Long
Allora….era
da un po’ che volevo buttare giù questa storia. In realtà avrei dovuto
pubblicare questo prima di “Here There and Everywhere”, però ho deciso di fare
il processo inverso : partire dal sequel e pubblicare successivamente il
prequel.
Si,
questa storia è proprio quello che è accaduto prima di “Here There…”, ovvero la
storia di John, dalla sua morte fino alla sua discesa sulla Terra. Ovviamente
tutto visto con gli occhi di John.
Stamani
a scuola ho buttato giù il primo capitolo, riorganizzando le idee che avevo…
Cercherò
di pubblicare i capitoli di questa storia in concomitanza con l’altra
fiction…Beh, detto questo…
Enjoy!
Ringrazio anticipatamente chi leggerà la storia e chi la
recensirà.
Walking on Thin Ice
“I may cry some day, But the tears will dry whichever way. And
when our hearts return to ashes, Itll be just a story,”
8 Dicembre 1980 Record Plant Studio, New York
“Sono
esausto! Ho passato un’intera giornata chiuso qui in studio a registare.
Sono
passati circa due mesi dalla pubblicazione di “Double Fantasy” ed ormai sono
troppo preso dal comporre nuove canzoni per fermarmi un’altra volta.
Ho
davvero un sacco di materiale pre-registrato a casa, tanti spunti per nuove
canzoni.
Dopo
un “silenzio” di cinque anni sono felice di essere tornato in pista.
Cinque
anni…La nascita di Sean ha cambiato moltissime cose..ed io non voglio essere un
padre assente, troppo preso dalla sua vita. Non voglio che mio figlio cresca
senza una figura paterna. Non voglio che passi ciò che ho passato io nella mia
infanzia e nella mia adolescenza.
Voglio
che abbia un punto solido di riferimento.”
Questi
pensieri affollavano la mente di John Lennon, seduto alla sua scrivania nello
studio di registrazione.
Stava
rimettendo in ordine le sue cose, dopo un’intensa giornata lavorativa. Lui e
Yoko, sua moglie stavano lavorando su una canzone che avevano già utilizzato per
“Double Fantasy”.
La
canzone si intitolava “Walking on Thin Ice” ed era cantata da Yoko.
Il
cantante era rimasto così soddisfatto dai risultati ottenuti, che aveva fatto
trasferire tutta la registrazione su nastro: voleva portarla a casa per
ascoltarla tutta con calma.
Era
totalmente saturo di musica, almeno per quella sera.
Contravvenendo
alle sue ripetute promesse di smettere di fumare, John si accese una delle sue
“Gitane.
Aspirò
il fumo mentre si lasciava sprofondare nella poltrona. Si sentiva veramente
stanco e spossato e questo lo rendeva nervoso: era sempre stato un tipo energico
e scattante. Ma ora le sue forze stavano come venendo meno.
Il
cantante fece un lungo sospiro “Troppo lavoro! Si disse “Va bene partire in
quarta per creare subito un nuovo album…ma forse mi sto lasciando prendere
troppo la mano…” scosse leggermente la sigaretta per far cadere la cenere
rimasta attaccata al tubicino “d’altro canto non sono più un
ragazzino.
I
tempi delle “consegne lampo” di nuovi
album sono finiti da un bel pezzo ormai..”
Il
cantante si accigliò per un attimo, indugiando sui ricordi che pensava di aver
sepolto bene sotto una coltre di disprezzo neanche troppo implicito.
Riluttante,
John Ono Lennon si vide passare davanti immagini, dove lui era ancora il “Beatle
John”.
Si
ricordava le sedute con Paul, cercando
di mettere assieme parole e note.
Erano
ricordi offuscati come da una leggera nebbia, erano vere e proprie fotografie
impresse nella sua mente. Fotografie riposte con cura in fondo ad un cassetto
dove, col tempo, avrebbero perso la loro brillantezza.
John
aspirò nuovamente il fumo a pieni polmoni,
ma lo rilasciò quasi subito.
