ItSTooClichéefp
Disclaimer: La canzone citata
nella battuta finale ("I won't say I'm in
love",
Hercules
OST) appartiene agli aventi diritto, così come le citazioni
in calce ad ogni capitoletto.
I personaggi, invece, sono frutto
della mia immaginazione, pertanto di mia esclusiva proprietà.
Pubblicità regresso
progresso:
per esigenze di trama, alcuni personaggi di questa storia
compiono azioni molto pericolose e stupide, tipo scappare di casa,
ubriacarsi e assumere sostanze stupefacenti. Non azzardatevi ad
imitarli, grazie.
Dedicata al vecchio West, che ora scodinzola su qualche stella lontana
lontana.
Edit del 17/06/2010 [IMPORTANTE]:
La storia, in effetti, necessitava di una più accurata
revisione finale; ho cercato di fare il possibile, pur
mantenendomi fedele alle venti pagine prescritte dal bando del contest
che l'ha ispirata, al mio stile "barocco" e all'idea di partenza, che
rimane, a mio parere, più che buona.
Ringrazio sentitamente Harriet, la giudice del
contest "Colonne
Sonore dei Film d'Animazione Disney", per avermi permesso
di ritirare la storia anche se a consegna avvenuta.
Ho stralciato i pezzi della canzone-prompt "I
won't say I'm in love",
perché, in effetti, non risultavano molto pertinenti con il
tema
complessivo del racconto.
Riscriverla da capo non renderebbe giustizia ai miei principi di
narratore e verrebbe meno al proposito che mi ha spinto a scriverla,
nel bene e nel male.
Quest'opera è pubblicata sotto una Licenza Creative
Commons.
I.
"(...) Come il bimbo abbandonato
Di una fiaba cancellata."
F. Garcìa Lorca, "Canzone Minore"
Costanza non avrebbe mai creduto che un parco giochi potesse essere un
posto tanto triste, al tramonto.
I suoi ricordi parlavano di una piccola porzione reale dell'immaginario
Paese dei Balocchi, dove l'aria aveva il dolce profumo delle noccioline
caramellate o dello zucchero filato, un pappagallo meccanico regalava
tubetti di bolle di sapone in cambio di un soldino e l'allegro baccano
dei bambini che si rincorrevano da un dondolo a uno scivolo
era a dir poco assordante. Pertanto, le riusciva abbastanza difficile
conciliare quelle immagini con quanto poteva vedere attraverso le
sbarre arrugginite della cancellata: di tutte quelle meraviglie, non
era rimasto che un ammasso trascurato di legno e plastica, che
sonnecchiava all'ombra del massiccio
Castello Visconteo, fra ippocastani scheletrici dai rami
spogli.
Di tanto in tanto, un venticello frizzante, lo stesso che le
frustava le gambette lasciate scoperte dalla gonna, cullava
un'altalena cigolante o fischiava un lugubre motivo tra
gli anfratti delle mura antiche, mangiucchiate dall'edera.
Ignorando il sobbalzo inquieto del cuore nel petto, Costanza si
issò su per la recinzione e la scavalcò,
così da
atterrare sul tappeto rosso e giallo di foglie secche, il quale
crepitò appena sotto le sue scarpette. Avrebbe dovuto
spicciarsi
a fare l'abitudine al freddo pungente e a quegli strani rumori,
perché, da quel momento in poi, quella sarebbe stata la sua
nuova, unica casa.
Sgattaiolò rapida fra i pali di sostegno della casetta dai
ponti
di corda, che ondeggiavano piano sopra la sua testa. Quindi,
benché sapesse che si trattava di qualcosa di molto stupido,
picchiettò un paio di volte con le nocche arrossate sulla
gabbia
del pappagallo giocattolo, senza riuscire a strappargli uno di quei
saluti gracchianti che rivolgeva ai passanti
durante il giorno. La marionetta restò muta e immobile, la
testolina piumata nascosta sotto l'ala e le palpebre meccaniche serrate.
Dopo aver fatto spallucce, più che altro per strappare un
po' di
calore al cappottino che si era buttata addosso in
tutta fretta, ritornò a gironzolare fra le attrazioni
deserte,
finché non raggiunse la sua preferita. Si trattava di un
dondolo
a molla, dalla forma più o meno simile ad un cavallo, che un
tempo doveva essere stata di un bell'arancione brillante ed ora
sembrava piuttosto un ferrovecchio scrostato, dopo che generazioni di
bambini se lo erano conteso in vivaci baruffe di epica portata. Anche
lei vi si era cimentata, imparando ben presto a rispondere a
tono, nonché a menare le mani quanto e meglio di un maschio.
Infatti, aveva deciso di rifugiarsi lì per la notte
soprattutto
pregustando l'idea di non doverlo dividere con nessuno,
in particolar modo con quello sbruffone piantagrane di Vittorio
Sinibaldi, il figlio dell'avvocato di famiglia, il quale non
aveva mai niente di intelligente da ribattere, se non che le
femmine mocciose di seconda possono solo giocare con le bambole, girare
alla larga e non pensare nemmeno di diventare cavalieri.
Invece, in
quel momento, in cui l'unico rumore che ancora le assicurava di
trovarsi al centro della città era il tossicchiare cavernoso
di un autobus, persino la vocetta fastidiosa di
quel marmocchio viziato le sarebbe suonata quasi piacevole.
Perlomeno,
avrebbe potuto illudersi di essere di nuovo la bambina che, ogni
domenica mattina, trascinava lì suo padre ancora insonnolito
per
azzuffarsi con gli altri ragazzini del quartiere e gettarsi
all'inseguimento di qualche bandito o mago malvagio, sulle ali della
fantasia, in groppa ad un vecchio cavalluccio malconcio.
Per quanto lo desiderasse con tutta se stessa, niente di tutto questo
sarebbe mai tornato...
Era concentrata su questo malinconico pensiero, mentre percorreva
distrattamente i contorni del muso del dondolo con la punta delle dita,
indecisa se ricompensare o no l'animale con uno zuccherino
invisibile, come era solita fare quando era più piccola e
più felice. L'ultima cosa che si sarebbe aspettata era il
contatto con qualcosa di umido e caldo all'altezza del gomito, un
misterioso qualcosa che appariva assai
interessato al contenuto delle
sue tasche, visto che ci si intrufolò subito grugnendo, e
senza
neppure chiedere il permesso.
Nana Enid, che era scozzese e da giovane aveva visitato tutti i
castelli infestati della sua terra, le aveva raccontato che i
fantasmi non hanno un corpo, come il vento e le nuvole, tuttavia
Costanza era troppo spaventata da quella situazione per prestare
attenzione ad un simile particolare. Cacciò uno strillo
terrorizzato e indietreggiò di colpo, con il solo, doloroso
risultato di inciampare in una radice nascosta tra le foglie e
ruzzolare a gambe all'aria sul terreno, giusto in tempo per ritrovarsi
ad un palmo dal naso il tartufo incuriosito di un cane dallo sguardo
mansueto e un po' spento, il quale dimenava la coda spelacchiata con
aria amichevole.
"West è buono, non ti farà nulla: deve aver
sentito odore
di caramelle..." s'intromise una voce alle sue spalle, molto
buffa per appartenere ad una persona vera, poiché aveva
quell'inflessione acuta e un po' nasale tipica dei personaggi
pasticcioni dei cartoni animati: in effetti, il suo proprietario non
era da meno, in quanto a stranezza.
Non appena fu in grado di sottrarsi di qualche centimetro alle bavose
effusioni di West, in pratica infilandogli in bocca una manciata di
orsetti gommosi alla frutta, Costanza si voltò e scorse un
bambino dalle sopracciglia aggrottate, i capelli sparati
ad istrice sulla testa e il fisico pelle e ossa infagottato in
vestiti di svariate misure più grandi di quella
giusta.
Anche
lui la osservava con un certo, divertito interesse, un luccichio
birbone negli occhietti neri che le
ricordò l'illustrazione del ladruncolo Dodgers
sulla copertina del libro di Oliver
Twist,
la storia deprimente con cui Nana Enid le aveva insegnato a leggere.
Quel tipo aveva proprio lo stesso, identico modo di fissare gli altri
come se loro non sapessero niente, e invece lui una più del
Diavolo in persona e li sfidasse a dimostrare il contrario.
Il cuore le batteva all'impazzata, in uno sconosciuto miscuglio di
curiosità e timore. Da una parte, non le sembrava vero di
essere
riuscita già ad incappare in un autentico
bambino
vagabondo, dall'altra si affannava nel tentativo di capire se
aveva intenzione di essere gentile con lei o se
l'avrebbe scacciata in malo modo da quello che doveva essere
il
suo territorio.
Aveva sentito
dire che i monelli di strada sapevano essere molto feroci, riguardo a
quel genere di argomenti.
Ad ogni buon conto, lei non era affatto della stessa pasta di quelle
bambine leziosette, tutte moine e smorfie, tipo la figlia del notaio
Melzi d'Eril, una frignona capace di far tragedie infinite per ogni
dentino da latte che cadeva o per qualche sbucciatura al ginocchio.
Armata solo della propria testardaggine e fiera delle croste da litigio
spennellate di mercurocromo, Costanza incrociò le braccia
sul
petto e si preparò ad affrontare quell'ignota minaccia.
