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“Ragazzi!”
esclamò Bill, zampettando verso il frigorifero per prendere la bottiglia di
spumante che aveva portato Jost. “Dobbiamo festeggiare!”
“Prendi anche i
bicchieri, Bill!” gli disse suo fratello.
“Per tua
sfortuna ho solo due braccia, ne avessi anche solo quattro, però, sappi che
invece di prendere i bicchieri le userei per prenderti a schiaffi!”
“Uhm, credevo
che le donne in casa fossero mamma e Inge…” ridacchiò, dondolandosi sulla sedia.
“Tranquilli, li
prendo io.” Si offrì Inge, alzandosi dalla sedia a capotavola.
“No, aspetta,”
la bloccò per un braccio Simone. “Faccio io.”
“Mamma, tu sei
un’ospite, smettila di fare la padrona di casa!” le ordinò Bill, posando la
bottiglia su tavolo.
“Già, anche
perché fai fare brutta figura alle buone maniere che loro non hanno.” Li schernì
la ragazza.
“Sempre gentile,
eh?” la rimbeccò Tom, sporgendosi verso di lei.
Lei sorrise e si
alzò ugualmente per aiutare Simone a portare in tavola i sette bicchieri. Quella
sera a cena era rimasto anche David, perché aveva annunciato a tutti la critica
positiva che la rivista tedesca per eccellenza aveva pubblicato su di loro e il
loro nuovo video. Avevano mangiato come al solito delle pizze ordinate un’ora
prima e si erano dati all’alcool. Tutti tranne Inge, che diceva di avere mal di
pancia per le sue cose. Bill avrebbe giurato che quelle esatte sue cose
fossero già arrivate e andate via quel mese, ma non volle indagare.
“Forza, un
brindisi!” Georg prese la bottiglia e la stappò, facendo finire il tappo sul
soffitto con un rumore secco. Alex saltò dalla paura e tutti i presenti non
poterono che ridere per quella scena. Dovettero però smettere all’istante,
perché più cresceva, più Alex sembrava farsi permaloso, e non amava che
ridessero di lui. Più volte Tom gli aveva dato la colpa, dicendo che lo stava
influenzando con i suoi assurdi difetti, e Bill aveva reagito esattamente come
da copione: si era immusonito.
“Inge, allunga
il bicchiere, non ci arrivo.” Le disse Georg. La ragazza fece per afferrare il
bicchiere, ma si bloccò. Il ragazzo vide fin troppo bene lo sguardo della madre,
quel suo tipico sguardo: “ti conviene non fare ciò che hai in mente, o te ne
pentirai”, era uno sguardo che lui e Tom conoscevano benissimo per tutte le
volte che lei l’aveva usato con loro: il viso diventava inespressivo, tranne gli
occhi, che assumevano la forma di due piccole fessure minacciose, quasi come
quelle di Inge quando era arrabbiata.
“Oh, mamma!”
intervenne Tom, che si era accorto dello stesso sguardo. Ormai loro due non
potevano non cogliere ogni minimo movimento facciale della madre, la conoscevano
troppo bene. “Va bene che Inge non si sente molto bene, ma un brindisi per noi
potrebbe anche farlo!”
“No,” disse
Inge. “No. In effetti è meglio che io non lo faccia.” Sospirò, afferrando il
bicchiere con l’acqua davanti a sé. “Brindo con l’acqua.” Sorrise, versando con
l’altra un po’ d’acqua anche ad Alex, affianco a lei, che ridacchiò eccitato.
“Ma porta male!”
si allarmò Bill, togliendo di mano a loro due i bicchieri.
“Che palle! E
poi porterebbe male a me, non a te, quindi dammelo!” e gli tese la mano con un
gesto che non ammetteva evasioni.
E solo a quel
punto Jost allungò il suo bicchiere in aria: “A questo disastrato gruppo di
idioti!” E la cucina si riempì di vari tintinnii vetrati, che fecero sorridere
ognuno dei presenti. Quello non era solo un brindisi per i ragazzi, ma un
brindisi per tutti loro, per la felicità che avevano trovato in quel periodo e
che sarebbe destinata a durare ancora a lungo.
***
Simone aveva
lasciato casa da un giorno ormai, e si sentiva la sua mancanza. Soprattutto per
quanto riguardava il cibo. Appena poteva, lei si metteva in cucina e dava prova
delle sue qualità culinarie, preparando dei manicaretti davvero ottimi per tutti
loro. Ora che se n’era andata, loro erano tornati a mangiare pizze, roba
surgelata e appositamente scongelata… Al limite, ogni tanto qualcuno di loro tre
si impegnava per preparare una frittata, un piatto di pasta, ma non di più.
