Titolo:
Tra
occhi di cristallo e piume di cappelli.
Personaggi/Pairings:Francis Bonnefoy (Francia), Monaco (Oc del
Principato di Monaco) + nominato Arthur Kirkland (UK)
Rating: verde
Avvertimenti: shonen-ai leggerissimo (solo nei pensieri maniaci
di Francia).
Note: -non betata.
- note storiche sul fondo.
Ed ecco a voi Chibi!Monaco detto anche
una-volta-ero-tanto-carino-e-timido!Monaco. Ebbene sì, avrete l'onore
di vedere com'era Monaco prima del suo cambiamento radicale. Puuuu,
puccio **
E sì, i titoli li do' a caso.
Tra
occhi di cristallo e piume di cappelli.
Quando la luce balugina da dietro le tende di pesante velluto, la prima
cosa che Francia si chiede è come faccia il sole ad avere la
straordinaria capacità di sorgere nei momenti meno adatti: il suo sonno
è durato giusto un paio di ore - per di più dal carattere piuttosto
travagliato complice una cena un po’ troppo pesante, anche per il suo
stomaco abituato ai ricchi pranzi reali, e una compagnia decisamente
piacevole da necessitare di una replica e poi di un’altra e di un’altra
ancora. Riposare un altro po’ non gli avrebbero fatto male, ma ormai il
danno è fatto: è sveglio e non può farci niente.
Fortunatamente la
donna con cui ha diviso la notte pare essere della rara razza delle
discrete visto che al suo risveglio, nella sua stanza e soprattutto nel
suo letto, non c’è più nessun’altro.
Francis si alza facendo cadere
a terra le lenzuola di cotone ricamato incurante che la loro vendita
sfamerebbe per mesi una delle tante famiglie parigine, ma a lui cosa
importa? Ci sarà un servitore che le raccoglierà, uno che le laverà e
le stenderà e un altro che gli rifarà il letto, e se non saranno più
utilizzabili basterà farne fare di nuove. Magari di ancora più belle.
Non si è ancora completamente stabile sulle gambe che un lieve bussare
interrompe il silenzio della camera preannunciato l’entrata di uno dei
tanti servi al suo comando. È un ragazzo, forse poco più di sedicenne,
che indossa la livrea del palazzo con un malcelato orgoglio che lo fa
sorridere e che gli fa desiderare di strappargliela di dosso.
“Qual è il tuo nome, ragazzo?”
“Pierre, signore.”
Non è bello, o meglio non appartiene a quel tipo di bellezza che
Francis ama - c’è qualcosa di profondamente rozzo e popolano nei suoi
tratti e ormai Francia non riesce a vedere avvenenza se non dietro a
polveri di cipria e stretti corsetti - ma lo terrà presente se mai la
serata, con suo gran orrore, osasse chiudersi in solitudine. E in fondo
quegli occhi verde rame assomigliano abbastanza a quelli di Angleterre
da renderglielo piacevole.
“Bene, Pierre. Vammi a prendere la giacca rossa in passamaneria dorata,
il gilet lungo dello stesso colore, la camicia con i gigli, i rhingraves1
nocciola, quelli semplici, e anche il tricorno. Pensi di ricordarti
tutto?”
“Certamente, signore. Ma la parrucca?”
Se c’è qualcosa che non ama nella moda lanciata dal nuovo re, questa è
di certo la parrucca. Perché mai dovrebbe nascondere i suoi bei
riccioli d’oro sotto una montagna di volute bianche e marmoree?
“Non serve. Limitati a portare quello che ho chiesto.”
E se c’è un’altra cosa che non ama è l’insolenza nei servi.
Il ragazzo si zittisce abbassando il capo e ritirandosi con una sequela
di inchini e cerimonie che ha il potere di cancellare, come una di
quelle magie tanto amate da Angleterre, tutti gli oltraggi e gli
affronti subiti. Non è uno sciocco, quell’impertinente servitore, ed è
anche veloce, almeno quel che basta per non far passare il tempo
necessario per farlo annoiare. Francis spera, però, che questa sua
caratteristica non sia condivisa da altri aspetti del suo carattere:
gli amanti frettolosi non gli sono mai piaciuti.