Nonostante si sforzasse di mantenere le distanze, non fu capace di
trovare alcunché di ostile nella mano con cui lui
l'aiutò
a rimettersi in piedi e scrollarsi via il terriccio bagnato dagli
abiti, prima di recuperare l'altro capo della
cordicella legata
attorno al collo del cane, a mo' di guinzaglio. L'animale, nel
frattempo, aveva finito di ruminare i dolcetti appiccicosi e si era
messo a grattare l'attaccatura dell'orecchio pendulo con una zampa.
"Come hai detto che ti chiami?" le chiese, mentre si sedeva su una
vicina panchina di legno.
Lei valutò se rivelare o meno
quell'informazione, poi si convinse che non vi era nulla di pericoloso
in un semplice nome e rispose: "Non l'ho detto: comunque, mi chiamo
Costanza."
"Saresti un pessimo cane da caccia: mio nonno dice che quelli con i
nomi lunghi senza suoni bruschi diventano tutti disobbedienti..."
sentenziò il bambino, un sorrisetto birichino che gli
illuminava
il volto magro.
Per tutta risposta, Costanza batté un piede a terra,
sottolineando il disappunto nelle proprie parole: "Ma io
non sono un cane da caccia, scemotto!"
"Io non mi chiamo scemotto, mi
chiamo Riccardo, briciola!" replicò lui in uno sbuffo
altrettanto scocciato, "Come Riccardo Cuor di Leone, ma senza il
fratello tonto."
La bambina evitò di ribattere, mentre fermava con una
molletta
il ciuffo biondo che continuava a pioverle dinanzi agli occhi. Lo
sguardo di lui accompagnò ogni particolare di quel gesto
così comune, quasi che fosse la prima volta che si trovava
davanti una tale scena, quindi i suoi occhi indagatori si spostarono
sull'elegante cappotto lilla, sulla gonna scozzese a palloncino
e sulle ballerine non ancora abbastanza impolverate da non sembrare
appena uscite dalla loro scatola: "E così anche tu saresti
una
bambina abbandonata..."
Di nuovo, lei si guardò bene dal protestare,
benché l'inflessione scettica delle sue parole l'avesse
punzecchiata
nell'amor proprio, alla stregua di una fastidiosa zanzara: "Preferisco
dire che sono stata io ad abbandonare loro, ma non credo che siano
affari tuoi, scemotto."
A quel punto, Riccardo si risollevò e, incombendo su di lei
con
quei maledetti cinque centimetri di sleale vantaggio, le
sussurrò in un ghigno sdentato: "Sei nel mio territorio,
briciola: tutto quello che succede qui è affar mio, vedi di
impararlo alla svelta."
Una minaccia.
Bonaria, ma pur sempre una minaccia.
Per quanto fosse stata in grado di avere la meglio nelle zuffe di
vicinato con ragazzini grandi il doppio di lei, si trattava comunque di
piagnucolosi soldi di cacio cresciuti nella bambagia, e non di piccoli
selvaggi abituati ad arrabattarsi giorno
per giorno, gli uni contro gli altri, fra le vie della città.
Pertanto, continuare ad atteggiarsi da bulletta verso
quel nemico
ormai non le sembrava una buona soluzione: sfoderò il
sorriso falso che le avevano insegnato a rivolgere agli amici adulti
dei genitori, augurandosi che le permettesse di passarla liscia: "Mio
padre è un brutto bugiardo e io non
voglio vederlo mai più."
La smorfietta cattiva si trasformò in una sorta di occhiata
comprensiva, tanto che il bambino schioccò la lingua fra i
denti
storti per invitarla a proseguire: "Uhm, uhm: spara, briciola."
Ad un tratto, la saliva le si seccò in bocca come al termine
di
una corsa a perdifiato e la risposta si bloccò in
gola,
senza che lei riuscisse a farla uscire, allo stesso modo in
cui non riusciva a tossire su richiesta del pediatra, quando
magari
lo aveva fatto fino alle lacrime qualche secondo prima.
E dire che
aveva cercato per tutto il giorno qualcuno a cui raccontare quello che
non avrebbe dovuto vedere, qualcuno con cui condividere il peso di quel
segreto, senza causare terribili conseguenze che non voleva nemmeno
immaginare. Ora che lo aveva trovato, anche se non
combaciava con
l'idea che aveva in proposito, se ne stava lì
impalata e zitta, con quel boccone amaro piantato a metà fra
le
labbra e il cuore.
"Briciola, nessuno di noi tre ha tutta la notte da perdere per
aspettare i tuoi comodi."
Quell'affermazione spiccia ebbe su di lei il medesimo effetto
di uno scrollone fisico, cosicché si sorprese nell'udire la
propria voce che rigurgitava tutto ciò che prima aveva
soffocato, in un fiume in piena di parole: "Io... Io non volevo fare
niente di male, volevo solo capire perché papà
pensa
più al suo lavoro che a me.
Tutte le volte che lo chiedo, Nana Enid mi risponde che un bravo
dottore come lui spesso deve preoccuparsi prima di salvare la vita dei
suoi pazienti, anche se desidererebbe stare insieme alla sua famiglia,
e che non devo essere una bambina egoista.
Però, io non ero tranquilla e allora ho fatto finta di
andare a
scuola, e l'ho seguito... E lui non è andato in ospedale, ma
è entrato in quel palazzo lì, di fronte...
E ad
aspettarlo c'era una donna, un'altra donna... Una che non era la mamma."
Tacque, una mano stretta a viva forza attorno ad una maniglia del
dondolo, l'altra posata sul petto che aveva appena ricominciato a
salire e scendere ad una velocità normale, mentre il respiro
diventava meno affannoso. Continuò a restare aggrappata al
solido sostegno, perché si sentiva tanto leggera, e
tanto stanca, da aver paura di cadere di nuovo.
Riccardo, che aveva ascoltato l'intero sfogo con aria assorta,
notò: "Beh, non è che devi pensar male per
così
poco, briciola: magari è una sua collega e dovevano
incontrarsi
per una riunione di lavoro."
"Se dovevano parlare di lavoro non c'era proprio alcun bisogno che la
baciasse. Sulla bocca, poi!" insistette Costanza, al limite della
pazienza: certo che quello scemotto, per essere uno che trascorreva le
sue giornate in mezzo ad una strada, ne sapeva ben poco della vita
vera!
Chiunque avesse ascoltato anche una sola puntata di uno
sceneggiato radiofonico di RadioDue non poteva ignorare che si trattava
di prove inequivocabili della bugia preferita dagli adulti.
"Io non posso dirlo a nessuno a parte te, capisci?
E' per questo che
sono scappata, perché non voglio che mamma e papà
litighino per colpa mia... Sono una stupida briciola, capace solo di
far capricci e combinare guai" concluse in un fil di voce, prima che
Riccardo la prendesse in giro, ancora una volta: "Beh, è
quello
che voi noiosi bimbetti di buona famiglia sapete fare meglio, o
sbaglio?"
A quelle parole, Costanza avvertì un fiotto bollente di
rabbia
incendiarle le guance e stritolarle lo stomaco in una morsa crudele,
serrò i pugni contro il corpo e sbatté
velocemente le
palpebre, perché lo sforzo per reprimere la reazione
istintiva
di rifilargli un ceffone che gli levasse dalla faccia quel sorrisino da
saputello le aveva annebbiato la vista.
Non aveva rinunciato a
malincuore alle fiabe di Nana Enid, al tiepido affetto di mamma e
papà, ai giocattoli costosi e ai vestiti nuovi, alla sua
vita
comoda di figlia unica per doversi sentir giudicata da quel
mocciosetto ficcanaso.
Perciò, non riuscì davvero ad
impedirsi di urlargli contro, con il medesimo tono presuntuoso che
tanto detestava in Vittorio Sinibaldi: "Ma perché non te ne
stai
zitto, scemotto? Cosa ne vuoi sapere tu, che i genitori neanche ce li
hai!"
Eppure lo sapeva, che non avrebbe dovuto tirare troppo la corda con un
bambino vagabondo.
Però, nell'attimo in cui lui emise un ruggito da bestiola
ferita
e le si avventò addosso, si guardò bene dal
cercare di
scappare, anzi, iniziò a difendersi scalciando e
graffiando con altrettanta furia, finché entrambi
non ruzzolarono tra le foglie in un groviglio urlante di abiti. Dal
canto proprio, West ebbe un guizzo di vitalità
canina e prese a correre tutt'attorno a loro, abbaiando a squarciagola
per sottolineare la propria defilata partecipazione alla rissa.
Lo scontro fisico fu breve ed inglorioso, almeno dal punto di vista di
Costanza: infatti, si sporse troppo nel tentativo di scrollarsi l'altro
di dosso e perse la presa, errore di cui il
nemico subito approfittò per inchiodarla al suolo.
Rimasero
congelati in quella posizione per qualche istante, a squadrarsi in
cagnesco, senza fiatare, mentre i loro respiri si condensavano in
candide nuvolette vaporose, prima di infrangersi l'uno sul volto
dell'altra. Quindi, Riccardo gridò, ansante: "Io non li ho
più! Ma almeno, là dove stanno adesso, sono
sicuro che
non possono fare nessuna di quelle cose stupide e cattive che divertono
tanto i grandi!"
