..::.Come
una lucciola.::..
Pioveva.
Pioveva ormai da molti giorni al
Grande Tempio di Atene, incessantemente come una nenia, pesante come
il piombo che nel proprio cuore portava, chi in quei giorni piangeva
le anime perdute dei propri fratelli, dei propri amici, di valorosi
cavalieri.
Il vento soffiava, forte e rabbioso,
piegando le fronde degli imponenti alberi che presiedevano la zona al
proprio volere, proprio come gli Eventi e il Destino avevano fatto le
vite degli abitanti del luogo.
Tutte le verdi colline che
circondavano la città, e che in primavera erano un tripudio
di fiori
e bellezza, erano ora un enorme pozzanghera, un convoglio di acqua e
fango.
Di dolore e desolazione.
Un 'unica, immensa coltre di nubi
grigie copriva il cielo, pesanti, così scure e lugubri da
non
permettere a nessun sprazzo d'azzurro di mostrarsi al mondo.
Nessuno tranne uno.
Due occhi azzurri, due occhi del
medesimo color del cielo dopo la tempesta, splendevano ora di lacrime
nel silenzio di quel grande giardino solitario, fissi su una lapide,
fissi su una tomba, la tomba che recava con onore le spoglie mortali
di un Grande Cavaliere, di un nobile guerriero, di un uomo amato.
Era lì da ore ormai, Milo di
Scorpio, da prima ancora che la pioggia avesse cominciato a battere
incessante, forse da ancora prima che il sole sorgesse.
Perché non
vi era altro posto al mondo, dove il Cavaliere volesse essere: in
piedi, di fronte alla tomba di Camus dell'Acquario, vestito della
Sacra Armatura che da anni deteneva.
Una lacrima, non la prima e di certo
non l'ultima, scese solitaria dal suo occhio sinistro, scivolando
lentamente lungo la guancia e perdendosi poi nell'aria.
Tutto dentro di lui, era come
nebbia.
Nebbia che lo opprimeva, che lo
oscurava, lui ora anima perduta costretta a vagare solitaria, senza
un appiglio, senza un appoggio, solo in quel mare di nebbia che lo
soffocava lentamente, giorno dopo giorno da quando era successo, in
quel luogo, in quel tempio che una volta gli era parso così
bello e
luminoso, e che ora gli era estraneo, lontano, quasi stretto.
Un tuono rombò nell'aria, forte
potente, per pochi attimi prima che il silenzio calasse di nuovo sul
giardino. Silenzio sovrano, come una cappa oscura che su di lui era
scivolata, avvolgendolo completamente, isolandolo dal mondo intero,
dai suoi compagni, dalla sua vita.
Perché non c'era più vita ora.
Non senza Camus.
E Camus non era più con lui.
A che cosa erano servite le Guerre,
le Battaglie che avevano vissuto insieme? Che fine avevano fatto
tutte quelle promesse tra di loro sussurrate?
Il Cavaliere dello Scorpione non lo
sapeva.
Sapeva solo di essere solo.
Senza Camus.
E quella solitudine, era più fredda
dei ghiacci di cui un tempo il suo amato era Signore.
Veniva tutti i giorni Milo, veniva
sempre a trovare il suo amato, e per ore e ore restava in silenzio, a
piangere, a ricordare i momenti che avevano trascorso e condiviso
insieme, a chiedersi perché il Fato avesse voluto separarli.
Loro due, indubbiamente anime
gemelle.
Loro due, uniti dal cielo di Atene.
-Torna qui
Aiolia!-.
Un assolato
pomeriggio d'estate, una calda e torrida giornata di fine agosto,
accoglieva ora le sue risa da bambino, e la lieve brezza proveniente
dal mare portava con se il calore della sabbia e il profumo della
salsedine.
Milo, futuro
Cavaliere dello Scorpione, un bambino vivace, sveglio e curioso,
almeno a detta dei cavalieri più grandi che si occupavano
della sua
istruzione, dai capelli biondi come l'oro e gli occhi azzurri, grandi
e curiosi come il mare.
Correva assieme
ad Aiolia, il suo migliore amico e futuro Cavaliere del Leone, un
ridente bambino dai riccioli biondi, così simile ad Aiolos,
suo
fratello e loro maestro. Correvano insieme per i giardini del Grande
Tempio di Atene, dopo una lunga giornata di allenamenti, ruzzolando
giù per le colline e lasciando che la gente scuotesse appena
il capo
al suono delle loro risate divertite.
Erano quelli,
coloro che un giorno avrebbero avuto l'onore di indossare le sacre
Armature dorate?
Si chiedevano
gli abitanti della città, scuotendo il capo con sospiri
rassegnati.
Ma ai due
bambini non importava.
Correvano e
giocavano, come se fossero ragazzini qualunque.
Urlavano e si
sfidavano, sotto gli occhi divertiti del Cavaliere del Sagittario,
che a distanza controllava che non si mettessero nei guai.
