A latere: Doveva essere per un contest.
Poi il tempo è passato, il contest si è concluso e la
storia è rimasta a vegetare nel suo file per mesi. L’ho riesumata; e l’ho conclusa. Decisamente, scrivere la
tesi mi ispira pericolosi voli pindarici. Ma su Aiolos erano mesi che provavo a scrivere qualcosa e alla
fine è avvenuto questo parto. Perché – diciamolo pure – scrivere di Sagitter non è affatto facile,
proprio no. E penso che questa one-shot
spiazzerà un bel po’. Sia chiaro: io adoro Aiolos. E
mi piace, l’aura di luce che lo circonda. Ma a volte
penso che sia troppa luce. Penso che Aiolos non fosse
tanto l’eroe che è ricordato, ma un ragazzino che ha giocato.
Ha vinto e ha perso. Ha vinto
l’eroe e ha perso la vita.
Per me Aiolos
è pieno di rimpianti, ma la sua forza sta tutta lì: nella scelta che ha fatto
senza pensarci. Non se ne è pentito, ma non può,
secondo me, essere del tutto contento. Lo rifarebbe? Forse; non lo so. Ho
cercato l’uomo, qui dentro, non l’eroe.
Perché lo adoro, e questo è un
piccolo omaggio alla sua umanità.
Come azzurro
O pater, o partria, o Primi domus,
saeptum altinoso cardin templum!
Vidi ego te adsante ope barbarica,
tectis caelatis laqueatis,
auro ebore instructam regifice!
Haec omnia vidi inflammari,
Priamo vi vita evitari,
Iovis aram sanguine turpari
.
Ennio, Andromacha
Il cielo di Atene.
Te lo ricordi, di che colore è il
cielo di Atene? É azzurro. Il cielo di Atene è azzurro. Azzurro. Come il mare
che guardavi dalla tua Casa; come il mare che, da bambino, ti faceva compagnia
nei pomeriggi caldi di Grecia; come il mare che tradisce e porta via.
É azzurro, il cielo di Atene.
Sopra la tua testa.
Te lo ricordi,
il cielo di Atene? Te lo ricordi fra le colonne che si schiariscono con il sole
che sorge; fra il sudore e l’affanno di giornate trascorse nella polvere e
nell’olio. Dentro gli occhi di un compagno che ti è cresciuto accanto.
É bello, il cielo di Atene.
É bello anche adesso, fra gli
architravi e i rocchi che sanno di polvere e ginestra. Ed è azzurro. E ti
accorgi che era da tanto che non lo guardavi, il cielo di Atene. Se ne stava
lassù, sulla tua testa, nelle giornate che sanno di impegni
e nelle notti piene di stelle. Se ne stava lassù, con le sue costellazioni e il
suo bagaglio di sogni. E tu non lo guardavi più, il
cielo.
Non avevi tempo, alla sera, per guardare il cielo, negli uliveti sul fianco
dei templi con l’erba alta e secca, con la terra brulla che sa di sole. Non ce lo avevi più il tempo di guardare le stelle; e il cielo
di Atene se ne stava lassù e tu, giù, sulla terra, alzavi le spalle e chiudevi
le imposte. Tanto c’è tempo, ti dicevi. Ci sarà tempo, dopo, per guardare il
cielo.
E adesso, di tempo, non ne hai
più, mentre il cielo lo guardi fra gli architravi e i rocchi che sanno di
polvere e ginestra. Non ne hai più, di tempo.
Non lo vedrai più,
il cielo di Atene. Azzurro. Come i fuochi della meridiana; come
il mare negli occhi di Saga. E adesso il tempo lo vorresti, per vederlo
diventare bianco e poi nero e poi rosso, il cielo azzurro di Atene. Negli uliveti sulle pendici del tempio, fra l’erba alta e le cicale.
Ti hanno insegnato che ci stanno
gli dei, nel cielo. Gli dei capricciosi e un po’ umani, che ti guardano con un
sorriso bastardo che sa di inganno. Si divertono a giocare, sai, gli dei. E della tua vita non gliene importa
tanto. Si divertono a giocarla, la tua vita, con un
tiro di dadi.
E qualche dio, adesso, se l’è
vinta, la tua vita.
E il cielo di Atene – azzurro; e
lontano – te lo puoi guardare, all’ombra di vecchie colonne che ti sembra di
sentir raccontare. E ci stanno gli eroi, in quei racconti sussurrati dal vento;
gli eroi che stanno in cielo, nelle stelle che hai imparato a cercare, quando
il cielo ancora lo guardavi.
Quando il tempo era il
combattimento che diventava un gioco, nel rotolare scomposto fra sabbia e olio;
quando il tempo era una risata; quando il tempo era un
amico che raggiungevi dalle terrazze della collina, una mela in mano e un dito
sulle labbra.