Per sua fortuna,
quel giorno vestirsi - anzi, nascondere il suo corpo sotto strati di
inutili abiti - gli risulta più piacevole del solito: turbare il povero
servetto mormorandogli frasi ambigue ad ogni casuale sfioramento o
soffiandogli parole intrise nel dolce peccato della lussuria mentre è
intento a chiudergli i bottoni della giacca come fosse un amante
confuso che invece si bearsi della beltà del proprio compagno lo copre,
è un soddisfacente diversivo per la sua mente, almeno prima di essere
costretto ad sprofondare nuovamente tra le chiacchiere inutili dei
nobili della corte: se il suo re lo chiama è suo compito obbedire,
anche se questo significa sopportare i cortigiani e i loro intrighi.
•••
I tacchi rossi2
delle sue scarpe dalla fibbia lucida ticchettano sul pavimento di marmo
preannunciando alla corte il suo arrivo che viene accolto da un
frusciare di abiti e di piume, mentre le donne si inchinano e gli
uomini lo salutano con il capello ricoperto di merletti e decori.
“Buona giornata a lei, Monsieur Bonnefoy. È fatto così raro
vederla passeggiare per la corte ad un orario precoce come questo”
“Felice di vederla, Monsieur Bonnefoy”
“Oh, ma che magnifica sorpresa vederla, Monsieur.”
E altre centinai di saluti simili gli vengono rivolti, riuscendo solo a
fargli venire dei mostruosi mal di testa.
Francia ama le belle dame e figli della nobiltà che circolano a corte,
ma il perché debba sopportare anche i rispettivi genitori e
parenti acquisiti gli è ancora sconosciuto.
“Anche per me si è
trasformata in una magnifica mattinata, ora che vi ho visto madame, ma
sono spiacente di doversi salutare nuovamente. Il re mi aspetta e non
posso tardare.”
Risponde salutando una qualunque delle
nobildonne che lo circondano, senza neppure badare se questa sia
effettivamente una dama e non uno dei tanti lacchè dai tratti femminei
e le labbra dipinte, nel tentativo di liberarsi di quella massa
ossequiosa il prima possibile. In realtà manca ancora qualche minuto al
suo appuntamento e il re è così abituato ai suoi ritardi da non
confidare mai nella sua puntualità, ma per una volta non intende farlo
attendere: quella è un’ottima scusa per sfuggire a quelle grinfie
guantate. Inoltre il lato migliore del riceve gli ordini direttamente
da sua maestà è che non si potrà mai sapere se le sue scuse o
motivazioni siano vero o no: nessuno oserà mai porre una domande del
genere al sovrano di Francia.
La voce di un servitore annuncia il suo arrivo, poi le porte si aprono
e, finalmente, il silenzio.
Solitamente tutto ciò che il re compie avviene alla presenza della
corte, dalla più piccola questione quotidiana alle dichiarazioni di
guerra, ma quando lui, Francis Bonnefoy, ha appuntamento con sua maestà
la stanza è sempre vuota: quello che accade tra la nazione e il suo
sovrano resterà segreto.
“Altezza.”
Francia si
inchina a quel re che ha visto salire sul trono quando era ancora un
bambino - quasi un’infante alla morte del padre - ma che ora
finalmente, cancellata l’ombra del primo ministro, governa.
“Francis ti ho chiamato qui per un motivo ben preciso.”
“Sì, maestà?”
“Come tu sai bene, il grande regno di Francia ha vari protettorato su
alcuni piccoli territori che senza il nostro aiuto sprofonderebbero
nell’oblio...”
“Parlate di Andorra sire?”
“Anche, Francis, anche. Ma in questo preciso istante intendevo
qualcos’altro.”
“Non comprendo, a chi vi riferite?”
“Di certo conoscerai Luigi Grimaldi, pari di Francia, ed erede del
Principato di Monaco…”
“Certamente, sire”
Francis non ricorda assolutamente chi sia il nobile di cui sua maestà
sta parlando, ma in fondo un aristocratico vale l’altro.
“Bene, perché desidero che tu assista alla sua incoronazione - e il re
sbuffa lievemente come se trovasse la cosa estremamente divertente - in
mia vece. Il mio potere non è ancora abbastanza consolidato da
permettermi un’assenza del genere a così poco dall’inizio del mio vero
regno”3
“Come desiderate, Altezza.”
Obbedisce
e, al cenno del sovrano, si ritira nuovamente nelle sue stanze dove
ordina ai servi di preparare i bauli per la sua permanenza in
territorio monegasco. Non è un incarico particolarmente spiacevole,
anche se ne ha ricevuti di migliori come quelli che gli permettono di
mettere le mani addosso ad Arthur, e l’unica cosa che gli dispiace è
che abbandonerà la soffocante corte francese per un’altra simile, o se
la sfortuna lo perseguita, anche peggiore - ha ancora gli incubi nel
ricordare il rigido e privo di classe seguito della famiglia reale
austriaca - perchè alla fine i nobili si
assomigliano l’uno con l’altro e anche le nazioni - lui per primo e con
solo rare eccezioni - sono sempre le stesse frivole, avide e piatte
persone.