Uno spiffero gelido, che non aveva niente a che vedere con il
vento che ancora batteva il giardino, costrinse Costanza a
raggomitolarsi, tremante, nella stoffa leggera del soprabito. Una
nostalgia infinita le esplose nella pancia con la stessa violenza di un
pugno. Socchiuse le palpebre, fino a quando il dolore di quel gesto
forzato non le strappò una smorfia, perché era
una
briciola troppo orgogliosa per concedergli la soddisfazione di vederla
piangere per lui.
Di colpo, si ritrovò ad immaginare la sua grande, cara casa,
senza papà seduto sul divano con la faccia affondata fra le
pagine di un giornale e senza mamma piegata su una tela alla ricerca
della curva perfetta per ritrarlo in quella ridicola
posizione da gufo impagliato.
Il vuoto che l'avvolgeva, la solitudine
che vi aleggiava la riempirono a tal punto di tristezza e paura da non
poter più essere nascoste, né taciute:
scoppiò in
lacrime e si aggrappò al collo di Riccardo, singhiozzando
senza
ritegno sulla sua spalla: "Voglio la mamma, voglio il papà,
voglio tornare a casa!"
"Eh, ci sarei rimasto male, se avessi detto il contrario..."
sospirò lui, tutt'altro che irritato da quell'eccessiva
confidenza, mentre appoggiava la tempia alla sua e le passava un
braccio attorno alla vita per tenerla più stretta a
sé.
"Vuoi che ti accompagno, briciola?"
Costanza tirò su con il naso e si sfregò gli
occhi gonfi
con la manica del cappotto, gesto che, in circostanze normali, non si
sarebbe mai permessa di fare, a meno che non desiderasse sorbirsi una
colossale ramanzina da Nana Enid. Qualsiasi residua volontà
di
proseguire la lite se n'era andata insieme al suo pianto a dirotto: "Se
ti va... Non è molto lontana."
Lui scosse il capo in un cenno affermativo, quindi l'aiutò a
rimettersi in piedi. Scortati a breve distanza da un uggiolante West,
si diressero verso uno dei cancelli secondari del parco
giochi, che il custode spesso si dimenticava di chiudere a chiave, come
le mostrò il bambino, spalancandolo al primo tocco in uno
sferragliare di cardini.
Seppur esitando, lei gli prese la mano nella propria e lo
guidò
dal lato opposto della strada, dove li accolsero le luci rassicuranti
dell'Allea. Camminarono a passo lento, senza scambiarsi parola, mentre
il vecchio cane approfittava della distrazione del padroncino per
trotterellare dinanzi a loro e tuffare il muso in questo
o in quel bidone colmo di schifezze, a suo parere molto attraenti.
Quando svoltarono a sinistra, nel labirinto di stradine acciottolate
che si snodavano verso il cuore della città ormai
addormentata,
fu di nuovo Riccardo a chiedere: "Cosa pensi di fare,
briciola?"
"Quello che avrei dovuto fare subito: dirlo a Nana Enid. Lei
è
molto in gamba, di sicuro prenderà la decisione giusta..."
Il solo ricordo di quella figura quasi materna, mite ed imponente, con
la crocchia di capelli fulvi fermata sulla nuca e un cigarillo
puzzolente sempre acceso a lato della bocca, aveva il potere
di tranquillizzarla meglio di mille, inutili parole.
Si chiese se,
nonostante il brutto pasticcio che aveva combinato, saltando la scuola
e sparendo per un giorno intero, sarebbe riuscita lo stesso a
guadagnarsi
una fettina dell'haggis del
venerdì sera. Immaginare l'aroma della carne speziata le
valse
un crampo gorgogliante allo stomaco, intenzionato a farle presente che
non veniva riempito con qualcosa di buono da diverse ore.
"La nomini sempre, ma... Posso sapere chi sarebbe?"
"Nana Enid è mia nonna, la mamma di mio papà:
è
scozzese, di Glasgow per essere precisi... E sembra un po' una
bambinaia e un po' un pirata!" gli raccontò Costanza, in
tono
tanto fiero da strappare all'altro un fischio d'ammirazione: "Wow,
forte... Mi sa che andrebbe d'accordo con mio nonno..."
In quel momento, West si fermò davanti ad un'elegante
palazzina
color pastello e abbaiò in direzione del portone, prima
di raggiungere con una corsetta traballante i due bambini e rifilare
una testata alle ginocchia della più piccola.
Quest'ultima indicò una delle finestre con le imposte
socchiuse,
al secondo piano: "Siamo arrivati, lì è dove
abito io."
Riccardo si strinse nelle spalle con il consueto sorriso furbetto, ma,
se il lampione del marciapiede di fronte avesse gettato una luce
più intensa su di loro, Costanza avrebbe giurato che la sua
espressione fosse dispiaciuta per la fine della loro disavventura.
Allora, gli sfiorò un braccio con la mano e
mormorò,
timidamente: "Grazie di tutto... E, mi raccomando, torna a casa anche
tu, che sennò tuo nonno si preoccupa."
"Ma... Ma... Ma cosa stai dicendo, briciola?" balbettò
l'altro
ad occhi sgranati, come se le avesse appena sentito dire che gli asini
volano, i gatti abbaiano e i cani recitano a memoria la tabellina del
nove.
Fu il turno di Costanza di piegare le labbra in un ghigno da birbante,
mentre gli spiegava, con un'aria angelica cui mancavano soltanto
un'aureola e un paio di alucce per essere impeccabile: "Ma
dai,
non avrai mica pensato che ci sarei cascata? Niente sporco sotto le
unghie, né sul collo, né nelle orecchie, e poi,
quando ti
ho abbracciato, profumavi di borotalco. Un po' strano per un
monellaccio di strada che si lava nelle fontane e dorme sulle panchine,
o sbaglio, scemotto?"
"D'accordo, briciola, mi hai beccato..." ammise Riccardo, alzando le
mani in segno di resa, prima di correre via nel buio a fianco di West e
lasciare dietro di sé l'eco di una sfida: "Ma la
prossima volta non ti sarà così facile vincere,
stanne
certa!"
II.
"E io, che avevo forgiato su di
lui
Un piccolo romanzo,
Mi ero completamente sbagliato."
Souvestre e Allain, "Fantomas"
Alle
undici in punto davanti al busto di Foscolo. Vieni sola.
Nel momento in cui il foglietto appallottolato aveva oltrepassato la
finestra aperta e le era rimbalzato sul banco, Costanza non aveva
nemmeno preso in considerazione
l'ipotesi di non presentarsi all'appuntamento, secondo quanto le aveva
consigliato di fare, tra una nuvola di cipria e
l'altra, Livilla Melzi d'Eril.
Benché l'avesse
ripetutamente cacciata in situazioni ai limiti dell'assurdo, la sua
curiosità insaziabile commetteva di rado uno sbaglio
nell'indirizzarla verso casi degni di nota. Un'inequivocabile conferma
di ciò l'ebbe non appena scoprì
l'identità del
cliente, che l'aspettava appoggiato di spalle alla statua del letterato
eponimo del liceo, in una posa modello da teppista dinanzi all'ingresso
di un locale malfamato.
Nientemeno che lo Zuccone Maltese in persona, il piccione impomatato
della V B, il quale non pareva avere altre ambizioni nella vita
all'infuori di fare il comico da quattro soldi durante le assemblee
d'istituto. Perlomeno, anche lui era venuto senza il molesto codazzo di
ammiratrici che gli ocheggiavano attorno quotidianamente, quindi c'era
da augurarsi che sarebbe stata una conversazione seria.
Tuttavia, non le fu concesso di aprir bocca per prima,
perché
lui la fermò, esordendo in tono
melodrammatico: "Ammira, Traversari, i fulgidi simboli della nostra
gloriosa istituzione: il candore del marmo, per la purezza d'animo e di
mente dei nostri discepoli, e il roseto in fiore, perché
l'ardua
strada della conoscenza è irta di spine, ma sboccia in
floridi
traguardi!"
Bisognava concedergli che l'imitazione del discorso d'inizio anno della
preside fosse ben riuscita, in particolar modo per il gesticolare
nevrotico e la voce ruvida a metà fra quella di un tabagista
e
quella di un invasato.
Ad ogni modo, non poteva permettergli di
gigioneggiare a lungo e sprecare il suo tempo, gratuito, ma
pur
sempre prezioso: "Lo sketch è stantio, Maltese: preferirei
sapere quale motivo ti ha spinto ad ingaggiarmi, e voglio sperare che
non sia perché hai bisogno di una spalla."
"Il giorno in cui deciderò di commettere un suicidio
artistico,
ti chiederò di sicuro di affiancarmi sul palco..."
ribatté lui con sardonica noncuranza, mentre distorceva i
lineamenti elastici del volto per mimare la spocchia
uggiosa dell'interlocutrice.
Quest'ultima trasse un sospiro paziente, quindi gli propose: "Ti
dispiacerebbe se ci spostassimo
sotto il portico? L'ultima volta in cui sono passata sotto le finestre
del corridoio nord, un secchio pieno d'acqua saponata mi è magicamente precipitato addosso.
Sai, non è piacevole coniugare verbi greci con gli occhiali
appannati e i vestiti fradici."
