Proposal of engagement
Devo trovare un modo per proporre a Meiko il fidanzamento... ma come?! Dichiarazione a scuola...?
No, diventeremmo il bersaglio preferito delle pettegole.
In città...?
No, troppa gente. E poi, come farei...?
Pioverà tutta la settimana!
Kaito correva a perdifiato,
l’ombrello stretto in mano, la tracolla che gli sbatacchiava con
forza contro la gamba, che iniziava a dolergli.
La sveglia del cellulare,
per qualche strano ed oscuro motivo, aveva squillato con ben
mezz’ora di ritardo. E dire che pure la teneva regolata ad
un’ora che per altri sarebbe stata indecente!
Precauzione che, a quanto pareva, si era rivelata totalmente, irrimediabilmente inutile.
Si era vestito in fretta e
furia, si era sistemato alla meglio i capelli, che erano ancora in
larga parte spettinati e, senza neppure preoccuparsi di far colazione,
era uscito.
Aveva fatto una corsa
incredibile fino alla fermata dell’autobus, perdendo comunque la
sua solita corsa; aveva aspettato lì per dieci minuti buoni
quella successiva, che per miracolo divino era riuscito a prendere,
benché all’interno non ci fosse neppure lo spazio
sufficiente a respirare.
Era sceso alla fermata
consueta con dieci minuti di ritardo e aveva ripreso a correre
all’impazzata per cercare di colmare il mostruoso ritardo.
Era quasi arrivato ormai: la scuola era in fondo alla strada.
Iniziavano a fargli male le
gambe per lo sforzo prolungato ed eccessivo cui le stava sottoponendo;
i polmoni gli bruciavano e si sentiva soffocare per la mancanza di
ossigeno.
Non era mai stato un bravo ginnasta: la sua resistenza fisica era poca, pressoché nulla.
Accelerò ulteriormente, nonostante i suoi muscoli invocassero misericordia.
Inciampò
all’improvviso nelle stringhe delle scarpe, che aveva annodate in
modo tutt’altro che consono alla corsa o a camminare
semplicemente. Rovinò dolorosamente e penosamente a terra,
inzaccherandosi i jeans dalle ginocchia in giù di fanghiglia e
acqua, mentre un dolore particolarmente intenso gli esplodeva alle
ginocchia.
Grandioso, meglio di così...!
L’ombrello, che gli
era sfuggito di mano nella caduta, era a terra, in mezzo alla strada.
Si alzò e fece per andare a raccoglierlo, quando un camion
passò, distruggendolo con un ultimo lamento delle stecche di
metallo, che schioccarono al passaggio del veicolo.
Il ragazzo rimase a
contemplare, basito, lo scheletro di ciò che era stato il suo
ombrello, mentre l’acqua iniziava a inzupparlo.
Poteva andargli peggio?
Adesso era in ritardo, bagnato e dolorante.
Riprese a camminare, zoppicando in parte, cercando di correre, per quanto concessogli dal dolore.
Arrivò cinque minuti più tardi nell’atrio della scuola, in condizioni davvero pietose.
Notò tuttavia con immenso sollievo che non era l’unico ad essere in ritardo.
Prese la strada verso le scale e, zoppicante e ansante, si apprestò a salire.
Appena ebbe svoltato nel
corridoio della sua aula, scorse immediatamente il profilo della
persona che più di tutte desiderava vedere.
- Meiko! - chiamò, senza riuscire a mascherare la gioia nella voce e nell’espressione.
- Era ora! Credevo non arrivassi più! - replicò lei, voltandosi verso di lui.
Così rimase,
perplessa, ad osservarlo: felpa, jeans e sciarpa completamente zuppi, i
capelli appiccicati al viso e al collo, l’espressione felice e
imbranata al tempo stesso.
Quell’atteggiamento così innocente, tenero e goffo le fece balenare un sorriso di pietà e dolcezza sul viso.
- Che ti è successo? - chiese, in tono comunque severo, velatamente venato di apprensione.
- Sono arrivato tardi -
- Questo lo vedo, ma che diavolo è successo ai vestiti, a te! Sei fradicio! -
- È... è una lunga storia! - si affrettò a rispondere Kaito, superandola ed entrando in aula.
Meiko sospirò, senza
poter fare a meno di sorridere: era quello il suo Kaito, il dolce
bambinone che era riuscito a conquistare il suo cuore.
Be’, se non fosse stato come era, molto probabilmente lei non avrebbe finito per innamorarsene.
In fondo, quel suo essere
così dannatamente sognante e goffo lo rendeva talmente dolce e
carino che aveva finito per avere la meglio sul suo cuore di pietra.
E pensare che fino a sette mesi prima non faceva altro che dargliele ogni volta che faceva qualche cosa di sbagliato.
