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Rakuen ~ Un pezzo di paradiso tutto per sé
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Le
strade di New York brulicavano di vita come non mai. Le vetrine luccicavano attirando gli sguardi obliqui dei passanti tra
le strade affollate e i fiocchi di neve cadevano dal cielo come fuochi fatui
nella notte illuminata a giorno. Odore dolce ed aspro contemporaneamente
nell’aria, l’aroma caratteristico della città. Quello delle colonie costose che
si mischiava allo smog, della pulizia che sapeva di fumo sfuggente e
dell’ispido del selvatico domato.
Fresca
sposina in luna di miele, Yukari aggiustò
il collo della pelliccia, stringendo leggermente il morbido visone tra
le dita lunghe. Spolverò la neve come fosse polvere, scrollandosela dalle spalle con
un movimento deciso delle mani e prese a fissare insistentemente l’ingresso del
Winter Garden Theatre e la locandina dello spettacolo che poco più sopra faceva
bella mostra di sé.
Il
taxi alle sue spalle attendeva paziente, ma non senza sbuffi di rimostranza all’interno
dell’abitacolo, che quello studio d’opera terminasse al più presto e che la
cliente lo lasciasse libero di trovarne di altri più facili da accontentare.
Aveva provato non poche volte l’autista a far comprendere alla passeggera che
lui non potesse starsene tutta la notte lì buono ad osservare il nulla, ma la
signora l’aveva messo a tacere con uno sguardo infuocato e una banconota da
cento dollari.
Da
quel momento tanti altri piccoli Benjamin Franklin avevano affiancato il primo,
ma all’ennesima lamentela, il ringhio poco promettente ricevuto in risposta da
lei gli aveva davvero fatto temere per la propria incolumità, costringendolo
ad un totale e sfiancante silenzio.
Con
uno scatto impercettibile si arrischiò ad osservarla dallo specchietto
retrovisore. Nella penombra dorata offerta dal lampione, il profilo di lei
appariva etereo. Il collo sottile eburneo e il guizzare di una vena poco sotto
il mento orgoglioso, lo sguardo plumbeo puntato con decisione di fronte a sé,
la piega languida delle labbra tinte di un rosso cupo di lussuria scadente.
E
come un velo impalpabile di alterigia scostante, la nuvola serica di capelli nerofumo
intorno al viso pallido, di un candore che eguagliava il pianto candido che
stava piovendo. Una statua di marmo, fredda e dura e resistente alle
intemperie, algida e di una bellezza cesellata senza tempo, che nulla aveva da
invidiare all’intensa freschezza di un fiore appena sbocciato e già in procinto
di appassire.
All’interno
di quell’involucro d’alabastro però, celato un cuore di cera pronto ad essere
plasmato a piacimento secondo il gusto e i desideri del suo creatore.
Yukari
sapeva bene che l’unico che potesse aspirare a quell’appellativo non fosse l’uomo
con cui aveva scelto di trascorrere il resto della vita ed era anche a conoscenza
di aver rifiutato lei stessa l’opportunità che quei due ruoli coincidessero, ma
non se ne rammaricava.
Scrutò
nuovamente il marciapiede affollato di giornalisti e curiosi e i flash delle
macchine fotografiche la riportarono per qualche istante all’antico splendore
del suo lavoro abbandonato, così come il tappeto e l’insulso sfilare di
donne dall’aspetto scialbo su quella passerella di scaglie rosso rubino.
Il
rumoroso cicaleccio cessò di colpo e il serpente curvato si riempì di
macchioline fosforescenti dai colori abbaglianti di un arcobaleno rubato.
E
come di fronte all’arrivo del sovrano, divinità discesa sulla terra per
assurgere e prestare orecchio alla vox populi, paggi e cortigiane si fecero da
parte inchinandosi impercettibilmente all’arrivo dei commedianti.
Attori
svestiti dell’incanto faccia a faccia con gli spettatori che avevano ammaliato e
chi aveva fatto sì che il labile confine tra fantasia e realtà diventasse
invisibile, rivestendolo di seta e perle, tra loro.
Piume
di struzzo ardesia improponibili su chiunque altro, turchese a cingergli il capo e oro sui
lobi, un sorriso accennato che nulla di timido aveva se non la consapevolezza
del proprio fascino. Malinconica figura di tempi andati, subdola e di una dolce
femminilità mendace. Mani curate, gentili alla vista e morbide al tatto.
Yukari
inalò un’ampia boccata d’aria gelida e le parve quasi di sentirvi agrodolce l’odore
di lui in sottofondo.
Ne
seguì l’andatura sicura e veloce come un pensiero lo vide scomparire in una
vettura coperta.