Nulla nella sua eloquente mimica facciale lasciò trasparire
sorpresa, dal momento che lui era uno dei veterani che
stilava la lista delle angherie destinate alle matricole: "Nessun
problema, Traversari, ti porto subito sul luogo del delitto...
Comunque, mi risulta che qualche giorno dopo, Sinibaldi della I A si
sia magicamente ritrovato con un
occhio nero."
"Quella non è stata magia, ma mira" rettificò
Costanza,
laconica, giusto per lasciargli intendere che non aveva a che fare con
uno dei soliti zerbini in gonnella.
L'altro non osò replicare altrimenti, limitandosi a
scortarla
lungo il breve tratto a volta che collegava il chiostro colonnato
maggiore al cortile interno, dove si trovavano le
rastrelliere per le biciclette e per i motorini di studenti e
insegnanti.
"Perché diamine mi hai portato nel parcheggio, Maltese?" gli
domandò allora, con irritazione palpabile: per quanto si
sforzasse, non era in grado di trovare alcun valido motivo per tutto
quell'incessante tira e molla di anticipazioni e ritardi, all'infuori
della necessità di attenersi ai tempi comici del compagno.
Costui le scoccò un'occhiata obliqua,
prima di sbottare: "Insomma, Traversari, non fare la finta tonta:
persino i muri sanno quale atroce violazione della legge è
stata
commessa in questo luogo..."
L'intuizione fulminea la sconcertò così tanto da
renderle
quasi sopportabili quelle continue tirate da palcoscenico: in occasioni
come queste, detestava avere un'intelligenza pronta: "Maltese, ti
prego, dimmi che non mi hai assunta per indagare su chi avrebbe bucato
le gomme della bicicletta della professoressa Morpurgo!"
Per ciò che le importava, ad architettare quel meritato
scherzetto poteva essere stato il Karma, Nostra Signora dello Studente
Afflitto o chissà quale altra intelligenza celeste,
finalmente
irata per il fatto che la prima e unica regola con cui quel basilisco
femmina gestiva compiti e interrogazioni delle proprie classi fosse Tutti
i miei allievi sono uguali, ma quelli con un padre facoltoso sono
più uguali degli altri.
Senza considerare l'insignificante particolare che, di chiunque si
trattasse, lo avrebbe volentieri candidato per una medaglia al valore
civile, e lei non era esattamente un tipo permissivo nei confronti del
prossimo dedito alla delinquenza. Quello, tuttavia, doveva essere
considerato nient'altro che un atto di alta giustizia sociale.
"Ah ha, lo sapevo che avrei trovato un cervellino eccellente,
lì
sotto, a compensare il pessimo lavoro svolto nella realizzazione
dell'involucro..." trillò Maltese, scompigliandole i capelli
color paglia, già di per sé indomabili, con una
manata
invadente, che Costanza si maledì a denti stretti per non
aver
schivato.
Quindi, tentò di recuperare un minimo di
professionalità, stabilendo in tono irremovibile: "Mi
dispiace di dover raffreddare il tuo entusiasmo, ma non accetto
incarichi che possano disturbare il corpo docente."
Secondo copione, i tratti somatici di lui si contrassero in
un'espressione di sconfinato abbattimento: "Traversari, non ti facevo
così connivente con il potere costituito..."
"Se non ti dispiace, preferirei definirmi prudente:
al contrario di te, non ho la benché minima intenzione di
restare parcheggiata qui dentro fino alla pensione" lo corresse,
piccata, ma il compagno non pareva disposto a lasciarsi liquidare in
maniera tanto indolore.
Infatti, passò ad un sorrisetto
enigmatico, mentre le si parava dinanzi per impedirle di piantarlo in
asso e insinuava: "Peccato, un eventuale
successo sarebbe stato un'ottima pubblicità per l'unica
investigatrice scolastica sulla piazza. E poi, potrebbero sempre
sfuggirmi, per caso, una parola o due riguardo a quella sera di tanti
anni fa, in cui hai frignato come una fontana sulla spalla amica di un
monello di strada... Briciola."
Il poco sangue che contribuiva a stemperarle il colorito da
febbricitante perenne si rovesciò di schianto dal volto ai
talloni,
a bordo del medesimo ottovolante che trascinò in un
vorticoso
precipizio tutti i suoi organi interni, nell'istante successivo a
quella scottante rivelazione.
Riuscì solo a strabuzzare gli
occhi e sputacchiargli contro una sfilza di incoerenti: "Tu... Tu...
Tu..."
"Che ti succede, briciola? E' caduta la linea?" la canzonò
di
rimando Maltese, in quel tono impertinente che avrebbe già
dovuto metterla sulla buona strada, se non fosse stata troppo impegnata
a restituirgli le frecciatine con tanto di interessi.
Il suo nome di
battesimo era, in effetti, Riccardo, sembrava ancora lo schizzo
svogliato di un illustratore di libri per ragazzi e parlava come
Paperino dopo alcune sedute da un logopedista. Di certo, lui doveva
averla riconosciuta sin dal primo giorno di scuola e non vi potevano
essere ragionevoli dubbi riguardo al fatto che l'avesse contattata anche in nome della loro
conoscenza pregressa.
Beh, avrebbe dovuto mettere sul tavolo qualche carta in più
rispetto alle freddure, se confidava di vincere la scommessa ancora in
sospeso.
"Facciamo finta che le ultime tre o quattro battute della nostra
conversazione non siano mai state pronunciate, scemotto: ora, esponimi
i fatti."
Il compagno mise da parte mossette ed altri espedienti scenici, si
accoccolò sul basamento della colonna più vicina
e prese
a raccontare: "Non che ci sia poi molto su cui lavorare: sabato
mattina, in un lasso di tempo che va dalla seconda alla quarta ora, un
ignoto benefattore... Uhm, volevo dire malfattore,
ovviamente... Ha pensato bene di forare le gomme della bicicletta della
nostra beneamata professoressa Morpurgo, per mezzo di un'arma da punta
e/o da taglio ancora non identificata.
Non ci sono testimoni, né
sospetti, benché la suddetta parte lesa mi abbia fatto
capire,
in maniera neanche tanto larvata, che mi ritiene personalmente
responsabile e penalmente perseguibile per il reato in questione. Forse
perché sono un pulcioso borghese nullatenente, e pure
orfano..."
Costanza diede un'occhiata sbrigativa tutt'attorno, per esaminare la
scena e controllare che non vi fossero orecchi indiscreti nei paraggi:
"In effetti, mi riusciva quantomeno problematico immaginarti nei panni
del disinteressato paladino della legalità,
scemotto: così, il quadro è molto più
logico.
Dunque, cominciamo a valutare i dettagli salienti: nessuno ha visto
nulla.
Omertà? Probabile, ma non escluderei del tutto anche la
reale
possibilità che il colpevole sia passato inosservato,
ciò
che conta è stabilire come abbia fatto."
"Sono tutte finestre cieche" affermò Riccardo, additando il
piano superiore, "tranne quella con la tapparella appena sollevata, che
fa parte dello studio della nostra dragonessa... Preside,
intendo. Udito da pipistrello e occhio di falco. Su questo fronte,
nulla di fatto."
"I passaggi sono due, obbligati e ben sorvegliati" riprese Costanza,
mentre passeggiava avanti e indietro lungo il corridoio piastrellato.
"Accanto
all'ingresso, c'è la portineria, ma entrambi sappiamo quanto
i
bidelli di guardia siano affidabili. In compenso, abbiamo l'aula della
III A, tutti maturandi e poco propensi a piantar grane proprio a fine
carriera. Inoltre, quello con il parente più miserabile
erediterà una società di costruzioni,
perciò non
credo abbiano di che lamentarsi dei voti classisti della Morpurgo.
Che hai, scemotto, ti scappa?"
Fu costretta ad interrompersi, poiché il compagno era
balzato in
piedi e le si dimenava davanti alla stregua di un ossesso, sollevando
il braccio per chiedere la parola: "Ho capito! Magari nessuno se
n'è accorto perché erano tutti impegnati a fare
altro: ha
agito durante l'intervallo!".
La sua frenesia, però, si
sgonfiò con la medesima rapidità con cui l'aveva
animato:
"Non ho considerato che, in quei dieci minuti, accanto alla portineria
c'è il banco di vendita dei panini."
"Tranne il sabato" lo sostenne la ragazza, ma dovette a propria volta
concludere, in tono amareggiato: "Sì, ma il parcheggio
è
la più frequentata fumeria della scuola, dopo i bagni:
è
davvero impossibile..."
"Non per chi conosce i passaggi segreti!" esultò
Riccardo, prima di chinarsi sul suo orecchio e svelarle, in un mormorio
complice: "Vedi, quando è stato costruito, questo edificio
era
un convento benedettino, ed è risaputo che questo genere di
posti ha corridoi nascosti e porte misteriose..."
"Certo, e fantasmi di novizi murati vivi per aver infranto il voto di
castità: sono per un quarto scozzese, mia nonna ha fatto
anche
la cacciatrice di spettri, non puoi prenderti gioco di me con..." fu il
sarcastico contrappunto di Costanza, dal finale rimasto inespresso,
nell'istante in cui la seconda illuminazione della giornata la
folgorò repentinamente.
Batté un colpetto sulla fronte
dell'altro, corrugata dal dubbio: "Scemotto, tu sei un genio. Nella tua
incontenibile, assoluta idiozia, sai essere davvero geniale."
