tale's end
Fanfiction partecipante all’Iniziativa: 2010: a year together, indetto dal Fanfiction Contest ~ { Collection of Starlight since 01.06.08 }
Credits: Né i personaggi né l'opera di Tengen Toppa mi appartengono, ma sono proprietà di chi ne detiene i diritti.
Note personali: Questa ff mi
è stata commissionata tempo addietro da un utente del forum di
EFP. Voleva che ci si concentrasse sul “dolce sogno” di
Viral, sulla sua relazione con la donna che diventa, almeno in questa
realtà alternativa, sua moglie e la madre di sua figlia. Bene,
è quello che ho cercato di fare °°’ Spero solo che
Gufo non mi uccida per l’immane ritardo con cui consegno questa
ff >_>’’ e la possa leggere con un sorriso sulle
labbra ^^ A voi :3
[Il titolo vorrebbe dire “fine della favola”, fine del
sogno, praticamente, in riferimento a quanto succede a Viral. Vorrei
far notare anche un’altra cosa: in realtà le Bestie non
potrebbero riprodursi, lo dice molto chiaramente il Re Spirale. Il
fatto che invece Coralin e Viral diventino effettivamente genitori fa
parte dell’illusione creata dalla mente di Viral per
l’occorrenza. Così, almeno, la si deve intendere ^^]
Tale's End – Smile to me
[25 Giugno]
Coralin per prima aveva notato quella scia verde nel cielo.
Aveva alzato gli occhi scuri e l’aveva osservata in silenzio,
mentre un vento placido le scompigliava delicatamente i capelli
biondissimi.
Mentre ancora la bimba trillava gioiosa tra le sue braccia, Viral
seguì l’esempio della moglie, tuffando lo sguardo
nel cielo della prima sera di quel caldo pomeriggio d’estate.
Il sole calante – rosso di fuoco immortale – non
gli impedì di veder nulla.
Un bagliore colse la coscienza sopita e la Bestia ricordò
ogni cosa, all’improvviso.
L’antico passato, con re Rasen, Adiane, i Re
celesti… e Kamina.
Il presente gravoso, con Simon, gli Anti- Spiral e Nia.
Ricordò, semplicemente, ogni cosa che era ed era stata.
Lasciò andare Haname che, appena toccato suolo,
trottò felice verso la madre, facendosi abbracciare anche da
lei.
Coralin non pronunciò una sola sillaba, rimanendo avvolta in
un silenzio completo. Guardava suo marito, aspettando la sua decisione.
E di questo Viral gliene fu davvero grato.
-Capisco… Era solo un dolce sogno…-
La Bestia ghignò, soffocando ogni illusoria beatitudine in
una smorfia ferina. Ad un sogno benevolo preferiva la realtà
stridente – perché il freddo del fango lo faceva
sentire vivo, non altro.
Si elevò in cielo, divenendo parte della scia verde. In un
lampo, tutto quello che non era sparì alle sue spalle.
******
La prima impressione che Coralin gli aveva suscitato dentro certo non
era stata delle migliori.
Occhi scuri – tendenti al nero pece – e lunghi
capelli biondi, all’occorrenza legati in una coda.
Aveva notato quella ragazza al rientro dell’ennesima
spedizione nel lontano Est, in mezzo alla folla di donne che sempre
formicava attorno ai banconi affollati della mensa.
Silenziosa, schiva, con un’espressione in viso tale da
ricordare la definizione stessa della noia. Una semplice macchia di
incolore nel tutto, una nota grigia in mezzo al sangue degli Umani e al
nero delle Caserme militari.
A Viral non era proprio piaciuta, quella donna con le orecchie da gatto.
-Certo che potresti anche cercare di sorridere ogni tanto,
Coralin… Sembri uno zombie!-
Alzando il muso dal proprio vassoio pieno di cibo
dall’aspetto e dall’odore fin troppo sospetto e
costretto com’era a rimanere fermo in piedi, intrappolato
nella fila che si era formata, Viral aveva sentito la Capo- Cuoca,
Chrom, rivolgersi alla donna con un ché di fare accusatorio.