Adesso era una cosa
più sporadica e, anche se ci si divertiva ancora a vederlo
prendersela per ogni scapaccione che gli assestava, le piaceva anche
cercare di consolarlo del dolore che lei stessa gli aveva inflitto.
Un rapporto singolare, il loro, decisamente.
Raggiunse il ragazzo al banco, prendendo posto accanto a lui.
Quest’ultimo
mandò un sospiro di sollievo nel lasciarsi cadere contro lo
schienale della sedia: la corsa l’aveva stremato.
- Occhio a non prenderti un
malanno...! - lo avvisò Meiko con una punta di malizia nella
voce, occhieggiando la finestra aperta, dalla quale entrava una folata
di vento freddo e umido a causa della porta lasciata aperta.
Kaito, per tutta risposta, starnutì con forza.
- Accidenti! - esclamò a mezza voce, tirando su col naso.
- Tieni -.
La castana gli porse un fazzoletto, che lui accettò di buon grado.
Si soffiò il naso e si mise il fazzoletto in tasca.
- Grazie... oggi proprio non è giornata! -.
- Stanco? - domandò ancora la ragazza.
- Non sai quanto... non vedo l’ora di andarmene a casa! Ho voglia di infilarmi al caldo sotto le coperte e dormire... -
- Tsk! Sfaticato...! - lo riprese Meiko, fingendosi sdegnata.
- Non sei te quella che ha corso sotto la piogg... ATCÌ! -
- Cos’è, ti sei svegliato tardi come al solito? - lo interrogò lei con malizia.
Lui esibì la sua migliore espressione da fanciullino offeso e imbarazzato, una cosa talmente dolce da scioglierla.
- N-no... è colpa della sveglia! -
- Perché, da solo non sei capace a svegliarti...? -.
Lui tacque, abbassando gli occhi, a disagio.
La risposta era
nell’aria attorno a loro, ma nessuno dei due si prese la briga di
esprimerla ad alta voce, poiché inconsciamente ambedue erano
convinti che avrebbe rovinato l’atmosfera di intima
complicità che si era instaurata tra loro.
- RAGAZZI, AI VOSTRI POSTI! -.
Be’, anche
l’improvviso arrivo del professore, che a quanto pareva era
ancora più in ritardo di lui, servì a spezzarla, con
grande rammarico del ragazzo.
Quest’ultimo non era
un genio a scuola, affatto: se aveva qualche sporadica valutazione
apppena sopra la sufficienza era tutto merito di Meiko, che organizzava
con lui pomeriggi di studio intensivo. Ne bastava uno organizzato a
dovere per mandargli KO il cervello fino al giorno dopo.
Per lui una sufficienza
striminzita era più che soddisfacente: l’unica cosa che
non doveva fare era bocciare, poi non gli importava di andare bene.
Meiko, invece, era brava.
Diavolo se lo era: terzo posto alle Olimpiadi di Matematica, seconda ai
Giochi della Chimica, alla gara di Fisica non aveva potuto partecipare
a causa delle lezioni di canto per un musical, ma se avesse
partecipato, Kaito era più che certo che si sarebbe piazzata tra
i primi tre.
Anche lui frequentava le
stesse lezioni di canto della ragazza, per cui aveva sperimentato in
prima persona l’improvviso picco di frequenze alle lezioni: un
periodaccio.
Non aveva avuto nemmeno il tempo di arrivare a casa dopo scuola: aveva dovuto prepararsi il pranzo la mattina.
La lezione trascorse in
modo relativamente tranquillo, a parte la disastrosa interrogazione del
ragazzo e la magra figura fatta alla lavagna, davanti a tutta la classe.
Il resto della mattina
passò quasi troppo velocemente per Kaito, che si trovò
sulla soglia dell’atrio prima ancora che potesse realizzare
l’effettiva fine delle lezioni.
- Allora, a domani...! - lo
salutò cordialmente Meiko, rivolgendogli un mezzo sorriso che lo
fece avvampare letteralmente, aprendo l’ombrello e andandosene.
- A-a domani...! - rispose lui.
Rimase imbambolato
dov’era per alcuni attimi, osservando il profilo della sua dolce
metà allontanarsi, finché questa, raggiunto il cancello,
si volse indietro.
- Ohè, Kaito! Ti
accompagno per un pezzo di strada? - chiese, come se si fosse ricordata
solo in quell’attimo della richiesta.
Kaito si ricordò
solo allora d’essere rimasto senza l’ombrello, così
si affrettò a raggiungerla sotto il suo.
- Grazie... -
- Figurati! Ma domani ricordati di portarlo! - lo ammonì cordialmente lei.