L’apice che potevano trovare in casa i ragazzi era quando Inge non andava a
lavorare e si metteva con Alex a preparare qualcosa come stufati e torte.
Quel giorno,
però, Inge doveva tornare in ufficio per finire un progetto che si portava
dietro ormai da un paio di settimane e che per un giorno di ferie e l’altro, non
era ancora riuscita a portare a termine. E il giorno della scadenza era vicina.
Quindi Tom era dovuto rimanere a casa per badare ad Alex, perché ancora non
avevano parlato a fondo di mandarlo in un qualche posto in cui potesse giocare
con gli altri bambini. Ma era questione di tempo, Inge era contraria per la
felicità che gli procurava avere un bambino in casa – da tempo ormai aveva
capito quanto stesse bene con Alex, quanto si divertisse – mentre Tom riteneva
che fosse anche giunto il momento. Però, fino a che anche Bill non gli avesse
dato man forte – e lui sembrava proprio non averne intenzione – la questione non
cambiava e a turno erano costretti a stare una giornata soli con lui, o al
limite a portarlo con loro allo studio di registrazione, per poi lasciarlo con
Ebel o Steffens, a seconda di chi aveva più tempo libero.
E proprio in
quel giorno che toccava a Tom, a Alex venne la brillante idea di fare una torta.
Ci aveva già provato una volta con Bill, che per poco non aveva dovuto chiamare
i pompieri per aver quasi dato fuoco alla cucina. Quella si era salvata,
fortunatamente, ma la torta no, perché una volta messa in forno, non ci era più
uscita come tale, ma come un impasto nero e totalmente carbonizzato. Tom, per
quanto il confronto potesse essere davvero pessimo, poteva almeno ritenersi un
cuoco autosufficiente. Non aveva mai provato a preparare cose così elaborate
come una torta, ma con una ricetta da seguire e confidando nella sapienza
infantile e perennemente in cerca di divertimento di Alex, magari qualcosa di
commestibile poteva seriamente venirne fuori.
Avevano
preparato tutti gli ingredienti segnati su quella pagina stampata da internet,
ora al centro del grande tavolo come se fosse oggetto di venerazione, per la sua
funzione essenziale, e presto si sarebbero apprestati a mescolarli insieme in
base alle indicazioni. Alex aveva già preso le uova e le stava agitando in aria,
quando Tom ebbe la prontezza di riflessi di toglierle di mano appena in tempo
perché non cadessero per terra, per poi dargli in mano il pacchetto della
farina, in modo che potesse agitarla quanto voleva: al massimo avrebbe creato
una nube bianca tutt’intorno a loro.
“Sali sulla
sedia e aiutami, dai.” E aprì le uova per poi versarne il contenuto nella grande
ciottola gialla. Diede poi il via ad Alex di versarne un po’ là dentro, ma non
fece in tempo a fermarlo, che il bambino vi versò l’intero contenuto, facendo
affogare le quattro uova in un mare di polvere bianca. “Ok, credo che ci servano
altre uova, sai Alex?”
Dopo una decina
di minuti Tom riuscì a togliere qualche strato di farina dalla ciottola senza il
bisogno di aggiungere altre uova, e la mise in un altro contenitore, e visto che
Alex si stava annoiando, non avendo più fatto niente, gli diede il permesso di
impossessarsi del cucchiaio e di girare insieme i due ingredienti. Inutile dire
che la maggior parte dell’impasto venne catapultato al di fuori del ciottolo in
nemmeno cinque minuti. Fu così che le dosi della torta si ridussero a dosi per
un bignè.
Passarono così
quasi due ore, ed infine la torta venne messa in forno. Tom prese, poi, Alex in
braccio e lo portò nel bagno superiore, dotato di vasca, per fargli un bagno,
vista la quantità di farina, uovo, zucchero – che se non fosse stato per il suo
tempismo, sarebbe stato sale – e altra roba che il bambino si trovava addosso,
non solo sui vestiti. Fare il bagno ad Alex, tra l’altro, non era nemmeno la sua
aspirazione maggiore, dal momento che ogni volta sembrava quasi più conveniente
buttarsi anche lui nella vasca: praticamente alla fine era più bagnato lui che
quella piccola peste. E quella volta non era differente. Solitamente ci pensava
Inge, che persino si divertiva, ma lui preferiva piuttosto farlo addormentare la
sera, leggendogli qualche libro di famose favole per bambini che Simone aveva
portato loro da casa.