Quanti
anni erano passati? Dieci?
Erano
già passati dieci anni da quando tutto era finito?
“Per
la miseria! Dieci fottutissimi anni?” si ritrovò a pensare il cantante, come se
se ne fosse reso conto solo in quel momento “e ne sono passati venti da
quando…”
Di
nuovo, un’altra immagine a lungo rimasta nel dimenticatoio si fece strada nei
suoi pensieri.
Vide
tre ragazzi: uno era veramente giovane, doveva avere circa diciassette
anni.
Portava
un buffo ciuffo “alla Elvis” ed imbracciava una chitarra.
Il
secondo era un ragazzino di circa diciotto anni, dalla faccia d’angelo e dai
grandi occhi verdi. Lui, a differenza del suo compagno imbracciava un basso, ma
lo portava al contrario perché era mancino.
Il
terzo era un ragazzo alto, il più alto dei tre e dinoccolato: anche lui aveva i
capelli impomatati di brillantina, cercando di ricopiare il ciuffo di Elvis Presley ed anche lui
portava una chitarra a tracolla, quella chitarra comprata a rate.
Ma
a differenza degli altri due, che sembravano smarriti e preoccupati, lui teneva
la testa alta, in atteggiamento di sfida.
Lo
sguardo esprimeva tutta la sfrontatezza e l’arroganza che può esprimere il volto
di un adolescente che si sente invincibile.
John
Lennon si lasciò andare ad un sorriso nostalgico.
Erano
anni che non sorrideva più a quel ricordo: per gli ultimi dieci anni, quei
ricordi erano legati indissolubilmente alla più totale mancanza di valori, anni
macchiati da eccessi per i quali, ogni volta, il cantante provava brividi di
disgusto.
Erano
giovani, gli idoli di un mondo che li additava come quattro giovani dalla
faccetta pulita e rassicurante..òa realtà era ben diversa.
La
sigaretta si era ormai consumata fino al filtro.
Tra
le mani dell’ ex-Beatle.
Lui
la fissò per un attimo “ Fanculo, io me ne accendo un’altra…” si
disse.
Dopo
averla accesa, John rimase nuovamente immobile.
Stavolta
non pensava a nulla in particolare, anche se, voci dal passato si insinuavano
senza freni nella sua mente.
Alla
fine fece qualcosa di inaspettato.
John
Ono Lennon si alzò dalla comoda sedia imbottita e si diresse verso il suo
cappotto nero, che si trovava sull’attaccapanni.
Ormai
era chiuso li dentro da quasi 20 minuti ma non gli
importava.
Cominciò
a frugare con calma nelle tasche del pesante cappotto: ovviamente non lo trovò
al primo tentativo, ma alla fine le sue mani toccarono ciò che
cercava.
Estrasse il suo portafoglio di pelle
marrone e lo aprì.
Non
era mai stato un patito dei portafogli all’ultima moda ed usava quel consunto
portafogli da ormai dodici anni.
Le
sue dita indugiarono per un attimo prima di estrarre quello che cercava da una
delle strette taschine del portafoglio.
Il
tempo aveva fatto appiccicare la pelle sulla patina della pellicola e Lennon
dovette impiegare molta pazienza per estrarre la foto senza danneggiarla, ma
alla fine ci riuscì.
Nella
foto erano ritratti quattro ragazzi sorridenti.
Le
dita di John toccarono il viso del giovane in posa al centro: aveva i capelli di
una tonalità che poteva essere castano chiaro, così come poteva benissimo
passare per un biondo scuro e gli arrivavano fin sotto le orecchie.
Il
suo occhio destro era semi-nascosto da una frangetta.
Il
suo sorriso pareva spensierato.
John
percorse con l’indice quei volti a lui così noti.:alla sua destra c’era Paul,
con i suoi grandi e malinconici occhi verde bosco che mandavano in delirio le
loro fan…George, il piccolo, dolce George, timido e riservato ma dalle idee
sempre geniali e Ringo, col suo naso spropositato ed i suoi occhi cristallini
come l’acqua. Ringo era stato il vero “collante “ dei Beatles, era stato l’unico
elemento portante.
