“Mi dispiace”
Draco strinse Ginny con freddezza. La avvolse involontariamente con il suo
lungo mantello invernale. La neve sferzava la faccia di tutti i presenti. Loro
erano gli unici a non correre, a non agitarsi inutilmente. Lui, freddo come
quella candida tempesta invernale. I suoi occhi si confondevano fra i fiocchi
cangianti. Neanche la fissarono quando si allontanò da lei così come si era
avvicinato. Silenzioso, freddo e impassibile.
Ginny ancora
doveva rendersi conto di cosa era successo. Aveva ancora il volto rigato dalle
lacrime ormai non più calde. La neve si posava sulle sue spalle e cominciava ad
accumularsi. Il vento le sferzava i capelli sul volto. Come era possibile tutto
ciò? Cosa era successo. Hogwarts vista da lì fuori era inquietante. Vedeva
chiaramente una patina scura coprire l’antico castello. Vedeva decine di
persone andare in cerca di superstiti per il lago e per il parco. Inutili
speranze. Pallide bugie che presto sarebbero state spazzate via dallo stesso
vento. Perse di vista il giovane dai capelli color del platino e subito si
guardò intorno per trovarlo. Solo ora si era accorta di essere stata
abbracciata e consolata da Draco Malfoy. Un brivido la pervase. Forse per il
freddo. Forse perché quel verme seguace di Voldemort l’aveva sfiorata. Altre
braccia l’avvolsero in un caldo abbraccio.
“Ginny vieni
via. Qui prenderai solo freddo” gli disse amorevolmente Percy in un attimo di
pausa dal suo continuo va e vieni dal bosco. Insieme a molti altri era arrivato
subito dopo l’esplosione magica. Le macchine del ministero avevano registrato
uno squilibrio tale di energia magica che avrebbe potuto spazzare via mezza
Londra. Decisero di intervenire. E subito. Numerosi si immergevano, con
particolari incantesimi protettivi, in acqua per cercare altri sopravvissuti.
Sopravvissuti… Quella parola dava i brividi a Ginny. Il pensiero che Harry… no.
Non poteva pensarlo neanche lontanamente. Lui e suo fratello se la cavavano
sempre. Loro ed Hermione. Nulla li fermava quei tre.
“Andiamo Ginny.
Vieni con me. Ti accompagno al coperto” propose il fratello. Ginny annuì con il
capo e seguì Percy fin verso le baracche allestite in fretta e furia per
ospitare i primi soccorsi.
Fred li
raggiunse e gli corse incontro.
“Ginny! Percy!
E’ un casino! Un vero casino!” dalla voce strozzata si sentiva che qualche cosa
non andava.
“Avanti Fred,
calmati” gli disse Percy accennando a Ginny con il capo. Era meglio non
metterla sotto ulteriori stress per quella sera. Fred cadde in ginocchio e
cominciò a ciondolare la testa da destra a sinistra. Singhiozzava
rumorosamente. Ginny non ce la fece a vederlo così. Non avrebbe mai pensato di
vedere uno dei gemelli piangere per la disperazione. Si chinò a terra con lui e
lo abbracciò con tutto il cuore. Con tutta l’anima. Fred parlò.
“George… Non ce l’ha fatta.
L’ho visto dentro…è…è...non può essere…”
Percy trattenne
a stento un’imprecazione. Altre orribili notizie non era quello che serviva in
quel momento. A stento lui cercava di trattenersi e non lasciarsi andare alle
emozioni. Ora che suo padre era impegnato altrove per conto del ministero era
compito suo preservare e proteggere la famiglia. Era sicuro che Charlie e Bill
sarebbero arrivati al massimo il giorno dopo. Aveva bisogno anche di loro.
Si chinò sui due
pregandoli di alzarsi dal terreno fangoso e di raggiungere un posto coperto.
Finalmente si alzarono e li condusse al riparo in una tenda vuota. Li affidò
alle cure di un’infermiera pregandola di dare loro qualcosa per calmarsi e
dormire. L’infermiera, cupa in volto, annuì.
Percy tornò
nella tempesta. Quel vortice di neve sembrava fatto apposta per peggiorare le
loro ricerche. La notte era appena iniziata e fino al mattino sarebbe stato
difficile trovare altri superstiti. Più il tempo passava più le speranze si
assottigliavano. Senza contare quella barriera che copriva a cupola tutta
Hogwarts. Era impenetrabile. Assolutamente impenetrabile. Avrebbero potuto
aiutare solo quelli all’esterno, per ora.
Si unì di corsa
ad un gruppetto di maghi che stavano trascinando dei corpi fuori dal lago.
Afferrò una cima e tirò con tutte le sue forze. Purtroppo riconobbe il corpo
appena lo vide.
“Ron!” grido fra
il vento sferzante. Si avvicinò al ragazzo. Se non era morto in quel momento
non lo sarebbe stato mai più. A parte il fatto di essere completamente bagnato,
una ferita, più simile ad uno squarcio, era ben visibile sulla sua spalla.
“Presto, è anche
ferito! Portatelo subito in una baracca!” urlò contro il vento furioso. Gli
altri annuirono e lo trascinarono verso il posto coperto più vicino.
Non poteva
farcela. Non era il suo lavoro trascinare cadaveri. Tantomeno quello di suo
fratello. Non poteva reggere ancora. Le ginocchia cedettero e piombò a terra in
preda ad una nera disperazione.
Se il campo
provvisorio attorno ad Hogwarts era nella confusione più completa, l’ospedale
magico di S.Mungo era l’essenza stessa del caos. La confusione era tale che
sembrava più il mondiale di una qualche partita di quidditch che un luogo di
ricovero. Ginny quasi rischiò di essere investita da una barella che
trasportava di corsa uno dei ragazzi in stato comatoso appena giunti da
Hogwarts. Si schiacciò contro la parete. La gente parlava urlava. Le madri
gridavano cercando notizie dei figli. I bambini piangevano. I medici urlavano
ordini a destra e a manca. Qualcuno inciampava in quella calca di persone e
spesso rischiava di essere schiacciato dalla furia di chi non vedeva nulla.
Solo la propria preoccupazione.
Un bambino
scivolò a terra mentre rincorreva la madre fra quella calca di persone. Lei
neanche se ne accorse. Ginny lo trascinò via da quella bolgia dell’inferno e lo
mise a sedere su una barella sistemata lungo il corridoio. Chi era steso su di
essa sembrava troppo occupato a sopravvivere per protestare. Il piccolo era in
lacrime. I singulti gli sconquassavano il corpo e grossi lacrimoni correvano
dai suoi occhi e per tutto il bel volto. Ginny gli scompigliò dolcemente i
capelli neri e ribelli. Farlo le riportò alla mente Harry. Non era questo il
momento per pensarci. Non ora e nemmeno fra molto.
Sollevo la testa
del bimbo e incrociò il suo sguardo dolce con gli occhi lucidi del piccolo.
“Ehi, che
succede? Stai attento, qui stasera sono tutti matti” sorrise con incredibile
sforzo Ginny. Se si lasciava prendere dalla tristezza lei non avrebbe certo sollevato
il morale del bambino. Lui tirò su col naso un paio di volte e singhiozzò
rumorosamente.