Se non altro ora sapeva anche il suo nome.
Coralin non aveva neanche distolto lo sguardo dal suo
“lavoro”, prendendo col mestolo sporco la zuppa
verdastra e riempiendo in malo modo il piatto di un povero sventurato
davanti a lei.
-Sarebbe abbastanza stupido sorridere senza un valido motivo,
signora…-
Aveva la voce flebile, come quella degli ammalati. Probabilmente nel
suo intimo considerava inutile anche farsi capire dagli altri
– o semplicemente da coloro che non riteneva degni di tale
onore.
Si sentì Chrom sospirare pesantemente, presa da
chissà quale sconforto.
-Potresti ricordare ogni tanto di essere giovane e bella. Credo che
questi siano motivi più che sufficienti per essere felici,
alla tua età!-
Coralin prese un piattino di gelatina rossa e lo schiacciò
con impeto sopra il vassoio di Viral, senza mutare assolutamente
espressione.
-Non sono un animale. Vorrei avere qualcosa per continuare a respirare
di mia volontà senza che sia l’istinto di
sopravvivenza a dettarmene il bisogno…-
La donna alzò gli occhi sulla Bestia, incrociando il suo
sguardo incredulo.
Fu un solo attimo, poi venne sospinto via da un compagno ansioso di
togliersi di mezzo il prima possibile.
Sangue, polvere, sabbia.
Non si fermava mai, non cessava mai di muoversi.
Come formiche indegne, gli Uomini uscivano da ogni dove, cercando quel
posto sotto il sole benevolo che – lo dicevano loro
– gli apparteneva di diritto.
Infidi e rozzi, creature sciocche e arroganti.
Viral era sempre lì, in prima linea, ad insegnar loro quale
fosse il loro vero posto.
Là dove non arriva alcuna luce,
assieme ai vermi e alle talpe spaurite.
Una razza tanto misera non poteva avere la pretesa di considerarsi loro
pari – questo la sua mannaia insegnava, questo Enki.
E il sangue, a quel punto, si mescolava alla sabbia calda. Ancora e
ancora.
-Posso chiedere cos’hai da fissare, Sterminatore?-
Viral non era una persona che conosceva molto bene la discrezione
– tutti lo sapevano, e chi ancora lo ignorava andava a
sbattere contro un muro fatto di cemento e chiodi appuntiti.
Eppure Coralin non rimase tanto impressionata dal ghigno poco
rassicurante che l’altro le srotolò sotto gli
occhi, o almeno così parve.
-Mi stavo solo chiedendo come mai sei ancora qui dal momento
che è palese che i militari non ti piacciono!-
La poltiglia giallognola dalla paletta in mano a lei passò
direttamente al piatto di lui con un sonoro
“squaw”. Nessuno dei presenti –
spettatori e non – le diede attenzioni, troppo presi
dall’assistere allo scontro verbale e visivo intrapreso dai
due.
Coralin alzò un sopracciglio scettico, come a considerare
quell’individuo non troppo superiore al cibo che distribuiva
con malgarbo a chiunque gli si parasse davanti.
Una cosa simile alla feccia, per cui.
-Devo pur sopravvivere in qualche modo… Nella nostra
società non danno mai nulla per nulla, sicché la
gente è costretta a lavorare…-
Viral sbuffò, parecchio irritato.
-Dovresti essere grata a tutti noi, donna! Dopotutto, stiamo estirpando
l’erbaccia che nuoce alla comunità! Senza il
nostro intervento gli Umani farebbero di questa terra uno sfacelo!-
Il sopracciglio di Coralin si alzò ancora di più,
palesando un fin troppo acuto scetticismo.
-Ne dubito assai… Ma cosa mai potrebbe pensare uno che non
fa altro che agitare un coltello a destra e a manca? Sicuramente, il
tuo senso critico giace qualche metro sotto terra…-
Viral si zittì per qualche istante, mentre
l’istinto omicida che era in lui si risvegliava furiosamente
e lo invitava con una certa urgenza a prendere la prima arma
disponibile alla sua mano e cavare qui dannati occhi scuri dalle loro
orbite.