La giornata si
concluse con una caccia al tesoro, certamente non voluta, visto che Alex gli
aveva rubato i nuovi spartiti a cui stava lavorando con i ragazzi – che
l’avrebbero soppresso, se non li avesse trovati entro quella sera. Purtroppo per
il ragazzo dopo un’ora di ricerca, Alex si addormentò e Tom non se la sentì di
svegliarlo per farsi restituire i fogli, così lo portò in camera e continuò la
sua ricerca da solo.
“Cercavi
questi?” Inge gli sventolò proprio i suoi preziosi fogli davanti agli occhi.
“Mi hai
salvato!” li prese lui, alzandosi dalla sua posizione china, assunta per cercare
sotto l’armadio di camera di Bill. “Quando sei arrivata? Non ti ho sentito.”
“Nel momento.”
Rispose lei, raggiungendo la camera di Tom, dove posò la borsa sulla sedia e si
tolse i vestiti seri che indossava per lavoro, sostituendoli con una comoda
maglietta del ragazzo.
“Dove li hai
trovati?” chiese lui, che l’aveva seguita in camera per osservare il suo rituale
come avveniva ogni volta.
“Erano nel
forno.” Rise lei. “Non voglio sapere il motivo.” E gli andò incontro,
abbracciandolo da dietro e baciandogli una spalla. Lui si girò e la prese tra le
braccia, sollevandola e sentendo le gambe della ragazza incrociarsi intorno alla
sua vita. Si baciarono per salutarsi dopo non essersi visti per una giornata
intera. Tom sapeva bene dove avrebbe portato quel caloroso saluto, ed infatti si
sedette sul letto, per poi stendersi con lei sopra. Ma proprio mentre stava
lavorando per toglierle il reggiseno, Inge si sollevò di scatto, lo sguardo
spaventato. Scese da sopra di lui e corse fuori dalla stanza. Tom sentì la porta
del bagno sbattere e ne dedusse la meta della ragazza. Quindi si alzò e
preoccupato andò a bussare.
“Ehi, tutto a
posto, Inge?”
Quello che sentì
non fu proprio rassicurante.
“S-sì…” rispose
con un lamento lei, da oltre la porta.
“Posso entrare?”
non aspettò nemmeno la sua risposta, che ruotò la maniglia, varcando la soglia.
Inge era in ginocchio davanti al water, che si stava pulendo la bocca con un
pezzo di carta igienica. Lo guardò impaurita, gli occhi lucidi e il respiro
affannato. Era pallida in viso. “Cosa hai?” le si avvicinò e le toccò la fronte
con la mano, mentre con l’altra si tastò la sua.
“Non sto molto
bene…” rispose lei, abbassando lo sguardo, per poi tentare di alzarsi con un po’
di fatica, le gambe sembravano tremarle.
“Vuoi che ti
porti in camera?” e fece per sollevarla.
“No, tranquillo,
ce la faccio.” Lo allontanò. Arrivò al lavandino e si sciacquò la faccia, per
poi lavarsi i denti. “Ho solo bisogno di riposare.”
“Da quanto stai
così?” le chiese. “È qualche giorno che mi sembri stanca.” Le posò le mani sui
fianchi, guardandola attraverso lo specchio con aria ansiosa. “Vuoi che chiami
un medico?”
“No, davvero.
Sto bene.” Continuò lei.
“Ma se fino a
pochi secondi fa dicevi il contrario!”
Lei gli sorrise,
ora più colorita in viso.
“Tom, sto bene.”
Quel sorriso lo
tranquillizzò e sorrise a sua volta.
“Non farmi più
preoccupare così, eh.” E le baciò una guancia.
“D’accordo.” E
gli carezzò il viso. “Vado a vedere come sta Alex.”
“Sì, è in camera
sua che dorme.” Le disse. “Tra l’altro, senti, volevo ancora parlarti di lui.”
Lei lo guardò, aspettando che le parlasse. “Lo so che non è il momento giusto,
però, penso che si debba seriamente mandare Alex in un asilo – privato,
s’intende. Ormai ha cinque anni, secondo me gli fa bene poter giocare con altri
bambini della sua età.”
“Tom, io non so
se è una buona idea.”
