alberi stanchi
Dopo tanti anni dalla sua
morte, di fronte alla tomba di Kamina, Yoko parla. E’ un
monologo, anche questo, un monologo doloroso dell’innamorata
all’uomo che non c’è più, di
un guerriero che riconosce un altro guerriero e che si dispera della
propria apparente inutilità.
Vorrei
“giustificare” il tono duro con cui faccio parlare
Yoko. Potrebbe parere OOC, tuttavia io vorrei ricordare quanto questa
donna, nel suo privato, si sia dimostrata disperata per la perdita di
Kamina e quanto abbia mostrato il lato del suo carattere duro e severo
a chiunque. Per questo motivo, personalmente, non lo ritengo OOC ☺
Alberi stanchi
Soffia il vento, muovendo i
capelli leggeri come fronde d’ alberi stanchi.
L’anima
volteggia assieme alla polvere del deserto – leggiadra, senza
più peso ad ancorarla a terra.
Solo gli occhi sono
fissi, immobili su un oggetto statico: un mantello e una spada che si
ergono impavidi, a sfidare l’alto e luminoso sole.
Nel cielo, qualche
nuvola di vapore bianco.
Imbraccia il fucile,
Yoko. Lo imbraccia con mani tremanti – di commozione o di
rabbia, difficile saperlo così – senza accennare a
voltare la testa.
Anche se la luce sferza
il suo sguardo, accecando con un bagliore prorompente.
Anche se il freddo della
notte punge la sua pelle, tendendo i muscoli alla ricerca di un riparo.
Anche se lacrime che
sanno di nero bagnano le ciglia e le labbra, tentando di trattenere
ogni sospiro di troppo.
Yoko imbraccia il
fucile, e alla fine parla.
“Giurai, una volta, di non fare mai ritorno a questi luoghi.
Di scansare i ricordi ad essi legati, di concentrarmi su qualcosa di
meno futile che non fosse un passato che non si può
più recuperare.
Chiamami folle – chiamami vile – ma non
c’è stato giorno in cui io non abbia rivisitato
questo posto. Con la memoria, con i miei pensieri, eppure ci sono
sempre passata.
Davvero ironico, non trovi anche tu?
Chi come me ha una causa che si rinnova nel tempo, dacché
morte e nascita si mescolano in ogni singolo istante nella vita di un
guerriero, non dovrebbe badare alle cose che si lascia dietro la
schiena.
Ma forse è proprio questo il punto.
Temo di non averti mai voltato le spalle in maniera definitiva, Kamina.
Per questo mi ritrovo qui, a parlarti, dopo tutti questi anni.
Lo ritengo necessario, benché tu non abbia più
orecchie per sentirmi né bocca per rispondermi.
D’altronde, quando mai mi hai davvero ascoltata? Quelle
uniche volte che mi mostrai davanti a te come semplice donna, tu non
eri più uomo
– non potevi dare retta alle mie ragioni, perché
troppo nobili ideali ti muovevano, rendendoti per me irraggiungibile.
Per questo le tue labbra pronunciavano parole pazze, animate da quella
follia tipica dei geni o degli idioti.
Ora che invece non sei altro che una semplice idea, polvere nella nuda
terra, cenere che ingrassa solo i vermi, le mie parole arriveranno da
qualche parte.
Non necessariamente a te, ma almeno non resteranno sospese nel vuoto
senza trovare una loro ragione.
Mi spezzasti il cuore, quel giorno. Hai portato via –
spazzato senza possibilità di cambiare nulla –
ogni briciola di felicità che avevo dentro, che tu stesso
avevi impiantato forse in maniera distratta. Era il mio animo quello
che si è frantumato, allora, rimanendo sordo e muto a tutto
il resto.
Credere in una speranza non è forse degno degli uomini?
Lasciarsi ammaliare dalla prospettiva di una vita migliore è
una debolezza così bestiale da non poter essere perdonata?
Io non ho mai puntato il dito al cielo, non ho mai detto frasi folli
che facevano solo gonfiare i petti dei miei compagni di orgoglio e di
coraggio indebito – eppure sulle mie spalle hanno vissuto
uomini e donne, vecchi e bambini, per anni e anni interi.
Io ho protetto la vita, tu l’hai colorata di una ragione.
Questa è sempre stata la differenza tra me e te.
