Vendetta
20/05/2010
VENDETTA
Di Altair
Ho sempre pensato che la vendetta
fosse una cosa sbagliata, la pensavo così ai tempi della scuola. Credo che ne
derivasse dall’educazione che ho avuto dai miei genitori.
Ho sempre pensato che la vendetta
fosse la strada sbagliata, un vicolo cieco, oppure la strada di un bosco
sconosciuto, stretta, sterrata e incorniciata ai lati da arbusti spinosi che
non aspettano altro che pungerti per spillarti qualche goccia di sangue. Credo
però che la pensino tutti così, prima di ritrovarsi in un certo genere di
situazione.
Ovunque la gente si riempie la
bocca di parole buone, tutti invocano il perdono, la redenzione, il pentimento.
Nessuno si redime davvero. Siamo
una massa di peccatori, gli abitanti di una palla gigante che fluttua
nell’infinità dell’universo.
Tutti perdoniamo; di solito
l’azione più perdonata - soprattutto perché la più frequente - è il tradimento,
da quello di una persona che ritenevi fidata a quello compiuto carnalmente
dalla persona che ritenevi tua. Siamo tutti capaci di perdonare nello stesso
modo in cui siamo capaci di bere. Io però penso che quando un bicchiere si
rompa è impossibile rimetterlo insieme. Puoi cercare le schegge ovunque, sul pavimento
della tua cucina, sotto i mobili, negli angoli bui e polverosi: Non riuscirai mai
a ritrovare tutti i pezzi. Non potrai più bere neanche se metti insieme i pezzi
che hai trovato. Puoi sempre provarci, ma ti taglierai il labbro e tornerai a
sanguinare. Con in tempo poi, anche l’attack più resistente e duraturo comincia
a cedere. Ci sono cose che, una volta rotte, non torneranno mai come prima.
Ci pentiamo tutti anche per le
più piccole cose, e vi confesso che lo faccio anche io. Un poco. Beh, ormai non
posso più tornare indietro, quello che è fatto è fatto.
Dopo tanta insistenza al povero
Daniel sono riuscito a farmi dare questi fogli di pergamena e un penna con
l’inchiostro. Non so se questo manoscritto verrà mai letto da qualcuno, di
solito quando una cella qui ad Azkaban si svuota il contenuto interno viene
bruciato. Io voglio scrivere lo stesso, anche se devo sbrigarmi, mi sento
sempre più debole e ho sonno.
Questa storia parla di vendetta.
Questa vendetta mi ha portato ad Azkaban e mi ha fatto prendere non so quale
maledetta malattia. E’ stato un occhio per occhio dente per dente. Io ho messo
la dentiera, Malfoy ha chiuso gli occhi.
Per sempre.
Come reagireste all’assassinio di
una persona che amate? In principio comincereste con il disperarvi, vi chiedereste
il perché è accaduto quello che è accaduto. Con il tempo comincereste ad
assimilare la cosa, con gli anni ricordereste la persona defunta con affetto,
conservando nel cuore i momenti belli passati con la suddetta. Io non ci sono
riuscito. Ho provato in tutti i modo a farmela passare, ma più cercavo di
allontanare l’immagine di Malfoy che veniva scagionato dall’accusa di omicidio
per mancanza di testimoni, più si accresceva dentro di me il fuoco della
vendetta. Volevo vedere Malfoy piangere in ginocchio, supplicare il mio
perdono. Volevo ucciderlo mentre gli dava la falsa speranza di salvare la
pelle. Penso che se a quel tempo quelli che mi conoscevano avessero saputo
quello che stavo progettando, in tutta sicurezza mi avrebbero riso in faccia.
L’avrebbero presa per uno scherzo. L’avrei pensato anche io. Di sicuro non era
uno scherzo il sogno in cui vedevo la mia dolce ‘Mione saltare in aria
all’accensione dell’auto che aveva tanto desiderato.
Quel figlio di puttana ha ucciso
Hermione.