Ora, il suo unico dubbio è se portarsi con sé o meno il capello rosso
con le piume.
•••
Si sbagliava, però, perchè è diverso, è completamente diverso dalla
corte francese. Certo, i pizzi e i merletti ci sono ancora come i
bisbigli e i pettegolezzi a mezza voce nascosti dietro ai ventagli di
piume, ma tutto il resto è ben lontano dall’affettato garbo e finto
decoro che mostrano i suoi aristocratici: l’aria profuma di sale e di
frutta matura che crogiola al sole - le pelle delle nobildonne odora di
mare e non di dolciastre essenze - e la quiete stessa che avvolge la
corte monegasca è fatta di un silenzio differente, non passi lenti
intralciati da vesti troppo ricche, ma un muoversi delicato di chi non
ha la fretta nel proprio sangue.
E le fanciulle e i fanciulli figli
di quella nobiltà! Dieu, così spontanei e limpidi come minuscole gocce
d’acqua che lui non può fare a meno di chiedersi se lo sarebbero
altrettanto tra lenzuola di raso, ma chiude in un angolo questi
pensieri e si gode soltanto la vista - non intende scatenare uno
scandalo durante una missione diplomatica, anche se presso un minuscolo
pricipato. Tutti i giorni li vede scendere al mare di nascosto, quando
le ore sono troppo calde per discutere e gli occhi vigili dei tutori si
abbassano per riposarsi da quel sole torrido, per giocare come non hai
mai visto fare alla sua corte: le ragazze dalle forme ancora acerbe
sollevano le gonne, senza vergogna, quel tanto che serve loro per
passeggiare sul bagnasciuga sfiorate appena dalle onde, mentre i
maschi, indossati abiti semplici come quelli dei contadini, si
rincorrono e si spingono nell’acqua tramutando l’aria in coloratissimi
arcobaleni.
Francia vorrebbe sapere se anche la loro nazione è
altrettanto bella e umile, ma può solo domandarselo perché, sebbene
siano giorni che si trova lì, non ha mai incontrato Monaco.
[“Ben
arrivato, Monsieur Francia. Spero che abbiate fatto un buon viaggio.”
“Uno dei migliori, le strade francesi sono ottime.”
“Ne sono felice. Immagino che vogliate ugualmente riposarvi,
qualcuno
vi mostrerà le vostre stanz...”
“Prima di andare desidererei conoscere Monaco.”
“Credo che sia impossibile.”
“E come mai?”
“Perché non abbiamo idea di dove si trovi al momento.”]
Ha ripetuto la sua richiesta ad ogni incontro con il futuro regnate, ma
la risposta è sempre stata la stessa e se la situazione inizialmente lo
aveva divertito e l’idea di una nazione fuggiasca che si nasconde nel
suo stesso paese lo aveva fatto ridacchiare, ora questa mancanza gli
appare quasi un’offesa nei suoi confronti.
Poi un bussare leggero lo richiama alla realtà.
Francis si volta verso la porta e la vede: una ragazzina - una bambina
quasi - lo guarda dall’uscio con i capelli castani spettinati dal vento
e con il fondo della veste ancora macchiato d’acqua e di sale.
Francia è, però, ben certo di non averla mai notata tra i partecipati
ai quei giochi che si svolgono sotto le sue finestre, anche perchè non
potrebbe mai dimenticare una come lei: non la si può dire bella, non
ora almeno, ma Francis potrebbe scommettere che da grande sarà da
mozzare il fiato.
“Piccola hai bisogno di qualcosa?”
Lei lo fissa stranito con i suoi limpide iridi cioccolata, gonfiando le
guance in una buffa smorfia concentrata.
“Io..ho sapere che...lai, no volevo dire, lei voleva sapere dove ..era
- e qui si interrompe picchiettandosi la tempia alla ricerca di una
parola che le sfugge - ...è Monsieur Monaco?”
Trascina
le vocali aprendole in larghi suoni per poi spezzare le parole con
lunghe pause che appaiono innaturali e aliene in quella - come il
francese - che è un lingua vorticosa e cantilenante, ma a Francis
bastano le ultime due parole - le uniche pronunciate correttamente, ma
con quella durezza di chi le ha imparate a memoria - per capire che
cosa gli sta dicendo.