- Senz’altro... - mormorò lui a mezza voce.
- Se non viene distrutto come quello di oggi... - soggiunse tra sé e sé.
In quel momento gli ritornò alla mente il suo nobile e cavalleresco proposito di dichiarare il fidanzamento.
- Meiko...? - esordì, incerto e palesemente a disagio.
Questa si girò verso di lui.
- Sì? Che c’è? - domandò.
Diretta, troppo diretta.
Il ragazzo deglutì, in difficoltà: non aveva la più pallida e remota idea di cosa dirle.
Blocco emozionale: non gli capitava spesso.
Espirò lentamente, quindi la fissò negli occhi.
- ... stasera vorresti venire al luna park con me? -.
La castana esitò
alcuni istanti, evidentemente spiazzata dall’invito. Lui stesso
se ne meravigliava: non era un luogo molto romantico il luna park, ma
era il primo che il suo cervello aveva concepito e ritirare
l’invito sarebbe stato il modo più semplice per
allontanarsi dal tanto agognato fidanzamento.
- Il luna park...? -
ripeté, perplessa - ... okay, sarà divertente! Delle mie
amiche che ci sono state hanno detto che le montagne russe sono da
brivido! Devo assolutamente provarle!! -.
E rise.
Quel suono era la musica
più soave che potesse udire in quel momento, sotto lo scrosciare
continuo e monotono della pioggia, nel tetro grigiore di quel giorno
che pareva essersi tramutato in notte eterna.
Ora che si era in parte
tolto quel peso dal cuore, o almeno, aveva avviato quello che sarebbe
stato il suo più grande successo dopo l’aver conquistato
la ragazza più dura di tutta la scuola, il suo più
impellente problema era arrivare a casa e mangiare: aveva una fame da
lupi.
E poi una bella dormita!
- Dai, Kaito sbrigati!! -.
Meiko, entusiasta al massimo, lo aspettava ad una trentina di metri più avanti.
Benché avessero
già attraversato più della metà del luna park, lei
ancora sprizzava energia da tutti i pori.
Si era vestita stranamente
“elegante” per l’occasione: una canotta attillata
nera, una gonna-pantalone nera e un paio di stivali di pelle del
medesimo colore; i capelli corti erano legati sulla nuca in un piccolo
codino.
Lui le arrancava dietro a
fatica: andare a dormire quel pomeriggio si era rivelata essere la
peggiore idea che potesse avere, dato che al risveglio si era ritrovato
ancor più dolorante di prima; anche il suo raffreddore era
peggiorato notevolmente.
Starnutì rumorosamente e subito si soffiò il naso.
Raggiunta Meiko, questa riprese a camminare e lui dovette riprendere a correrle appresso.
Intanto pensava a dove
poter trovare un luogo un po’ appartato in cui presentarle la
proposta di fidanzamento: avevano già incontrato due loro
compagni di classe e certamente non voleva che venissero a sapere della
loro intenzione di mettersi ufficialmente insieme. La reputazione della
ragazza ne sarebbe stata senz’alcun dubbio compromessa.
- Eccole, le montagne russe!!! - esclamò Meiko, gli occhi accesi di interesse e forza.
- Mica vorrai salirci...
vero? - domandò Kaito, osservando con sconcerto sempre maggiore
l’altezza a dir poco vertiginosa delle rotaie.
Oltretutto, non aveva cenato da molto.
- Certo! - lo contraddisse lei - Che c’è, hai paura? - aggiunse poi, notando l’espressione del ragazzo.
- Io? No, affatto! È
che... mi chiedevo se non fossero troppo basse! - mentì,
gonfiando il petto per sembrare più virile.
- Perfetto, allora andiamo! -.
Lui la seguì di
malavoglia, pregando che non gli accadesse niente che potesse fargli
fare una ben magra figura davanti a lei.
Si misero in coda e, pazientemente, attesero.
La seconda peggiore idea del giorno. Possibile che non gliene andasse dritta una?
- È stato
bellissimo, sensazionale! Kaito possiamo fare un altro giro? -
esclamò la castana, esuberante, rivolgendosi al ragazzo, che le
stava barcollando dietro.
- Io passo... ho bisogno di
sedermi... - replicò Kaito, aggrappandosi al braccio che lei gli
offrì appena in tempo perché non cadesse.
Gli girava la testa e il
suo senso dell’equilibrio era quasi nullo. La nausea era solo,
grazie al cielo, un problema secondario.
- Ehi, tutto okay? Mi sembri... scosso -
- Devo... devo solo sedermi... - cercò di rassicurarla il ragazzo, senza lasciare andare il sostegno.
Perché era così dannatamente debole?!
Meiko lo accompagnò a sedersi su una panchina poco distante.