Hermione che aveva appena preso
la laurea a pieni voti in medimagia e che guardava al futuro con gli occhi
colmi di aspettative. Lei che riusciva ad arrossire ad ogni mio più stupido
compliemento. Lei che profumava di fragola e di cioccolato, due sapori, tanto
diversi e tanto buoni insieme. Lei che quando facevamo l’amore mi sussurrava
all’orecchio parole proibite e promesse da mantenere. Lei che anche con il più
vecchio e consunto maglione e i più sgualciti jeans mi faceva impazzire. Un
giorno gli capitò di imbattersi in un errore. Un errore di Malfoy intendo. Il
suo giro di estorsioni magica andava bene, ma aveva qualche problema con un
negoziante di scope che no voleva pagare la protezione. Draco, da uomo
ragionevole quale è, lo uccise davanti al suo negozio, erano le sei del mattino
e quella strada non era per niente trafficata. Hermione si stava recando
all’univerità. Le piaceva immergersi nell’immensa biblioteca della scuola mi
diceva.
Hermione vide Draco. Draco vide
Hermione.
Hermione saltò in aria con la sua
Ford il giorno che si stava recando a testimoniare contro Draco al ministero.
Su quella ford, di cui rimase solo lo scheletro esterno, dovevo esserci anche
io. All’ultimo momento, un febbrone mi costrinse a rimanere a letto. Ricordo
ancora il nostro ultimo scambio di battute.
- Stasera vedi di stare meglio,
ricordati che oggi è il giorno del fim-. Una volta alla settimana, specialmente
di venerdì, Hermione voleva vedere alla televisione un film del suo regista
preferito. Non siamo mai riusciti a finirne uno, di solito dopo i primi
cinquanta minuti io saltavo addosso a lei o viceversa.
- Herm, sta attenta... quella è
gente pericolosa-. Mi aveva risposto con un bacio, che ancora oggi mi aiuta a
scacciare i dissennatori talmente fu bello, e un sorriso che significava ci vediamo dopo, ma che in realtà si
trasformò in addio.
Era stato lui, ne
ero sicuro. Non mi interessava se il ministero avesse preso la decisione di non
indagare, in quanto si trattava di un delitto non magico: io sapevo che era
stato lui a ucciderla e questo bastava. Era stato Malfoy a privarmi di quella
che ormai era diventata parte integrale del mio essere e della mia anima. Così,
quando la polizia inglese archiviò il caso perché non sapeva che pesci prendere
e il ministero lo ignorò per i motivi già detti, decisi di farmi giustizia da
solo. Da solo e a modo mio.
Lo spiai per molto
tempo, Draco. Sapevo quello che faceva la mattina, cosa la sera. Con chi usciva
e chi frequentava. Scoprii persino che leggeva fumetti manga. Un giorno lo vidi
uscire da un casa in centro con una valigia in mano, sembrava abbastanza piena
e pesante. Per spostarsi non usava la smaterializzazione, ma una macchina
Italiana. Dal momento che era il capo di un organizzazione criminale, viaggiava
sempre con due scimmioni al seguito. Trovai molto difficile tracciare un
percorso fisso, perchè le visite all’edicola erano l’unica cosa che non
cambiava. Mi ero completamente arreso all’idea di riuscire a beccarlo da solo,
quando una sera trovai la sua abitazione, quella che doveva essere la
principale. Era accompagnato dai soliti gorilla, ma in casa ci entrò da solo,
mentre le guardie del corpo si allontanavano spezzando il buio della notte con
i fari allo xeno. Quel giorno è uno dei tanti che ricordo bene, Draco fermo
sulla soglia, la porta aperta e il suo
guardarsi intorno con la testa. Per tre volte.
Lottai
interiormente contro la mostruosa voglia di saltargli davanti e fulminarlo. Il
desiderio mi consumava le viscere dell’anima, tutti i miei sensi erano già
proiettati all’omicidio: volevo ascoltare le sue urla imploranti, toccare il
legno della mia bacchetta, sentire l’odore freddo della notte, ma sopratutto
volevo vedere la luce vitale abbandonare i suoi occhi.