“Se me lo poteste dire, mi sareste d’aiuto.”
Parla piano, sperando che la ragazzina lo comprenda meglio di quanto
non lo parli. Di certo quella non è la sua lingua madre e Francis
immagina che possa essere figlia di qualche nobile limitrofo - verso la
parte italiana - giunto per partecipare, come lui del resto, ai
festeggiamenti per la salita al potere del nuovo regnante. Deve essere
per questo che non l’ha mai vista eppure di straniero, nei suoi modi e
nei suoi gesti, non c’è nulla: profuma di mare e di dolce frutta.
“ È sul monte.”
“Quale monte?”
“...quello delle..spelonche...delle grotte.4”
Francis la fissa: la sola cosa che gli interessa, cioè il nome di
quella dannata collina, è l’unica che non riesce a capire
Lei gonfia nuovamente le guance, poi lo prende per un lembo della
camicia e lo strascina alla finestra.
“Quello.”
E sollevandosi sulle punte, superando l’alto davanzale, glielo indica:
è poco più di una collina che affonda sul mare, ma il modo in cui
gliela mostra - come se per lei fosse la cosa più importante - per un
attimo la apparire come la più imponente delle montagne.
“Non ha...certo - di nuovo fa quella smorfia buffa - non ha un vero
nome.”
Conclude soddisfatta, Francis le sorride per un attimo e poi tornare a
fissare il monte, ma l’incanto è ormai finito e quella è tornata ad
essere una comune altura.
“Grazie per avermelo detto, mademoiselle.
Vi dev...”
Ma ormai nella stanza non c’è più nessuno e lui non sa neppure chi deve
ringraziare. A quanto pare anche quella ragazzina non ha nome.
Francis si prepara il più in fretta possibile - senza neppure chiamare
un servitore - indossando una giacca sobria giacca di fustagno - che
non indosserebbe a Versailles - per poi percorrere in tutta fretta le
scale e i corridoi che lo dividono dall’uscire dal palazzo: non
potrebbe mai perdonarsi di aver perso l’occasione di incontrare questo
fantomatico Monaco soltanto per la sua lentezza nel vestirsi. E, in
fondo, in quella strana corte non sembrano preoccuparsi più di tanto di
queste cose.
Uscire finalmente all’aperto è come entrare in un
altro mondo, un mondo dove le colline sono imponenti monti e giocare
con le onde del mare è ancora permesso, un mondo con un sole brillante
che lo costringe a schermarsi gli occhi con una mano e dove
il mare scintilla sotto i suoi raggi come neppure le più belle parure
hanno mai fatto.
Salire è fatico, fa caldo e il sudore gli cola sulla schiena, vorrebbe
un po’ di ombra, ma fino alla cima della collina - dove un piccolo pino
contorto si erge indomito - non c’è nulla se non erba alta e rocce
spigolose.
Poi il terreno si fa più pianeggiante, ha raggiunto la
sommità del monte, e un vento fresco, proveniente dal mare, gli dà
finalmente un po’ di sollievo. Monaco, per quel minuscolo stato che non
ha mai visto e di cui ha firmato le carte per il protettorato senza
neanche saperlo, appartiene ad di certo ad un altro mondo, su questo
non può sbagliare: fino a pochi giorni prima Francis si trovava a
doversi stringere nei cappotti e nelle giacche per sfuggire ai gelidi
soffi dell’oceano che infestavano la sua Parigi e ora combatte, invece,
contro un caldo che gli fa bruciare la pelle come fuoco.
Francia
raggiunge l’ombra di quel povero alberello incurvato con sollievo,
appoggiandosi al tronco malmesso con un sospiro: il mare, un calmo
Mediterraneo dalle acque cristalline, si apre davanti a lui seguendo il
profilo netto della costa - le Alpi sono ancora vicine, non come nella
sua piatta Camargue dove la terra sfuma nell’azzurro delle acque simile
ai colori di un pittore.
Poi un scricchiolio lo distoglie dalla sua
contemplazione, portandolo a spostare lo sguardo sul fagotto - o forse
un sacco di canapa con un nido sopra - seminascosto dietro al pino
solitario.
Fagotto che poi si scopre non essere un fagotto, ma un
bambino - neanche un adolescente secondo la sua opinione, ma non è lui
l’esperto in materia. Antonio d’altra parte è in grado di indovinare
l’età con lo scarto di un mese - profondamente addormentato, vestito
con una camicia di lino logora e un paio di pantaloni fin troppo
somiglianti con l’ipotizzato sacco di canapa, mentre quello che aveva
scambiato per un nido risulta essere la sua capigliatura.
