Beh, non c'è niente
da dire. E' una one-shot che dedico a Nicholas, appunto. Ieri la
leucemia ce l'ha portato via.
Mi sembra giusto fare qualcosa, anche se la mia storiella da quattro
soldi non lo farà tornare indietro. E mi sento una sciocca a
ricordarlo con attravero una cosa del genere. Ma a parole non sono mai
stata brava e non ho mai avuto modo di dirgli cosa pensavo di lui. Non
ho mai avuto modo di dirgli quanto era simpatico e che gli volevo
bene.
Ecco, ora se avete voglia leggete. Non è niente di che, ma
io ci tengo troppo.
Nicholas.
In memoria di un amico.
Matilde
accarezza quella
foto, bagnata dalle nostre lacrime. Volevamo essere forti, ma alla fine
siamo
crollate.
“Non ci posso credere..”
bisbiglia e io alzo gli occhi al soffitto, perchè non voglio
piangere ancora.
So che lui non l’avrebbe mai voluto.
“Ora non soffre più.” Sussurro,
senza trovare la voce. Siamo state troppo tempo in silenzio, a
ripassare i
momenti passati con lui. E quel nome, il suo nome, Nicholas,
mi rimbomba nella testa.
“Perchè sempre i migliori
se ne vanno, Gio?” mi
domanda, con voce
troppo straziante. E mi viene da coprirmi le orecchie e non sentire
più niente.
Mi guardo intorno e mi
rendo conto che non sono felice di essere ritornata in questa
città. Perchè è
piena dei suoi ricordi. Di Nicholas. E’ piena di ricordi.
Ricordi.
Mi rendo conto anche che è
vero il detto ‘Non apprezzi una persona, finché
non la perdi.’ O qualcosa di
simile, ora non ricordo di preciso.
Io non avevo apprezzato
quel ragazzino dalla voce un po’ da femminuccia e gli occhi
neri umili e sempre
pieni di vita. Non ho apprezzato la sua persona, non ho apprezzato la
sua
voglia di vita.
Non l’ho apprezzato
nemmeno quando l’ho visto con i capelli rasati a zero e il
viso privo di ogni
sorriso. Non l’ho apprezzato perchè i medici
avevano detto che l’aveva
superata. Ero sicura che ce l’avrebbe fatta. Che Nicholas
avrebbe sconfitto
qualsiasi male, per questo non l’ho apprezzato.
Perchè ero sicura di non
doverlo mai perdere.
“Non lo
so, Mati, non lo so.” E sento che sto
per scoppiare ancora una volta. Io e Mati ci guardiamo negli occhi e
poi
giriamo la testa, ognuna dalla parte opposta, non vogliamo mostrarci
così
debole l’una all’altra. Ci siamo sempre fatte forza
a vicenda, ma questa storia
è troppo per tutte e due.
“Mi manca già.” Bisbiglia,
a nessuno in particolare. E le trema la voce. Terribilmente.
Vorrei dirle che sta in un
posto migliore adesso, ma non riesco a pensarlo nemmeno io.
Nicholas stava bene con
noi. Accanto a noi. A farci sorridere sempre, a vederlo sorridere.
E sento il bisogno di
piangere per tutte le cose che non avrà mai
l’occasione di fare, di vedere.
Quante cose avrei da
dirgli, adesso. Quanti i silenzi che avrei potuto evitare.
“Anche a me. Da morire.”
“Hai presente.. non so..
sì, insomma.. tu non hai la sensazione di avere il cuore
diviso in tanti
tantissimi pezzi? Non hai l’impressione che ti manca qualcosa
qui?” e alza la
mano e la posa sul cuore. Delicatamente, per paura di frantumarlo
veramente.
“Sì, so come ti senti.” Mi
passa la foto e l’accarezzo. Stupidamente, immagino di averlo
davanti. Ci
sorride e si siede accanto a noi. Ci abbraccia.
Sospiro e mi asciugo le
lacrime. Poso la sua foto sul letto e mi fa male il cuore. Allora la
riprendo
in mano e mi sento già meglio.
“I dottori.. avevano detto
che non era più in pericolo!” esclama Matilde, con
rabbia, odio.
Io annuisco e le do
ragione.
Poi anche lei si asciuga
le ultime lacrime, tira su col naso e si alza. Si sposta sulla sedia
della
scrivania, davanti a me. “Ti
avviso io
quando fanno il.. sì, insomma, il funerale,
ok?” e non la guardo in faccia. Quella parola rimbomba nella
testa di tutte e
due, lo sappiamo entrambe quanto ci faccia male, eppure non ci diciamo
niente.
Poi poso la foto sulla
scrivania e per un po’ non la guardo.
La sento sorridere e poi
ridere timidamente. “Dovremmo vestirlo con la divisa della
sua squadra di
calcio e mettergli un pallone accanto. E come musica mettiamo quella
cosa che
fa popopopopopo” e canta
così con
voce stanca e insicura. Lo sguardo perso nel vuoto, lontano a ricordare
chissà
che cosa. Magari alla sua ossessione per il calcio. Quanto amava il
calcio. Era
prima di qualsiasi cosa. Ma dopo gli amici.
“Sì, credo che gli
piacerebbe un funerale del genere. E la musica dovrebbe essere alta,
così da
coprire i pianti.” E ritorniamo serie.
Poi riprendo la foto. E la
osservo per bene. In ogni minimo particolare. Lui che ride, con addosso
i
pantaloncini, una maglietta lunga, e il pallone sotto il piede destro.
Inspiro e sospiro
lentamente. Vorrei dire a Matilde che perderà il treno se
non si sbriga, ma mi
trema la voce.
Quasi mi avesse letto nel
pensiero si alza, mi abbraccia forte e dice che ci sentiremo presto. Io
annuisco e le sorrido.
Ora che la stanza è vuota
mi sembra davvero di sentire la presenza di Nicholas.
Chiudo gli occhi. è qui
accanto a me. Poi immagino di abbracciarlo e di dirgli cose che avrei
dovuto
dirgli mesi fa: che gli voglio un bene dell’anima, che
è bravo a giocare a
calcio, che ha un bel sorriso e che cammina in modo strano,
sculettando.
Rido da sola e mi pare di
sentire ridere anche lui. Apro gli occhi spaventata, ma non
c’è nessuno. Così
mi ricompongo, mi distendo sul letto, con la sua foto sul petto.
Nicholas è accanto a me.
Lo sarà sempre.
Anche se adesso sono
arrabbiata con lui perchè si è fatto sconfiggere
dalla leucemia.
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