II. D.R. final
II.
Death Row
I found the sinner of
fruit is late,
It is the center of
truth today,
Cut the apple in two,
Oh, I pray it isn't true
Il proprietario del locale non si era ancora avvicinato per
“strappargli” l’anima dal petto, questo
era vero, ma
la serata stava comunque prendendo una piega piuttosto singolare.
Insolito, tanto per fare un esempio, era il modo disinvolto con cui
stava ballando con la ragazza dei volantini, ma la cosa più
strana non era certamente quella.
Già, da quando in qua lui ballava?
Che si trattasse di un effetto secondario di quell’intruglio
dal
colore sgargiante che aveva sorseggiato solo pochi minuti fa?
Improbabile. Al bancone del bar, salvo fantascientifiche
novità
dell'ultimo minuto, non servivano ancora analcolici fluo
“cambia personalità”.
E se, a far scattare “l’interruttore
ballo”, fosse
stata quella canzone riguardante mele tagliate a metà e un
cibo
tassativamente proibito? Cibo.
Avere ancora fame dopo due bistecche enormi non era
affatto normale, come non lo era mangiare quotidianamente per tre e non
mettere su neppure un etto di peso. Be’, sempre a proposito
di
“normalità”, anche la sua prima sbronza
newyorkese
con contorno di banane assiderate e ombrellini di carta annegati nel
rum non si era di certo evoluta secondo i suoi schemi
abituali. Era andata decisamente, e oltre ogni ragionevole
dubbio, oltre.
Si concesse un sospiro leggero, impossibile da captare in mezzo a tutto
quel frastuono, dando mentalmente la colpa di ogni cosa a "sua
luminescenza la Grande Mela in persona" – sì,
proprio la
città delle famigerate magliette con il logo a
cuore – che lo faceva sentire, praticamente
ventiquattro ore su ventiquattro, come un sassolino ferroso alle prese
con un’enorme e scintillante calamita in perenne movimento.
Un “sassolino” con tante domande e, fino a quel
momento, neppure l’ombra di una risposta.
Di colpo, tutti quei se e quei forse evaporarono come
brina
al sole, come se avessero perso improvvisamente la loro importanza. Il
piccolo neo sullo zigomo sinistro della ragazza a pochi centimetri da
lui gli sembrò inspiegabilmente molto più
interessante.
Da quel piccolo dettaglio, un semplice accumulo di melanociti
esteticamente piuttosto gradevole, allargò la visuale alla
curva
della sua guancia, al suo viso dai tratti delicati.
Ne aveva visti parecchi di volti in quell’ultimo periodo di
notti sempre più insonni. Già, la sua vita di
matricola
sembrava essere diventata un effimero circo di facce nuove e alcuni,
probabilmente molti, avrebbero
anche potuto trovare la sua condizione un vero e proprio paradiso, un
inno alla libertà più totale, ma dietro tutta
quella
patina luccicante si celava ben altro. Qualcosa che a volte avrebbe
preferito non ricordare affatto.
Sarah. I
suoi pensieri
indugiarono su di lei, semplicemente non poteva farne a meno.
Si
immerse nel suo ricordo senza opporre resistenza, richiamando alla
mente le sembianze di quella dolce fanatica di Elvis scomparsa nel
nulla senza lasciare tracce. No, qualche traccia, o forse sarebbe
stato opportuno definirla scia,
l’aveva lasciata eccome: un inquietante tripudio di specchi
rotti, superfici riflettenti distrutte chiaramente a mani nude. Che
cosa poteva aver visto di tanto orribile in quegli specchi? Per non
parlare di tutti quegli irregolari coriandoli di carta lasciati sul
pavimento: in realtà, libri e album di fotografie che
sembravano
essere passati sotto le grinfie di un trita-documenti impazzito.
Che cosa poteva averla spinta a ridurre la sua stanza a quel modo?
Rabbrividì al ricordo di quell’incomprensibile
devastazione, di quelle quattro pareti che non avrebbero affatto
sfigurato come ambientazione per un film dell’orrore di
dubbio
gusto.
La mano della ragazza di fronte a lui, posata sulla sua t-shirt grigio
fumo, fece sbiadire il ricordo di tutti quegli specchi e delle
innumerevoli diatribe filosofiche finite tra baci, carezze languide e
le pieghe di un'avvolgente coperta blu dal motivo scozzese.
Non avrebbe mai immaginato che un muscolo umano potesse fare tutto quel
rumore, eppure riusciva quasi a contare i battiti del suo cuore, come
se stesse isolando il suono della batteria della sua canzone preferita
dei Kill Fee. Si stava per chiedere il “come” e il
“perché” di quell'insolita
capacità di
ascolto, quando il profumo della sua pelle, una fragranza deliziosa
appena velata da qualcosa di costoso e artificiale, lo avvolse
completamente, dandogli un leggero capogiro.
Si concentrò sull’incavo del suo collo,
sfiorandolo
appena. La sentì tremare, qualcosa che avrebbe dovuto essere
solo vagamente percettibile, eppure gli sembrò di essere
riuscito a sentirla sobbalzare, di essere in grado di seguire i
percorsi di quegli invisibili percorsi elettrici sotto la sua pelle.