-Non mi prendi
Milo!!!- rideva Aiolia, superando di alcuni metri il compagno di
giochi, che serrando cocciutamente le labbra, non poté che
rispondere alla provocazione aumentando la velocità,
cercando di
star dietro al felino compagno.
-Ma sentilo!
Sei ancora un bambino, non mi raggiungerai mai!-.
-Anche tu sei
un bambino!-.
Sottili e
innocenti provocazioni.
Parole di gioco
e di scherzo.
Poteva esserci,
qualcosa in grado di renderlo più felice?
-Hei Milo!-
esclamò d'un tratto Aiolia, fermandosi di colpo su uno
sperone di
roccia che dava come vista l'intero porto e allungando la manina di
fronte a se, indicando qualcosa di lontano -Guarda! E' arrivata una
nuova nave!-.
Milo, di corsa,
raggiunse il compagno, andando ad affiancarsi a lui sulla roccia
sporgente -Una nave che proviene da lontano...- confermò,
portandosi
una mano sugli occhi per ripararli dal sole e poter meglio vedere
-Secondo te da dove viene?- domandò, curioso.
-Non lo so...-
rispose l'amico, con fare perplesso, prima di illuminarsi di
curiosità-andiamo a vedere?- domandò.
Non ci fu
nemmeno tempo per le risposte.
Il sorriso
birbante sul volto di Milo fu sufficiente.
E di nuovo
corsero, giù per la collina, in fretta prima che la nave
giungesse
al porto, in fretta per vedere chi stava arrivando ad Atene.
E lì, sotto il
sole cocente, intento a scendere dalla nave che lo aveva portato fin
lì, lo vide.
Vide ciò che
poteva renderlo più felice.
Un bambino
piccolo e magro, dai capelli color del fuoco e gli occhi di un
intenso colore dorato, serio, intimidito, calmo mentre ascoltava
silenzioso la voce del Cavaliere dei Gemelli, che era stato mandato
ad accoglierlo.
Un Cavaliere
d'Oro, mandato ad accogliere il bambino appena arrivato.
Voleva dire
forse, che un nuovo bambino eletto era giunto ad Atene?
Milo non ci
pensò su molto.
Era un bambino,
e quella spontaneità gli era concessa.
Si avvicinò
trotterellando sulle proprie gambe, sorridendo a quel bambino dai
capelli color del fuoco e tendendogli la mano -Io sono Milo. Tu chi
sei?-.
Il bambino
aveva alzato lentamente lo sguardo su di lui, quasi ignorando la mano
che gli era stata porta, distogliendo lentamente gli occhi dal
Cavaliere dei Gemelli, che non appena li aveva visti aveva scosso il
capo -Camus..- rispose. La sua voce era dolce e timida come quella di
un uccellino.
-Vieni a
giocare con noi?-.
Quella frase,
una semplicissima frase detta da un bambino, bastò a legarli
da quel
momento per tutta la vita.
Le labbra di Camus si schiusero appena, perplesse, come se
volesse parlarle ma non
sapesse che cosa dire. Portò gli occhi dorati in quelli del
Cavaliere dei Gemelli, guardandolo con aria interrogativa.
Il Cavaliere,
scoppiò a ridere, divertito da quella scena -Milo, lascialo
respirare, non vedi che è appena arrivato?-
domandò, scuotendo il
capo.
-Ma io voglio
giocare con lui!- esclamò Milo, non capendo
perché il fatto che
fosse appena arrivato dovesse impedirgli di giocare -Sei carino come
una lucciola, sai?- mormorò inaspettatamente, scrollando poi
le
spalle e lasciandosi andare in una dolce risata divertita.
-Una lucciola?-
domandò il bambino, improvvisamente intimidito.
-Sì, una
lucciola!- esclamò Milo, divertito -Sai... hai i capelli
luminosi
come il sole!-.
Camus si voltò
verso di lui, lasciando che i loro occhi si incontrassero per la
prima, ma non ultima volta. Stranamente, un sorriso comparve sul suo
volto timido e vagamente freddo, forse troppo per un bambino
così
piccolo.
Milo gioì di
quel sorriso per lui
Quel pomeriggio
forse, non giocarono insieme, ma in seguito avvenne per ogni
pomeriggio avvenire, per tutto il susseguirsi dell'estate, un giorno
dopo l'altro, sempre insieme.
Milo. Camus.
Spesso e volentieri anche Aiolia.
Un avventura
sempre nuova, un gioco sempre più divertente, un allenamento
dietro
l'altro per diventare Cavaliere... un'estate tra le più
belle.
E dopo
l'estate, venne l'anno.
E gli anni.
E sul finire
del mese di agosto, Milo, così piccolo, comprese l'unica
grande
verità che per sempre avrebbe guidato la sua vita.
Lui e Camus,
sarebbero stati insieme per sempre.
