Woland, il vampiro

di Ramiza
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Gli spiriti.

Woland, il vampiro, non è mai solo.

Centinaia di spiriti lo accompagnano - sempre -, centinaia, e gridano, e soffrono, e piangono. Talvolta urlano o provano a ribellarsi – inutilmente. Quasi sempre imprecano.

Li conosce tutti, a uno a uno. E se ha dimenticato perché e come li uccise - per nutrirsi, per rabbia, per difesa, spesso, semplicemente, per necessità - non può dimenticare i loro volti né il colore dei loro occhi.

Sono sempre con lui, lo accompagnano, lo servono, condannati a una sorte assai peggiore della morte, ma lui non può sfuggirgli, e dunque è prigioniero di loro almeno quanto loro lo sono di lui.

Il motivo si perde nel tempo, a quella zingara che lo maledisse, così tanti anni fa da non ricordare più quanti.

Azazel è tra loro. Azazel che fu il suo corruttore, e il suo padrone, persino.

Era giovane e ingenuo – strano a dirsi, nessuno ci crederebbe – quando godette dell'averlo lì, al suo servizio, alla sua mercé.

Adesso che il tempo è passato, tuttavia, e la smania della vendetta s'è spenta, non prova più quel piacere – nemmeno quello, il sapore dolce della vittoria – e la sua vista gli lascia solo un gusto amaro in bocca, il gusto delle scelte sbagliate, il ricordo di quello che fu, impresso sul volto dell'ultima creatura che lo vide vivo. Vorrebbe fuggire, ma sa che sarebbe inutile.

È tutta la sua non vita, in fondo, a sapere quell'unico monocorde sapore amaro.



I nomi, inutile a dirsi, sono un omaggio al capolavoro di Bulgakov.





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