Supernova
La pioggia che bagnava
Filadelfia non accennava a diminuire. Avvolto nel malumore tipico degli
umani quando il tempo è poco magnanimo, continuavo la mia
eterna marcia di ricerca.
Quando ero partito dal Sud era stata la marcia di un giovane soldato
stanco della guerra che vuole tornare a casa. Ora era la marcia funebre
di un veterano vecchio e stanco. Stanco di cercare. Cercare cosa? Non
lo avevo ancora capito. Forse non l'avrei capito mai.
La pioggia si trasformò presto in tormenta. Non potevo
rimanere più allo scoperto, dritto come un fuso mentre anche
gli alberi si piegavano alla furia dei venti. Così, per
quanto fosse rischioso, dovetti trovarmi un riparo.
Mi infilai dentro una bettola, combattendo contro l'istinto di
conservazione che mi spingeva ad annusare l'aria in cerca di pericoli.
Se l'avessi fatto Filadelfia non avrebbe pianto solo le vittime della
tormenta.
Il locale era semideserto, solo qualche cliente e il proprietario,
dietro al bancone. Anche loro emanavano malumore. L'unica fiamma di
serenità proveniva da una figura minuta, abbarbicata su uno
sgabello, in disparte. Un oasi di calore in un deserto freddo.
Saltò giù dallo sgabello e istintivamente mi
irrigidii quando la vidi camminare verso di me. Solo allora mi ero reso
conto della sua pelle chiara, troppo chiara, delle occhiaie che le
circondavano gli occhi rugginosi tanto simili ai miei.
Ero teso, pronto all'azione.
Quando fu abbastanza vicina, compresi che stava sorridendo.
E poi la guardai.
La guardai davvero, per la prima volta.
Ne rimasi abbagliato.
Avevo visti innumerevoli vampiri belli come dei e forti altrettanto. Ma
lei, lei era diversa.
La sua non era la fredda bellezza sterile dei vampiri.
La sua bellezza traspariva da i suoi occhi, dal suo sorriso, anche dal
suo modo di camminare. Brillava di luce propria, una luce che le
sorgeva da dentro. Come una stella, ma non una qualunque, una
supernova.
«Mi hai fatto aspettare parecchio» disse, con una
lieve tonalità di rimprovero.
«Mi dispiace, signorina» risposi, realmente
dispiaciuto di aver vagabondato per tutti quegli anni così
stupidamente cieco da non capire che era lei che cercavo, che avevo
sempre cercato.
Mi porse una mano e fu naturale per me prenderla. La sua mano piccolina
spariva nella mia.
Alice, il suo nome era Alice.
Mi fece sedere al suo fianco e mi narrò di un luogo in cui
avrei potuto essere Jasper Withlock e non Jasper il vampiro. Un posto
dove non avrei dovuto combattere o vagabondare senza meta. E io avevo
solo voglia di dirle: Alice, portami con te. Dammi un pò di
quella pozione che fà diventare piccoli piccoli, mettimi
nella tua borsetta e portami nel paese delle meraviglie. Mostramelo, ti
prego. Poi, se piccolo piccolo mi vorrai ancora, butta la chiave della
porta che ci ha condotto in questo mondo fantastico e restaci con me
per sempre.
Sto
ancora chiedendomi chi me l'ha fatto fare.
Scrivere questo Pov è stata una vera
faticata.
Tutto sommato, però, sono contenta del
risultato.
Forse in alcune parti ho esagerato con la
melassa, ma ci stava.
Infondo ha appena incontrato l'amore della sua
esistenza, no?
Fatemi sapere.
Phoenix The Red
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