“La mamma mi ha
portato qui. Dice che Kirk sta male. Dice che non è niente, ma io non ci credo
perché lei piangeva” tirò ancora su col naso “Lei dice che io non devo piangere
perché sono grande, ma io ha paura. Io voglio bene a Kirk…” cominciò a
singhiozzare e abbassò ancora la testa sulle sue gambe. Ginny gliela risollevò
dolcemente con la mano e mantenne tutto il sangue freddo che poté.
“Sono sicura che
Kirk sta benissimo. E’ tuo fratello vero?” il bimbo annuì con la testa.
“Sì, e ci voglio
bene anche se mi fa arrabbiare ogni tanto… Non voglio che sta male…Non voglio
che la mamma sta male”
“Ehi, avanti,
non hai detto che sei grande? Quanti anni hai?” cercò di risollevarlo Ginny più
preoccupata di lui. Almeno lui era inconsapevole. Lei sapeva benissimo cosa era
successo. Sapeva benissimo che l’unica cosa che si poteva provare era paura.
Probabilmente quel bambino era più umano di lei.
“Ce ne ho sette
e mezzo. Papà mi ha regalato la bicicletta per il compleanno. Dice che sono
grande per avere la bicicletta così me l’ha regalata. Ci ho scritto sopra il
mio nome con i colori magici. Ci ho scritto “Lucas” in rosso e poi ci ho messo
anche il disegno di un drago. Però ce l’ha fatto Kirk, io non sono capace di
farlo…”
“Lucas è un bel
nome sai?” incalzò Ginny per distrarlo il più possibile “Sai cosa ti dico?
Adesso io e te andiamo a prendere una cioccolata calda, che ne dici?”
“Davvero?”
sorrise Lucas asciugandosi gli occhi con la manica del maglione. Ma il suo buon
umore sparì tutto d’un tratto.
“Non posso. Mi
sono già lavato i denti stasera. La mamma si arrabbia se mangio la cioccolata”
Ginny lo sollevò da sotto le braccia e lo mise a terra. Gli sistemò il maglione
stropicciato e lo prese per mano.
“Non
preoccuparti. Glielo dico io alla tua mamma. Sgriderà me” e gli fece
l’occhiolino. Lucas rispose al suo ammiccamento con un altro sorriso, e insieme
si diressero verso la sala d’aspetto.
Presero la
cioccolata calda in una tazza e la bevvero a lunghi sorsi. Anche Ginny si
compiaceva di quel momento di pausa, sperando nell’arrivo di buone notizie da
parte di Percy. Gli aveva promesso di aspettare in ospedale. Con questo tempo
era da pazzi restare nelle tende di soccorso attorno ad Hogwarts. Se ne era
andata subito seguita da Fred, che però preferì tornare alla tana a riposare un
po’. Ginny non lo aveva mai visto ridotto così. Né lui ne George.
Finirono la
cioccolata e ne presero un’altra tazza da portare alla mamma di Lucas. La
trovarono in una camera fitta di persone seduta accanto al letto dove Ginny
pensò si trovasse il fratello del piccolo. Fortunatamente Kirk si trovava fuori
dal castello al momento del disastro. Era cosciente ed aveva solo una brutta
ferita ad un braccio che un medimago gli stava già medicando. La signora corse
verso il figlio più piccolo abbracciandolo con le lacrime agli occhi. Il bimbo
non capiva molto quella reazione, si limitò ad offrire alla madre la tazza di
cioccolata.
“Io ne ho bevuta
solo un po’ mamma. Ci avevo detto che non potevo, ma Ginny ha detto che poi
sgridavi lei e non me, allora l’ho bevuta” la signora mise a terra Lucas che si
avvicinò al fratello ormai bendato e a riposo a letto. Kirk gli strapazzò i
capelli e lo tirò sul letto accanto a se.
“Io non so cosa
mi è preso… ero fuori di testa… dimenticare Lucas” disse la madre rivolta a
Ginny.
“Non si
preoccupi. Credo che sia normale in queste situazioni avere simili
comportamenti… e poi mi ha fatto bene conoscere Lucas”
La madre del bambino la ringraziò ancora per
poi salutarla appena Ginny lasciò la stanza. Girovagò un po’ in quel reparto
dell’ospedale che sembrava essere più tranquillo del resto dell’edificio.
Sicura di essere sola, o di non essere notata, si appoggiò al muro e si lasciò
scivolare a terra. Quando tocco il pavimento chiuse la testa fra le gambe e si
concesse di piangere.
Piangere. Non lo
aveva ancora fatto realmente. Era troppo pressa da capire che cosa stava
succedendo per sfogarsi e piangere come una bambina. Anche se a lei, dopotutto,
poteva ancora essere concesso di piangere, non voleva farlo. Si era trattenuta.
Non poteva sfogare ogni sua frustrazione con il pianto. I sentimenti erano
potenti in lei. Le emozioni gli sconquassavano l’animo dal profondo. Il cuore
sembrava impazzito ora. Tutta quella paura, tutta quella frustrazione stava
uscendo dal guscio che la avvolgeva. Doveva cacciarla via, lo sapeva. Era
l’unico modo per stare meglio, per sopravvivere un altro po’. Il modo migliore
per espellere quelle spiacevoli sensazioni erano le lacrime. Lacrime che
scioglievano come acido le catene dei demoni dentro di lei. Lacrime che
spegnevano, come una pioggia improvvisa, quel fuoco mortale che le bruciava
l’anima. Lacrime che risvegliavano i suoi sensi e la spingevano a reagire.
Lacrime e solo lacrime. Spregevoli lacrime cariche di odio, rabbia, paura.
Scorrevano sul suo volto. Bagnavano la sua pelle. Nulla più. Erano fuori e non
sarebbero più rientrate a farla soffrire. Anche questa volta si era salvata. Il
suo cuore stava tornando vuoto, libero dalle emozioni che lo strapazzavano come
il sacco di un pugile.
Lentamente
risollevò la testa dalle ginocchia in cui era rinchiusa. Sentiva gli occhi
pesanti, la bocca secca. Quanto tempo era passato? Minuti? Ore? Giorni? Che
importava. Quel che era successo non sarebbe potuto sparire tanto facilmente,
anche se ora riusciva ad analizzare il tutto in maniera più razionale. A mente
fresca e libera si ragionava sicuramente meglio. Un primo pallido raggio di
sole illumino il cielo terso. Segno che la mattina stava per tornare anche quel
giorno. Per un attimo Ginny sperò che il giorno non tornasse più. Solo la notte
era adatta ad esprimere la tragicità di quel momento.
Senza voglia si
sollevo da terra. Sbatté con una mano la lunga veste, inutilmente, per togliere
dello sporco che non se ne sarebbe più andato via. Scosse la testa e sistemò i
capelli all’indietro, così che non gli dessero fastidio, davanti agli occhi.
C’era silenzio. Tanto silenzio. Un silenzio avvolgente che Ginny si godeva dal
più profondo del cuore. L’emergenza sembrava finita. Quando passò vicino alle
scale non sentiva più rumore. Nulla. Silenzio. Percorse il corridoio fino in
fondo, ma sembrava non avere mai fine. Ora iniziava a preoccuparsi. Dove erano
tutti? Infermieri, dottori, medimaghi, dove erano? Cominciò a correre e i suoi
passi divennero l’unica cosa presente lì assieme a lei. Si fermò a riprendere
fiato. Non era abituata agli sforzi fisici e aveva già il fiato corto.
Respirava debolmente. Solo allora lo sentì. Un altro respiro, altri passi.