“Per sempre è un tempo molto
lungo...” diceva sempre Camus, sorridendo divertito quando
Milo gli
confessava il suo amore eterno e imperituro. Tuttavia, il Cavaliere
dello Scorpione sapeva, che anche il compagno la pensava come lui, e
che niente al mondo avrebbe loro impedito di proseguire in quel
“per
sempre”.
Niente, ad eccezione della morte.
Quella piccola, sporca traditrice
che loro non aveva calcolato, che si era intromessa nella loro vita
sotto forma del Cavaliere del Cigno, Cavaliere che nonostante tutto,
nonostante fosse stato lui a porre fine alla vita dell'amato, non
riusciva ad odiare.
Forse perché Camus, lo aveva
rispettato così tanto.
Altre lacrime silenziose si
aggiunsero alle precedenti, mentre il tuono scrosciava ancora,
incontrollato, quasi le forze della natura volessero mettersi a
piangere a loro volta per l'ingiusta sorte toccata al Cavaliere,
quasi volesse soffocare il suo interno urlo di dolore...che nessuno
lo sentisse! Che nessuno ne fosse a testimonio!
Come avrebbe potuto affrontare la
vita, ora?
Scosse il capo, leggermente, forse
nel tentativo di cancellare le lacrime che gli rigavano il volto
copiosamente ora... i capelli color dell'oro, cadevano ora fradici ai
lati del volto distrutto, cornice perfetta per quel quadro di
angoscia che ormai era il Cavaliere dello Scorpione.
La paura non era sentimento che si
addice a un Santo di Atena, eppure non poteva far altro che provarla,
senza vergogna alcuna. Era un peso opprimente, una sensazione che non
riusciva a scrollarsi di dosso, una ferita che non guariva.
Non piaceva a Milo, avere paura.
Ma ora non poteva proprio farne a
meno.
-Se ti dico che ho paura, mi
prenderai in giro?- domandò Milo, il giorno della loro
investitura a
Cavalieri.
Erano ormai passati anni dal loro
arrivo al Tempio, dal loro primo incontro, e finalmente, il Gran
Sacerdote aveva ritenuto che il loro addestramento fosse concluso, e
che fossero ormai degni di indossare le sacre Vestigia.
Ultimo della fila, forse per la
paura di sbagliare in qualcosa, aveva prima visto i suoi amici,
quelli con cui era cresciuto, venir benedetti e poi rivestiti delle
Sacre Armature che avrebbero portato da quel momento in poi,
assaporando quasi con gusto la tensione e la gioia che vedeva
riflessi nei loro volti.
Death-mask, che non gli era mai
piaciuto tanto e che sembrava così buffo nella sua
serietà.
Aphrodite, bello come una bambola e
che sapeva brillare più di tutti anche in quel momento.
Shaka, che sereno e composto
avanzava, primo della fila.
Mu, silenzioso e concentrato, che
non tradiva il minimo segno d'ansia.
Aiolia, che non aveva esitato.
Camus, che si era inchinato senza
paura di fronte all'altare del Gran sacerdote, chinando il capo di
fronte a quell'onore meritato, al frutto delle loro fatiche.
Milo aveva osservato quest'ultimo in
ogni istante, in ogni dettaglio mentre pronunciava il suo giuramento,
mentre il Gran Sacerdote lo investiva a Cavaliere...non vi era ombra
di preoccupazione, non vi era tensione, semplicemente quella calma e
dolcezza che lo avevano colpito fin dal primo istante in cui si erano
visti, quell'alone di freddezza che aveva acquistato nel suo
soggiorno presso la Siberia.
-Non vedo perché tutta questa paura
Milo...- gli aveva detto il ragazzino con noncuranza, mentre erano
seduti ad attendere la chiamata del Gran Sacerdote -E' il nostro
destino, siamo nati per questo... e poi...- aveva abbassato la voce,
distogliendo lo sguardo -Non vogliamo deluderci a vicenda... vero?-.
No.
Non lo voleva.
Di tutte le persone che conosceva,
Camus era l'unico che non voleva deludere.
-Lo so che è stupido...-.
-Sì, sei stupido...- convenne
Camus, freddamente.
-Lo so che è stupido...- continuò
Milo, fulminando l'amico con lo sguardo per le parole appena dette
-Ma non posso fare a meno di chiedermi se ne saremo degni...-.
-Ti fai troppe paranoie Milo...- il
tono di Camus, si era fatto improvvisamente strano, improvvisamente
meno freddo. E il suo sorriso, era tra i più dolci che
avesse mai
visto in vita sua -Sei la persona più degna che io conosca.
Mi fido
di te...-.
E con il suo sorriso nel cuore era
andato ad inchinarsi, attendendo lui stesso di pronunciare il sacro
giuramento, attendendo che l'armatura d'oro finalmente lo ricoprisse.
Milo Di Scorpio.
E com'era stato bello, vedere
l'espressione serena e orgogliosa di Camus!