"Lo prenderò come un complimento, miss Acidità
19...":
anche Riccardo dovette lasciare la battuta incompiuta, dal momento che
la compagna lo agguantò per il polso e lo
trascinò
indietro, sotto la volta di raccordo fra i due chiostri dell'ex
convento. Qui, una porta dagli infissi sgangherati si
socchiudeva su una scalinata in penombra, la quale si srotolava a
chiocciola dal piano superiore.
"Briciola, questa non è una porta segreta: insomma, se lo
fosse,
non se ne starebbe ogni santo giorno sotto il naso di metà
del
corpo studentesco!"
"Nessuno guarda davvero ciò che può vedere
sempre..."
osservò l'investigatrice in erba, imitando per una volta il
buffo tono solenne dell'assistente improvvisato. "Il responsabile, se
non desiderava attirare su di sé attenzioni sgradite, non
aveva
altra scelta che usare questo passaggio. Quella scala mette in
comunicazione il deposito della biblioteca, chiuso al pubblico, e il
laboratorio di chimica, che è costantemente sorvegliato
da..."
"S'a
ghe chi (*)?"
interloquì una voce gracchiante alle loro spalle, facendoli
trasalire.
I due si scambiarono un paio di occhiate eloquenti, Costanza
con la preoccupazione dell'allieva modello consapevole di essere appena
stata sorpresa a gironzolare per la scuola durante l'orario di lezione,
Riccardo con la baldanza del perdigiorno abituato a questo genere di
inconvenienti.
Entrambi compirono un mezzo giro sui tacchi, giusto in
tempo per trovarsi dinanzi il signor Arisi, custode dei laboratori del
liceo, il quale li stava squadrando con gli occhi miopi strizzati
dietro le lenti spesse come fondi di bottiglia, in quella che avrebbe
dovuto somigliare ad un'espressione inquisitoria. Il ragazzo emise un
basso risolino, che la compagna si affrettò a tramutare in
un
sibilo sofferente con una gomitata nelle costole.
"Al
tera da pip e al nasi in cü d'oca (*)..."
sentenziò il sorvegliante, ruminando espressioni e cadenze
dialettali in un bolo vocale a stento intelligibile. "Che bella
coppia... Nient
cülander par mi (*)?"
L'illazione sui suoi rapporti non solo lavorativi con Maltese
urtò l'amor proprio della ragazza alla stregua di una
staffilata
sulla mano e, mescolandosi in un composto micidiale con l'insofferenza
per la definizione poco lusinghiera, le fece ringhiare, in
tono
sbirresco: "Signore, dove si trovava tra le ore 10:55 e le 11:05 del
giorno 14 Maggio del 19..."
"Ma
veh, anch'i pülagh g'an la tuss (*)!"
sbuffò l'uomo, e le avrebbe di certo tossito
contro qualche altro epiteto maligno in pavese stretto, se Riccardo non
avesse zittito la linguaccia biforcuta della compagna, grazie ad una
mano sulla bocca già spalancata in una replica al vetriolo:
"Sa,
signor Arisi, la Traversari è tanto stordita da perdersi
ancora
per la scuola alla fine dell'anno scolastico; io stavo solo cercando di
essere servizievole verso il prossimo meno intelligente..."
Non appena entrambi ebbero svoltato l'angolo, a debita distanza dagli
sguardi indagatori e dai commenti sciovinisti del custode, il ragazzo
esplose, dando libero sfogo alla propria inflessione laziale, fino ad
allora attentamente sorvegliata: "Ma va' a morì ammazzato!
'Sto
polentone zotico de..."
Un morso di Costanza lo rispedì a rantolare in disparte,
mentre
lei protestava, a propria volta: "Bell'assistente del cavolo che sei,
scemotto: hai appena fatto scappare il colpevole!"
Il ragazzo ansimò, tra una fitta e l'altra, attonito: "Il...
Il colpevole? Quel... Quel... Pezzente?"
"Dio, quanto sei tardo!" gemette la compagna, prima di sferrargli una
sberla sulla nuca per sfogare l'ira repressa: "Il problema
capitale della nostra ricostruzione stava nel fatto che il colpevole
dovesse essere passato lungo la scala interna, ma nessuno studente
può farlo senza insospettire Arisi. Dal momento che,
nell'arte
investigativa, la strada più semplice è anche
esatta,
è sufficiente postulare che il nostro misterioso sabotatore
non
solo non sia uno studente, ma sia anche l'unica persona in grado di
andare e venire per quella strada senza destare sospetti.
E poi,
bisogna considerare anche alcune minuzie che un maschio come te non noterebbe
mai..."
Dopo il rigurgito di disprezzo femminista concentrato in
quella singola parola, Costanza riprese ad esporre la
risoluzione
del mistero,
con la boria dell'investigatore dinanzi ai sospetti
riuniti, nel capitolo finale di un classico romanzo giallo:
"Per limitarmi ad un esempio banale, ma pregnante, ti sei mai accorto
delle diverse reazioni di Arisi, quando gli si chiede aiuto con la
fotocopiatrice?
Se è un allievo a farlo, di solito viene liquidato in malo
modo,
con qualche scusa a caso del tipo che non viene pagato per aiutare i
mocciosi dei riccastri che hanno ancora la bocca sporca di latte.
Qualora si tratti di un membro del corpo docente, obbedisce
perché non ha altra scelta, ma lo si può sentir
borbottare di tutto e di più sulla dittatura
dell'intellettuale
borghese... In termini elementari, ovviamente... Ma quando glielo
chiede la Morpurgo: beh, diventa quasi rivoltante, ti aspetteresti
persino di vederlo svolazzare per la stanza fra sinfonie di violini,
piogge di petali e uccellini cinguettanti."
Riccardo ascoltò tutto con l'espressione di chi ha
tracannato un
bicchiere di ammorbidente scambiandolo per vodka, e si è
appena
accorto dell'errore: "Mi vorresti dire che quel villico ha bucato le
ruote della bicicletta della Morpurgo, perché è
innamorato di lei e vuole attirare la sua attenzione?"
"Mi sembra chiaro quanto il fatto che voi siate decisamente contorti,
in questo genere di questioni..." lo punzecchiò di nuovo la
compagna, quindi aggiunse, piantandogli un indice accusatore
all'attaccatura del naso: "E io stavo
per smascherarlo, scemotto, se tu non mi avessi interrotta con uno dei
tuoi pietosi teatrini!"
"Ora sei tu ad essere contorta, briciola" ribatté il
ragazzo,
scostandosi la sua mano dalla faccia in un gesto annoiato: "Prima mi
dici di non voler ficcare il naso in faccende che avrebbero potuto
metterti in cattiva luce agli occhi degli insegnanti, e ora vuoi
scatenare una guerra civile per un dissidio tra innamorati?"
Tutto questo era... Incredibile.
Incredibile che non avesse ancora mandato a quel paese lui e le buone
maniere per deviargli quel naso a becco a suon di calci.
Incredibile
che avesse ascoltato per tutto quel tempo i suoi sproloqui da teatrante.
Incredibile che lui avesse quell'innata maestria
nel logorare la sua pazienza, il suo autocontrollo, le sue certezze,
senza sperimentarne le violente conseguenze.
Costanza deglutì sonoramente, passò una mano nel
pagliaio
ispido dei propri capelli e dichiarò, esasperata: "Lascia
che ti
rammenti, scemotto, chi mi ha ingaggiato per risolvere questa
questione: tu, tu e ancora tu!
Mi coinvolgi, butti dalla finestra il
mio tempo e il mio cervello, e poi mi obblighi a gettare la spugna?
E
poi, a che serve conoscere la verità, se non la puoi
raccontare
a nessuno?"
Se, qualche secondo prima, il pagliaccio impiccione le avesse posato le
mani sulle spalle e l'avesse affrontata con quell'inedito sguardo da
fratello premuroso, a metà fra il grave e il comprensivo,
Costanza non dubitava che avrebbe rifiutato quel contatto tramite una
ginocchiata assassina nel posto più sensibile per il sesso
non
gentile, prenotandogli un posto nel coro di voci bianche della
Corale Verdi.
Invece, non lo respinse, né provò quel
fastidio che già aveva messo in conto; si limitò
a
fronteggiarlo con aria truce, in attesa dell'ennesima battuta stupida.
Che non udì.
"Mi deludi, briciola: non credevo di dover spiegare una cosa tanto
ovvia ad una bambina che, tanto tempo fa, scappò di casa pur
di
non rivelare un segreto che avrebbe ferito molte persone..."
E adesso, che diamine poteva fare?
Finché si trattava di ribattere a tono ad un comico
impudente, era in grado di
trincerarsi dietro un baluardo di altero disprezzo,
alternativamente prestandosi al suo gioco o rimettendolo a posto con un
commento acido. Ma se il buffone di corte gettava la maschera grottesca
e saliva in cattedra a recitar la parte del filosofo, peraltro avendo
dalla sua argomenti incontrovertibili ed ogni santa ragione, allora si
trattava di qualcosa che lei non era affatto preparata a gestire.