Davanti a lei. Vedeva un ombra allungarsi sempre di più e sbucare dall’oscurità
del corridoio. Dai suoi passi capiva che era zoppo. Erano passi irregolari e
affannati. Forse era ferito. Ginny non attese e gli andò incontro. Il cuore le
si fermò. Harry era davanti a lei, piegato in due, completamente coperto di
sangue. Non aveva gli occhiali e il volto era una maschera di dolore e
risentimento. Alzò gli occhi ridotti a due malefici puntini ed incrociò lo
sguardo di Ginny.
“Tu mi hai
ucciso”
Ginny arretrò.
Troppo spaventata per parlare.
“Mi hai ucciso
Ginny. E’ colpa tua. Sono morto per colpa tua” continuava Harry con voce
ferita.
“Perché mi hai
ucciso Ginny? Cosa ti ho fatto? Io ti amo…”
Ginny arretrò
ancora. Cadde a terra inciampando nella veste sgualcita. I suoi occhi fissavano
ancora il ragazzo morente.
“Tu… tu sei
vivo, Harry. Sei qui… non ti ho ucciso…”
“Perché mi hai
ucciso Ginny? Perché? Io ti ho sempre amato…”
“Non puoi essere
morto. Sei qui e cammini Harry!”
“Ti ho sempre
amato. Perché l’hai fatto? Ginny…”
Harry si fece
sempre più vicino. La sua presenza la avvolgeva. Le faceva paura in quel
momento. I suoi minuscoli occhi verdi. Così pungenti. Così intensi. Così
accusatori. Non poteva crederlo.
“No!”
“Ginny sveglia.
Avanti calmati” Percy la teneva per una spalla. La ragazza era tremante e aveva
pianto molto prima di addormentarsi. Anche adesso aveva gli occhi lucidi.
Quell’incubo l’aveva colpita profondamente. Disse la prima cosa che realizzò
dopo essersi stropicciata gli occhi con le mani.
“Allora, Harry?
E Ron? E gli altri?”
Percy abbassò
lievemente il capo. Con sforzo la risollevo da terra e la circondò con il
braccio.
“Seguimi, per di
qua” Percy fece strada e raggiunsero una stanza dello stesso piano.
Ginny vide il fratello,
Ron, steso su un letto. Aveva le spalle ustionate e ferite. Era un brutto
colpo. Un incantesimo lo aveva colpito in pieno. Era addormentato e parecchi
tubi ed aghi lo collegavano ad altrettante macchine che pulsavano e trillavano
insistenti. Un infermiera gli stava cambiando la fasciatura e medicando la
spalla. Ron non sembrava reagire. Più che addormentato pareva morto. Ma non
poteva esserlo. Non si sarebbe trovato in ospedale se era morto.
“E’…” cominciò
Ginny.
“E’ in coma Gin.
Non sappiamo come si sia fatto la ferita, ma ora è in coma, come la maggior
parte dei ragazzi che abbiamo recuperato. Anche Hermione. Li abbiamo trovati
nel lago, vicini. Probabilmente erano assieme quando è successo” Ginny si voltò
ad osservare il fratello. Con voce rotta si rivolse a lui.
“Cosa è
successo?” Percy scosse la testa e guardò altrove.
“Non lo sappiamo
ancora, Gin. Ma per certo si sa che centra Colui-che-non-deve-essere-nominato.
Solo lui avrebbe potuto architettare un simile piano”
Ginny si
avvicinò al letto. L’infermiera se ne andò sorridendo debolmente per
confortarla. Ebbe poco successo. Passarono minuti scanditi solo dallo sbuffo
regolare del respiratore artificiale di Ron.
Percy si girò
verso l’uscita.
“Ti lascio sola.
Mamma arriverà fra poco. Non volevo farla venire subito e poi…”
“Dov’è Harry?”
chiese d’un tratto Ginny.
Altro silenzio.
Troppo silenzio,
pensò Ginny.
“Mi dispiace
Gin, non ce l’ha fatta”
A Percy sembrò
quasi di sentire la sorella smettere di respirare, anche perché fu quello che
fece.
“Lo ha
comunicato da poco il ministro Caramel. Ha verificato lui stesso riconoscendo
la salma. Non era ancora certo nulla, ma ora…” Ginny gli passò accanto e lo
sfiorò appena.
“Gin io…”
“Lasciami in
pace Percy!” gridò la ragazza e corse fuori dalla stanza. Lungo il corridoio
quasi buttò a terra un medimago che si appiattì al muro per schivarla.
Dolore. Sempre e
solo dolore. Perché doveva soffrire sempre? Credeva di essersi liberata
piangendo. Inutile. Una libertà dalle ali di pietra. Dolore. Ancora dolore. Lei
ci aveva sperato. Fino all’ultimo aveva sperato che il suo incubo fosse solo
tale. Un brutto sogno. Una sensazione sgradevole che se chiudi gli occhi
sparisce. Ma a volte la realtà non è altro che la nostra ansia, le nostre paure
che diventano realtà. Dolore. Sempre più forte.
“Signorina stia
attenta! Via da qui!” gridò una voce. Ginny si voltò verso quella voce. Un
medico. Fece appena in tempo a tirarsi indietro per far passare una barella in
tutta corsa spinta dal medico che l’aveva chiamata. Attorno al lettino stavano
un paio di infermiere intente a ossigenare il paziente con un respiratore e a
reggergli una flebo.
Fu un attimo.
Sentì il medico gridare ancora mentre correva davanti a lei, superandola. Fu un
attimo, ma avrebbe riconosciuto quel ragazzo fra altri mille. Draco Malfoy.
Il suo volto era
segnato da una profonda ferita. Quasi un taglio. Solo a vederla Ginny provò
dolore. Ancora dolore.
Lo squarcio
correva per tutta la tempia e, probabilmente, anche sull’occhio. Una ferita
così orribile poteva essere stata causata solo da un incantesimo. E ben mirato,
per giunta. Draco aveva combattuto. Eppure poche ore prima lo aveva visto
illeso, ad Hogwarts. Cosa poteva essergli capitato?
La barella era
già lontana quando Ginny decise di seguirla. Si ritrovò a sbattere contro una
doppia porta con una luce rossa, brillante, accesa. Era sotto intervento.
Quindi era abbastanza grave, come aveva supposto. Che avesse combattuto contro
Harry?
Era storico,
ormai, l’odio fra i due. E poi Malfoy era figlio di un grande mangiamorte
“pentito” se così si può dire. Poteva essersi scontrato con Draco subito fuori
Hogwarts. Il biondo era scomparso così misteriosamente. Che fosse così? Che
fosse realmente andata così? Solo Draco poteva darle una risposta.
Gola secca. Mal di
testa da primato. Bene, era vivo. Mentre suo padre era bello che andato. Si era
ribellato. Ce l’aveva fatta. Ma a quale prezzo.
Gli sembrava di
avere un buco in fronte. Quella terribile sensazione gli dava la nausea. Aveva
entrambi gli occhi bendati. Una benda un po’ stretta, a dire il vero. Ricordava
vagamente quello che successe dopo lo scontro. Lucius lo aveva colpito e lui
aveva perso i sensi. Da quel momento in poi gli sembrò di vivere in un libro a
cui mancavano delle pagine. Le voci intorno a lui. Una luce blu, pesante. Gente
che urlava intorno a lui. Poi, il buio. Un letto, le lenzuola pulite sopra di
se. E quella sgradevole sensazione di tamburi che gli suonano in testa.