“Non capisco
Inge. E poi anche noi abbiamo i nostri impegni, come possiamo continuare così?
Tutti i bambini di quell’età hanno già le loro esperienze in luoghi del genere.”
“Sì, lo so cosa
intendi, però Alex non è come gli altri. Voglio dire, è tuo figlio!”
“Appunto per
questo vorrei che le mie scelte potessero essere prese come scelte che fanno il
suo bene, e non come quelle di una persona qualunque.”
“Ehi, io non ho
mai detto che sei una persona qualunque.” Si alterò, appoggiandosi al lavandino
del bagno. “Voglio solo dire che da un po’ di tempo i giornalisti hanno annusato
la sua presenza. Cosa credi che succederebbe, se lasciassimo che Alex se ne vada
in altri posti in cui qualcuno potrebbe anche infastidirlo per questo.”
“Ah, certo!
Quindi lasciamo che Alex viva per sempre dentro queste mura, non facciamolo mai
uscire! Qualcuno potrebbe sempre riconoscerlo!” alzò lui la voce, smanacciando
per aria.
“Tom, Alex sta
dormendo nella stanza accanto, per piacere controllati.”
“No, non mi
controllo, sono convinto che sei tu quella che dovrebbe controllarsi. Questo tuo
attaccamento a lui non gli fa bene. È il momento che lui stia anche con altri
bambini. È quasi un anno che non fa altro che stare dentro questa casa. Esce
solo per andare da mia madre o in ufficio con uno di noi due. Non ti sembra che
anche lui abbia diritto a conoscere altre persone?”
“Tom, Alex è un
bambino! Non sa ancora cosa sia il mondo! Lasciamolo crescere senza fretta!”
“No, mi sembra
che sia tu a non volerlo far crescere.” E si voltò per uscire.
“No, aspetta.”
Lo prese per un braccio. “Non andartene. Finiamo il discorso.” Fece lei,
determinata.
“Non finirà mai
questo discorso, Inge. Non finché tu non capirai che Alex è una persona, non un
gioco.”
“Cosa diavolo
significa questo? So benissimo che Alex è un bambino! Credi che sia idiota?”
“Quando ti
impunti così, sì.”
“Ah! Grazie per
avermelo fatto sapere!” e questa volta fu lei a cercare di andare via.
“No, ora aspetta
tu.” La bloccò. “Hai detto che volevi finire di parlare di questo discorso, no?
E allora parliamo.”
“No, sembra che
tu non voglia capire cosa mi preoccupa in tutta questa faccenda! Non sarai tu,
invece, ad essere idiota? Non è che sei tu che non te la senti di stare troppo
tempo con lui? Che c’è? Forse ti senti inadatto al ruolo di padre? Be’, sappi
che pronto o non pronto è tuo figlio e ti devi comportare come tale! Non è che
in questo modo vuoi scaricare tutte le responsabilità a qualcun altro?”
“Inge, ma ti
rendi conto di quello che stai dicendo? È praticamente un anno che Alex vive con
noi e tu a questo punto ancora pensi che io non sia adatto a fare il padre?”
“Io spererei
proprio di no! Anche perché sarebbe anche l’ora che tu crescessi! Dico solo che
dai tuoi discorsi si deduce questo.”
“Non dire
cazzate!” rise stizzito. “Io non sarò il padre più bravo del mondo, ma riesco a
capire quando a mio figlio manca qualcosa. Lui non ha amici, non ha nessuna
persona della sua età con cui possa giocare. E prima che tu dica qualcosa,” le
mise una mano sulla bocca, bloccando il fiume di parole che lei avrebbe iniziato
a far scorrere se lui non avesse avuto quella prontezza. “Sappi che tutti noi
che giochiamo attualmente con lui non possiamo sostituire dei bambini. Alex ha
bisogno seriamente di qualcuno come lui con cui stare.”
Inge sembrò
arrendersi e sospirò, così Tom le tolse la mano dalla bocca. Sapeva di essere
stato duro con lei, ma quella faccenda gli stava particolarmente a cuore. Capiva
benissimo che Inge era preoccupata per la sicurezza di Alex, ma se fosse andato
in un asilo privato, il problema dei giornalisti non si sarebbe verificato,
perché si sapeva: più pagavi, più attenzioni potevi ricevere. E di certo a lui i
soldi non mancavano. Sicuramente se avesse sborsato abbastanza denaro, sarebbe
riuscito ad avere anche un occhio di riguardo per Alex, facendo sì che
conducesse una vita normale di un bambino di cinque anni, senza risentire di
quegli insulsi uomini che come lavoro amavano distruggere la vita privata degli
altri.