Era imprevedibile, e lei aveva paura dell'imprevisto, una paura feroce
e irrazionale, istintiva, quella che, seppur adulto e cosciente, ti fa
svegliare urlando e scalciando in piena notte, in fuga da qualche
mostro della mente, in agguato nella caligine onirica che confonde i
sensi nel sonno.
"Le conseguenze ci sono state, ad ogni modo..." bisbigliò,
rivolta più a se stessa che a lui.
Lottò contro l'impulso che la spingeva, di nuovo, a
insinuare il
volto contro l'incavo del suo collo, a versare lacrime di frustrazione
sulla sua spalla, non più adolescente caparbia che si
atteggiava
ad investigatrice per guadagnarsi un posto nella spietata
giungla sociale del liceo, ma bambina spaurita che nascondeva la testa
sotto il cuscino, perché quel rifugio ovattato smorzasse i
singhiozzi accusatori della madre e le grida irate del padre, nella
stanza accanto.
In tutto quel marasma di frantumi taglienti di ricordi e sprazzi
irrequieti di emozioni, si costrinse a pensare a qualcosa di innocuo,
di stupido, che le restituisse la presa sul mondo reale, prima che le
sfuggisse irreparabilmente di mano. Ancora una volta, fu Riccardo ad
aiutarla: non si era spostato di un passo da lei, anzi, se l'era
stretta ancora di più al petto, come in quella fredda notte
nel
parco-giochi deserto, e l'aveva investita con una zaffata di acqua di
colonia, eccessiva per la rinite allergica di Costanza.
Il rumoroso starnuto stemperò in parte la malinconia del
momento
e fu accompagnato dalle risatine soffocate di entrambi: "Briciola, se
prometti di non inondarmi di muco ogni volta in cui ci incontriamo,
potrei anche decidere di lavorare con te..."
Non riuscì a trovare nulla di minaccioso, negli orizzonti
imprevisti che quella neonata collaborazione le prospettava: forse, il
cavaliere solitario che era in lei fin da piccola si stava rammollendo,
o, forse, era solo contenta di aver ritrovato qualcuno con cui
cavalcare.
"Lo prometto, scemotto, lo prometto..."
III.
"Ahi, che lotta penosa!
Chiunque corteggi, vorrei esser io la sua sposa!"
W. Shakespeare, "La
Dodicesima Notte"
"Non vieni in pista?"
Costanza smise di rimestare il ghiaccio che affiorava
dalla pozza rosata del bicchiere di Negroni, si tolse la
sigaretta di bocca ed alitò una nuvoletta grigiastra di fumo
dritta in faccia a Livilla, la quale la stava fissando con l'occhio
vitreo di chi ha decisamente esagerato con i chupitos.
La domanda le era arrivata come una congerie di suoni inarticolati,
sommersa dal vociare caotico della folla accalcata al centro del locale
e dal martellare ritmico dei bassi. Per quanto l'uomo avesse compiuto
una lunga strada per svestire gli abiti di pelliccia e uscire dalle
caverne, nell'era della tecnologia imperante ancora stava a
rincoglionirsi al suono di tamburi e ad agitarsi in
danze ossessive, che avevano come unico scopo lo stesso di
millenni prima,
garantire la sopravvivenza della specie. O, almeno, trascorrere una
nottata insonne insieme a qualcuno altrettanto poco vestito.
Badò bene di tenere quella corrosiva riflessione per
sé,
mentre, in spregio all'imminente sordità, si sforzava di
comprendere le parole dell'altra: "Che hai detto?"
"Non vieni in pista?" le ripeté Livilla, in un acuto
stridulo.
Un ghigno lupino increspò le labbra di Costanza, indecisa se
chiederle o meno di specificare a quale pista si stesse riferendo: al
quadrato zeppo di persone sudaticce e ubriache, sotto i lampi colorati
delle luci stroboscopiche, o alle strisce di una candida polvere
miracolosa, ospite immancabile alle feste degli eredi della Pavia bene.
Era anche per questo motivo che soleva evitare come la peste occasioni
di quel genere, ma, quella sera, si trattava di un invito che non aveva
potuto declinare. E poi, lui
le aveva assicurato di non aver niente a che vedere con quei tossici
passatempi da ragazzini facoltosi e viziati, e non solo
perché
non possedeva né l'una, né l'altra caratteristica.
Avendo stabilito che l'amica, persino se
fosse stata sobria, non avrebbe colto l'allusione sarcastica, le
domandò di rimando: "Perché non ci porti Alfio?"
"Quel pirla è già andato da un bel pezzo..."
ribatté seccata Livilla, additando il tavolino accanto. Vi
era
riverso sopra il suo fidanzato, un esordiente politico da strapazzo, il
quale aveva da poco visto il fondo del terzo bicchiere di Margarida e,
entro un quarto d'ora, avrebbe visto anche il
fondo della tazza del gabinetto della toilette degli uomini.
Costanza squadrò il relitto umano,
intento a biascicare un'arringa priva di capo e coda agli immaginari
compagni di partito, poi rifiutò, cordialmente: "No,
thanks."
Quando incrociò lo sguardo interrogativo dell'ex compagna di
liceo, si accorse di averlo fatto di nuovo: era rientrata ormai da un
anno dall'Inghilterra e ancora, nei momenti in cui parlava
soprappensiero, il suo cervello inseriva il pilota automatico della
seconda lingua madre.
"No, grazie..." si affrettò a tradurre, anche se restava
convinta del fatto che persino una buttata fuori a calci dal liceo,
come la sua interlocutrice, avrebbe dovuto intenderne il senso in
maniera intuitiva.
"Dov'è il tuo ragazzo, invece? Ti ha abbandonata, per caso?"
insinuò a quel punto Livilla, dopo essersi appoggiata allo
sgabello libero, dando una vacua occhiata attorno
alla ricerca di un ripiego cui strusciarsi contro, in mancanza della
legittima dolce metà.
D'istinto, Costanza si portò una mano alla bocca e prese a
torturare fra i denti l'unghia seghettata dell'indice. Un altro difetto
che aveva assimilato oltre la Manica, del quale non riusciva in alcun
modo a liberarsi, nonostante Nana Enid la minacciasse spesso di
spennellarle le dita con la tintura di iodio, secondo quanto
prescrivevano i manuali di puericultura d'altri tempi.
Per un attimo, fu tentata di ruggirle contro che lei non
aveva il benché minimo straccio di ragazzo, ma si trattenne,
rammentandosi che la maggior parte della compagnia era convinta che lei
e una
certa persona latitante stessero insieme.
"Può andare dove vuole, per quanto mi riguarda, e non
è
tenuto a dirmelo: la festa è sua, e non è
né il
mio cane, né la mia borsetta..." fu la sua sbrigativa
asserzione
in proposito, senza farsi mancare la frecciatina riguardo alla
considerazione che la svampita erede dei Melzi d'Eril aveva di tutti i
membri del suo corteggio. "Comunque, non ti preoccupare:
salterà
fuori entro mezzanotte, prima di trasformarsi in quella zucca vuota che
è..."
Non che le compagne britanniche del St. Hilda fossero un pubblico
eccelso per le sue battute acide, ma aveva dimenticato quanto gli
universitari pavesi di buona famiglia potessero essere privi
di senso dell'umorismo. Difatti, Livilla
si lasciò sfuggire un risolino scemo, forzato, fece
spallucce e
claudicò sui tacchi a spillo numero
dodici verso la pista da ballo, abbandonando Alfio al delirio etilico e
Costanza ai sospiri rassegnati.
In realtà, lei sapeva alla perfezione dove si trovava
Riccardo,
e lo avrebbero capito anche loro, quegli ottusi, detestabili figli di
papà, se non fossero stati tutti così
fottutamente
impegnati a scolarsi intrugli ad alta gradazione alcolica, a scavarsi
una terza narice a furia di sniffare neve, a
progettare dettagli insignificanti della loro vita dorata e
già
scritta.
Possibile che lei, unicamente lei, notasse gli sguardi
d'intesa di sottecchi, la mano che sfiorava la mano, solo all'apparenza
in maniera noncurante, le sparizioni in contemporanea, il rossore
eccitato e rivelatore di un bacio che doveva essere taciuto?
Ma, le si poteva obiettare, solo lei aveva un valido motivo per
stamparsi ad inchiostro indelebile nella mente quei piccoli, semplici
indizi.
Solo lei, da alcuni anni a quella parte, aveva un motivo in
più per odiare senza risparmio il giovane avvocato
Sinibaldi; un motivo
che non aveva ormai niente a che vedere con le chimere infantili di una
bambina che sognava di essere un cavaliere.
Solo lei aveva imparato
sulla propria pelle che, ancor più spaventosa
dell'imprevisto,
era la competizione impari, non per un posto in groppa ad un cavallo
giocattolo, ma per una vita al fianco di qualcuno...
Il sapore ferroso del sangue le pizzicò la punta della
lingua,
ma non per questo smise di martoriare l'unghia dallo smalto sfogliato.
Spremette ciò che restava del mozzicone sul fondo del
posacenere, levandosi la bieca soddisfazione di immaginare che fosse la
testa di Vittorio. Quindi, chinò la testa e riprese
a
disegnare, premendo con maggior foga la punta della biro sul tovagliolo
di carta.