Si mosse
lievemente, stiracchiandosi i muscoli delle spalle. Pessima mossa. Emise un
gemito di dolore. Anche solo muoversi gli procurava dolori lancinanti alla
tempia. Forse suo padre non lo aveva ucciso subito. Forse sarebbe morto in quel
letto d’ospedale. Lentamente, come i vigliacchi e i perdenti.
“Non ti devi
muovere. Stai fermo” disse una voce femminile alla sua sinistra. Draco spostò
lo sguardo verso quella direzione, poi si accorse dell’inutilità del suo
movimento. Un sorrisetto gli increspò le labbra. Era proprio uno straccio.
Sarebbe stato mille volte meglio morire, a quel punto.
“Me la cavo
benissimo da solo, grazie” disse freddamente rivolto alla fantomatica persona
al suo fianco. Restò un po’ in silenzio, poi la ragazza si mosse sulla sedia
provocando un forte stridio. Draco chiuse gli occhi sotto le bende maledicendola.
“Non ha
nient’altro da fare che spaccarmi i timpani? Se ne può anche andare adesso,
grazie” più che un invito sembrava un ordine perentorio. Draco si allungò sul
comodino per cercare dell’acqua. Ammesso e non concesso che quegli idioti del
ospedale gliela avessero lasciata. Agito un po’ la mano con attenzione a non
farla cadere a terra, se mai ci fosse stata.
“Aspetta. Faccio
io” disse la voce. Draco si sentì afferrare la mano ed allontanarla. Con uno
scatto un po’ troppo brutale la ritirò ficcandola sotto le coperte.
“No, non
importa. Non ho sete” nonostante questo sentì la bottiglia aprirsi e versarne
il fresco contenuto dentro un bicchiere. Poteva sentirne la freschezza anche
solo ascoltando il rumore cristallino delle gocce che scendevano dal collo
della bottiglia. Non era vero che non aveva sete, ma non si sarebbe fatto
servire come un disabile. Non ne aveva bisogno.
“Peccato, è
bella fresca. Ti dispiace se la bevo io?” Draco si girò verso dove presumeva si
trovasse la ragazza e allungò la mano sinistra.
“Non ci provi, è
la mia acqua. Ma lei è un infermiera o cosa?” chiese stizzito cercando di
afferrare il bicchiere che lei gli passava. Strinse la sua mano intorno a
quella del ragazzo. Draco sentì prima il gelo del bicchiere colmo d’acqua, poi
il tepore di quelle mani morbide. Mai era stato sfiorato da mani più morbide e
calde. Ringraziò di essere bendato e di non poter far vedere il suo volto.
Sarebbe stato parecchio imbambolato, e non voleva fare la parte del poveretto
in quella situazione.
Trangugiò la sua
acqua fresca in un batter d’occhio. Non si ricordò di aver mai bevuto in vita
sua tanto volentieri anche solo un bicchiere d’acqua. Concluse il tutto con un
sospiro soddisfatto, umettandosi le labbra. Allungò il bicchiere alla sua
sinistra e subito venne afferrato dalle mani della ragazza. Draco si ritrasse
subito onde evitare di sfiorarla ancora una volta. Non che non le piacesse, ma
non la trovava una buona cosa. Gli dava fastidio, ecco.
“Non si
ringrazia?” chiese la voce. Draco si stese con la schiena sul letto nuovamente.
“E di cosa? Non
è il suo lavoro? Anzi, ora può tornare a farlo senza che si disturbi e mi
disturbi ancora. Con tutta quella confusione ad Hogwarts avrà sicuramente da
fare, credo”
“Non sono un
infermiera” disse la voce. Draco risollevò la testa e strinse i denti per il
dolore lancinante appena provato. Aveva l’impressione che l’aria fredda gli
attraversasse la fronte e uscisse dalla nuca.
“Non è un
infermiera? E allora che ci fa lei qui?”
“Cerco risposte,
signor Malfoy. Risposte che solo tu puoi darmi”
“Allora sa chi
sono” sorrise Draco “Questo non la turba? Draco Malfoy, il figlio del grande
mangiamorte. Dovrebbe avere paura”
“Malfoy sei
cieco ferito e pieno di acciacchi. Non potrei avere paura di te neanche se
volessi” Draco non la vide, ma era sicuro che avesse una faccia strafottente,
in quel momento, la ragazza. A quel pensiero si girò da un lato dando la
schiena alla sua misteriosa interlocutrice.
“Grazie ma ora
non ho voglia di parlare. Può andarsene. Dica ad una vera infermiera che ho
bisogno di parlarle” Draco sentì ancora la sedia strisciare. Probabilmente la
ragazza si era alzata di scatto. Infatti, alzando la voce si rivolse a lui.
“No, adesso tu
mi ascolterai e mi risponderai signor Malfoy. Ti ho dato l’acqua, ti ho
aiutato, ed ora tu aiuterai me!”
Draco strinse
gli occhi. Tutto quel rumore non faceva che aumentare il suo mal di testa.
“Nessuno le ha
chiesto aiuto. E la smetta di urlare, aumenta il mio mal di testa tutto questo
rumore”
La ragazza
sembrò zittirsi tutto d’un tratto. Sollevò la sedia e si sedette nuovamente.
“Ti prego
Malfoy, ascoltami. Ho bisogno che mi rispondi” la sua voce era quasi
supplichevole e questo piacque molto a Draco che sorrise, dando ancora le
spalle alla ragazza. Il fatto di essere stato supplicato gli dava ancora
qualche punto a favore. Incuteva ancora timore e aveva ancora il rispetto degli
altri. Molto lentamente si mise ancora di lato, ma stavolta girato verso la sua
sinistra, verso la ragazza.
“D’accordo, ma
non ne posso più di darle del lei. Le darò del tu se mi dice il suo nome.
Siccome sa chi sono vorrei essere al pari con lei” nessuno dei due disse nulla
per un po’, poi la ragazza parlò.
“Virginia”
“E’ il tuo nome?
Virginia? Che nome stupido” commentò pungente Draco.
“Invece il tuo è
molto meglio. Draco, che razza di nome” Draco parve stizzito al commento sul
suo nome. Nessuno si era mai permesso di criticarlo.
“E’ latino,
stupida! Vuol dire drago”
“Siamo passati
dal darmi del lei allo “stupida”?” Draco abbozzò un sorriso che assomigliava
più alla reazione che si ha quando si inghiotte una medicina amara.
“D’accordo, Virginia,
lasciamo stare il discorso dei nomi. Siccome sai già tutto di me, potrei sapere
io qualche cosa di te?”
Cadde ancora
silenzio. Fu Virginia a romperlo.
“Che vuoi
sapere?”
“Quanti anni
hai?” chiese Draco.
“Anni? Io… bè,
non credo possa interessarti” Draco si rigirò dandogli le spalle.
“Va bene,
chiamami l’infermiera quando esci”
Virginia sbuffò
stizzita.
“E va bene…
diciotto, compiuti da poco…” lo afferrò per la spalla e lo girò ancora verso di
lei.
“Non mi
toccare!” gridò Draco. La colpì con forza al braccio. Virginia spaventata
arretrò e prese contro alla bottiglia d’acqua che si frantumò sul pavimento.
“Non mi devi
toccare! Mai!” Virginia arretrò di qualche passo ancora. Poi Draco sentì i suoi
piedi veloci correre via da quella stanza.