Aiolia lo aveva abbracciato, ridendo
di gioia, e lo stesso aveva fatto Camus, stringendolo a se in un
abbraccio un po' freddo, ma che era colmo di affetto e gaudio. Forse
nonostante le sue parole, anche lui aveva avuto paura di deluderlo
alla fine.
-Hai visto, che non siamo capaci di
deluderci?- aveva detto, guardandolo di sottecchi mentre avevano
iniziato a sfilare per le vie di Atene, dove ora la gente gioiva in
gran festa, acclamando i nuovo Eletti che finalmente avevano concluso
il loro addestramento, pregando i nuovi Santi che vegliavano su di
loro.
Milo aveva scosso le spalle, troppo
felice ma anche troppo orgoglioso per ammetterlo.
E quando infine vennero portati dai
Cavalieri più grandi nelle loro nuove Case, Case dove da
quel
momento avrebbero dovuto vivere e vegliare, Milo non si
stupì nel
sentire la mano dell'amico infilarsi nella propria con una
naturalezza che avevano mantenuto dall'infanzia, in un gesto di
saluto che era momentaneo.
Perché si, Milo lo sapeva, che dopo
il rituale di insediamento nell'undicesima Casa, Camus sarebbe sceso
da lui, per parlare ancora di quella magica giornata. E mentre
guardava l'amico, salire le scale che portavano alle Case
più alte,
improvvisamente capì la natura della paura che lo aveva
animato
durante la giornata.
Non temeva di non essere degno del
tempio.
Temeva di non essere degno di Camus.
E stranamente, quella constatazione
non arrivò così inaspettata come credeva.
Con un sospiro, si diresse verso la
balconata della propria Casa, spalancando gli occhi di stupore,
quando si accorse che sul far della sera, una miriade di piccole
lucciole avevano fatto la loro apparizione, regalandogli quello
spettacolo così dolce, che gli portava alla mente il suo
amico.
Il suo amato.
-Camus... mi sa tanto che ti
amo...-.
“Ti amo...”
Quanto avrebbe voluto ripetergli
quella parola ancora una volta, e ancora una volta sentirla
pronunciare dalle labbra di Camus...quel sussurro dolce come il
miele, e che ora gli scavava dentro come un ramo puntuto, come se
volesse dilaniarlo anziché confortarlo.
Perché doveva essere tutto così
dannatamente difficile?
Perché i ricordi che avrebbero
dovuto consolarlo, lo stavano lentamente mettendo in ginocchio?
Lentamente, la mancina si portò al
volto, le dita appena tese per sfiorare il cristallo liquido che gli
rigava le guance, saggiandole quasi con delicatezza, e lasciando
queste gli scivolassero tra le dita, gocciolando a terra.
Tra la terra che ospitava Camus.
Ti amo.
Erano difficili quelle parole,
difficili e cariche di sentimento, difficili e pregne di dolore,
quasi quanto la parola addio, sebbene il suono fosse molto diverso.
Odiava gli addii.
Specie se erano per sempre.
-Non voglio che tu vada via...-
mormorò Milo, sconsolato, la sera che seppe che Camus stava
per
partire per la Siberia.
Non era da moltissimo che erano
diventati ufficialmente Gold Saint, eppure a Milo, pareva che
stessero lavorando da tutta la vita! Fin dal primo giorno del loro
insediamento, c'erano state missioni, riunioni una dopo l'altra, e
anche gli addestramenti non erano certo terminati.
E quando finalmente, trovavano un
periodo di calma, ecco che Camus arrivava tutto tranquillo, freddo
nelle sue energie glaciali, a sganciare la terribile bomba: gli erano
stati affidati due allievi, e doveva partire per il loro
addestramento.
Mai una notizia aveva avuto il
potere di distruggerlo più di quella.
Perché se prima stare lontano da
Camus gli era difficile, ora che si era reso conto di amarlo, era
addirittura impossibile!
Non desiderava altro che stargli
accanto, parlargli, riposare al suo fianco dopo le estenuanti ore di
allenamento serale...avrebbe voluto di più, ma fin ora non
aveva mai
trovato il coraggio di parlargliene, nonostante si dicesse che era
impossibile, che l'amico non ricambiasse i suoi sentimenti.
Com'era possibile che fosse
diversamente?
Loro erano fatti per stare insieme.
Semplicemente anime gemelle.
E Milo lo pensava ogni momento, ogni
secondo che passavano insieme. Anche ora, che sedevano sul letto
della camera dello Scorpione, dopo aver cenato insieme, intenti in
una delle loro conversazioni serali prima di andare a dormire.
-Milo...- lo apostrofò blandamente
il Cavaliere dell'Acquario, voltando verso di lui i magnetici occhi
dorati -Non farei i capricci come un bambino piccolo...-.
-Uff- brontolò l'altro, incrociando
le braccia sul petto e mettendo il broncio -Certo, dici a me non di
fare il bambino. Intanto sono io che resterò solo e senza di
te!-
brontolò.
Il volto del rosso, si fece appena
perplesso -Milo... vorrei farti notare, che sono io che me ne vado in
Siberia, isolato da tutti...-.
