F3.U.CK.S. Fest di Fiffi, parte quinta
@ settenote. La canzone che ho scelto è To Zanark... Earth
Song di
Michael Jackson. La versione originaria della fanfic, che ho postato
settimane addietro su Fiffi, è lunga 609 parole come da
challenge,
ma l'idea era troppo più lunga di 609 parole
perché rendesse bene.
Questa è la versione espansa.
Il pezzo di canone astruso su cui si
poggia è il seguente: le Fayth (Intercessori), fino a dieci
anni
prima degli eventi di gioco, spalleggiavano Yevon. Amavano la loro
Zanarkand di sogno e sostenere il sistema di Sin, che impediva
all'umanità di espandersi abbastanza da raggiungerla,
sembrava loro
la cosa giusta da fare. La storia di Jecht, che veniva dalla loro
preziosissima Zanarkand di sogno, è stata lo spunto del loro
cambiamento: quando lui ha deciso di sacrificarsi per Spira invece di
tornare nell'immobilità perfetta della loro patria, i
signorini si
sono resi conto della mostruosità che avevano compiuto e
hanno
assunto la mentalità che vediamo nel gioco. Questo
è canone (Ultimania dixit, tanto per cambiare). Il
significato di Sin che verrà accennato nella fanfic, pure.
Il resto
è roba mia.
Pochi giorni prima della Calma di
Braska, dunque, allo Zanarkand Dome – o un soffio e un sogno
più a
nord...
C'è un mondo là fuori
I'm
leaving this city
for the skies above
(Nobuo
Uematsu, The skies above)
Did you ever stop to
notice
This crying Earth these weeping shores?
(Earth
Song, Michael Jackson)
Jecht era confuso.
“Vieni”, diceva
una voce infantile rimbombando nelle sue orecchie.
“Vieni.”
Vieni dove? Non avrebbe nemmeno saputo
dire dove si trovava. Aveva coscienza solo del suo corpo e di quanto
lo sentisse pesante e sbagliato, intorpidito e immobile.
Una mano sfiorò la sua, afferrandola
con dolcezza. Sembrava un bambino che gli voleva mostrare qualcosa,
ma non poteva essere il suo bambino: il suo bambino non l'avrebbe
chiamato con dolcezza, mai, e il suo bambino era in un altro mondo,
quindi la cosa non gli interessava. Ma perché insisteva?
“Vieni.”
Non posso venire,
avrebbe voluto urlargli per farlo smettere, Braska
ha
bisogno di me.
Ma la testa
pulsava come se stesse per scoppiare e la gola era così
secca che
era un miracolo che riuscisse ancora a respirare – fatto
salvo che
Jecht in quel momento non stava respirando, non più.
Oh.
Svuotato e
dolorante, iniziava a ricordare. La strega, la strega l'aveva
squarciato e scavato e fatto pietra e lui, lui se l'era lasciato
fare, sotto lo sguardo inflessibile del suo evocatore. Se avesse
ancora avuto uno stomaco, Jecht avrebbe vomitato. Invece si sentiva
solo pieno di un male denso e unitario che non poteva buttar fuori in
nessun modo. Che schifo.
“Vieni”, ripeté
la voce, ora accompagnata da altre. “Ti
piacerà.”
Era così stanco.
Si lasciò andare.
Sentì
il pavimento delle stanze di Yunalesca svanire in un turbine sotto la
sua schiena, rimpiazzato dalla luce fredda di una lastra liscia e
fluorescente. Tendendo di colpo i muscoli, incurante del dolore che
pochi istanti prima era stato in grado di paralizzarlo, Jecht
scattò
sgraziatamente a sedere, incredulo. Zanarkand! La sua Zanarkand!
Zanarkand con le sue guglie illuminate, i suoi ponti sospesi, l'arco
acquatico che sovrastava i grattacieli.
Era
attorniato da una decina di figure dalle fattezze più
disparate,
scure contro il cielo di luci della sua città. Erano fermi
in mezzo
a una strada e la folla sciamava loro accanto, senza prestare
attenzione a quel gruppetto male assortito né,
notò con stizza, al
suo campione. Un uomo passò attraverso a tre di loro e Jecht
prese
in considerazione l'ipotesi che si trattasse di un sogno, o di un
delirio febbrile. Ma non ricordava brezza e odori nei suoi sogni, e
lo stadio da blitzball era lontano. Se era un sogno, non era il suo.