Finalmente si
decise ad entrare, e io con uno sforzo sovrumano mi controllai e tornai in me.
Quella sera dormii male. Per un pelo il demone della vendetta non aveva preso
il sopravvento sul mio Io.
Lo osservai per
tutta la settimana seguente. Il mister della squadra dove giocavo mi aveva dato
il benservito, ma sapevo quello che sarebbe accaduto dopo, e un lavoro non mi
sarebbe stato di alcun aiuto. Non era cambiato niente; la sera gli scimmioni lo
lasciavano alle dieci in punto davanti a quella casetta di campagna e lui vi
entrava dopo essersi guardato intorno e aver visto la macchina scomparire.
Decisi che era tutto pronto.
Decisi che era il
momento di agire.
Ho sonno, sempre di
più.
Dalla fessura che
le guardi osano chiamare finestra vedo che il sole si appresta a nascondersi
nell’oceano. Saranno si e no le sei del pomeriggio. Fra poco dovrebbe arrivare
Daniel con il solito cibo avariato.
- Ron... Ron!-.
- Cosa c’è Alan?-.
Il Povero Al è partito con la testa qualche giorno fa. Mi fa pena.
- Vedo! Vedo!
Arance Fumanti! Arance Fumanti!-.
- Le vedo anche io
Al-. Lui si calma, si pulisce la bava da mento guardandosi le maniche della
camicia carceraria, poi torna a fissare il nulla davanti a se. Mi fa pena, e
scambierei volentieri qualche parola con lui, ma forse è meglio se mi sbrigo:
ho una storia da scrivere.
La sera di ottobre
che avevo scelto era molto fredda. Il gelo era così acuto che sembrava entrarti
nelle ossa. La serata era limpida, non una nuvola osava turbare la distesa blu
della volta celeste. Era macchiata di stelle e ospitava la luna che mostrava un
quarto della sua faccia.
- Il cielo non si
fa problemi - sussurrai alla quiete notturna – sta sulla testa di tutti, buoni
e cattivi-.
Ero nascosto dietro
un muretto diroccato. Il rifugio di Malfoy era in campagna e quel muretto
probabilmente, tempo addietro, faceva parte di una piccola casetta di
contadini. La mia emozione era immensa. Non era felicità, non era nemmeno paura.
Sentivo il cuore che pompava in maniera esagerata e le vene che si ingrossavano
e sgonfiavano, in preda a ritmiche pulsazioni. Aspettavo con ansia quello che
sarebbe accaduto, perché nel bene o nel male sarebbe stata una liberazione.
Tendevo l’orecchio alla strada mentre cercavo di immaginare quello che avrebbe
detto Hermione se avesse saputo quello che stavo per fare, riportavo alla luce
i momenti passati insieme, anche quelli sepolti sotto gi strati più interni
della mia memoria.
Piansi.
Piansi. Ma non una
sola lacrima rigò il mio volto quella sera. Piansi con il cuore, perdendomi
nella disperazione che avevo nascosto per mesi e mesi. Poi sentì il rombo di un
motore, i rumore dei freni che venivano attivati e le risate di un uomo che
sbatteva lo sportello.
L’auto si allontanò
ed io sfoderai la bacchetta e contai fino a tre prima di alzarmi e uscire da
dietro il muretto. Con il cuore che sfiorava la tachicardia puntai la bacchetta
di fronte a me e mi avvicinai all’ancora ignaro Draco, mentre ripetevo mentalmente
tutti gli incantesimi più crudeli che conoscevo.
Accadde tutto molto
in fretta.
Nella mia camminata
verso Malfoy calpestai un rametto, questo si spezzò producendo un rumore che lo
mise in allerta. Mi vide. Pensai che mi avrebbe lanciato qualche incantesimo, e
mi ero già preparato a proteggermi con un incantesimo scudo. Lui invece aprì
velocemente la porta e vi si infilò dentro.