-Posso venire anche io??-.
-No!-.
-Hai ragione, scusa. Domanda
scema...- ovvio che non poteva. Però quanto gli sarebbe
piaciuto...-Ma io che cosa farò, senza di te??-
pigolò, guardandolo
come un cucciolo abbandonato sul ciglio della strada.
-E io che ne so...- rispose Camus,
freddamente, scrollando le spalle con un gesto noncurante -Vediti con
Aiolia...-.
-Certo che tu sei sempre così
freddo. Non hai nemmeno un briciolo di pietà per me, che mi
lasci
solo? Sai che non farò altro che parlare di te? Aiolia mi
odierà, e
se litigheremo e lo perderò come amico, sarà
tutta colpa tua!-
sbuffò, di nuovo contrariato, quasi credesse sul serio nelle
parole
appena pronunciate.
E Camus, non poteva giurare che non
fosse così per davvero -Guarda che non vado in esilio.
Tornerò ogni
tanto...-l'espressione del Signore dei Ghiacci, parve per un secondo
vacillare. Un 'esitazione che non sfuggì a Milo.
-Ti mancherò, Camus...?- domandò,
improvvisamente serio, distogliendo gli occhi azzurri da quelli
dorati dell'amico.
Camus scosse il capo, sbuffando
vistosamente -Lo sapevo che non dovevo dirti niente! Ora mi farai
sentire in colpa per tutta la sera, e non potremmo goderci in santa
pace queste ore...-.
Come se qualcosa lo avesse
infastidito, improvvisamente Milo balzò in piedi,
avvicinandosi di
scatto all'altro Cavaliere e scrutandolo dritto negli occhi -Mi dici,
che saresti andato via senza salutarmi???- domandò, la voce
vibrante
d'ira e delusione.
Camus esitò, incerto su che cosa
dire.
Poi di nuovo sbuffò, scuotendo il
capo -Anche se avessi voluto non avrei potuto. Sei peggio di una
sanguisuga, non mi lasci in pace un momento...-.
-Ma lo avresti fatto?- domandò, di
nuovo.
Camus esitò.
Ci aveva pensato certo, anche se
Milo ovviamente non ne avrebbe capito il motivo. La verità,
era che
non solo odiava le sceneggiate d'addio, sceneggiate che il Cavaliere
dello Scorpione era un mago a fare, ma che anche a lui, il pensiero
di doversi allontanare per così tanto tempo, metteva addosso
una
forte malinconia. Ma...- No...- disse infine, lasciandosi andare ad
un sorriso -Non potrei mai partire senza salutarti...-.
Milo sorrise trionfante.
Era fatto così... un minuto prima
sembrava pronto a balzarti addosso, e un minuto dopo era di nuovo
tranquillo, felice e sorridente, dimentico dei motivi che lo avevano
portato ad alterarsi.
Poi, di colpo, parve rendersi conto,
quanto in realtà i loro volti e i loro corpi fossero vicini.
Così
vicini da sfiorarsi. Così vicini che se solo avesse voluto,
Milo
avrebbe potuto baciarlo.
E lo fece.
D'istinto, come qualsiasi cosa
importante della sua vita, alzò entrambe le mani, portandole
ai lati
del volto di un silenzioso Camus, che lo guardava in modo stranamente
intenso e complice. E senza attendere, chiuse gli occhi, andando a
chiudergli la bocca con la propria in quello che era il primo, il
più
meraviglioso bacio della loro vita.
E sorprendentemente, Camus non si
ribellò.
Lentamente, con la sua solita calma
misurata, alzò le braccia, portandole a cingere la vita di
quello
che ormai pareva essere il suo compagno, stringendolo a se con
delicatezza e tirandoselo addosso, sopra il letto dove fino a pochi
secondi prima sedevano in amicizia, ricambiando il bacio con
trasporto.
Un bacio dolce.
Colmo di affetto.
Un bacio inesperto e goffo, per loro
che mai avevano avuti altri intimi contatti con nessuno.
Le loro mani si incontrarono, sopra
le coltri bianche, stringendosi delicatamente mentre le loro labbra,
parlavano il linguaggio più antico del mondo.
-Milo...- gli sussurrò Camus sulle
labbra, quando dovettero separarsi per prendere aria -In Siberia...
sarai il mio unico pensiero...-.
-Davvero?-domandò lui, la voce
incrinata dall'emozione.
-Ti amo...- e questa, come risposta,
sarebbe bastata.
E fuori, nel giardino della Casa
dello Scorpione, un mare di lucciole, non viste, accompagnavano quel
magico momento, danzando tra di loro nella fresca brezza serale.
Dolorose
rimembranze che tornavano a farsi sentire a gran voce, urlando la
propria presenza come mercanti sulla piazza.
Come un pugno
nello stomaco, la dolcezza dei suoi baci, la morbidezza della sue
labbra ora lo stordivano, lo rendevano cieco e sorso a qualsiasi
cosa, lo tormentavano.