“Vieni qui.”
Sapeva anche di aver scelto il momento meno adatto per parlarne con la ragazza –
si vedeva che non stava bene, che c’era qualcosa che non andava in lei – ma la
questione era importante, ed era importante anche che ne parlassero il prima
possibile. E nonostante tutte le altre volte avessero pure tirato in causa Bill
per avere un suo parere, che indubbiamente lui non voleva dare per evitare
inutili guai con uno di loro due, era ovvio che la questione in realtà
comprendeva solo loro due.
La ragazza si
lasciò avvolgere dalle sue braccia, ma ancora una volta sussultò e si allontanò
in fretta, tornando china su water.
E vomitò.
***
“Sicura che vuoi
andarci da sola?”
“Sì, certo, non
ti preoccupare troppo.”
“Ok, allora fai
come vuoi.” La salutò con un bacio sulla fronte. “Fammi sapere cosa ti dice.”
“Va bene, ora
vado, che ho l’appuntamento alle cinque.” Lo salutò Inge, avviandosi al garage
tramite il vialetto che tagliava il piccolo giardino davanti alla porta
d’ingresso. Mise in moto ed aspettò che il cancello automatico le permettesse di
passare, poi ingranò la prima e partì.
Il giorno prima
Tom si era talmente preoccupato di vederla ridotta così che l’aveva obbligata a
farle prendere un appuntamento dal medico. L’aveva minacciata di farlo lui al
posto suo, se non avesse preso all’istante il telefono in mano e avesse
chiamato, così l’aveva fatto. Aveva digitato il numero e si era segnata per una
visita proprio il giorno dopo. Il ragazzo le aveva sorriso soddisfatto e aveva
constatato che per quella notte, il sesso era fuori discussione. Quindi si erano
addormentati accoccolati, sebbene Tom si fosse lamentato un paio di volte per il
caldo di Luglio che già lo faceva sudare a cose normali. Inge però seppe
ribattere e Tom non trovò le parole per replicare a sua volta: “Ah, però il
sudore dovuto al sesso non ti dà fastidio, eh?”
L’unica cosa che
Tom ancora non sapeva, era che il medico che lei aveva chiamato non era
esattamente quello che intendeva lui, ma gliel’avrebbe detto a tempo debito. Ora
sarebbe stato meglio evitare certi argomenti, almeno finché non fosse arrivata
l’occasione giusta per rendere pubblica la cosa. Sempre che il momento fosse
seriamente arrivato.
La clinica non
era molto distante, bastò un quarto d’ora di macchina per raggiungerla.
Parcheggiò sotto l’edificio ed entrò, mettendosi seduta nella sala d’aspetto.
Mancava poco all’ora dell’appuntamento e oltre a lei c’erano solo un altro paio
di donne, entrambe accompagnate dai reciproci compagni. Lei invece era sola e
l’aria che respirava in quella stanza le sembrava sempre più tesa e pesante. Per
un attimo pensò di aver fatto una cazzata a dirgli di non venire, ma dovette
subito ricredersi perché se lui fosse venuto con lei avrebbe scoperto tutto una
volta sottoposta a qualsiasi visita. La sua pancia si stava pian piano
ingrossando e sinceramente trovava strano come Tom ancora non si fosse ancora
accorto di niente. Nemmeno a dire che non la vedeva mai nuda… Il fatto proprio
che il ragazzo sembrava del tutto ignaro della faccenda, mentre Georg, Gustav e
pesino sua madre se n’erano accorti, le dava da pensare: e se forse lui non
fosse pronto per avere un bambino? Un altro, ovviamente. Questo sarebbe statotroppo
piccolo, Alex almeno aveva superato la fase di allattamento, pianto notturno e
ogni altro problema che avrebbe dato un bambino in fasce, ma tutto questo per il
semplice fatto che Alex aveva già quattro anni quando entrò nella loro vita,
mentre questo sarebbe stato un bambino da accudire dalla nascita. Un bambino
loro.
“Inge Träne?”
La ragazza si
alzò alla voce della signora che l’aveva chiamata. Si diresse verso di lei, che
l’accolse con un sorriso cordiale e rassicurante, proprio quello di cui Inge
aveva bisogno: essere incoraggiata ad andare fino in fondo a questa storia.