Con il capo
ancora pulsante per il forte dolore, Draco piombò sul letto, stringendo i
denti.
Due giorni che
era lì fermo a letto. A lui sembravano essere un eternità. Non era abituato a
fare l’infermo e il disabile. Draco era di un’altra stoffa. Forse più che una
stoffa era un metallo duro e spesso. L’acciaio, ad esempio. Si sarebbe
spezzato, ma non piegato tanto facilmente. Draco dal cuore tenero. Sciocchezze.
Erano due giorni che se lo ripeteva. Mentalmente rivedeva quello che aveva
fatto e non lo capiva. L’istinto aveva forse avuto la meglio? Che cosa lo aveva
spinto?
Era appena
comparso nel giardino di Hogwarts con una passaporta di suo padre. Era il caos
più completo. Quello schifoso di Voldemort aveva distrutto uno dei luoghi che
preferiva più in assoluto. Perché lo preferiva? Non lo sapeva. Perché era la
sua scuola. Perché non era il maniero Malfoy, perché non c’era suo padre per
ben nove mesi a dirgli cosa doveva fare. Perché da lì tutto il mondo schifoso
attorno sembrava scomparire. Forse era per quello che amava Hogwarts.
Potter e gli
altri erano un simpatico passatempo. Nulla di più nulla di meno. Quasi tutti un
simpatico passatempo. Bè, Potter lo detestava perché era Potter. La Granger
perché riusciva sempre a prendere voti migliori dei suoi. Weasley,
spalla-di-Potter, perché era un mago puro e si riduceva in quel modo. Tutta la
famiglia Weasley era così. Schifosi filobabbani sempre senza un soldo. E allora
perché lo aveva fatto?
Inconsapevolmente
aveva abbracciato al sorella di Weasley. Non sapeva come e perché. Vederla in
lacrime, silenziosa, nella bufera che si schiantava su Hogwarts gli aveva
stretto il cuore. Ma forse non era la prima volta che il suo cuore si stringeva
per la giovane Weasley.
Ma che cavolo
dici Draco?! Quella è soltanto una ragazzina che non merita neanche il nome di
mago!
Si girò
furiosamente sul letto da un lato all’altro annodando le coperte attorno a lui.
Maledicendo il suo stato di infermo si scoprì completamente e si riassettò il
letto come meglio poté. La porta della sua stanza si aprì e, contemporaneamente
sentì un rumore alla sua destra, verso la finestra.
“Chi c’è?”
chiese d’impulso guardando verso la fonte di quel rumore. Passi veloci
partirono ed uscirono dalla stanza. Altri passi più pesanti e lenti si
avvicinarono al suo letto.
“Allora signor
Malfoy, come sta oggi?” gli chiese quella che sembrava essere un infermiera.
Draco si rigirò verso di lei a bocca spalancata.
“Chi c’era qui dentro?”
chiese con voce ferma. L’infermiera lo infilzò con una nuova flebo e boffonchiò
qualcosa di incomprensibile. Draco gli avrebbe gettato addosso uno sguardo di
ghiaccio se solo i suoi occhi fossero stati liberi dalle bende.
“Non ho capito
nulla, può parlare senza mangiarsi le parole? Ma venite pagati per qualche cosa
qui dentro o no?” domando con arroganza Draco. L’infermiera si irrigidì e
rispose a tono.
“Ho detto che se
la sua ragazza viene qua a farle visita non c’è problema, e che farò finta di nulla!”
La sua ragazza?
“Io non ho
ragazze. Chi è uscito da qua? Com’era fatta?” chiese Draco quasi alzandosi dal
letto e saltando addosso alla donna.
“Mah non ho
guardato bene. Sembrava una sua coetanea. Aveva un mantello con il cappuccio.
Non so altro”
Nascondersi? Che
fosse Virginia, la ragazza della prima sera? No, lei era più grande di lui. E
se gli avesse mentito. Non sa perché, ma gli sembrava l’ipotesi più probabile.
L’infermiera se
ne andò e lui si stese ancora sul letto ad elaborare un buon piano per
smascherare la misteriosa visitatrice.
Draco se ne
stava steso sul letto con le coperte fin sopra la testa. Virginia aprì
lentamente la porta della stanza e con passi felpati camminò fino alla finestra
alla destra del letto.
Perché era
tornata lì? Erano giorni che non tornava a visitare la stanza di Draco, da
quando l’aveva quasi scoperta. Aveva paura capitasse di nuovo. E lei non voleva
farsi scoprire mentre lo osservava, silenziosa. Le bastava fissarlo. I capelli
biondi scompigliati che cadevano in ciuffi sulla fascia. Quella sua candida
pelle. Così bianca. Ma che le prendeva?
Venire in
ospedale solo per osservare Draco Malfoy nel suo letto mentre dormiva? E
si muoveva come un bambino nel letto in cerca di qualcosa. Più di una volta
aveva pensato di tranquillizzare i suoi incubi con una carezza, un gesto
d’affetto. Ma ogni volta che lo pensava le tornava alla mente quel suo ultimo
gesto con cui l’aveva scacciata. Lo aveva appena sfiorato, ma aveva reagito in
modo così brusco. E lei non capiva perché. Ma allora perché tornava lì?
Era per Harry.
Certo, lei voleva solo sapere se era stato lui ad uccidere Harry. Se così fosse
stato sarebbe finito dritto ad Azkaban, questo è certo. Lei era lì solo per
capire se si era scontrato con Harry. Certo, solo per quello.
Osservava le
coperte che coprivano completamente il corpo del ragazzo. Peccato, le piaceva
vedere i suoi capelli biondi arruffati. Ma che pensava?! Lei era lì solo per
Harry. Se lo ripeteva continuamente come per darsi un buon motivo per cui entrare
di soppiatto nella stanza di un ragazzo ricoverato e spiarlo senza il suo
consenso.
Si appiattì fino
a raggiungere la finestra e si sedette sulla sedia lì accanto. Fece più
silenzio che poté. E il suo sguardo era fisso sulle lenzuola. Certo che…come pretendeva
di scoprire qualcosa se veniva a visitarlo solo di notte? E soprattutto senza
parlargli. Ma che le era preso?
“Sigillum!”
tuonò la voce di Draco da dietro la porta di ingresso. Con un colpo secco si
chiuse sigillandosi magicamente. Virginia fissò impaurita prima il letto, poi
Draco in piedi, poi ancora il letto. Le aveva teso una trappola!
“Bene bene” rise
Draco afferrando una sedia e mettendola davanti all’uscita “Il topo è in
trappola. A meno che tu non voglia volare dalla finestra dovrai passare da
qui…” la sua aria strafottente era un incentivo per la rabbia di Virginia.
“Naturalmente
puoi anche rivelarti e allora non ci saranno problemi di sorta” si sedette
tastando bene il sedile della sedia di metallo “Nessuno la fa a Draco Malfoy”
ghignò trionfante.
La pazienza di
Virginia raggiunse il limite.
“E va bene
signor Malfoy” carico molto quest’ultima parola “Sei contento? Mi hai preso in
trappola e adesso?”
A dire il vero a
questo Draco non aveva pensato. Non pensava che si sarebbe arresa così facilmente.