Si trattenne, cominciando a fumare di rabbia come mai aveva fatto
– però non riuscì a non urlare mentre
si allontanava dal bancone a grandi passi.
-Certa gente non capisce né capirà mai!-
Sangue, polvere, sabbia.
L’avevano detto, i Re Celesti: nessuna pietà, per
nessuno. L’avevano detto e ripetuto, con
quell’impeto tipico dei comandanti che non hanno rivali.
Lui, da buon soldato, aveva obbedito con fin troppo zelo.
Rideva, rideva e rideva. Rideva per l’assoluta certezza di
star agendo nel giusto, di non sbagliare nulla nelle proprie azioni.
Non quando a cadere era un vecchio dalla lunga barba candida, non
quando lo faceva una madre con in braccio il suo bambino.
Tutto quello era utile, tutto quello era necessario, in
un’assurda logica che lui – lo sapeva –
non aveva diritto di comprendere, ma il dovere di assecondare.
E il sangue, a quel punto, si mescolava alla sabbia calda. Ancora e
ancora.
Aveva pensato, sempre più spesso, di richiedere a Thymilph
di essere spostato di zona.
Il deserto sabbioso non era il luogo a lui più congeniale,
preferiva di gran lunga sassi rossi e gole profonde, dove
l’eco si perdeva tra superfici lisce di pietra e lo sguardo
si confondeva in un orizzonte dai colori caldi.
Aveva desistito, ogni volta, dallo smuovere un passo dalla sua
posizione. Forse intuiva che, dato il ruolo che rivestiva,
difficilmente il Re avrebbe acconsentito dall’allontanarlo
troppo da una zona di frontiera dove gli attacchi erano
all’ordine del giorno – non, almeno, senza un
motivo più che serio.
E un suo capriccio non rientrava certo in questa categoria.
Ma forse era meglio così. Forse era meglio occupare il
proprio corpo in una battaglia continua e duratura piuttosto che
lasciare che la mente vagasse pericolosamente per i fatti propri,
lontano da ogni logica che si conveniva a una Bestia quale lui era.
Eppure, sentiva distintamente che mancava qualcosa…
-Quante teste Umane hai reciso oggi, signor Sterminatore?-
Viral guardò Coralin pieno di astio negli occhi, quasi la
volesse incenerire.
-Tu conteresti le formiche che ti si appiccicano alla suola della
scarpa quando calpesti un formicaio?-
Vide però solo stanchezza rassegnata dipingersi negli occhi
della donna, quasi ogni sua parola fosse banale e scontata, priva di
attrattiva.
-Ripeti sempre gli stessi concetti, fino alla nausea… ma non
ti stanchi mai?-
Viral alzò le spalle stizzito, troppo stanco per arrabbiarsi
sul serio – non avrebbe urlato quella volta, non avrebbe dato
un’altra soddisfazione a quella donna.
-Si chiama coerenza, questa!-
E per la prima volta sentì qualcosa di più che la
semplice indifferenza nella sua voce, qualcosa di simile alla vera
rabbia.
I suoi occhi furono per la prima volta vivi.
-Solo gli stupidi restano della stessa opinione quando tutto il resto
attorno a loro cambia… Si vede che sei un soldato, la tua
unica ragione di vita è far scorrere del sangue, e
finché ci saranno teste da mozzare tu continuerai a sentirti
vivo. Ma una volta che tutto sarà finito, che
rimarrà di te? Nient’altro che polvere in mezzo a
un cumulo di cadaveri!-
Silenzio, ancora. Poi l’oggetto che Coralin teneva
tra le mani si mosse, invitandolo implicitamente a muoversi –
e alla svelta.
-E ora scansati che tocca al prossimo…-
Sangue, polvere, sabbia.
Per quanto fosse esaltante catturare e uccidere gli Umani, la
stanchezza di vedere budella sempre della stessa forma rotolare fuori
dai ventri alla lunga stancava – alla lunga metteva alla
prova l’anima, ponendo di fronte dubbi innominabili.