“Prego.” Le aprì
la porta. L’interno della stanza era come se lo era sempre aspettato: bianco.
C’era un grosso macchinario in un angolo, a cui era collegato uno schermo. Un
lettino era posizionato lì vicino. “Vuole un camice? Sa, per non sporcarsi i
vestiti con il gel.” Le sorrise.
“No, grazie, non
importa.” Rispose la ragazza, timidamente. Si sentiva in soggezione in quella
stanza. Non aveva mai pensato a come sarebbe stata la sua prima ecografia, ma di
certo si sarebbe aspettata la presenza di qualcuno insieme a lei, e questo
qualcuno non doveva essere il ginecologo.
“Allora si sdrai
sul lettino e si scopra la pancia.”
Inge fece come
le era stato detto e osservò la donna sedersi su uno sgabello e prendere un
tubetto di gel dal cassetto di un mobile lì vicino. Il contatto con quella
sostanza gelatinosa sulla pelle le procurò dei brividi di freddo e lei si
contrasse.
“Stia
tranquilla, mia cara, vedrà che andrà tutto bene.” Era gentile quella donna e
Inge doveva ammettere di aver avuto fortuna a trovare un medico femminile,
perché l’imbarazzo sarebbe aumentato esponenzialmente se fosse stato un uomo a
doverla visitare. “Non c’è nessuno con lei, vedo. Posso chiederle il motivo?”
“Il padre non lo
sa ancora.” Confessò Inge. Era la prima persona con cui era così sincera nel
parlare di questa cosa. Nemmeno a Georg, Gustav o a Simone aveva parlato così
apertamente.
“Ah, capisco.”
Si pulì le mani dopo aver esteso il gel su tutta la pancia. “Forse però anche
lui vorrebbe sapere cosa sta succedendo qua dentro.” E sorrise, indicandole il
ventre.
“Purtroppo non
credo.” Si fece triste, ma anche realista.
“E perché no?
Tutti vorrebbero avere un bambino.”
“Dipende dai
casi. Potrebbe anche essere il momento sbagliato per averne uno.”
“E questo per
lei e il suo compagno è un momento sbagliato?” la stava guardando saccente, come
se sapesse così tante cose al riguardo che niente di quello che avrebbe potuto
dire Inge l’avrebbe fatta sbalordire. Be’, visto il lavoro che faceva, forse era
anche più che normale.
“Già. Entrambi
lavoriamo. E siamo giovani.”
“Magari l’età
non è un problema. Basta essere abbastanza maturi per volerlo.”
“Credo che
questo sia un altro problema.”
“Non mi piace
dirlo, ma crede che sia stato un incidente?” chiese distogliendo lo sguardo,
mentre afferrava uno strumento rotondo che poi appoggiò sulla sua pancia.
“Nemmeno a me
piace dirlo, ma credo di sì.” Ammise Inge, senza guardare la dottoressa,
fingendo di capire quello che veniva proiettato sullo schermo.
“Posso dirle il
mio parere personale?” la fece voltare verso di lei. “Secondo me non ci sono
incidenti. Gli incidenti ci sono solo se succede un aborto – quello sì che un
incidente – o altre disgrazie del genere. Ma un bambino non è mai un incidente.”
“È incredibile
come una persona che vede così tante donne incinte possa ancora pensare certe
cose. Credevo quasi che i medici fossero tutte delle persone ciniche.” Commentò
ironica Inge. “Scusi, con questo non volevo insinuare niente,” aggiunse, notando
il silenzio che si era imposto tra di loro, mentre lei aspettava una risposta da
parte della signora. “Ma vede, per certe persone i bambini portano solo guai.”
La donna la
guardò dolcemente e la fece tacere.
“Le faccio una
domanda: lei il bambino lo vuole?”
“Sì.” Inge si
sorprese per la velocità con cui aveva risposto. Tante volte ci aveva pensato a
questo bambino, ma mai aveva trovato una risposta a quella domanda, perché ogni
volta che se la poneva, vedeva Tom, il suo lavoro, il suo futuro… E non le
sembrava il caso di rovinare tutto con un bambino. Un bambino avrebbe voluto
dire un cambiamento repentino di tutto. Già Alex aveva stravolto ben bene la
loro vita, un altro bambino avrebbe complicato ulteriormente le cose.
“Allora il suo
non è un incidente.” Le sorrise. Era un sorriso di congratulazioni, un sorriso
che sembrava urlare quanto quella dottoressa fosse stata fiera di aver ricevuto
quella risposta. E quel sorriso, fece sentire fiera della situazione anche Inge.