Io ho
badato sempre alla materialità,
all’immediato, alla concretezza delle cose. Per me le cose
importanti erano la fame, il freddo, il pericolo concreto che ogni
giorno portava assieme agli Uomini Bestia. Per questo io ho avuto in
mano il mio fucile.
Tu eri
diverso, Kamina. A te non interessavano cose banali come la
fisicità. Lo hai dimostrato in tanti modi diversi, a
cominciare dalla tua morte. Non eri un uomo come tutti gli altri
– questo lo si poteva capire semplicemente guardandoti in
viso. Non badavi allo stomaco che brontolava, non al sangue che usciva
dalle ferite, non al caldo insopportabile, non alla morte che incombeva.
Era l’anima
ciò che più ti premeva salvaguardare. Senza
quella sapevi benissimo quanto un essere umano assomigliasse ad una
bestia, quanto ad un semplice sasso con la facoltà di
muoversi. Questo non ti andava giù, non lo potevi accettare.
Quindi scaldavi i cuori, scaldavi le coscienze con le tue parole
– con le tue dannate idee – senza badare ad altro.
Eppure eri consapevole di cosa volesse dire morire. Se magari prima lo
ignoravi o non lo intendessi bene – relegando ad un angolo
nascosto della tua anima la consapevolezza di essere limitato
– palesarti davanti agli occhi cosa fosse un cadavere ti ha
aperto alla verità. Da qui la tua ragione d’essere
ha trovato una motivazione ancora più grande con cui
alimentarsi e vivere.
I vigliacchi muoiono
molte volte prima della loro morte. L’uomo coraggioso
sperimenta la morte una volta sola.
Nella tua limitatezza di uomo fisico hai cercato la via che conducesse
all’immortalità dell’anima –
la vittoria ultima sui nostri nemici invincibili.
L’hai trovata, Kamina. Nella follia di pensare che la
dignità di un uomo vale più di ogni altra cosa,
persino più della sua stessa vita. E’ stata
follia, è stata pura follia.
Perché, ora, cosa ci rimane?
Un ricordo, un’idea, un ideale a cui rivolgere i sorrisi.
Alle volte, però, preferirei a tutto questo un amante da
stringere con le mie braccia.
Sono morta assieme a te, tante – tantissime –
volte. Perché non ho saputo staccarmi dalla mia
materialità di donna tradita, non sono riuscita ad essere
completamente un guerriero devoto al suo scopo.
Concreta come ero e come sempre sarò, sono arrivata a
concepire me stessa solo attraverso i miei sentimenti.
Non sono una stupida, Kamina? Non rideresti di me?
Probabilmente no. Come quella volta, ti limiteresti a baciarmi e a
sorridermi, perché ogni cosa attraverso le tue labbra,
attraverso le tue parole, era possibile. Persino amare un folle.
Ed eccomi mentre parlo ad un semplice fantasma.
Anche questo si potrebbe annoverare tra le tue vittorie personali.
Dannatamente ironico, dannatamente privo di senso – come
tutta la tua persona, dopotutto.
Ma non entusiasmarti troppo, stupido che non sei altro. Ero venuta qui
solo a salutare e basta.
Ora me ne vado.
Addio, Kamina.
Questa volta si spera per sempre…”
Si voltano le spalle esili alla
tomba – lapide pregna di ricordi immortali.
Gli occhi sono asciutti,
il vento ha cessato di soffiare dolce. Immobile, la terra forma dune
dai lineamenti gentili.
Anche il sole, oramai,
si è nascosto dietro l’orizzonte, lasciando spazio
alla notte portatrice di ristoro e di sogni lieti.
Yoko cammina, affondando
i piedi nei granelli di sabbia, quasi ad arrancare in avanti.
Il fucile non
sparerà più proiettili, cadrà stanco
nel suo giaciglio assieme a tutti gli altri. Non è
più questo il momento della battaglia.
Il guerriero allora
rientra, lasciando alla deriva qualcosa di sgradito, perché
l’anima non pianga ancora e si prosciughi completamente.
Con le braccia ben
strette attorno al petto, Yoko si protegge da ogni intemperia.
Perché vile
è l’animo – eppure così
umano, eppure così fragile.
Signori, questa cosuccia
s'è classificata SECONDA al contest su Shakespear a cui era
iscritta *O*
Qui il link, a voi
<3
Che dire? spero vi sia
piaciuta ^^
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