Perché continuare una Guerra infinita che pareva non avere
senso?
Per quanto il suo viso ghignasse di soddisfazione incredibile ogni volta
che la mannaia lesta recideva una testa, per quanto lo spirito si
esaltava ballando su cadaveri mutilati di tutto inneggiando ad un odio
senza pari, Viral sentiva che qualcosa non tornava.
E certo, considerando la natura della sua professione, quei dubbi erano
davvero fuori luogo.
Ma finché non avrebbe considerato gli Uomini altro che carne
da macello, allora andava bene.
E il sangue, a quel punto, si mescolava alla sabbia calda. Ancora e
ancora.
Si era ritrovato solo, in un angolo isolato della mensa, a ragionare
sopra una zuppa di cavoli dall’odore disgustoso.
Quel giorno aveva ucciso cinquantasette umani. Li aveva contati uno a
uno. La cosa era stata fin troppo deleteria, per lui.
Cinquantasette. Un numero davvero spropositato, contando quanto
lentamente gli Umani si riproducessero.
Il punto era che si era reso conto di star davvero contando i cadaveri
che lasciava sul terreno solo dopo che si era concluso il tutto
– quasi a ricordare le parole irritanti di una certa persona
in un luogo indebito e in una situazione assolutamente inopportuna.
Sospirò, affondando il cucchiaio nella melma chiara. Non
aveva fame.
-Non hai fame, signor Sterminatore?-
Viral alzò gli occhi stancamente, ritrovandosi la figura di
Coralin fin troppo vicina.
Ora che la guardava, senza bancone né cibo nauseante a
nascondere le sue fattezze, gli pareva quasi avere una sua
fisicità.
Alta, slanciata, forse addirittura bella. Ma i suoi occhi scuri erano
sempre e comunque spenti.
Ghignò, guardandola torvo.
-Non sono dell’umore adatto a battermi ancora con te,
donna… Lasciami in pace…-
Lei non disse nulla per parecchi minuti, restando immobile a fissarlo
in piedi.
Viral ebbe la tentazione di alzarsi e andare via, di
urlarle contro qualcosa di sgradevole che la costringesse a sloggiare,
ancora di buttarle la zuppa in faccia così che non gli
rivolgesse più la parola.
Era irritante, persistente quanto la coscienza che aveva messo a tacere
da fin troppo tempo.
Forse, proprio in virtù di questa considerazione,
sospirò appena e disse a bassa voce.
-Li ho contati, questa volta… li ho contati…-
Ancora silenzio. La Bestia pensò di ridere, scacciando
così ogni sensazione opprimente, ma lei fu più
lesta.
Si sedette accanto a lui, guardandolo in viso in maniera strana
– dolce, forse?
-Io mi chiamo Coralin. Dimmi come ti chiami, così che io
possa pronunciare il tuo nome la prossima volta…-
Sangue, polvere, sabbia.
Enki pareva cigolare ogni volta che si muoveva, ormai. La mannaia
s’era fatta pesante e il sangue rosso degli Uomini non pareva
più così lucente come una volta.
Non ghignava più, Viral. Urlava e basta.
Urlava un odio che sentiva sempre più flebile e lontano
– che lasciava sempre più posto
all’indifferenza e al dubbio. Urlava a più non
posso, cercando la verità che aveva sempre guidato le sue
zanne e i suoi artigli.
Non la vedeva più, non la scorgeva più. Ormai il
suo corpo pareva più quello di un burattino che quello di un
essere vivente in quanto tale.
Ma forse non era stato sempre così, fin dal principio?
Non lo sapeva, non lo voleva sapere.
E il sangue, a quel punto, si mescolava alla sabbia calda. Ancora e
ancora.
Benché ogni tanto le sue parole abbandonavano
l’astio che le aveva caratterizzate all’inizio,
Coralin non accoglieva mai Viral calorosamente quando rientrava da una
missione di sterminio.
Era sempre accigliata, sempre scorbutica, sempre di malumore.