Il passaggio dal centro della pista a quei divanetti rosso cupo immersi
nella penombra non gli fu del tutto chiaro, ma lamentarsi per una cosa
del genere era davvero l'ultimo dei suoi pensieri. I suoi occhi lucidi,
le sue labbra lievemente dischiuse in un invito
silenzioso…
Mentre stava formulando il pensiero che avrebbe quasi voluto mangiare quelle
labbra, gli sembrò di sentire qualcosa accendersi
nella sua scatola cranica, divampare lungo la sua corteccia vertebrale
fino a quelle mani, le sue, che la stavano tenendo stretta come per non
farla scappare. Dopo, solo buio e puro istinto. Non aprì
neppure
gli occhi per guardarla, gli bastò assaggiare quelle labbra,
esplorarle fino quasi ad assimilarle, ancora e ancora.
Una mano si appoggiò all’improvviso sulla sua
spalla e
l’incanto si spezzò, esplose come una bolla di
sapone
rimasta troppo a lungo a contatto con l’aria. Cal si
sollevò, girando leggermente la testa per incontrare il
proprietario di quella mano: una ragazza con un viso affilato, corti
capelli ramati e lentiggini ovunque.
«Mi dispiace interrompervi, ma Liz… il nostro
dormitorio
chiuderà i battenti tra mezz’ora. Che intenzioni
hai?».
La voce squillante della nuova arrivata gli giunse inaspettatamente
nitida nonostante il caos sonoro che li circondava, ma il mezzo
pensiero che aveva formulato al riguardo si disperse come cenere al
vento, togliendo velocemente il disturbo dalla sua testa.
«Che cosa?» La ragazza sotto di lui si
sollevò a sua
volta, appoggiando ancora una volta una delle sue adorabili mani sul
suo torace.
Liz. Probabilmente un
diminutivo per Elizabeth o Lisa… Forse.
«Il dormitorio!», urlò, questa volta
facendo
arrivare il messaggio forte e chiaro anche alla diretta interessata.
«Certo, certo il dormitorio… »,
mormorò
stizzita tra sé e sé, frugando nella sua borsa
alla
disperata ricerca di qualcosa. Un lucido cellulare nero adorno di un
improbabile ciondolo dark di “Hello Kitty”, per
l'esattezza. «Cal, ti lascio il mio numero. Potremmo uscire
una
di queste sere. Solo noi due magari… », gli
sussurrò nell’orecchio, prendendogli il volto tra
le mani.
Gli stampò un bacio a fior di labbra, mordendogli poi,
decisamente con troppo vigore, il labbro inferiore.
Cal, sovrappensiero e decisamente ancora su di giri, seguì
con
scarsa attenzione quello scambio di squilli digitali che si stava
svolgendo sotto i suoi occhi. La osservò allontanarsi,
sempre
più indistinta, mentre veniva come assorbita dalla
brulicante
massa di corpi umani di fronte a lui.
Braccia, gambe e cuori in movimento catturati dalla frenesia della
musica.
Impossibile…
ancora il martellio ipnotico di quella canzone.
Tentò di razionalizzare, oscillando mentalmente tra il
pensiero
di un dj fissato e un innocuo problema tecnico di origine sconosciuta.
Confidò ardentemente nell’ultima opzione,
augurandosi che si risolvesse presto.
Quella litania velenosa gli ricordava troppo il piacevole battito
impazzito che aveva sentito solo qualche istante prima.
Mentre sprofondava di nuovo in uno dei divanetti color sangue rappreso
del Death Row, si rese conto per l'ennesima volta di avere la
bocca asciutta.
Si inumidì le labbra, percependo un vago aroma metallico e
salato: un ottimo sapore che si riverberò per un istante
troppo
breve sulla sua lingua.
Al tempo stesso socchiuse gli occhi, cercando disperatamente di
scrollarsi di dosso una sensazione ben precisa.
La sgradevolissima sensazione di essere stato appena usato da qualcosa.
I drained my heart and
burn my soul,
I trained the core to
stop my growth,
I've got something you
can never eat,
I've got something you
can never eat
Fin
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E fu così che
una nuova vittima si aggiunse alla lista della pip-generazione
di Cal...
@amimy:
Figurati, sapessi le
mail che mi perdo io! Sono contenta che la prima parte ti sia piaciuta
(a proposito: grazie mille per i complimenti, troppo buona *__*!).
Spero che anche l'epilogo sia stato di tuo gradimento... Che
dire? È stato un piacere scrivere su uno dei miei
scrittori
preferiti - qualche tempo fa ho letto e apprezzato molto
anche il
primo romanzo della serie Uglies,
non so se la conosci - e un grazie speciale va anche a te per aver
messo l'annuncio sul forum... A volte basta un piccolo imput per
mettersi davanti alla tastiera!
Credits:
la canzone che
sta “tormentando” Cal, con la relativa citazione in
inglese, è la versione live di Apple of Sodom (Marylin
Manson & Rasputina).
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