“Anzi,” e si concentrò sullo schermò, muovendo un po’ la sonda sulla pancia.
“Credo proprio che la sorpresa per il suo compagno non sarà una sola!”
Inge guardò lo
schermo con quell’attenzione che ancora non aveva mostrato: tra tutta la
confusione che poteva vedere proiettata sullo schermo, c’erano due macchie nere
che pulsavano leggermente al centro. E il cuore della ragazza accelerò i battiti
a quella visione, mentre il naso iniziò a pizzicarle per l’immensa voglia che
aveva di piangere.
“Sono due?”
chiese con voce flebile. Non sapeva esattamente come distinguere i vari
sentimenti che stava provando: c’era della felicità per poter vedere per la
prima volta quello che aveva in grembo, ma anche della paura per il suo futuro.
E anche tanta voglia di piangere. Si sentiva il magone proprio in gola, pronto
ad accendere quella miccia che l’avrebbe portata a versare lacrime di gioia. Ma
un sentimento più di tutti si faceva strada dentro di lei: la voglia di avere
Tom vicino a sé per potergli far vedere tutta quella meraviglia.
***
“Inge non è
ancora tornata?” chiese Bill, affacciandosi dalla cucina.
“No, magari
c’era molta fila.” Rispose Tom, mettendo a posto le bottiglie di birra che tra
tutti avevano fatto fuori quel pomeriggio. Georg e Gustav se ne erano giusto
andati per cenare, visto che erano le sette. Avevano parlato della musica che
stavano componendo e Bill aveva provato a buttare giù le parole che quella
musica suscitava in lui. Non era altro che una bozza, ma era piacevole, dolce,
forse più per il fatto che fosse suonata con gli strumenti acustici, che con
quelli elettrici. Anche Alex, che ora stava aiutando Bill ad apparecchiare, ne
era entusiasta e aveva pregato Tom perché gli facesse suonare un po’ la chitarra
anche a lui.
“Ma aveva
appuntamento alle cinque, non credo che una visita possa durare così tanto.”
“Che sia
qualcosa di grave?” mormorò Bill, temendo il peggio.
“Ehi, calmati!
Non pensare nemmeno certe cose sulla mia donna! È solo stanca, tra poco varcherà
la porta e si andrà tutti e quattro a mangiare.”
E così successe.
La porta d’ingresso si aprì proprio in quel momento ed Inge entrò in casa di
fretta. Salutò fugacemente tutti i presenti e corse su per le scale, per poi
chiudere la porta dietro di sé.
Bill e Tom si
guardarono perplessi. Cosa diavolo era successo per farla reagire così? Tom
leggeva nello sguardo di Bill la sua stessa preoccupazione, così si precipitò al
piano superiore e bussò alla porta.
“Ehi, come è
andata? Cosa ti hanno detto?” chiese, entrando in camera. Inge si stava
cambiando e si girò di scatto verso di lui.
“Tutto a posto,
niente di grave, davvero!” e gli sorrise. Tom ebbe l’impressione che quel
sorriso fosse falso, ma allo stesso tempo sembrava seriamente un sorriso di
rassicurazione. “Il dottore mi ha detto che probabilmente mi sento così fiacca
per lo stress – sai, devo finire quel progetto e la scadenza è vicina…”
“Sicura che sia
tutto qui?” insistette Tom, andandole più vicino.
“Sì, te l’ho
detto.” E gli diede un bacio sulla guancia, per poi superarlo e incamminarsi
verso il corridoio. Ma fu quello l’errore di Inge: farsi vedere troppo da
vicino. Tom notò infatti che i suoi occhi erano gonfi, e il velo di trucco che
aveva prima di uscire ora non c’era più.
“Inge, sii
sincera: cosa è successo?” la inseguì, prendendola per un braccio a metà scala.
“Niente,
davvero.”
“Ti conosco da
due anni, so bene come sei fatta.” La sfidò a dire il contrario. “C’è qualcosa
che non vuoi dirmi, e per piacere fa che non sia qualcosa sulla tua salute.”
Lei si avvicinò
a lui, i suoi occhi erano lucidi, come se si stesse per mettere a piangere da un
momento all’altro. Alzò una mano e la posò sulla sua guancia, guardandolo negli
occhi con dolcezza.