Viral se ne rendeva conto ora meglio di prima, quanto poco apprezzasse
la sua mansione – ma dopotutto, più di tanto non
poteva fare: lui era nato per quello.
-Potresti sempre chiedere di fare altro… Insomma, in una
società non esistono solo i militari…-
Viral aveva ghignato, incapace di sorridere in maniera triste.
-Non è così semplice… Non mi
lasceranno andare tanto facilmente. Io servo loro!-
Coralin l’aveva guardato in viso, addentrandosi nel suo
sguardo come poche altre persone erano state in grado di fare con lui.
Tremò appena, come trapassato.
-Viral, non è questione di altri. Sei tu che non vuoi
staccarti dal campo di battaglia… Hai forse paura di
smarrirti? Non è un luogo impervio quello che
esploreresti…-
La Bestia spostò lo sguardo su altro – che quegli
occhi non lo fissassero a quel modo, dannazione!
Ghignò, sputando parole piene di sarcasmo.
-Facile a dirsi per una persona come te! Quando sei stato abituato a
fare nella vita solo e soltanto una cosa non puoi cambiare tanto
facilmente! Non si può, non è possibile!-
Ancora una volta Viral sentì la rabbia nelle sue parole,
ancora quell’irritazione acuta.
Si chiese in effetti cosa mai spingesse Coralin a provare cotali
sentimenti.
-Che senso ha continuare a fare una cosa che non si comprende? Vuoi
ridurti a essere un oggetto? Che razza di uomo sei?-
Tornò a guardarla, senza sapere bene cosa fosse.
Ma ancora una volta, lei fu più veloce della sua lingua: si
alzò dalla sedia dove era seduta accanto a lui e se ne
andò, senza più dire nulla.
Sangue, polvere, sabbia.
Ormai Viral evitava di andare in prima linea, laddove il sangue
scorreva più rapido e le urla di morte riempivano le
orecchie.
Era saturo, completamente.
Aveva indugiato nell’uccidere un ragazzo che, con le mani
congiunge davanti al viso, gli aveva chiesto pietà
– solo dopo qualche secondo la sua arma si era abbattuta su
di lui, tranciandogli di netto metà del petto.
Non provava più nulla, non sentiva più nulla.
Aveva i loro occhi di fronte ai propri, le grida lo tormentavano di
notte così come i loro fantasmi perseveravano
nell’apparire di fronte a lui in ogni singolo istante.
Non capiva più nulla.
Forse per disperazione, forse nella ricerca di una felicità
perduta tempo addietro, Viral si era ritrovato a stringere tra le
braccia il corpo esile di Coralin fin troppo spesso.
L’aveva trovata morbida la prima volta, piacevole la seconda,
necessaria tutte le altre.
Era egoista – lo sapeva benissimo lui per primo –
sconfiggere la malinconia che provava con l’oblio dei sensi
che durava qualche attimo. Eppure cominciava a trovare bello e
appagante baciare il suo viso e vedere un leggero rossore tingerle gli
zigomi quando l’accarezzava piano, delicatamente.
Non credeva di poter provare sensazioni simili, non ancora una volta.
Far scivolare le dita nei suoi capelli – farli scorrere per
tutta la loro lunghezza – semplicemente sentire il suo
respiro calmo e tranquillo accelerare di tanto in tanto quando erano
soli e quando le sue labbra la richiamavano alla dolcezza pareva avere
un significato che altrove, la Bestia, davvero non trovava.
Aveva cominciato quindi a rifuggire qualsiasi cosa, era mosso da fretta
durante le missioni, era diventato schivo e ancora più
scorbutico del solito.
Aveva imparato a sorridere in tali situazioni che quasi lui stesso se
ne era vergognato – ma solo per un istante, poi Coralin
sorrideva a sua volta e niente aveva più importanza.
E avrebbe continuato a essere così, all’infinito.
Farsi un’amante non era cosa poi così rara in una
Caserma militare.
Eppure qualcosa cambiò quando Coralin ebbe la pretesa di
volerlo per sé – e lui non provò alcun
fastidio per questo.
