Anna Bolena
Morte di una regina
La grande Torre di Londra l’aveva sempre
affascinata. La sua storia, i suoi prigionieri e i segreti sussurrati al suo
interno la incuriosivano sin da quand’era bambina. Non pensava che un giorno
anche lei ne avrebbe fatto parte. Eppure eccola li, circondata dalle sue tre
dame, le fedeli servitrici al fianco della loro regina. Le perle che pendono
dai lobi, la collana lucida che le risplende sul petto, l’abito scuro ornato di
disegni scarlatti modella il suo corpo. Una regina deve sempre presentarsi come
tale: anche il giorno della propria esecuzione.
La gente mormora ma alcun suono giunge
alle sue orecchie, se non quello dell’abito indossato che strofina sul
percorso ciottolato che conduce al patibolo. Delle mani la spingono, la strattonano, la
carezzano forse; pietà nei loro occhi, pregiudizi nelle loro bocche. Si ferma,
si volta, lo sguardo orgoglioso di chi è ancora regina: ammutoliscono. Riprende
il suo cammino, seguita dalle dame, preceduta dai suoi carcerieri. Un tempo
amava essere circondata dalla gente, essere ammirata e invidiata: quella
mattina avrebbe rinunciato a tutto ciò volentieri.
Avanza lenta, sotto il cupo cielo
inglese; non un solo raggio di sole riesce a filtrare attraverso le nubi. Sente
il cuore battere veloce nel petto, sembra quasi voglia uscire eppure il suo
viso non trasmette alcuna emozione. Si muove lenta e giunge ai piedi del
patibolo. Solleva lo sguardo per vedere chi ha di fronte e incontra quello del
boia: occhi di miele sbucano da sotto la maschera che indossa. Lei sorride.
Il patibolo lo immaginava più grande, più
adatto a una figura come la sua. Di fronte a lei c’è chi piange, chi ride, chi
si copre gli occhi. Guardate come muore
una regina, vorrebbe dire. Ma la voce non le esce dalla gola. Le labbra
sono serrate, mute. Lascia che delle ruvide dita scorrano sul suo collo,
privandolo della preziosa collana e poi dei pendenti; sente il tintinnio dei
gioielli abbandonati poco più in la. Lo sguardo vaga tra un viso e l’altro e desidera
sapere chi di loro vorrebbe vederla morta davvero. Ma non c’è più tempo, non
per lei. E’ arrivato il momento.
Inginocchiata sulle assi di legno, aspetta.
Il respiro le solleva il petto e muore confondendosi tra quelli degli altri.
Dietro di lei singhiozzano le sue dame, stringendosi l’una con l’altra: stolte,
dovrebbero tenere bene gli occhi aperti, così da imparare la lezione. Una mano
tenta di farle abbassare la testa ma lei si oppone: una regina non s’inchina
mai. Sono gli altri a farlo. Il boia si arrende, dovrà svolgere il suo sporco
lavoro in un modo diverso, questa volta. Lei solleva gli occhi al cielo e
vedendo un solo squarcio di azzurro si commuove e una singola, solitaria
lacrima si abbandona capricciosa lungo la guancia e poi il collo. Eccola, la
lama. La sente fredda, sotto la nuca. Vuole un istante, solo per lei: solleva
la mano e tutto si arresta. Attendono.
« Ho sentito dire che il boia è molto bravo, e
il mio collo è sottile. »
Poche parole pronunciate ad alta volte. Una regina dice
sempre quel che pensa. Poi un sorriso le compare tra le labbra. La lama, di
nuovo presente, le solletica il collo. Fiera, orgogliosa di se, lo sguardo
fisso sulla folla. Sembra li guardi uno a uno e tutti si sentono intimoriti. Il
suo nome è Anna Bolena, chiunque dovrebbe essere intimorito. Poi chiude gli
occhi e i mormorii scemano poco per volta: è il momento.
Non c’è più paura, non c’è più dolore. Sangue rosso
scarlatto macchia la bella veste e il viso regale. Gli occhi spalancati verso
il cielo, le labbra appena schiuse dopo aver esalato l’ultimo respiro. Muore
nel silenzio mentre un leggero vento le carezza la guancia. Esanime si
abbandona al sonno perenne.
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