John
rimase incantato per un attimo, guardando la foto.
Ripercorse
ancora una volta con lo sguardo i quattro volti, lasciando il suo per
ultimo.
Quando
alzò lo sguardo si vide riflesso nello specchio appeso al muro davanti, ed
avvertì il peso degli anni gravargli sulle spalle come un macigno.
Aveva
quaranta anni, il giorno dopo avrebbe avuto quaranta anni e due mesi
esatti.
John fissò con un sorriso mesto la sua
immagine riflessa: era proprio lui, lo stesso John della foto, quella foto
rimasta sepolta per anni.
Il
suo viso era più magro ed affilato, qualche ruga era già spuntata qua e là- I
suoi capelli non erano più lunghi come quelli della foto perché li aveva fatti
tagliare proprio come li portava quando era un diciassettenne di belle speranze.
Però
erano dello stesso biondo scuro, anche se facevano capolino piccoli ciuffi
brizzolati. Osservò le sue labbra sottili, il suo naso aquilino che pareva
ancora più prominente, a causa della sua magrezza…
Senza
rendersene conto, John aveva lasciato consumare anche la seconda sigaretta fra
le sue mani.
La
gettò nel cestino, centrandolo e rivolse lo sguardo verso la finestra.
Il
cielo di Manhattan era buio, ma rischiarato dalle mille luci della “città che
non dorme mai”.
L’ex-Beatle
John si rese conto che era tardi e che doveva fare presto, se voleva salutare il
suo bambino prima che si addormentasse.
Raccolse
i nastri che aveva lasciato sulla scrivania e si infilò il cappotto.
Quando
fu salito in macchina si accorse di aver dimenticato la foto sul
tavolo…
Manhattan, Upper West Side.
Dakota Building
La
sontuosa limousine stave per svoltare e dirigersi verso il parcheggio del
palazzo, ma l’autista fu fermato da Lennon. “Aspetta, mi ci vuole più tempo per
salire se scendo al parcheggio…e io voglio dare la buonanotte a Sean..Fammi
scendere qui”
L’autista
obbedì ed accostò al marciapiede, per permettere a John di uscire.
Il
cantante raccolse i nastri che si era portato dallo studio e scese dall’auto,
mentre la moglie si attardò un attimo all’interno.
John
Lennon camminò a passo svelto verso l’ingresso, così svelto da non notare
l’ombra al lato del portone.
Ormai
era vicino alla porta d’ingresso, dove avrebbe preso l’ascensore per il settimo
piano.
Sarebbe
entrato in casa e si sarebbe diretto a passo sicuro nella stanza di Sean, dove
gli avrebbe dato la buonanotte e magari cantato la sua ninnananna
preferita…
“Hey,
Mr Lennon!” lo apostrofò una voce sconosciuta.
John
non fece in tempo a girarsi, quando sentì un dolore acuto allo stomaco, come se
lo avessero trapassato con un ferro arroventato.
Nel
giro di pochi secondi avvertì la stessa sensazione alla spalla e, di nuovo, allo
stomaco.
Quasi
non sentì l’urlo angosciato della moglie, né il fragore dei nastri che gli
cadevano dalle mani e cozzavano contro il cemento del
pavimento.
Si
sentiva incredibilmente pesante, le gambe sembravano non riuscire più a
sostenere il suo peso.
Aveva
solo voglia di stendersi e chiudere gli occhi…voleva scacciare il
dolore.
John
Lennon, colpito da quattro pallottole esplose da quell’ombra che lo aveva atteso
per una giornata intera, si accasciò per terra, dove chiuse gli occhi, senza
sapere chi gli avesse sparato e per quale motivo.
Prima
di perdere conoscenza pensò: “Perdonami Sean…Non potrò darti il bacio della
buonanotte..perdonami…………”
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