Forse successe tutto così in fretta proprio
perché a Viral mancava la reale intenzione di frenare la
cosa, troppo assuefatto dalle emozioni che lo animavano.
La notte gli piaceva più del giorno – e il
crepuscolo che tingeva di rosso ogni cosa si tingeva della pallida e
rassicurante promessa di ore piacevoli.
La luna, a quei tempi, non era mai stata così bella.
-Penso di essere incinta, Viral…-
La Bestia era stata zitta, guardando con una certa apprensione la mano
di Coralin che accarezzava un ventre piatto e non ancora gonfio.
La sua mente si ritrovava in una bolla di stasi completa.
Sussurrò a malapena, quasi avesse paura forse di farsi
sentire da qualcuno.
-È un problema…-
Coralin lo guardò a lungo, senza fiatare –
probabilmente aspettando il resto.
Nessuna parola arrivò, solo un vortice di
emozioni dentro la testa dell’uomo.
La rinuncia avrebbe comportato una palese sconfitta, ma certo non
poteva permettersi di abbandonare la donna in quelle condizioni.
Sarebbe stato vile, lo riconosceva anche lui.
Inoltre era stanco, stanco di doversi dividere tra un dovere che non
sentiva più proprio e una vita che stava dichiarando a gran
voce la propria esistenza.
La donna, ancora una volta, lo capì appieno.
-Non voglio che questa sia una scappatoia, per te. Non voglio averti se
non ne sei convinto. Se così non fosse, preferirei averti
lontano che sentirti costretto vicino a me. Non usare nostro figlio per
fuggire, fallo tu. E allora noi ti seguiremo anche fino in capo al
mondo…-
Viral l’aveva guardata in viso, atono
nell’espressione e negli intenti.
Poi aveva sorriso, dimenticando in un angolo remoto tutto il resto che
non fosse una convinta felicità
-Parlerò con il Nobile Thymilph il prima
possibile…-
E, allora, Coralin aveva sorriso a sua volta.
Nacque femmina, la chiamarono Haname. Era bionda come entrambi i suoi
genitori, strillava come una dannata ogni santa notte rubando sogni e
sonno in una quantità considerevole.
Eppure Viral imparò a godere di ogni più piccolo
sorriso, di ogni singolo gesto compiuto da quelle manine paffute e
grassocce – l’espressione gioiosa di quella
creaturina fu la sola ragione di vita che riuscì a
colorargli i giorni a quel punto.
Lontano da ogni campo di battaglia, lontano da ogni minima traccia di
lotta, Viral era riuscito a isolare sé e la sua nuova
famiglia, cedendo al nulla il nome e l’orgoglio di
Sterminatore.
Sorrideva Viral, sorrideva Coralin, sorrideva Haname. Questo era la
sola cosa veramente importante – la Bestia lo comprese fin
troppo rapidamente.
E ora le sue mani sporche non puzzavano più di sangue.
*****
Quel giorno – quel istante – aveva ricordato tutto.
Il “qualcosa” che tanto gli era mancato si era
palesato ai suoi occhi con tutta la forza donatagli dalla
verità intransigente.
Alla fine, anche Coralin era una semplice via di fuga, un espediente
della sua mente per salvarsi da una realtà che non si poteva
accettare con facilità.
Faceva male, terribilmente male la consapevolezza di non essere altro
che un vile vigliacco.
Eppure era stato felice – davvero felice
– durante quegli attimi di pura illusione.
In fondo, solo quello importava. Non altro.
Quella era una favola senza morale alcuna, un gioco stupido di intenti
e di volontà ferita.
La ricerca di un senso che colorava il tutto.
Viral lo sapeva bene, Viral l’aveva compreso fin
dall’inizio.
Qualsiasi fosse la partenza, alla fine il traguardo era sempre e
comunque quello.
Non si voltò, neanche un secondo, a guardare negli occhi
Coralin.
Sarebbe bastato, in un futuro, chiudere gli occhi e sospirare cercando
calma e serenità.
E l’avrebbe vista, mentre sorrideva mesta, andandogli
incontro a braccia aperte.
Così, per sempre così.
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