Pensava sarebbe stata una cosa lunga da cui, infine, avrebbe tratto profonda
soddisfazione a vederla sconfitta. Invece la sua gioia per quel piano perfetto
non solo non c’era, ma non aveva neanche provato ad esserci! E adesso?
“Bè…stai ferma
lì mentre raggiungo il letto” Draco si alzò camminando a tentoni per
raggiungere la branda. Virginia lo guardò volgendo gli occhi al cielo. Draco
sentì i suoi passi avvicinarsi decisi.
“No! Ce la
faccio da solo! No voglio assolutamente il tu…” Virginia tese il braccio e lo
costrinse ad appoggiarsi con l’altra mano. Draco si ritrasse subito con uno
scatto talmente violento da perdere l’equilibrio e finire disteso per terra.
“Sei proprio
scemo” lo ammonì lei. Eh sì. Draco si sentiva proprio scemo in quel momento.
Non tanto per quello che aveva fatto, forse un po’ anche per quello, ma per la
situazione in cui si trovava. Per terra, cieco, con una ragazza sconosciuta
nella camera. E poi, forse era solo una sua impressione, ma probabilmente aveva
anche il pigiama mezzo sfilato…
“Senti il…il mio
pigiama…è…?” chiese a testa bassa imbarazzato.
“Le tue grazie
sono coperte Malfoy” ridacchio Virginia “E’ l’ultima cosa che mi interessa di
uno come te”
Quella fu una
batosta niente male per il giovane e affascinante Draco Malfoy. Lui che credeva
di vere dietro la bava di qualsiasi ragazza, trovarsi ignorato proprio da
questa ragazza che cominciava ad odiare con tutto il cuore, gli diede un gran
fastidio.
“Al diavolo…”
cercò sempre a tentoni di rimettersi in piedi inutilmente. Virginia gli si
avvicinò e lui lo avvertì.
“Posso?” chiese
questa volta prima di permettersi di agire. Draco bofonchiò qualcosa.
“Come?” chiese
ancora la ragazza.
“S-sì…”
“Come si dice
piccolo Draco?” lo prese in giro ancora Virginia. Draco andò su tutte le furie
e strillò.
“Ora te ne stai
approfittando sciocca ragazza!”
“Come vuoi” fece
per allontanarsi facendo sentire bene i passi.
“Oh, al
diavolo!…Per-favore!” Virginia sorrise. O almeno immaginò Draco. Si sentì
afferrare per la spalla destra, intanto anche lui si aggrappò al suo braccio
così da reggersi meglio. Una volta in piedi Virginia lo condusse fino al letto.
Scostò i cuscini che volevano simulare il corpo del ragazzo e lo mise a sedere.
Draco si sdraiò e si coprì con lenzuolo e panno.
“Prego non c’è
di che” lo punzecchiò ancora Virginia che sperava, inutilmente, in un “grazie”
“Non montarti
troppo la testa ora…” la riprese serio in volto Draco. Virginia poté
scommettere che i suoi occhi l’avrebbero perforata se fossero stati scoperti.
“E poi sei tu
che mi devi dare spiegazioni: che ci fai a notte fonda in camera mia?” Draco
constatò il silenzio che si era venuto a creare. Probabilmente l’aveva messa in
imbarazzo. Ottimo. Proprio quello che voleva. Il silenzio si prolungò
parecchio.
“Mi manda Harry”
disse d’un tratto Virginia con un nodo alla gola. Draco smise di gongolarsi nel
suo piacere e si rizzò di scatto sulla schiena. La testa prese questo gesto
come una sfida e prese a suonare un ritmo incalzante e rockeggiante udibile
solo da lui. Si strinse le tempie con la mano.
“Potter?”
strinse i denti per il dolore alla testa. Virginia pensò di aiutarlo, ma ci
ripensò subito. Quello era un probabile assassino.
“Che vuole
Potter da me?” chiese dopo un momento di pausa. Quella fu per Virginia la prova
che Draco non aveva ucciso Harry.
“Niente…”
continuò “Harry è…lui non c’è più…” rispose con voce spezzata e in un qualche
modo Draco se ne accorse. E oltre a quello si accorse di ciò che gli era stato
appena rivelato. Harry Potter era morto. Inconsapevolmente provò una sorta
di…nausea alla base dello stomaco. Non era la solita nausea che aveva quando lo
vedeva a scuola. Era qualcosa di incolmabile a pensieri…forse…dispiacere?
Per Potter?
Assurdo! Si buttò sui cuscini con la testa e ridacchiò.
“Se lo è meritato…babbanofilo
del caz…” la sua frase fu interrotta da un dolore acuto alla guancia sinistra.
Senza preavviso Virginia lo aveva colpito con uno schiaffo da guinnes. Draco
non ricordava di aver mai provato nulla di simile. I tamburi ripresero a
suonare ritmati nella sua testa.
“Ma che cazzo ti
prende!” le urlò contro tenendosi la guancia offesa. Fermandosi per un secondo
la sentì chiaramente singhiozzare nel silenzio della stanza. Virginia si alzò
di scatto allontanandosi.
“Alohomora”
disse, probabilmente puntando la porta con la bacchetta, pensò Draco. Ma, come
ben sapeva, l’incantesimo non si sciolse.
“Toglilo…” disse
lei con voce spezzata. Draco non sapeva bene che fare. Poteva toglierlo e
lasciarla andare, che gli importava? E invece qualcosa gli importava. Voleva
parlare e aveva paura che non l’avrebbe sentita mai più.
“Senti Virginia,
scusami…” dire questo costò a Draco Malfoy una fatica superiore
all’immaginabile. Ci vollero una decina di secondi prima che continuasse.
“Siediti, ti
prego. Finiamo di parlare…” sotto le bende lo sguardo di Draco era
supplichevole. Ma tanto lei non l’avrebbe mai saputo. Una parte d’onore era
salvo. Virginia ritornò sui suoi passi e Draco la sentì sedersi ancora sulla
sedia accanto al letto. Draco se la immaginò imbronciata e con le gambe
accavallate con profonda ira. Sì, se la vedeva proprio così.
“Scusami” disse
di nuovo lui, questa volta con più facilità, ci stava prendendo la mano.
“D’accordo…tanto
ti conosco Malfoy. Non cercare di fregarmi”
“Mi conosci?
Allora non hai diciotto anni se eri ad Hogwarts…” concluse sibillino lui.
Virginia capì di aver fatto un passo falso e neanche provò a rimediare disse
solo.
“Bravo. Uno a
zero per te. Contento?” c’era dell’astio nella sua voce. Draco capì al volo il
problema.
“Senti…a quanto
ho capito eri una sostenitrice di Potter” e qui fece una smorfia “Va bene,
ok…solo che…”
“Solo che cosa
Malfoy?” continuò lei fredda come l’inverno.
“Solo che…non
volevo che andassi via” Draco lo disse tutto d’un fiato sperando che Virginia
non avesse capito le sue parole. Ma Virginia aveva capito benissimo.
“C-Come?”
tentennò curiosa davanti a quella sconcertante affermazione.
“Non lo nego. Ti
detesto. Detesto i tuoi modi, i tuoi metodi, e il modo altezzoso con cui mi
tratti…però…” Draco esitò cercando di captare, invano, qualche suono
proveniente dalla ragazza.
“Però…mi, mi
dispiacerebbe non sentirti più” Draco cadde in un profondo senso di disagio.
Non sapeva che fosse, ma così, d’acchito, non gli piaceva granché. Passarono
almeno due minuti in completo silenzio che per Draco sembrarono durare un
eternità.