Mi sarei aspettato
una reazione diversa, arrogante, quella di nascondersi non l’avevo minimamente
presa in considerazione. Non avevo messo in conto nemmeno l’entrare dentro casa,
poteva essere molto pericoloso, ma ormai mi aveva visto, e poteva chiamare i
suoi scimmioni. Allora si che sarebbe stato un vero guaio. Mandando all’aria
ogni precauzione mi precipitai dentro anche io, seguendolo a ruota.
L’interno era buio
pesto, talmente buio che non riuscivo nemmeno a distinguere le sagome degli
oggetti, se mai ce ne fossero stati.
Pensai di accendete
la bacchetta quando la stanza si illuminò di verde. Un getto luminescente mi
sfiorò l’orecchio sinistro. Sentii quelle che erano le urla più strazianti
immaginabili, non potevano essere urla umane, non era possibile. Le urla mi
lacerarono il timpano, causandomi una momentanea sordità e una vaga sensazione
di perdita dei sensi. L’incantesimo picchiò contro il muro e si spense, facendo
ripiombare la stanza nell’oscurità. Questa volta accesi immediatamente la
bacchetta.
Malfoy era davanti
a me, ghignava.
- Sono sempre stato
una schiappa al poligono -. Ammise ad una domanda che nessuno aveva posto.
Furono le sue ultime parole. Lanciai uno schiantesimo.
Avevo intenzione di
legarlo e fargli qualche domanda, fargli del male prima di agire, ma non fu
così. Il mio incantesimo lo face volare all’indietro e, nella caduta, sbatté
l’incavo fra la spalla destra e il collo in cima allo schienale di una sedia.
Si ruppe il collo in due. Fece lo strano rumore di una pila di asciugamani
percossa con un bastone.
Malfoy era morto e la vendetta compiuta.
L’entrare nel
rifugio fu un grande errore, lo sapevo. Dentro c’era una telecamera.
Malfoy poteva anche
odiare i babbani, ma non disprezzava la loro tecnologia. Il filmato cadde nelle
mani sbagliate e io fui condannato alla prigione. Mi diedero una pena di dieci
anni: avevo eliminato un pezzo grosso della criminalità e non avevo fatto uso
di maledizioni senza perdono, ma avevo lo stesso ucciso. Sono riuscito ad
arrivare vivo e sano di mente a due anni, ma non credo che resisterò ancora a
lungo. C’è sempre questa strana sensazione di stanchezza che mi attanaglia, non
riesco proprio a capire cosa sia. Ricordo il momento in cui uccisi Malfoy con
orrore. Mi ero trasformato in un sadico killer, avevo ucciso un uomo, come me.
Ogni tanto provo sconcerto per la mia azione, piango e mi chiedo come mi sia
potuto trasformare in un mostro come quello.
Il sole è calato
del tutto. Le tenebre regnano nella mia cella e su tutta la prigione.
Quella che hanno il
coraggio di chiamare cena puzza di topi morti, e credo che la lascerò ad Al,
lui ne va matto.
Quell’urlo lo sento
alcuni notti, non sono mai riuscito a capire chi o cosa l’avesse fatto.
L’urlo dell’oblio e
della disperazione.
Hermione ogni tanto
viene a farmi visita nei sogni. Insieme passeggiamo per i prati oppure
guardiamo qualche film alla televisione. Oggi sono due anni esatti che questa
cella è la mia casa, ormai la sento mia.
Tra poco verranno i
dissennatori; li fanno uscire le notti dispari, in modo da tormentare il nostro
sonno e farci uscire di testa prima del previsto.
Io però so che
questa notte dormirò benissimo. Quando chiudo gli occhi sento la voce di Morfeo
che mi tranquillizza e rilassa le mie malandate carni, la voce di Morfeo.
Oppure è solo quel burlone di Ade che vuole giocare.
Fine
Altair
19/06/2010
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