimento…”
Dopo che Nicol ebbe
riso, l’autista accese il motore e cominciò a guidare tranquillamente verso il
porto spaziale di Aprilius dove, insieme ai suoi cinque compagni, si sarebbe
imbarcato sulla Vesalius di Raww La Kleuze, tutti pronti a partire alla volta
di Heliopolis per la loro prima missione. Non aveva il minimo rimorso per il
furto che avrebbero operato all’interno degli hangar della colonia, dopotutto
ZAFT era nella ragione; era stata l’Alleanza a distruggere Junius Seven, a
spazzare via un’infinità di vite innocenti: vecchi e bambini… Uomini e donne…
Lenore Zala.
C’erano volte, la
notte, che si sognava ancora l’espressione affranta che aveva deturpato il
bellissimo viso di Athrun al funerale della madre. Esplicitamente il figlio del
Consigliere Patrick non aveva mostrato a tutti la sua sofferenza, ma Nicol era
stato in grado di capire subito che, nel sorriso di circostanza che aveva
piegato all’insù le labbra del giovane, c’era qualcosa che non andava e, più lo
guardava, più associava ad esso tristezza, dolore, rabbia. Non osava neppure immaginare
cosa volesse dire perdere la propria mamma, sinceramente non sarebbe
sopravvissuto senza le amorevoli – e talvolta imbarazzanti – cure di Romina.
Conosceva Athrun da
quando erano piccoli visto che era usanza, su PLANT, stringere saldi rapporti
di amicizia tra colleghi e quindi gli Amalfi e gli Zala si incontravano
abbastanza spesso, ma mai per loro volere in quanto Patrick e Yuri, all’interno
del Consiglio, erano sempre stati agli antipodi e, involontariamente, le loro
idee non avevano mai permesso loro di avvicinarsi. Nicol era comunque
entusiasta di vedere il bimbo dai capelli blu alle feste di gala o ai banchetti
dell’Alta Società. L’aveva sempre trovato divertente e brillante, in qualche
modo l’aveva rapito sin dal loro primo incontro e, ben presto, era diventato
per lui un modello da imitare e poco importava se avrebbe potuto solo guardarlo
da lontano.
Era stato un minimo
colpo al cuore quando l’aveva ritrovato in Accademia, nella sua stessa classe
per giunta. Durante quei mesi si era dato da fare per diplomarsi con voti
ottimi, ma anche per guadagnarsi un posticino nel cuore del suo idolo ed era
stata un’immensa gioia scoprire come Athrun fosse incline ad assecondarlo, a
non spingerlo via quando gli trotterellava intorno. Se aveva qualcosa da dire,
lui lo ascoltava; se aveva qualche problema nello studio, lui lo aiutava; se
finiva un nuovo brano al pianoforte, lui sorrideva e, sebbene non fosse un
grande ammiratore della musica classica o dei concerti, si sedeva su una sedia
e chiudeva gli occhi smeraldo, lasciandosi cullare dalle melodie. Più volte si
era addormentato ed il rossore sulle sue guance quando Nicol lo canzonava quasi
maliziosamente era uno spettacolo in grado di procurargli la pelle d’oca:
Athrun Zala era davvero la creatura più bella che l’universo avrebbe mai potuto
concepire.
Ed erano proprio quei
pensieri di carattere sentimentale che gli procuravano quotidianamente dei
tremendi mal di testa in grado di far assumere al suo giovane volto le medesime
smorfie che deformavano un secondo sì e quello dopo pure quello del suo
compagno di squadra Yzak Joule. Aveva solo quindici anni, era un ragazzino
nonostante le sue pretese da adulto con sua madre, e mai aveva avuto delle
esperienze sentimentali, giusto qualche cotta leggera per questa o quella
ragazza. Femmina. Con le curve e tutto il resto. Non per i maschi con cui era solito giocare e mai si era ritrovato
a pensare ad uno del suo stesso sesso; con il suo stesso sesso. La prima volta
che, inconsciamente, aveva immaginato di toccare Athrun in maniera diversa dal
solito, più piacevole e leziosa, era arrossito talmente che il loro insegnante
lo aveva invitato ad andare in infermeria, sospettando una qualche febbre da
cavallo per imporporargli così la pelle altrimenti pallida. Non aveva avuto il
coraggio di controbattere, soprattutto perché sentiva gli sguardi sprezzanti di
Dearka e Yzak perforargli la nuca, e si era andato a stendere su una brandina,
dove le sue fantasie lo avevano tormentato fino a quando la dottoressa,
sorpresa di non vedere il suo compagno dal caschetto argenteo, gli si era
seduta a fianco e gli aveva chiesto cosa ci fosse che non andava.