“Guardala”, disse il bambino, un
moccioso dalla pelle scura nascosto sotto un cappuccio viola
più
grande di lui. Non il suo bambino. “Ammirala oggi com'era
mille
anni fa, al culmine del suo splendore.”
“Senti il suo abbraccio”, aggiunse
un guerriero da dietro il suo elmo.
“È tua madre come fu nostra madre,
fratello nostro. Ed è figlia dei nostri fratelli che sognano
sulla
montagna, figlio nostro”, dissero tre voci alle sue spalle
che
potevano essere una sola.
“Non vale forse la pena di combattere
per lei?”
Jecht annuì assente, frastornato dalla
storia incredibile che tutti i suoi sensi sembravano raccontargli.
Era tornato a casa! Certo che valeva la pena combattere per casa, era
il motivo per cui aveva impugnato la spada fino al giorno prima.
Ma poi si era arreso, perché non aveva
trovato un modo per tornare. E nel mezzo aveva fatto delle promesse.
“Chi siete voi?”, chiese, ancora
col culo per terra. Lo scrutavano tutti con un'aria carica di
aspettative. E altro. Ma non riusciva a distinguerlo – aveva
imparato, nel viaggio, che gli uomini portavano dentro sfumature che
il grande Jecht non era in grado di distinguere neanche sotto il
sole, e qui osservava degli sconosciuti che non sembravano del tutto
uomini, nel buio sotto il cielo di luci della sua città.
“Siamo la tua gente, ora.”
“Hai
già visto il nostro sogno, unito al sogno del tuo
evocatore.”
“Ti abbiamo portato qui perché è la
nostra casa eterna, la tua vecchia casa, la tua nuova casa tramite
noi.”
“Per farti comprendere ciò che
difenderai.”
“Non doveva andare così”,
s'intromise una ragazzina vestita di giallo e viola, che tratteneva a
stento le lacrime. Parlava a loro, più che a lui, ma la sua
sofferenza sembrava sincera. “Dovevi rimanere figlio, non
fratello.
Ti abbiamo guidato, sorretto, sussurrato in ogni brezza. Ma ora hai
scelto la tua rovina, hai scelto il compito di perdizione.”
“E
volevamo donarti un ultimo ricordo.”
“Di lei, di Zanarkand la bella, che
risplende eterna nella culla del mare del Nord.”
“Perché sei parte di lei e parte di
noi. E combatterai per lei. Come noi combattiamo da allora, come i
fratelli sulla montagna combattono da allora per mantenere il sogno
di ogni luce.”
“Come Yu Yevon combatte da allora, donando loro
la forza, sempre saldo, sempre fedele.”
“Lo farai, vero?”
“Perdonaci.”
Jecht traballava sotto quel discorso
unico e scomposto di cui non capiva una parola. E quello che gli
sembrava di aver capito era tutto al contrario.
“Diventerò Sin, sì”,
s'intromise,
ripetendo meccanicamente quello che aveva appreso nelle sale di
Yunalesca e sperando di trovarci un senso meno labile di allora.
“E
difenderò questo mondo, questo è chiaro. Fin
quando riuscirò a
combattere Sin da dentro.” Che non era un bel pensiero, ma
era la
cosa giusta da fare: un solo viaggio per le strade piangenti di Spira
gliel'aveva mostrato.
“Spira è transitoria e imperfetta”,
lo corresse il bambino, mormorandogli la loro verità
più preziosa.
“E non merita salvezza. Zanarkand è eterna, ma
così fragile... un
tocco e svanirebbe in un'eco del tempo. Spira cresce come una bestia
impazzita, desidera mutare ed estendersi fino alle nostre coste. Non
deve arrivare fino a qui. Questo è
Sin.”
“Mi prendete per il culo?”
“L'abbiamo visto sorgere il primo
giorno, fiera rivalsa sulle rovine della nostra sconfitta. Da allora
sogniamo al suo fianco.”
“Ma tu – nostro fratello, nostro
figlio – tu non dovevi combattere”, gli
confidò una donna,
inginocchiandosi accanto a lui per accarezzargli i capelli. Jecht si
scostò. “Nato dall'oceano, la terra ferma mal ti
si attaglia. Eri
fatto per restare, per godere di ogni onda.”
“Protetto, non protettore.”
“Perdonaci. Ci capisci?”
“La
guida che offrimmo fu insufficiente.”