L'inaspettata, gentile pressione sulla spalla nuda la fece sussultare,
prima che Maltese si accomodasse sullo sgabello dirimpetto, un sorriso
radioso sul volto abbronzato e una corona di alloro intrecciata a
nastri rossi sulla testa: "Briciola, sei l'unica invitata che non mi ha
ancora fatto notare quanto sono bello, stasera..."
Clueless
as usual,
si ritrovò a pensare, inarcando un sopracciglio in un
accenno di
finta sorpresa: "Don't
call me names,
scemotto: non siamo più
bambini... Per quanto riguarda il tuo aspetto fisico, ti ci
vorrà altro che qualche pianta aromatica fra i capelli per
renderti quantomeno presentabile."
"Ah, devi tenerci davvero tanto, a quella vecchia fascia di miss
Acidità..." sentenziò l'amico, mentre si liberava
del
copricapo vegetale per appoggiarlo ai piedi del tavolino. "Un uccellino
mi ha detto che avevi bisogno di parlarmi: spara, briciola."
Un'ombra gelida calò sul volto di Costanza, al pensiero che
doveva trattarsi dello stesso uccellino che cinguettava a squarciagola
tra le sue lenzuola, ogni stramaledetta notte, o che fumava mezzo nudo
sul davanzale dell'abbaino di via Cardano, squadrando tutto e tutti con
l'altezzosa consapevolezza di essere il solo ed unico padrone.
Tuttavia, cinque anni di soggiorno inglese le avevano inculcato un po'
dell'imperturbabilità britannica, di cui si
affrettò a
fare uso per non insospettire l'indiscreto interlocutore: "Al liceo
eravamo un'efficiente coppia investigativa: non è che, per
caso,
ti andrebbe di trasformare questo passatempo in una professione vera e
propria?"
Tutt'altro che stupito,
Riccardo affermò, stiracchiandosi sul tavolo alla stregua di
un
grosso gatto pigro: "Fosse stato per me, la collaborazione sarebbe
proseguita anche all'università, ma tu hai preferito fuggire
presso la perfida Albione..."
"Io non sono fuggita" puntualizzò lei, algida; ogni parola
era
stata scandita con la chiarezza metallica di un colpo di pistola. "Nana
Enid mi ha allevata bilingue, ho avuto l'occasione di poter studiare ad
Oxford e mi pareva da stupidi rifiutare una simile offerta."
Poi, più accomodante, gli porse il tovagliolo, sul quale
aveva
scarabocchiato sommariamente la figura di un segugio seduto in
poltrona, una pipa nella zampa destra e una lente d'ingrandimento nella
sinistra: "Questa è l'insegna della nostra futura agenzia,
la
Lelapo Investigazioni."
"Somiglia molto al vecchio West..." notò Maltese, non senza
un'intonazione malinconica nella voce, dopo aver passato le dita sul
disegno grinzoso del suo compagno di giochi a quattro zampe. "Sicura
che sia una buona idea, briciola? Non basta il nome altisonante di un
animale mitico come biglietto da visita per farsi strada in un ambiente
del genere."
Dal momento che aveva già previsto una simile obiezione, la
ragazza poté liquidare i suoi dubbi con il minimo
sforzo: "Scemotto, per chi mi hai preso?
Ho pensato a tutto: per prima cosa, questo è l'unico business,
all'infuori delle onoranze funebri, che non è mai in
perdita.
Insomma, non mi pare il caso di starti a spiegare che la gente non
smetterà mai di comportarsi in maniera meschina, di
nascosto...
Poi, qui a Pavia la concorrenza scarseggia e ho subodorato che, in un
immediato futuro, la richiesta di pedinare gli studenti fuori sede da
parte dei genitori apprensivi sorpasserà decisamente il ramo
dei
tradimenti coniugali e dello spionaggio industriale: grazie alla nostra
giovane età, non daremmo nell'occhio, qualora ci mettessimo
a
seguire un ventenne scapestrato...
Infine, ho anche risolto, in parte,
la grana dell'affitto di un locale per la sede. Dimmi un po', scemotto,
dov'è che le persone vanno a vomitare i loro problemi
personali
addosso ad altri?"
"Nello studio di un buon psicanalista?" azzardò Riccardo,
dubbioso.
"Al bancone di un bar" lo contraddisse Costanza, "Il mondo è
piccolo e, come si dice, i pavesi sono dovunque: si da il caso che, ad
Oxford, io abbia conosciuto un ragazzo alla pari, nostro concittadino,
il quale sta per ereditare un'attività dallo zio stanco ed
acciaccato, proprio in corso Cavour...
Pieno centro, continuo passaggio
di potenziali clienti: mi chiedo cosa si possa volere di
più."
A quel punto, l'amico la ricompensò con un fischio
d'ammirazione
a mezza bocca: "Dannazione, briciola, sei il massimo: com'è
che
queste idee geniali vengono sempre a te, e mai a me?"
"Perché io il cervello me lo porto sempre dietro, al
contrario
di qualcuno che preferisce lasciarlo a prender polvere sul comodino, in
compagnia delle chiavi della Vespa e dei preservativi..."
dichiarò Costanza, caustica, quindi
chiarì, a scanso di ulteriori fraintendimenti: "Ovviamente,
io
sarò il capo. Quanto a te, pensi di essere in grado di
mettere
da parte la tua stomachevole accidia e a superare l'esame per la
licenza?"
"Posso risponderti domattina, a mente lucida e, soprattutto, con meno tequila in corpo?"
Maltese prese tempo, ma il brillio scaltro nelle sue iridi scure,
seppur un po' appannato dall'ebbrezza, lasciava presagire che avrebbe
accettato di buon grado di essere il suo fedele scagnozzo.
Era come se non fosse trascorso un giorno da quella mattina di maggio,
nel chiostro minore del Liceo Ginnasio Ugo Foscolo, in cui avevano
risolto insieme il mistero del sabotatore, neanche così
misterioso, per giunta.
Ad ogni modo, non era stato quel traballante
successo a renderle la giornata memorabile, ma scoprire di poter
instaurare un'intesa tanto profonda con un quasi perfetto sconosciuto.
L'unico sconosciuto capace di insinuarsi nelle pieghe oscure del suo
animo labirintico senza smarrirsi, capace di leggere la sua mente
lunatica e sfuggente alla stregua del più semplice dei
libri.
Solo Nana Enid poteva vantarsi di esserci riuscita, prima.
E pensare a quanto le era mancato tutto questo, in ogni singolo giorno
piovoso e solitario, trascorso nelle stanze di un collegio inglese.
Più provava nostalgia, più si costringeva a
scappare
dall'assillo di quelle emozioni inespresse, anche adesso che si erano
ritrovati, in quell'appartato brandello di Paradiso al centro esatto
del girone infernale terreno dei gaudenti, a dissertare del solo filo
con cui lei poteva illudersi di legarlo a sé.
Per poche ore al
giorno.
Senza sperare altro.
E, comunque, a cosa sarebbe servito confessare tutto, ammesso e non
concesso che il suo irragionevole orgoglio glielo consentisse?
Nulla
sarebbe cambiato secondo il suo piacere, anzi, la consapevolezza si
sarebbe depositata come un'impalpabile, tenace barriera fra loro, e,
con il passare del tempo, sarebbe divenuta distanza, e poi freddezza, e
poi...
"Ricky, sono stanco morto: mi riaccompagni a casa?"
Lo stridio della puntina di un giradischi che scivola sul vinile
consunto, proprio sul passaggio più emozionante della tua
canzone preferita.
Nello stesso modo molesto, la voce baritonale di Vittorio, impastata
dal sonno e dall'ubriacatura, s'intromise nella conversazione,
prima che l'avvocato si stravaccasse di malagrazia
contro la schiena di Riccardo, il quale non ebbe altra scelta che
alzarsi e tenerlo in piedi con un braccio attorno alla vita:
"Mi dispiace, ma il pupattolo mi fa gli incubi, se non gli do il bacino
della buonanotte. Ci riaggiorniamo domani mattina..."
"Never
mind..."
Costanza li congedò in un cenno distratto, di colpo assai
interessata al marchio sbiadito del Monopolio di Stato sulla scatola
delle sigarette. Un modo come un altro per impedire alla sua mente
dannatamente immaginifica di visualizzare il prevedibile proseguimento
di
serata.
Li scortò con uno sguardo discreto, mentre si allontanavano
a
braccetto fra la calca, del tutto certa che Sinibaldi, nonostante la
sbronza, le avesse riservato l'abituale sciabolata arrogante del rivale
vittorioso, quella che gridava da ogni singola venatura degli occhi
azzurri Tu
hai vinto la battaglia, ma io ho vinto la guerra.
La stessa con cui l'aveva trapassata il pomeriggio dell'esposizione dei
voti di maturità, un attimo prima di stampare un bacio
sfacciato
sulle labbra di Riccardo, dinanzi all'espressione basita e affranta
della nemica di sempre.
Una scena che aveva forzato l'ago della
bilancia a pendere fra l'Inghilterra e l'Italia, almeno per qualche
anno, almeno per leccare le ferite più fresche e rosicchiare
le
prime unghie.
Innamorata del mio migliore amico, omosessuale.
Assaporò fra
sé, insieme ad una boccata di fumo, tutta l'irrefutabile
ovvietà di quella situazione, un luogo comune trito da
commediola zuccherosa all'americana, di quelle che la facevano pentire
di buttare ancora i soldi del canone Rai e la corrente elettrica del
televisore.