Se quello
è veramente Monaco - e lui spera che non sia così - Francia si chiede
che razza di nazione abbia preso sotto la sua protezione. Ormai, però,
il patto è siglato e lui non può farci più niente, lo ricorderà, per la
prossima volta, come monito sul non firmare i documenti senza leggerli.
“Monaco?”
Non sta veramente urlando, ma il suo tono è decisamente più alto del
normale: vuole svegliarlo così da poter fare i soliti saluti di
circostanza per poi ritirarsi nuovamente presso il palazzo - in dolce
compagnia, preferibilmente con una di quelle dame dalla pelle profumata
che lo popolano - fino all’incoronazione e infine tornare a casa,
presso quelle reggia finta e superficiale ma dal familiare lusso,
dimenticando ogni sciocco Principato e il suo essere fuori dal tempo e
da ogni regola.
Il ragazzo-fagotto si agita e sussulta spaventato
dal quel risveglio improvviso, perde l’equilibrio e rotola per alcuni
metri in mezzo all’erba alba. Francis inarca un sopracciglio e si
avvicina, restando però entro il limitare di quell’avvizzita ombra.
È a quel punto che Francia si dispiace - per la seconda volta, ma per
un motivo diverso - di non aver guardato meglio quelle carte: Monaco -
ora spera che sia Monaco - lo sta fissando come un piccolo animale
spaventato, fermo tra le sterpaglie con il capo rivolto verso di lui e
gli occhi immobili a guardarlo angosciati. E sono quegli occhi a
rapirlo.
Francia ha incontrato, visto e avuto persone bellissime,
così splendide da farti credere in Dio, in qualcosa di superiore, al
solo scorgerle - perché non può essere umana una tale creazione - dai
visi di una tale perfezione permetterti di vedere i volti degli angeli,
da labbra che avrebbero condotto il più retto degli uomini al peccato e
da occhi splendenti come soltanto le pietre che adornano il paradiso
possono essere e, sebbene quel ragazzino non faccia parte di questa
categoria, mai è stato incantato da uno sguardo simile.
Sono iridi
chiare dal color indefinito, a metà tra un blu zaffiro e un pallido
celeste, ma brillanti come il mare che si infrange contro le rocce di
quel monte: sono occhi liquidi come acqua intrappolata tra specchi
scuri e Francis è imprigionato con questa.
“E v-voi chi si-siete?”
Parla il francese in modo pulito - di chi lo ha imparato su i libri -
su cui si sente appena un accento straniero, quelle vocali sonore, che
Francis ha ormai imparato ad associare alla parlata di quel luogo, ma
mischiato a quel balbettare tremante e spaventato lo trova quasi
piacevole. Quasi però: insegnargli una perfetta cadenza parigina sarà,
di certo, ancora meglio.
Monaco - perché quello è sicuramente
Monaco, ci sono cose che si sentono a pelle tra di loro, tra Nazioni -
gli appare sempre più interessante ad ogni secondo che passa: averlo
come protettorato sarà avere finalmente un fratellino - certo, non è
una delle due Italie, ma gli andrà bene anche lui.
“Sono Francis Bonnefoy, piacere di conoscerti finalmente Monaco...”
“Mo-monsieur Fra-aa-ncia?”
Sì, un piccolo animaletto spaventato dai grandi occhi da bambola color
del mare. Magnifico.
“M-mi d-dispia-ace io-io no-non v-vo-volevo mancarv-vi di-di
ri-rispetto...é che m-mi ha-hanno-no de-detto che voi siete sempre al
me-meglio, si-siete b-bello e e vi-vivete nel lusso e si-siete fo-f-for
-rtissimo e i-io n-non v-vo-volevo, cio-cioè..insomma, io no-non sono
degno, vo-volevo...cioè speravo che...io-io non vo-volevo fa-f-fare
b-brutta f-fi-igura con v-voi, ma non s-s-sono ca-capace di essere
bravo c-come voi, mon-monsieur Francia e..e allora ho pensato
che-che fosse, me-meglio, che sì, al-alla fi-finne, che voi non mi
vedeste.”
È adorabile, ma di una delizia insolita che non lo fa interrogare su
come possa essere il suo viso stravolto dal piacere, ma su come
potrebbe sorridere nel vederlo arrivare la volta successiva da Parigi,
magari con un regalo. E per Francis tutto ciò è assai strano.