Dire che l’episodio
l’aveva segnato era minimizzare la faccenda e, da quel giorno in avanti, si era
abituato all’idea che la sua ammirazione nei confronti di Athrun fosse qualcosa
di più profondo e proibito, se così poteva dire; conviveva con le sue speranze,
quasi le accettava, ma ancora si sentiva estremamente imbarazzato nei confronti
di se stesso quando la parola omosessuale
gli attraversava la mente, alla fine dell’ennesimo viaggio mentale riguardo
a cosa avrebbe potuto fare al suo amico, accompagnata dal lancinante dolore che
la consapevolezza dell’eterosessualità del giovane Zala portava con sé. Questo,
comunque, non gli impediva di immaginare un mondo dove lui era interessato
seriamente alla sua persona ed alle sue capacità, dove non solo i complimenti
per un brano particolarmente bello o un buon voto avrebbero significato tutto,
ma anche baci e carezze il cui pensiero, nel mondo reale, bastava per
mortificarlo oltre ogni limite e farlo sentire diverso, sbagliato, malato. Le
prese per i fondelli da parte di Dearka e Yzak, poi, servivano solo a farlo
sprofondare nell’abisso ulteriormente e i due neppure immaginavano che erano
nella ragione quando lo chiamavano La
fidanzatina di Zala e lui, invece, non capiva che erano loro i due emeriti
stronzi e non lui quello strano. Gli faceva piacere che Athrun intervenisse per
difenderlo, ogni tanto, ma era certo che, se solo avesse saputo…
“Signorino Nicol,
siamo arrivati.”
La voce dell’autista
lo destò dai suoi laconici pensieri e sorrise comunque, inclinando lievemente
il capo. “Grazie.” Scese dalla macchina con la borsa stretta in mano e si
guardò intorno, il porto che brulicava di vita ed una moltitudine quasi
imbarazzante di soldati in verde era impegnata a caricare la Vesalius di ogni
provvista che sarebbe servita loro, Miguel Ayman poco più in là con il
Comandante La Kleuze e, davanti alla scaletta di accesso con le braccia
conserte c’era Rusty McKanzie, la zazzera rossa inconfondibile e che faceva a
pugni con la vernice celeste della loro nave. Nicol sorrise ulteriormente e si
fece largo verso il più bilanciato della loro squadra, l’unico che riusciva a
trovare un compromesso sia con la parte Amalfi-Zala e la parte Elthman-Joule.
E, anche, l’unico a conoscenza del segreto del giovane dai capelli verdi.
“Oh, signora Zala, la
vedo in forma!” esclamò infatti, ghignando divertito, ma senza malizia o
cattiveria, a differenza dei più perfidi del team.
“Rusty, piantala,”
strillò Nicol, piccato comunque. Sospirò e spiò curiosamente dietro di lui.
“Siamo gli unici?”
“No, Scemo e Più
Scemo sono già entrati, mentre suo marito ancora non è arrivato,” continuò il
rosso, abbassandosi per evitare una sberla. “Ehi, quanta potenza… Si trattano
così gli amici?”
“Scusa,” borbottò
lui, avvampando. C’era una perversa soddisfazione che lo inondava quando
l’unico plebeo della squadra faceva quelle considerazioni, come se lui e Athrun
fossero spos- scosse violentemente il capo, cercando di darsi un contegno e non
perdersi ancora nel turbine della finzione che li vedeva protagonisti, sebbene
fosse decisamente appagante.
“Figurati,” Rusty gli
passò un braccio intorno alle spalle e sospirò teatralmente. “Posso capire il
tuo dolore. Se solo Dearka mi amasse…”
“Idiota,” rise Nicol,
pensando all’impossibile coppia formata dall’Elthman e dal suo interlocutore. I
suoi pensieri vennero comunque interrotti quando notò gli inconfondibili
capelli blu notte dell’oggetto dei suoi desideri più proibiti avvicinarsi,
bello e impossibile, e sentì un calore irresistibile salirgli alle guance.
“Okay, vi lascio,”
sussurrò Rusty, seriamente. “Vi aspettiamo dentro, comunque, sai che il
Comandante è schifosamente preciso riguardo ai tempi.”
“Grazie,” disse il
giovane, girandosi per guardarlo allontanarsi nella nave. E per non incontrare
lo sguardo magnifico di Athrun Zala, ovviamente.
“Buongiorno,”
sbadigliò quest’ultimo quando gli fu dietro. Gli sorrise gentilmente,
incontrando i suoi occhi castani, e gli battè un’amichevole pacca sulla spalla.
“Già qui?”
“Ho preferito essere
puntuale,” si confidò Nicol, arrossendo. “E sono anche abbastanza agitato
riguardo alla missione, visto che è la prima…”
“Idem,” concordò
Athrun, annuendo lentamente. “Spero vada tutto bene.”
Il soldato più
giovane lo seguì nella Vesalius e gli posò una mano sul braccio, sentendo le
palpitazioni aumentare a dismisura solo per quel semplice contatto, specie
quando lui si voltò e gli rivolse uno sguardo confuso, le labbra ancora
increspate e la testa leggermente inclinata. “S-se hai voglia di sfogarti,
Athrun… Beh io ci sono.”
Il figlio di Patrick Zala
sorrise allegramente e lo ringraziò gentilmente, offrendogli uno sguardo
d’apprezzamento, prima di continuare a camminare nel corridoio della nave.
Nicol rimase immobile, stringendo la borsa e guardandolo allontanarsi.
Sogghignò a sua volta e decise che, sbagliato o meno, sano o malato, per lui il
sentimento nei confronti del suo compagno di squadra era qualcosa di serio e
profondo e che, sicuramente, col tempo avrebbe potuto smaltire ed accettare, a
prescindere dalla reazione del mondo. Tutto finchè Athrun sarebbe stato al suo
fianco, anche solo come un amico.