Eppure, era la cruda, beffarda realtà, non sempre
capace di superare la fantasia, e quel nodo tormentoso sarebbe venuto
al pettine della sua vita, prima o poi.
Oxford le aveva insegnato, nel caso non fosse stata sufficiente la
saggezza dell'ostico Seneca, che i problemi non soffrono né
mal
d'aria, né mal di mare, e possono accompagnarci fino agli
antipodi del globo. Perciò scappare, di nuovo, non sarebbe
servito a nulla.
No, stavolta sarebbe rimasta accanto a Riccardo, fino a quando un
innocuo buffetto complice sulla pelle avrebbe smesso di scatenare
un'intemperia dei sensi, fino a quando le occhiate spregevoli di
Vittorio le sarebbero scivolate via di dosso senza bruciare sottopelle,
fino a quando non si sarebbe assuefatta all'idea che il solo ruolo
disponibile sul palcoscenico della vita di Maltese era quello di capo,
amica, sorella.
Quel fatidico giorno, le parole sarebbero sgorgate
chiare, spontanee, appropriate, ma, per quella sera, il silenzio poteva
ancora bastare.
A proposito, come diceva quella vecchia canzone?
"At
least out loud, I won't say I'm in love..."
FINE
(*) Piccolo prontuario di dialetto pavese spicciolo:
S'a
ghe chi?
(Trad.: Cosa c'è qui?).
Al
tera da pip e al nasi in cü d'oca (espressioni
pressoché intraducibili alla lettera, che corrispondono ai
dispregiativi "meridionale" e "ficcanaso").
Nient
cülander par mi? (Trad.: Niente
confetti per me?).
Ma
veh, anch'i pülagh g'an la tuss (Trad.: Ma guarda,
anche le pulci hanno la tosse).
Prima one-sided. E ultima, sospetto.
Intrisa peraltro di tutti i difetti tipici del mio stile di scrittura,
tipo la sintassi da apneista.
O il finale fast
forward.
O le parole auliche un tanto al chilo.
Quel che è certo è che questa storia sancisce il
mio
(credo) irrevocabile divorzio dai POV di qualsivoglia personaggio
femminile, all'infuori di bambine, animali ed esseri inanimati.
E'
inutile, non sono proprio nelle mie corde e, più mi affanno
a
cercare di delineare il loro carattere forte, più mi ritrovo
con
delle Marie Susanne, per giunta simpatiche come la gonorrea, fra i
piedi. Tipo questa qui.
Come al solito, invito tutti i lettori ad esprimere il loro prezioso
parere, qualunque esso sia: sto provando ad esercitare il mio stile con
storie che non implichino morti & assassinii, quindi esigo
sapere
se devo tornarmene a scrivere unicamente gialli o no. ^_^"
Ora, passiamo alle immancabili, dolenti note:
1) In questa storia, sono citati alcuni luoghi realmente esistenti
nella mia città, Pavia:
Il parco giochi accanto al Castello Visconteo;
Il viale alberato dell'Allea di Viale Matteotti, l'antica strada che
metteva in comunicazione il castello ad un altro settore dei bastioni;
Il Liceo Ginnasio Ugo Foscolo, ex convento benedettino e ora succursale
di Guantanamo
rinomata scuola pavese;
Corso Cavour, una delle principali vie del centro storico, l'antico decumano del municipium romano di Ticinum;
Via Cardano, la strada medievale che amo e in cui non
abiterò
mai (ç_ç), dove ho idealmente collocato la
mansarda di
Maltese (vedi anche "La
Gatta e La Luna").
Invece, la professoressa Morpurgo e il signor Arisi sono un parto della
mia mente malata, i cui cognomi sono stati rispettivamente tratti da
una famiglia di banchieri triestini e... Udite, udite, dall'elenco
telefonico aperto a caso!
2) Artful Dodger è il bambino borseggiatore che compare come
personaggi all'interno del sopracitato romanzo di Charles Dickens, Oliver
Twist.
3) Parola di mio nonno, cacciatore ormai in pensione: i nomi dei cani
da ferma devono suonare bruschi e brevi, meglio se hanno anche qualche
doppia al loro interno.
4) L'haggis è il
piatto
nazionale scozzese per eccellenza, cantato anche in un'opera del poeta
patrio Robert Burns: si tratta di frattaglie ovine tritate e speziate,
lasciate cuocere nell'intestino di una pecora. Anch'io di primo acchito
ho giurato che non avrei neanche voluto vedermelo comparire nel piatto,
ma credetemi se vi dico che vale almeno l'assaggio.
5) La prima regola della professoressa Morpurgo è la mia
personale parafrasi della celeberrima frase, tratta da La
Fattoria degli Animali, di George Orwell: Tutti
gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali
degli altri.
6) La Corale Verdi è uno dei due rinomati cori di voci
bianche
(e non solo) della città di Pavia; per amor di cronaca,
l'altro
si chiama Corale Vittadini, dal nome del conservatorio cittadino.
7) Il St. Hilda era, fino a qualche anno fa, il solo college
esclusivamente femminile della città universitaria di Oxford.
8) La perfida Albione, epiteto con cui si fa spesso riferimento
all'Inghilterra.
9) Lelapo era un segugio prodigioso della mitologia greca, regalato
dalla dea cacciatrice Artemide ad una ninfa del proprio corteggio che
aveva deciso di sposare un mortale. Questo cane aveva il potere di non
fallire mai la cattura di una preda, finché il padrone non
lo
sguinzagliò sulle tracce di una volpe che Zeus aveva mandato
a
devastare i boschi, la quale, a sua volta, non poteva essere mai
catturata. Gli dei, per risolvere il paradosso, pietrificarono entrambi
gli animali nel bel mezzo dell'inseguimento.
10) Fidatevi, se vi assicuro che i pavesi sono davvero dovunque;
indicatemi una sperduta isoletta al centro del Pacifico, e
lì ci
sarà un mio concittadino travestito da indigeno che, come
minimo, scolpisce noci di cocco. Inoltre, è vero anche i
maggiori introiti per le poche agenzie investigative di Pavia
provengono dai pedinamenti degli universitari fuori sede (da
un'intervista al direttore della Ovunque
Detective,
pubblicata su La
Provincia Pavese l'inverno scorso).
11) Nel caso a qualcuno venisse il dubbio dopo la lettura di "La
Gatta e La Luna", Alfio è
colui che lì viene chiamato "assessor
Carmagnola"
e la di lui isterica mogliettina è nientemeno che Livilla
Melzi
d'Eril.
Il cognome di quest'ultima, peraltro, è tratto dal
nobile casato locale proprietario del castello di Belgioioso,
nell'omonima cittadina poco distante da Pavia.
12) Lucio Anneo Seneca, filosofo stoico latino di I secolo a.C. e
precettore dell'imperatore Nerone. In un'epistola all'amico e allievo
Lucilio, scrive che viaggiare non serve a liberare l'uomo dai tormenti
dell'animo.
Credo di non aver dimenticato nulla, pertanto vi ringrazio per la
pazienza e spero di avervi fatto trascorrere qualche piacevole momento
di lettura.
Alla prossima!
Seconda classificata al One-sided Love Contest di amimy:
It's Too... Cliché di MistralRapsody
Stile, punteggiatura e lessico:10/10
Grammatica e sintassi:15/15
Originalità:9.5/10
Attinenza al tema e rispetto degli obblighi: 10/10
IC dei personaggi:10/ 10
Gradimento personale: 5/5
Totale: 59.5/60
Il tuo stile è molto coinvolgente, oltre che piacevole. Hai un
repertorio lessicale straordinariamente vario e ampio: la storia ha un
registro molto ampio ed è ricca di parole ricercate ed inusuali,
ma non risulta pesante. La lettura è molto scorrevole. Ho
approvato ogni tua scelta lessicale: sei stata in grado di utilizzare
sempre la parola giusta al momento giusto, scegliendo anche vocaboli
insoliti e non comuni ma senza appesantire la lettura. Le frasi sono
scorrevoli e ben equilibrate, perfettamente costruite.
La storia è strutturata molto bene: la trama è
indubbiamente originale, e ho adorato il modo in cui viene presentata.
Approvo in pieno l’idea di dividere la storia in tre parti: i
salti temporali fra una parte e l’altra danno alla storia un
ritmo particolare, non troppo veloce ma nemmeno lento.
Hai fatto un ottimo uso della punteggiatura. Grammatica e sintassi sono perfette.
La caratterizzazione dei personaggi è eccellente: Costanza ha
una psicologia ben delineata, ogni sua azione è coerente e ogni
suo pensiero motivato. È un personaggio interessante sotto ogni
punto di vista: hai bilanciato bene i suoi pregi e difetti, rendendola
una persona “vera”, realistica. Non dev’essere facile
creare un personaggio femminile così complesso senza
trasformarla in una Mary Sue, ma credo ci che tu sia riuscita in pieno.
Il sentimento che Costanza si rende conto di provare per Riccardo
è ben reso: con frasi ironiche e realiste, sei riuscita a
rendere questo sentimento concreto e plausibile, nient’affatto
melenso. La lite fra i due bambini all’inizio è stata
semplicemente geniale, inserita nel modo giusto al momento giusto.
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