“Ok…” disse solo
lei, ma con un tono tutt’altro che aggressivo, forse commosso, sorpreso, fuori
luogo..non lo sapeva con precisione. E non lo sapeva bene neanche lei.
“Amici?” domandò
Virginia poggiando una mano sulla sinistra del ragazzo che stava poco fuori dal
lenzuolo. Draco si ritrasse appena da quel tocco. Non voleva essere toccato
eppure…
Sollevò la sua
mano libera e la mise su quella di lei.
“Amici…”
“Toc toc, si
può?” Virginia entrò di corsa. La gioia sprigionava dalla sua voce e questo a
Draco piaceva davvero molto.
“Buon primo
giorno di primavera Draco. Ti ho portato qualcosa di commestibile da casa
invece che la solita roba del S.Mungo” poggiò un cestino che Draco immaginò di
vimini ai piedi del letto e lo aprì iniziando a distribuire varie scatole e
scatoline sulla coperta di cotone.
“Grazie
Virginia…lo apprezzo” la ragazza si fermò di scatto e Draco lo intuì dal
bloccarsi dei rumori tipici della carta.
“Che c’è?”
chiese lui preoccupato. Spesso diceva cose senza volerlo. E a volte litigavano
per un non nulla. Sperava di non aver detto nulla di sgradevole, anche perché
non se ne era accorto ad essere sincero.
“Non viziarmi
Draco Malfoy!” disse lei col sorriso nella voce e riprese a aprire e
spacchettare.
“Ah, mi prendi
in giro! Lascia che ti prenda…” allungò le mani in avanti cercando di
rintracciarla, ma Virginia lo schivò e lo colpì con un cricco sul naso.
“Beep,
beccato!” rise lei mentre lui cercava di afferrarle al volo la mano che lo
aveva colpito al naso.
“Non vale! Solo
perché sono ancora bendato!” ridacchiò lui scoprendosi completamente e cercando
di afferrarla ancora. Virginia lo aggirò di nuovo e lo ricolpì nello stesso
punto.
“Beep!
Fuori due!” ridacchiò ancora salendo sul letto e accucciandosi nell’angolo in
fondo. Draco continuò a tentoni a cercarla lamentandosi che si approfittava
della sua cecità, quando, involontariamente, prese contro alla bottiglia del
succo di frutta appena estratto da Virginia e cascò di peso in avanti. Ora
l’aveva trovata visto che ci era proprio finito sopra di peso.
Sentire il
calore di lei su tutto il suo corpo fu la sensazione migliore che avesse mai
provato. Inconsapevolmente le passò una mano fra i capelli mossi
accarezzandoglieli per tutta la lunghezza. Aprì un po’ la bocca a metà fra la
sorpresa di trovarsi in quella situazione e l’estasi del momento. Pesca. I suoi
capelli profumavano di pesca matura. Un profumo così intenso che Draco rischiò
di perdersi.
D’altro canto,
anche virginia non fece molto per impedire a Draco di accarezzarle i lunghi
capelli o di annusare il suo profumo fruttato. Si rese conto un attimo più
tardi, dopo essersi risvegliata dal quel piacevole torpore che erano in una
situazione alquanto imbarazzante.
“Draco…scusa…”
disse lei con voce piccola. In quel momento si svegliò anche Draco che si alzò
subito da sopra di lei s tornò a sedersi sul letto.
“No scusami tu…”
seguì un silenzio imbarazzate per cui non si parlarono per quasi tutto il
pranzo.
Le loro
discussioni, di solito, erano lunghe e variegate. Parlavano di tutto. Vestiti,
sport, roba da mangiare. A volte di Hogwarts, ma se c’era qualcosa di cui non
avevano mai parlato era Virginia. Draco non sapeva nulla di lei se non che
aveva, forse, sui diciotto anni, che era ad Hogwarts e che i suoi capelli
profumavano di pesca. Ma quella era un informazione recente. Quando lui si
lamentava che non sapeva nulla della sua famiglia e della sua vita al contrario
di lei, Virginia rispondeva “Tanto sono qui, che altro vorresti sapere?” E a
Draco, in effetti, quello bastava eccome.
Solo al dolce
uno dei due azzardò.
“Allora…ehm…cosa
ti hanno detto i medici?” chiese lei per iniziare il discorso e cercare di far
scordare ad entrambi l’accaduto. Almeno per il momento.
“Eh? Ah, grandi
notizie! Mi tolgono la benda, dicono che il recupero della vista all’occhio
destro è stato completo, al sinistro più di sette decimi…non male eh?” disse
Draco.
“Come ti tolgono
la benda? Quando?” Virginia sembrava allarmata da quella notizia. Draco non
capì bene il perché ma le rispose.
“Fra un paio di
giorni…perché sei così allarmata?” le domandò intimorito. Non sapeva perché
essere intimorito…una specie di sesto senso. Virginia tacque per un po’.
“Io…Draco…non…non
posso più venire a trovarti, mi dispiace” disse lei risentita incominciando ad
impacchettare le sue cose nel cestino da pic-nic. Draco non voleva credere alle
sue orecchie. Scostò il piatto con la fetta di torta a metà e le afferrò il
braccio. Più per istinto e fortuna che per altro.
“Cosa? Perché?”
“Perché…perché…Oh,
Draco non potresti capire!”
“Cosa non potrei
capire!” lui stava lentamente andando su di giri.
“Io…Draco tu
non…non voglio darti una delusione”
“Delusione?”
disse Draco “Delusione di cosa? Cosa c’è che non va Virginia?” le scosse il
braccio forse con un po’ troppa violenza. Lei si liberò con uno strappo dalla
sua presa. La sua voce era rotta dal pianto.
“Scusami,
scusami tanto… non avrei mai dovuto…” la frenesia con cui il cestino si
riempiva degli avanzi del pranzo era aumentata drasticamente. Draco cercò di
fermarla.
“Aspetta! No,
ferma, non andare…no!” era arrabbiato, era fuori di se! Era…dispiaciuto,
ferito…sentiva la solitudine avvolgerlo come già temeva lo avrebbe avvolto
senza di lei.
“Io…Io ho
bisogno di te…” disse senza rabbia ma con grande tristezza. Lei scostò il
cestino A Draco parve di vederla di nuovo. Sorridere con gli occhi lucidi dal
pianto.
“No, tu hai
bisogno di Virginia” gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla fronte. Fece
scivolare le labbra sulla benda e lungo il naso fino a poggiare la sua fronte
contro quella di lui.
“Ma Virginia non
esiste. Addio Draco, è stato bello” Virginia si staccò da lui come un frutto si
stacca dal ramo per non tornare mai più. Sentì solo chiudersi la porta della
stanza e la benda che lentamente si stava inzuppando delle sue lacrime.
“Ecco signor
Malfoy…allora, come andiamo?”
Draco sbatté gli
occhi numerosi volte. Le palpebre gli dolevano e la luce, seppur fioca luce
della sera, gli bruciava terribilmente gli occhi sensibili. Scosse la testa per
darsi una svegliata e finalmente annuì con la testa.
“Io…ci vedo, sì
vedo…” ma non vedeva quello che voleva vedere. Virginia.
“Eccellente,
ancora qualche controllo e poi sarà libero di andare signor Malfoy” disse
entusiasta il medico che prese a esaminargli le pupille e puntargli entrambi
gli occhi con la bacchetta la quale emetteva luci particolari.