“Davvero, non
c’è niente che non vada.” Gli sorrise. “Va tutto bene. Sto bene. Quindi
rilassati.” E lo baciò, per poi continuare a scendere le scale.
Tom la seguì
dopo qualche secondo, notando quanto in fretta si passò una mano sugli occhi,
come per asciugarli. Si domandò il motivo di quel suo atteggiamento, ma non
seppe rispondersi. Le era parsa totalmente sincera, così sincera che non poteva
non crederle. Ma se fosse andato tutto bene, se lei stava bene, quale era il
motivo delle sue lacrime?
_________________________________________
Eccomi!
Stranissimo, vero, vedere già un aggiornamento a distanza di pochi giorni, eh?
Be', purtroppo non fateci troppo la bocca perché non sarà sempre così...
Prendete questo capitolo come un'eccezione :)
Eh, insomma, qui
di vede un po' più da vicino i sentimenti della ragazza riguardo quello che sta
succedendo in lei. E Tom ancora non sa niente. Cosa succederà quando lei si
deciderà a parlare? Si vedrà...!
Ad ogni modo,
passo velocemente ai ringraziamenti:
_KyRa_:
Grazie infinite dei complimenti! Eh, sospettavo che a molti di voi venisse un
colpo nel vedere questo sequel... Era un po' il mio obiettivo, se vogliamo
essere sinceri XD E vedo che sono riuscita nell'intento! Mi domando come tu
abbia fatto a scoprire la sua gravidanza ;) Ok, battute a parte, la reazione di
Tom sarà... Non te lo dico: non voglio rovinarti la sorpresa, ma sappi che per
qualche punto ci hai azzeccato. (So che dal momento che hai scritto di tutte le
varie opzioni che ti sono venute in mente, la mia risposta ti ha lasciato
esattamente come prima u.u Però sappi che "ci sono complicazioni", come disse
Inge nel primo capitolo, quindi, a te l'interpretazione :3) Grazie ancora per la
recensione, mi ha fatto molto piacere!
memy881:
Eh, sì, anche tu hai magicamente scoperto il segreto della nostra
protagonista :) No, Tom non ne sapeva niente. Era stato lasciato appositamente
in sospeso quel punto in modo da permettere un eventuale seguito. Avevo
solamente lasciato intendere quello che sarebbe successo, facendo dire al
ragazzo delle parole su un probabile loro futuro del tutto casualmente. Mentre
Tom le pronunciava non aveva la minima idea di quanto in realtà fossero vere.
Era ignaro di tutto, e così sembra continuare ad essere. Comunque grazie mille
per il commento! Sono felice che ti piaccia! :)
_no sense_:
Oddio, sono onorata! Ma anche un pelino intimorita. Ho letto quanta fiducia
riversate in me e nelle mie storie: spero di non deludervi per tutto il resto
della vicenda! Farò del mio meglio! Per quanto riguarda il sequel, sarò sincera:
nemmeno io pensavo che sarebbe arrivato questo terzo episodio della saga. Mi
sono sorpresa quanto voi nel trovarmi a scrivere nuovamente delle avventure di
questa coppia.
Inoltre, mi ha
fatto uno strano effetto leggere che non sopportare Inge XD Ma in senso buono! E
forse mi rende ancora più felice! Voglio dire: è raro che certe persone
continuino a leggere delle storie sebbene uno dei protagonisti non sia per loro
tutto quel che. Mi rende fiera del mio lavoro questa vostra recensione! :)
Grazie mille! Per quanto mi riguarda, però, io sono più dalla parte dei tori
incazzati che dei cuccioli. Mi piace maggiormente creare personaggi testardi,
capaci di fare anche cazzate pur di difendere la propria posizione. Ad ogni
modo, sono contenta che il piccolo Alex abbia trovato altre persone che lo
adorano! ^^
Ahahaha, quando ho
letto che mi temevate per i miei aggiornamenti mostruosamente lenti, mi avete
fatto ridere per la verità che avete riversato in quelle parole! E' vero,
purtroppo sono un disastro: la puntualità non è mai stata il mio forte, e penso
proprio che mai lo sarà. Sorry... T.T Ma sappiate che mi metterò d'impegno anche
in questo caso per non deludere le vostre aspettative! :D
Ok, stasera sono
stata davvero logorroica! o.o Scusate, non era mia intenzione! Comunque, ora vi
lascio, che stasera mi aspetta una bella seratina al ristorante cinese! *-*
Mi raccomando,
lasciate dei commentini, eh? ;)
Bye bye!
Irina
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