“Non devi essere spaventato da me, io non ti farò mai del male. Mi è
stato dato il compito di proteggerti, lo sai?”
“S-si.”
“Allora ora ritorna qui all’ombra, fa troppo caldo per rimanere lì,
sotto questo strano sole.”
E Monaco si alza con cautela, avvicinandosi giusto quel tanto per
soddisfare la richiesta di Francis, senza osare fare un passo in più.
La situazione è in stallo: sono lì, immobili al confine, su quella
linea che divide l’ombra dalla luce e fa caldo. Francis si rende conto
che se non farà qualcosa non accadrà nulla, ma che basteranno pochi
minuti a far postare abbastanza il sole da colpirlo e se c’è una cosa
che lui non vuole è abbronzarsi come un contadino.
Osserva il
terreno sotto di lui - la sterpaglia, gli aghi di pino e i sassi aguzzi
-, si dice che, in fondo, durante le varie battaglie ha toccato di
peggio e, finalmente, si siede.
“Perché non vieni qui anche tu, Monaco?”
E Monaco lo fa, accovacciandosi tra le radici nodose del pino, ad
almeno tre passi di distanza da lui, Francia si sente un po’ preso in
giro
È costretto ad avvicinarsi - e lui non ha mai amato essere
costretto a fare nulla, ma per una volta farà un’eccezione - e gli si
siede accanto vedendolo, però, ritrarsi impaurito a questo suo
spostamento.
“Non devi avere paura di me. Io non ti farò mai del male.”
Almeno fino a quando Monaco sarà sotto la sua protezione, ma quello non
è certamente un argomento adatto per calmarlo quindi sorvola su tale
piccolo particolare.
Il principato lo scruta sottecchi, con le
iridi chiare seminascoste da disordinate ciocche bionde, fuggendo ogni
qualvolta il suo sguardo incontra quello dell'altro, ma Francis decide
di averne abbastanza di quella situazione in precario equilibrio e lo
stringe tra le braccia.
Monaco trema, con il cuore che batte come
quello di un uccellino, ma poi si calma e appoggia la sua testolina
bionda sulla sua spalle e Francia non può fare a meno di provare
tenerezza - un’emozione che ha sempre creduto non gli sarebbe mai
appartenuta - nel vedere quale fiducia sappia riporre negli altri quel
piccolo Stato, nonostante la sua precaria situazione, perché basta una
carezza tra quei capelli che profumano di sole e di salsedine per
sentirlo rilassarsi meglio di quanto mille parole abbiano fatto.
“Tu..qui-quindi mi-mi proteggerai, frère?”
“Certo Monaco. Io ti proteggerò sempre, mon rossignol.”
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1 Calzoni ampi che terminano sotto il ginocchio con cascate di fiocchi
e pizzi, tanto da sembrare quasi un gonnellino. I “rhingraves” sono
cosi chiamati perché sfoggiati dal conte palatino (Rheingraf) von Salm,
ambasciatore olandese a Parigi.
2 I tacchi rossi erano riservato ai gentiluomini a cui era concesso
l’onore di stare vicino al re
3 Non so esattamente se allora si potesse parlare di incoronazione per
la salita al potere di un principe di un paese piccolo come Monaco o se
ci fosse qualcosa a cui partecipare, ma prendetela come una licenza
poetica. Le date dovrebbero invece coincidere: il regno di Luigi XIV va
dal 14 maggio 1643 al 1 settembre 1715, ma regna veramente dal 14
maggio 1661 (alla morte del reggente, il primo Ministro il Cardinale
Mazzarino) . Il protettorato francese su Monaco è opera del padre,
Luigi XIII nel 1641 e la salita al trono di Luigi Grimaldi (Pari di
Francia e amico del re) avviene nel 1662.
4 In italiano.
Sì, ultima scena - quella dell’abbraccio - riprende un pezzo della fic “Lei
- io”.
Sì, la cosa è voluta.
No, non vi spiegherò il perché della mia scelta, ma in fondo è semplice
da capire.
E sì, ci sono altri rimandi.
Questa probabilmente sarà l'ultima fic su Monaco per un po' di tempo per questioni di tempo e di ispirazione, detto questo ora fate tanti commenti *^*
Edit: chiedo scusa ai lettori, ma quella pubblicata qualche giorno fa era la versione sbagliata del capitolo e nel tentativo di sostituirla l'ho erroneamente cancellata - stupido cellulare paterno con connessione a internet preistorica e assurda <_<. Chiedo di nuovo scusa.
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