“Ma quale guida!”, tuonò Jecht,
che aveva sempre avuto poca sopportazione per i discorsi astratti,
men che meno quelli biascicati tre parole alla volta da un coretto
che gli levava l'aria. “L'ho scelto io! E se è
stata una cazzata
bene, ne ho fatte tante, fatemi fare le mie cazzate e lasciatemi
pace!”
Ma il gruppo scosse la testa come un
unico organismo.
“La tua strada per il Nord è stata
una nostra scelta, un bisbiglio sussurrato all'orecchio del tuo
evocatore, del nostro evocatore. Uno fra tanti, eppure l'unico che
l'avrebbe ascoltato. È prezioso.”
“Ti abbiamo aperto la via
affinché tu tornassi, oltre la montagna, oltre le rovine,
fino alla
tua patria sempre viva. Ma ti sei offerto. E ora soffrirai per
noi.”
“L'altro, non tu figlio, doveva
offrirsi. Si sarebbe offerto. Perdonaci, ti abbiamo lasciato troppo a
lungo nel mondo che muta. Non doveva andare così.”
“Ora capisci le nostre scelte?
Perdonaci. Ma ti sei offerto e combatterai, per tuo figlio e per gli
altri figli della città luminosa.”
“È eterna, ma così fragile.”
“Proteggila.”
Aspettative e coda di paglia, la verità
dietro quei sorrisi enigmatici era solo una gran coda di paglia.
Scuse, scuse, scuse. Jecht non era nella posizione di dare lezioni
morali a chicchessia –
mai
stato – ma,
già che nel
sentire anche quell'ultima confessione era rimasto con la bocca
aperta a prendere aria e luci fatue, tanto valeva richiuderla
emettendo fiato. Non sarebbe servito a niente, ma non poteva restare
zitto.
“Io soffro e combatto e voi non fate
nulla?”, sbottò. “Siete là
fuori da mille anni, tutti vi
chiamano, tutti vi vogliono e voi non fate nulla? Sapete tutto e non
dite nulla? Nulla ogni volta che Sin attacca, ogni
volta che –
com'è – mutila la crescita di questa bestia
impazzita? No, no. Mi
piaceva di più come la diceva la strega, sapete? Che era una
gran
bugiarda, ma almeno aveva un senso. Mi fate vergognare del mio, di
sogno, quello di tornare a casa, da mia moglie, da Tidus. Ma me ne
sbatto della pace di qui se il prezzo da pagare è tutto
quello che
succede là fuori. Le avete mai sentite, le urla? ”
“Sono
effimere”, rispose piano il bambino.
“L'avete visto il sangue che avete
sparso? O ve ne andate sempre prima?”, incalzò
Jecht. “Che razza
di sogni promettete?”
Scossero ancora la testa. “Sogni
eterni.”
“Vi siete mai
fermati per un momento a guardare Spira? Un momento soltanto?”
“C'è una... cosa, nel Blitz. Un
principio. Che quando arrivi a un certo livello, la squadra sei tu
che te la scegli. E io non voglio avere niente a che fare con dei
figli di puttana come voi.”
*
Braska aveva abbandonato i paramenti e
giaceva riverso sulla statua della sua evocazione finale, spossato
dai riti e dal pianto. Respirava appena.
Jecht riapparve al fianco del suo
evocatore, girandogli attorno con passi lenti e misurati e un ringhio
fermo in gola che avrebbe tenuto lontano anche Sin. Fuori
dalla
mia testa, ordinò, e dalla sua. Fuori!
Non era rimasto molto di umano in
Jecht, che dentro si sentiva già un ribollire di squame e
corna e
artigli, ma certo abbastanza per capire da che parte stare. Avrebbe
trovato un modo. L'aveva promesso.
Nell'altra Zanarkand, Bahamut
rifletteva sul cambiamento.
-
Insomma, probabilmente il briefing sul
perché e percome di Sin gliel'ha fatto direttamente Yu Yevon
a tempo
debito, però mi piace pensare a quest'incontro coi suoi
simili, fra
quando è diventato Fayth e quando è diventato Sin.
E probabilmente le Fayth sono arrivate da sole a cambiare idea, ma
forse c'è stato bisogno di questo calcione nel fondoschiena
in più
(Sublimely Magnificent Jecht Shot
Mark III,
that is) a tutta la brigata.
Btw, mi rendo conto che “mondo che
muta” riferito a Spira sia... un azzardo,
nel minimo. Ma
muta sempre più di dream!Zanarkand...
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