George
non sarebbe mai salito su una macchina del genere.
Non sarebbe, passato. Ora
era il futuro, un tempo della sua vita di cui non le era concesso far parte, di
cui non sapeva nulla.
Mai, avvenire promesso. Non sarebbe
riuscita a dimenticarlo, a sotterrare i ricordi dell’amore vissuto appieno
dietro quelli di un primo mai realizzato se non come tappabuchi dell’altro.
Del genere, presente incerto.
E a quale genere apparteneva George se non quello tracciato secondo il proprio
volere?
E
lei? Quale contribuiva a riempire con la propria esistenza?
Ignavi.
Non
lo era e scosse la testa. Non aveva scelto da tempo dopotutto? Guardò in
tralice il cerchio di promesse sigillate al suo anulare, quel legame invisibile
come un’ancora di salvezza.
Hiroyuki
che era stato amico e fratello maggiore, consigliere e confidente, ma mai
padrone e il suo destino intrecciato ormai indissolubilmente al suo da
diciannove ore e quarantadue minuti.
Indissolubile,
impossibile da recidere.
E
allora perché era lì?
Meccanicamente
alzò il bavero proteggendosi dal pungente vento dicembrino che spirava e
portandosi una mano agli occhi che già lacrimavano feriti.
Non
si accorse dell’ombra alle sue spalle né di altre banconote cadute in grembo al
povero tassista.
Le
guance bagnate e i singhiozzi attutiti, le mani tremanti ghiacciate e il tepore
mancato di altre poggiate sopra le sue e tanto più fredde.
«Ero sicuro fossi tu. Nessun’altra farebbe sfigurare la neve in
questo modo.»
O sarebbe tanto stupida da aspettarti nel mezzo di una bufera, vero?
La voce arrochita resa più profonda dal tempo trascorso o forse dal
desiderio che lei stessa sentiva scorrerle sotto pelle a scacciare il freddo, una
presa al collo che era sua, nulla di più nulla di meno e soffocante profumo di
colonia ad inondarle le narici e i polmoni.
«Ne è passato di tempo. Ma guarda.. ora ti stanno spuntando
perfino le prime rughe. Sbaglio o quelle sono zampe di gallina?»
Usava un tono casuale, ironico, quasi amichevole e a lei sembrava
di aver perso improvvisamente la capacità di parlare, rispondergli per le rime
a quell’affronto alla sua giovinezza oltraggiata.
George era lì, a pochi passi da lei.
Piume di struzzo ardesia improponibili su chiunque
altro, turchese a cingergli il capo e oro sui lobi, un sorriso accennato che nulla di
timido aveva se non la consapevolezza del proprio fascino. Malinconica figura
di tempi andati, subdola e di una dolce femminilità mendace. Mani curate,
gentili alla vista e morbide al tatto.
Sentì salirle un singhiozzo e morse forte il labbro per quel
fremito di natura indefinibile.
Era paura? Trovarselo di fronte così, all’improvviso. Certo
spiarlo da lontano era tutt’altra cosa.
Era eccitazione? Il suo corpo lì, così vicino da poterne ascoltare
il respiro, così lontano da non poterlo sfiorare se non con la punta delle
dita.
Era freddo? Cos’era rimasto di freddo in quel fiume di lava che le
aveva invaso gli arti liquefacendoglieli a poco a poco?
Era colpa? Verso Tokumori che era già sul punto di..
«Cosa hai? Ti senti poco bene, Yukari?»
Ogni tentativo di difesa crollò miseramente al dolce richiamo del
suo nome, castello di carte in cui la regina chinava il capo al suo re.
Braccia intorno alle spalle, viso schiacciato contro il suo
torace, stretta da lui tanto da non riuscire respirare se non lui, a non
pensare a niente se non a lui.
E labbra calde, bollenti premute sulle sue con fare urgente,
disperato, avido, corroborante.
«George..» riuscì a sussurrare in un attimo in cui si erano
staccati di poco per riprendere fiato.
E poi di nuovo..
«Dillo ancora.» Voce pacata all’orecchio contro il battito
impazzito del suo cuore sotto la mano.
«George..» mormorò.
«Mi farai impazzire.»
E a lei venne da ridere. Piangere come stava già facendo e
sorridere come sapeva lui invece stesse già facendo. Divertiti, risate tra una
parola e l’altra, tra un bacio e l’altro, commossi, felici.
*
Seduti sui sedili posteriori del taxi, abbracciati senza il minimo
desiderio di volersi staccare, Yukari studiò con sguardo strano la propria mano
sinistra. La vera nuziale era sparita, cedendo il posto all’antico anello di
perline.