Gli ci volle una buona
mezz’ora per riprendersi un poco, almeno quel tanto che gli
bastò affinché il giramento di testa si attenuasse un
po’, così come la sensazione di non potersi reggere sulle
proprie gambe.
Okay, ora basta fare lo smidollato! Devo dirglielo!
- Meiko, devo dirti una cosa - esordì, deciso, girandosi verso il posto accanto a sé.
M-ma dov’è?!
Era sparita: sulla panchina c’era solo lui.
- Kaito, ti senti meglio? -.
Sobbalzò per
l’improvviso richiamo e si volse: Meiko lo osservava, negli occhi
uno spettro di preoccupazione, le mani impegnate a reggere due coni
gelato.
Kaito arrossì e abbassò gli occhi.
- Sì... meglio -
- Tieni - gli disse lei, porgendogli un cono.
Lui adorava il gelato.
L’accettò di
buon grado, iniziando a leccarlo più per trovare qualcosa con
cui tenersi impegnato e prolungare l’attesa della dichiarazione
che per fame vera e propria: era ancora un po’ infastidito dalla
figuraccia di poco prima.
Okay, ora devo assolutamente dirglielo: potrei non farcela più dopo!
Osservò Meiko
leccare il suo gelato con tranquillità assoluta, guardandosi in
torno con meraviglia, probabilmente pensando a quale attrazione provare
appena finito di mangiare.
Com’è carina... ♥!
- Meiko -
- Sì? -.
Gli rivolse
un’occhiata di innocente perplessità, forse stupita dalla
forza e la decisione con cui l’aveva chiamata.
Lui si alzò, forse
per mostrarsi più sicuro di sé, e le prese una mano,
invitandola così ad alzarsi a sua volta.
La condusse via, in una traversa tra due baracchine, isolata dalla via principale e più buia.
- Kaito, che diamine stai
facendo?! - esclamò la castana d’un tratto, svincolandosi
dalla presa di lui e fermandosi.
Il ragazzo si fermò
a sua volta, infilò una mano in tasca e, girandosi, ne estrasse
una scatolina azzurra malamente adornata da un fiocchetto blu, che
sciolse.
Avrebbe dovuto inginocchiarsi?
Troppo melodrammatico... o forse no?
Così si inginocchiò, aprendole innanzi la scatolina.
- Vuoi... diventare la mia fidanzata? -.
Ce l’aveva fatta!
Scrutò il viso di Meiko, come a cercare di carpirvi qualcosa dei suoi pensieri o della sua decisione.
Quest’ultima
osservò il ragazzo, in silenzio: gli occhi blu erano colmi di
speranza, il viso acceso di emozione. Era chiaro come il sole che aveva
aspettato quel momento per lungo tempo. In quella posizione, poi, gli
ricordava i cavalieri medievali nell’atto di dichiarare amore
eterno alle giovani donzelle di corte.
Estremamente tenero e romantico da parte sua.
Prese l’anello che brillava alla fioca luce notturna e lo infilò.
- Avresti potuto dirlo
prima! Credevo che avessi intenzione di stuprarmi qui dentro! -
esclamò, indignata, incrociando le braccia sul petto.
- Cosa?! Ma no...! - si lamentò lui, offeso.
- Mi sembravi così
strano e assorto mentre camminavamo. Pensavo stessi macchinando
qualcosa di perverso... non certo questo! E poi potevi dirmelo subito,
invece di fare il misterioso! -.
Kaito assunse un’espressione contrita.
- Volevo che fosse un momento speciale... - spiegò - Accetti? -.
Lei si chinò e gli posò un fugace bacio sulle labbra, cogliendo il giovane di sorpresa.
- Avrei messo l’anello se mi fossi rifiutata? -.
Kaito si illuminò di fanciullesca gioia.
- Grazie! -
- Di che cosa? Stiamo insieme da quattro mesi. Avanti, tirati su! -
- Il grazie non era per quello... -
- Ah, no? E per cosa? -
- Per il bacio -.
Lei sbuffò, esasperata da tanta tenerezza.
- Sei strano - commentò, per non fare la sdolcinata, facendo per andarsene.
Lui arrossì a quell’appunto.
- Ehm, Meiko... - la richiamò.
- Che altro c’è? -
- Puoi... un altro bacio? -.
La ragazza soppesò la richiesta alcuni istanti, osservando con interesse lo sguardo imbarazzato di lui.
Infine, decise di accontentarlo: era tenero e, in fondo, se lo meritava. Gli si accostò di nuovo.
- L’ultimo - lo ammonì dolcemente a fior di labbra.
E Kaito prese letteralmente fuoco a quell’intimo, “ultimo” contatto.
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