A stento
trattenne un urlo di dolore, un urlo di disperazione, mentre la mano
destra, lentamente, si alzava, quasi fosse troppo pesante, per
avvicinarsi alla lapide sopra la quale era incisa il nome di Camus,
per carezzarla appena, quasi il suo spirito, tramite quel gesto,
potesse percepire tutto il suo amore.
Atena! Quanto lo
amava ancora...
Nemmeno
strappandosi il cuore e servendolo a Lei su di un piatto d'argento,
avrebbe potuto sentir tanto dolore.
-Camus... tu in che cosa vorresti
reincarnarti, quando moriremo?- la voce di Milo, bassa, appena
sussurrata, si insinuò nei pensieri del Cavaliere
dell'Acquario e
nel silenzio della notte che li avvolgeva.
Erano seduti entrambi, sulla
terrazza dell'Undicesima Casa, in una calda notte estiva, l'uno tra
le braccia dell'altro dopo aver consumato una notte d'amore, stanchi
ma restii ad addormentarsi, per paura di cancellare quella notte
magica che li aveva accolti, per paura di trovare al risveglio
qualcosa di diverso, per paura di rompere quella dolce alchimia che
quella notte, dopo il ritorno di Camus dalla Siberia, avevano
ritrovato con tanta facilità.
Era mancato a Milo, il suo Camus.
Quante notti aveva passato solo, su
quella stessa terrazza allora vuota, espandendo il proprio Cosmo per
poter arrivare a lui, anche solo per pochi secondi, per poter gustare
per pochi attimi ancora la sua presenza?
Erano troppe, non riusciva a
contarle.
Per anni era stato lontano, quasi
cinque anni erano passati, anni di visite sporadiche e di
lettere...ma ora era lì, l'addestramento dei suoi allievi in
Siberia
era terminato, e adesso potevano di nuovo stare insieme.
E in quei anni, tra di loro non era
cambiato niente di veramente importante.
Guardavano le stelle i due giovani
Santi.
Guardava lo stelle e sussurravano
nella notte, timorosi di svegliare qualcuno delle altre Case,
qualcuno che avrebbe potuto interrompere il loro dolce idillio.
-Come?- domandò Camus, scostandosi
appena in avanti, per poter guardare Milo in volto. Sedeva appoggiato
ad una colonna il Cavaliere, tenendo stretto a se, come se fosse un
oggetto fragile e prezioso, il suo Milo, che placido riposava contro
il suo torace, godendo del calore che quel corpo così freddo
sapeva,
a volte emanare.
-In che cosa vorresti reincarnarti,
quando moriremo?- ripeté di nuovo Milo, nel medesimo tono
con il
quale aveva posto la prima domanda.
Camus lo squadrò per qualche
secondo perplesso-Ma che domande sono?- domandò poi a sua
volta,
piegando appena gli occhi in quella sua espressione vagamente
sconvolta, che Milo aveva ormai imparato a interpretare come un
“ti
sembrano cose da persona seria?”.
Era troppo serio il suo Camus, a
volte.
Ma infondo, lo amava proprio per
questo.
Perché era semplicemente l'antitesi
di quello che lui era.
-Io mi vedrei in uno Scorpione...-
dichiarò Milo dopo qualche secondo di riflessione, quasi non
avesse
sentito la domanda del compagno, e probabilmente era davvero
così.
-Sai che fantasia, Milo...-commentò
sarcastico Camus, chinandosi appena in avanti, poggiando il mento
sulla di lui spalla -Io ti vedrei meglio in una scimmia...-.
-Hei!- piccato sul vivo, Milo si
voltò dietro di scatto, lasciando che i propri occhi azzurri
si
posassero in quelli dorati del compagno. Una morsa dolcemente serrata
gli prese lo stomaco, quando si accorse del lampo di divertimento, e
del dolce sorriso che faceva capolino sulle labbra del compagno.
Camus sorrideva.
Per lui.
Solo per lui.
-Tu sarai una lucciola...- disse,
quasi senza accorgersene, gli occhi ancora fissati su quel sorriso
meraviglioso che Camus gli rivolgeva.
L'altro, perplesso da quella
reazione, lo guardò fisso con aria interrogativa -E questa
da dove
ti è uscita?- domandò.
-Ecco...- il volto del Santo dello
Scorpione, si accese improvvisamente di una nota delicata,
così
strana in lui, eppure così perfettamente consona -E' che tu
non
brilli mai, quando gli altri si accorgono che ci sei...-
spiegò,
continuando a guardarlo negli occhi -Sei così bello,
così luminoso,
così... ahh! Non saprei nemmeno dirti quanto lo sei!
Eppure... non
brilli mai, quando gli altri ti guardano...-.
-Mi sto quasi offendendo sai?- disse
Camus, incerto sul significato di tale parole.