«Quando l’hai cambiato?»
George giocava con i suoi capelli e prese a carezzarle la mano baciandole
il collo.
«Eri troppo distratta dai miei baci per accorgertene.»
«Idiota.» sbuffò lei senza rabbia o un’intonazione particolare che
desse l’idea fosse contrariata.
«Sai, ammetto di essere quasi dispiaciuto per Tokumori..»
Il riaffiorare di una coscienza e del senso di colpa che ne conseguiva
per qualcosa che sapeva bene non fosse nulla di sbagliato, ma che avrebbe comunque
fatto soffrire un amico. Eppure anche lui doveva aver sempre supposto, saputo
che il suo non fosse vero amore. Era affetto, reciproca compagnia, confidenza, interessi
comuni e rispetto, ma non amore. Non passione, non complicità né attrazione o venerazione,
gelosia o impazienza, tensione.
E averla mandata lì sola forse era stato un regalo, il volerle concedere
un’ultima possibilità di scelta, l’occasione di prendere quella più giusta.
Le dispiaceva per Hiroyuki, ma..
«.. sopportarti per dieci anni. L’ho completamente rivalutato.»
La risata di lui bassa e carezzevole a sorridere della sua rabbia
e della voglia che aveva di prenderlo a pugni.
«Se stare con me ti sembra impensabile allora puoi anche andartene
al diavolo brutto..!» tentò di staccarsi, ma la teneva bloccata a sé, le mani
sui polsi.
«Sei proprio una sciocca Yukari..» strofinò il naso sulla guancia
e le leccò l’attaccatura del versoio.
«Ci sono solo due generi di uomini capaci di starti accanto: quelli
che cercano una battaglia persa in principio o i pazzi visionari. Per tua
fortuna si dà il caso che io sia entrambe le cose.»
Scoppiare in lacrime come una bambina non appariva poi così orribile.
Aveva immaginato avrebbe pianto a quello spettacolo, ma certo non si
sarebbe aspettata che sarebbe stato lui ad asciugarglielo, prendendo in giro il
suo sentimentalismo sopra la media.
E in fondo l’odore di New York non era più tanto aspro, ma forse
anche quello era opera di George.
Era arrivata in Paradiso e l’avrebbe stretto tra le dita, attenta
a non farselo scappare di nuovo.
«Mi stai stritolando.»
«Oh.. scusa!»
«Per questa volta chiuderò un occhio.. Fa pure.»
Come aveva detto, pensò sorridendo soddisfatta e tuffando la testa
nel cappotto di George, attenta a non farselo scappare.
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Allora.. Mi ritrovo senza parole e senza sapere cosa dire in una
nota il ché non è certo un’esperienza piacevole. Ecco, questo è il risultato di
un’intera nottata spesa a vedere l’anime e mentre già cercavo di reperire il
manga e mi lambiccavo il cervello riguardo un finale alternativo meno
tormentato per il mio povero cuoricino ecco ciò che è nato: RakuenàParadiso.
Ho rivisto l’ultimo episodio, soprattutto l’ultimo incontro tante
volte da averne perso il conto e infatti come avrete notato o forse no, alcune
frasi sono proprio state scritte sulla falsariga dei pensieri di Yukari in quel
momento. Sinceramente avevo molto dubbi sul fatto di postarla o meno.
Temevo che i personaggi non fossero IC e poi non sono sicura Yukari
tradirebbe il marito così, ma.. ma, quanti ma XD Oltre la mia indecisione
cronica mi sono divertita e commossa un mondo scrivendola, soprattutto la parte
del tassista.
Che dite.. in una notte ha fatto la sua fortuna, no? Secondo voi
tra Yukari e George quanto avrà guadagnato? Riguardo il nome George, lo so, lo so, probabilmente
avrei dovuto inserire quello originale, ma ormai mi sono affezionata a questo e
poi ha un suono diverso, mi sembra più musicale. Insomma io non riesco ad
immaginarlo o chiamarlo in modo diverso per cui vi prego di perdonare questa che
potrebbe sembrare ad alcuni una mancanza.
Ultima cosa.. Ci tengo a dire che nonostante tutto, io credo che
le ultime pagine del manga possano essere lette con una chiave diversa. Insomma
tra tanti luoghi da scegliere per la luna di miele andate proprio a New York e
a vedere uno spettacolo i cui costumi sono realizzati da.. ?
Permettetemi di vederci anche una microscopica speranza di
rinsavimento, senza nulla togliere a Tokumori ovvio. Come detto sopra, per
sopportare Yukari ce ne vuole.. Spero la lettura sia stata piacevole e di
avervi regalato un sorriso. Un bacio a tutti e un grazie <3
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