Ci stanno gli eroi, nei racconti
del vento. Gli eroi con le corazze lucenti e gli scudi che ondeggiano; gli eroi
con le loro speranze e le loro imprese da tramandare, sempre un po’ false
sempre troppo belle. E le ascoltavi, una volta, le storie di eroi troppo falsi
e troppo belli. Le ascoltavi con le gambe al petto e gli occhi pesanti, nella
voce stanca del Sacerdote. Le ascoltavi e ci credevi, alle storie degli eroi,
belli come le stelle lassù, nel cielo di Atene. E con Saga le ripetevi, quelle
storie ascoltate la sera, la bocca che sa di olive e la focaccia in mano. E
Saga ci credeva con te, alle storie degli eroi che stanno nel cielo e ti diceva
che ci sareste stati anche voi due, in quelle storie.
Saga.
A Saga piacevano le storie. Piaceva,
alla sera, aspettare il Sacerdote, sulla panca dura
del refettorio, la testa fra le braccia e sussurrare e dondolare perché di
dormire ti devi convincere che no, non ce ne hai voglia. A Saga piacevano le
storie, e gli piaceva guardare il cielo. Il cielo nero pieno di stelle; il cielo rosso nella polvere
dell’arena; il cielo azzurro fra le tamerici.
E ti diceva: guarda il cielo, la testa all’indietro e un’ombra sciocca nel sorriso. Guarda
il cielo, ti diceva, e brillava, bello e rassicurante. E a te, in fondo,
del cielo che importava? Il cielo pieno di dei e di storie di
eroi ascoltate su una panca. C’è tempo, per guardare il cielo. Tutta la
vita, credevi; e tu a morire non ci pensavi. Di morire non ne avevi voglia, quando
Saga scherzava con te, fra le colonne e gli ulivi.
É bello, il cielo di Atene.
Azzurro.
Come gli occhi della Dea. Come
gli occhi di una bimba.
E non lo vedrai più. Per quella
bambina. Per quella bambina che hai stretto forte mentre correvi senza pensare;
mentre correvi e la mente inciampava in ricordi,
pensieri. Inciampava. In una maschera. In un viso. In un compagno.
In un cielo.
Per la bambina, hai detto. Per la bambina posso ignorare il cielo;
per la bambina devo correre sulla terra. La terra; e non il cielo. Ci sarà
tempo, per il cielo. Ci sarà tempo.
Pensavi.
E adesso il cielo di Atene è
azzurro sopra la tua testa; è azzurro e ti sorride beffardo, senza dei e senza più eroi. Perché, in fondo, gli eroi non esistono,
sai? Esistono le stelle; ed esiste il cielo. Ma gli eroi no. Gli eroi non ci sono, e tu te ne resti
sdraiato fra i rocchi e il mirto mentre il cielo ride beffardo dei tuoi sogni e
dei tuoi rimpianti.
E ci pensi, a quello che ancora
devi provare. Perché di cose da fare ne hai ancora molte, piccole sciocche
importanti cose fa fare. Ci pensi e ti dici che sì, le vuoi fare.
Le devi fare. E il cielo. Il
cielo può ridere e ridere, ma il tempo per farle no,
non te lo può portare via. Anche se tu non sei un eroe. Perché il cielo di
Atene è bello, e una volta ci vedevi gli eroi e le illusioni.
Ma tu
non sei un eroe. E di rimpianti ne avevi tanti, mentre correvi,
una bambina fra le braccia impacciate. Mentre correvi e stringevi quella bimba
e avevi paura di farle male, di sentire il male di ferite e pensieri. Mentre
correvi e ti dicevi che di morire non ne hai voglia. Non vuoi. Ti ripetevi. E
sì, c’era tempo. Ci sarebbe stato ancora tempo.
Anche se sotto il cielo di Atene
tutto cambiava. E tu, cavaliere: tu che avevi sentito la lama nella carne e
avevi visto quello che non avresti voluto vedere; tu
che avevi deciso senza pensare, la bimba al petto e uno scrigno in spalla; tu
che avevi dimenticato un fratello. Perché, in fondo, c’è tempo, c’è ancora tempo. Tu, cavaliere, il cielo ti ha chiamato traditore.
E adesso, sotto il cielo
beffardo, a quello che hai fatto ci pensi.
Ci pensi davvero.
Alla Dea; ad
una bambina. Al sorriso di una bambina che, chi lo sa, forse non è niente; solo
il cielo nei suoi occhi tranquilli, mentre respirava sul tuo petto. Ci pensi
davvero e senti i rimpianti per un fratello che hai abbandonato; per quella
maschera che hai strappato. Per una vita giocata a fare
l’eroe, sotto un cielo pieno di stelle.
Senti i rimpianti e di tempo ne
vorresti ancora. Mentre preghi il cielo azzurro di Atene. Mentre preghi che no,
non ti faccia morire. Perché di morire, tu, non ti rassegni. Perché non è
giusto, dopo quello che hai fatto. Perché lo vuoi
rivedere, il cielo di Atene, dagli uliveti sul fianco dei templi; lo vuoi
rivedere, mentre Saga ti ride di fianco. Vuoi rivederlo,
il cielo di Atene, sotto le stelle che sanno di eroi, dentro gli occhi della
Dea.
Mentre preghi. E di morire non ti
rassegni.
Mentre preghi e pensi che in
fondo il cielo è davvero bello. E beffardo.
E te ne resti così, a guardare il
cielo di Atene. Lontano.
Come gli occhi di un compagno.
Come gli occhi della Dea.
Di un blu crudele.
Bastardo.