-No no!- come a non voler essere
frainteso, Milo portò le mani davanti, scuotendo in capo con
veemenza -Non hai capito! Intendevo dire che tu sei sempre
così
freddo... così distante... ma con me no, capisci?- prese
fiato, poi
continuò -Tu sei la mia lucciola Camus... non brilli per
nessuno,
brilli solo per me. E a me basta questo...-.
Camus lo guardò, incerto per
qualche secondo.
E nulla disse quella notte.
Semplicemente, allungò le braccia
verso di lui, cingendolo con entrambe e traendolo a se con forza e
dolcezza, lasciando che le proprie labbra incontrassero quelle del
compagno in un dolce bacio, un bacio tenero, ma allo stesso tempo,
urgente e carico di passione.
Quella notte, sotto il cielo coperto
di stelle, soli con il resto del mondo, fecero l'amore.
E non si accorsero, di quelle tante,
piccole lucciole, che inosservate aveva ricominciato a brillare.
L'odore della
pioggia, giunse inaspettato alle sue narici, come se solo in quel
momento si fosse reso conto, di quanto essa profumasse.
Aveva il profumo
di Camus.
Un profumo
freddo, eppure allo stesso così pungente, così
avvolgente...ricordava il mare, la salsedine, la neutralità
del
ghiaccio. Poteva quasi sembrare incenso da quanto era impalpabile,
eppure era presente.
Presente
nell'aria attorno a lui.
Presente nei
suoi ricordi.
Ma non presente
tra le sue braccia... braccia che si mossero, appena, nel tentativo
di abbracciare quell'odore, nello stringere qualcosa che ormai non
c'era più. E mai sensazione più angosciosa ci fu,
del sentire
stringere solo il proprio corpo.
-Questa storia non mi piace...- la
voce di Milo, suonava stranamente rotta in quel momento, carica di
tensione e di preoccupazione. Gli occhi erano fissi su Camus, come
lui rivestito della Sacra Armatura d'oro, in piedi sulla soglia della
Casa dell'Acquario -Non mi piace proprio Camus. Perché devi
andare?
Non è ancora il tuo turno, e piacendo agli Dei, non
riusciranno
nemmeno ad arrivare qui...-.
-Milo...- un sospiro scosse appena
il freddo corpo del Cavaliere -Lo sai che devo andare. Hyoga
è
laggiù... e tu sai...- distolse lo sguardo, lasciando in
sospeso la
frase.
Hyoga.
Lui sapeva.
Certo che sapeva!
L'allievo del suo Camus, il suo
preziosissimo allievo, di cui tanto era andato orgoglioso nel corso
degli anni. Sapeva Milo che cosa il suo amato andava a fare, sapeva
che in qualche modo, in uno dei suoi così complicati e
cervellotici
modi di pensare, lui voleva solo salvarlo, preservarlo dal destino
infame che gli sarebbe toccato.
E perché poi??
Era il servo di una falsa Dea, aveva
tradito il tempio e il Gran Sacerdote, non era meritevole di
salvezza!
Tante volte aveva osservato il suo
amato Camus parlare dei suoi allievi, in particolar modo di Hyoga, e
si era sempre chiesto se in qualche modo, non lo preferisse a lui.
A quel pensiero, come sempre, sentì
una strana pesantezza all'altezza del cuore, un peso tremendo, che si
aggiunse a quello che già percepiva da quando quella
malefica storia
era cominciata.
Era così preso dai propri pensieri,
dalle proprie paranoie, che non si accorse che il Cavaliere
dell'Acquario, silenzioso e inosservato, gli si era avvicinato, e che
ora si trovava proprio di fronte a lui, così vicino che se
avesse
voluto, avrebbe potuto baciarlo.
Milo alzò gli occhi, andando a
incontrare quelli di lui, in un rapido bagliore d'oro e azzurro.
-Tu sai, vero, che lo devo fare?-
domandò Camus, la voce ridotta a un intenso sussurro.
Milo distolse gli occhi.
No.
Non lo sapeva.
-Sì...- sentì la propria voce
rispondere, stancamente.
-Guardami negli occhi...- era un
ordine, non una richiesta. Richiesta che esaudì da solo,
mettendogli
due dita sotto il mento e costringendolo ad alzare lo sguardo -Io
devo farlo- ripeté, scandendo bene le parole, quasi avesse
paura che
l'amante le percepisse in modo diverso -Ma non c'è niente al
mondo,
che sia più importante di te nel mio cuore. Voglio che tu lo
capisca...-.
-E allora non andare...- sentì Milo
sfuggirgli dalle labbra.
Subito si morse la lingua.
Perché doveva parlare sempre a
sproposito?
Quelle parole, erano davvero
sentite. Gli spingevano nella gola, e chiedevano di essere
pronunciate, ma sapeva di non poter, di non dover lasciare che
trovassero sfogo.
Perché c'era un accordo.
Un tacito accordo.
Erano l'uno per l'altro la cosa più
importante, ma mai prima di Atena, almeno sulla carta.