Draco si
lasciava fare tutto come una bambola di pezza. Aveva paura di essere solo?
Bene, ora lo era veramente. Virginia aveva mantenuto la sua parola e né il
giorno dopo né quello successivo, cioè quel giorno, era venuta a fargli visita.
Perché se ne era andata? Quel suo discorso alla fine. Su di lei che non era
lei. Che significava? Che…aveva forse paura del suo aspetto? Ma andiamo! Lui
aveva uno sfregio permanente che non gli avrebbe senz’altro giovato a
notorietà. Cosa poteva avere di strano lei?
Draco non se lo
spiegava. Non riusciva a darsi una risposta, purtroppo. E tutto ciò lo avviliva
ancora di più. Non sapeva dove trovarla, o come rintracciarla. D’accordo che la
magia semplifica di molto le cose, ma con quei pochi dati su di lei che aveva
non sarebbe riuscito a fare una ricerca come si deve.
“Tanto sono
qui, che altro vorresti sapere?”
La tua vera età,
il tuo cognome, la tua vita, tutto!
Niente da fare
era proprio solo.
Se ne uscì dalla
sua camera di sei mesi raccogliendo quei pochi stracci, lavati e riparati dalle
sapienti mani di Virginia durante il suo ricovero. La divisa di Hogwarts gli
stava eccessivamente stretta e appena un po’ corta. Anche se non sembrava in
quei mesi era cresciuto. Poco male. Si sarebbe cambiato a casa…appena avesse
avuto una casa stabile.
Percorse i
corridoi e, senza saperlo, si ritrovò a passare davanti alle stanze delle
vittime di Hogwarts. Forse era solo una sua impressione, ma quei pochi che lo
vedevano, fra genitori e studenti, lo fissavano male, come se fosse una macchia
di muffa sulla parete. No, non c’era posto per nessun Malfoy lì in quel
momento. Sia fosse colpevole, sia non lo fosse.
Sospirò e girò
l’angolo. E chi non doveva trovare fuori dalla stanza del pidocchioso fratello?
La giovane Weasley. Tutta stretta nel suo mantello di seconda scelta. Si teneva
le ginocchia con le mani e aveva la testa appoggiata sulle gambe. Seduta lì su
quella branda lungo il corridoio a compiangere se stessa. Non che lui fosse
messo meglio in quel momento, ma quello che per i Weasley era la norma per lui
era un eccezione. Una delle peggiori, in effetti.
Si avvicinò
facendo gonfiare il mantello e con il ghigno dipinto sul volto. Lei alzò lo
sguardo, ma appena lo vide spalancò gli occhi come terrorizzata.
Cavoli, questa cicatrice deve
essere davvero orribile…vediamo di farla fruttare un po’…
A meno di un metro
il suo sguardo divenne di ghiaccio e inspirò a fondo per iniziare la sua
preparata sequenza di insulti.
“Ehi Weasley
se…” un odore già conosciuto stravolse i suoi sensi. Era un profumo. Un profumo
dolce, non uno qualunque. Un profumo che aveva già sentito, a cui non voleva
rinunciare e non avrebbe rinunciato se non se ne fosse andato egli stesso. Il
suo ghigno si trasformò in un’espressione attonita, mentre il suo passo veloce
e rapido rallentò quasi fino a fermarsi. Gli occhi sottili di Malfoy venero gli
occhi grandi di Draco e la sua bocca, preparata al peggiore turpiloquio, disse
solo una parola.
“Pesca…” fece
scivolare le mani sottili fra i suoi capelli mossi e rossicci. Chiuse gli occhi
e tutto gli ricordò la situazione di un paio di giorni prima. Strinse
dolcemente il viso lacrimante di lei fra le mani e lo avvicinò al proprio.
Incrociò le sue sottili labbra con quelle carnose di lei e prese a baciarla. Si
staccò quasi subito prima di rituffarsi nel suo dolce volto e succhiargli
dolcemente il labbro superiore. Solo per un attimo, piano.
Affondò ancora
le labbra e questa volta anche Ginny rispose al bacio giocando con la lingua
del suo amante e avvicinandosi a lui quasi inconsapevolmente. Si ritrovò seduta
al limite della branda, mentre le sue mani lo afferravano per le spalle e lo
tiravano a se. Passò le mani dalle spalle ai capelli, mente il bacio non
cessava di essere consumato con sempre maggiore voracità e passione.
Dopo un tempo
che sembrò ad entrambi troppo breve, si lasciarono e si guardarono negli occhi.
“Scusami…” disse
lei commossa. Le lacrime avevano bagnato il volto di Draco. E comunque lui era
fin troppo orgoglioso per ammettere di aver pianto.
“Stupida…”la
riprese lui amorevolmente sollevandole la testa che puntava verso il basso e
passando ancora le labbra sulle sue in un ennesimo bacio. Fu lei a lasciare
quell’unione per prima e guardarlo ancora negli occhi.
“Ti hanno
conciato proprio male eh?” rise nervosamente ancora con gli occhi pieni di
lacrime.
“Eh sì…” rispose
lui ridacchiando a sua volta. Le massaggiò i capelli crespi come se non dovesse
mai più accarezzarli in tutta la sua vita.
“Cosa facciamo?”
chiese lei asciugandosi le lacrime con la manica del vestito. Draco scosse la
testa.
“Non lo so…mi
faccio vivo io fra qualche giorno…il tempo di sistemarmi un attimo e…” non
riuscì a concludere e la baciò di nuovo. Ginny di certo non si tirò indietro.
Fu un bacio prolungato seppur così improvviso.
“Ok…fra qualche
giorno…ti aspetterò qui…” disse Ginny riprendendo fiato dall’ultimo bacio.
“D’accordo…”
concluse Draco annuendo con la testa “D’accordo, fra qualche giorno…ok” la
baciò di nuovo, velocemente, senza darle il tempo di replicare. Sciolse
malvolentieri l’abbraccio e si diresse verso le scale per il piano terra.
Ginny rimase
fissa con lo sguardo all’angolo che Draco aveva appena girato. Era pazzesco era
incredibile! Lei e Draco Malfoy! Le sembrava impossibile solo pensarlo
eppure…eppure l’amore e cieco…e Draco non era come lo si dipingeva la maggior
parte della gente. Tutti quei mesi per conoscerlo erano serviti.
Scosse la testa
coprendosi gli occhi e sorridendo come una pazza. Scuoteva tutte le gambe e la
testa per l’agitazione.
Due mani le
afferrarono le sue e le scostarono dagli occhi. Draco le stringeva i polsi e
aveva il fiatone di chi aveva corso parecchio, probabilmente facendosi anche
qualche piano di scale.
Appoggiò ancora
le labbra sulle sue e, quello che era iniziato come un altro bacio veloce, si
concluse solo dopo parecchi secondi.
“Ti
amo Virginia” ridacchiò lui prima di sparire ancora dietro l’angolo del
corridoio senza dare il tempo a Ginny di rispondergli, ma lasciandole una
piacevole sensazione addosso.
Allora che ne dite? È una cosuccia fatta per spiegare un po’
la storia fra questi due “besughi”. Che dite è un po’ più chiara? Bè fatemi
sapere con un commentino!! Non fate come a solito, leggo e non scrivo! Dai per
favore ç ç
Ciao raga!!!
See you again!!!