Perché Atena
era la loro Dea, e dovevano servir lei prima di loro stessi, anche se
in quel momento, il solo pensiero gli dilaniava l'anima.
Come poteva chiedere questo a Camus?
Andare contro gli ordini del Gran
Sacerdote, andare contro la loro fede!
Perché si, sapeva che se Camus
stava per fare quello che voleva fare, era perché era
convinto che
la loro Dea lo volesse.
Il suo Camus non era il tipo da
rinunciare alla sua fede per qualcuno.
Nemmeno per lui.
E allora perché glielo aveva
chiesto, se già sapeva la risposta?
-Milo...- la voce di Camus era
fievole -Non posso...-.
-Lo so...-.
-E allora perché me lo hai
chiesto?-.
Una pausa, un sospiro -Perché per
un secondo, ho nutrito la folle idea di essere sul serio il
più
importante...-.
-Lo sei...-.
Quelle due parole echeggiarono per
il tempio dell'Acquario sinistre, quasi come un'eresia.
Perché erano quel che erano.
Un 'eresia.
-Lo sei...- ripeté Camus, dando di
nuovo voce a quei pensieri contro fede -ed è per questo che
devo
andare. Perché quando tutto questo sarà finito,
ci sarà un domani
nuovo per noi. E in quel domani, forse non dovremo più
preoccuparci
di parlare per eresie...- si staccò, lasciando cadere la
mano che
gli sorreggeva il volto.
Era vero dunque... Camus, nonostante
tutto, sapeva leggergli nel cuore.
Come mai nessun altro prima aveva
saputo fare, riusciva ad andare oltre la dura corazza dello
Scorpione, riuscendo a leggergli dentro con quella freddezza tipica
del suo io, quel gelo che lo caratterizzava e lo rendeva tanto
speciale.
E senza attendere oltre, Milo gli fu
addosso, catturando le di lui labbra in dolce e appassionato bacio.
Camus rimase rigido per qualche
attimo, come se non se lo aspettasse. Poi qualcosa nella piega delle
sue labbra cambiò. Iniziò a corrispondere il
bacio, portando
entrambe le braccia a cingere il corpo dell'amato, stringendolo con
una delicatezza così ferma, da risultare in quel momento,
terribilmente confortante.
Pochi attimi ancora.
Pochi attimi rubati.
Poi, rapido com'era incominciato, il
loro bacio terminò, lasciando che i due corpi, seppur a
malincuore,
si separassero dalla stretta consolatrice. La mano di Camus
indugiò
qualche attimo ancora sulla guancia di Milo, prima di ricadere,
inerme, al fianco del Cavaliere.
E i loro occhi rimasero incatenati
per qualche secondo ancora, sfidandosi in una muta e dolce lotta.
-Vai..- disse infine Milo, annuendo
con vigore. Camus si stava mostrando forte, e lui non doveva essere
da meno. Erano entrambi Gold Saint, entrambi reincarnazioni di una
stella, entrambi eletti di Atena. E nessuno dei due doveva
tentennare.
Camus schiuse le labbra, come se
volesse parlare.
Poi annuì, con decisione,
richiudendo le labbra e iniziando a incedere fuori dal tempio, come
se le parole non avessero significato alcuno.
Ed era così.
Non c'era mai stato bisogno di
parole tra di loro.
Milo lo seguì, fuori dal tempio,
osservandolo allontanarsi con lo stomaco stretto in una morsa che non
riusciva a spiegarsi...perché ora doveva avere tanta paura?
Erano
solo Bronze Saint, nemmeno lontanamente vicini ad acquisire il
settimo senso.
Non doveva temere per il suo Camus.
Egli era forte.
Più forte di loro.
Eppure...
-Milo...- improvvisamente, dopo
qualche gradino, il Cavaliere dell''Acquario si fermò.
-Camus...-.
-Guarda...- non si voltò, nemmeno
per un secondo, continuando a dargli le spalle mentre indicava un
punto non molto lontano, appena sopra le loro testa -Ci sono le
lucciole...- mormorò.
Un sussurro basso, ma ancora ben
udibile.
Poi, senza aspettare risposta,
cominciò a discendere i gradini, diretto verso la Casa di
Libra,
vero Hyoga che stava proseguendo la sua folle corsa in salvezza della
sua Dea eretica.
E Milo, gli occhi fissi sullo
spettacolo di lucciole che piano piano si stavano alzando dai prati,
dando mostra di se così sfacciatamente, capì che
quello, era un
addio.
Il suo addio.
Strano, come
solo ora pensasse a come se n'era andato.
In silenzio
quasi, avvolto dalla perfetta luce delle lucciole, che parevano quasi
sottolineare il suo addio.
Milo chiuse gli
occhi, stringendo i pugni abbandonati al fianco, come a cercare di
rifuggire dalle immagini che si presentarono alla sua mente.
Perché doveva
essere quello il loro ultimo ricordo insieme? Un secondo ancora in
cui non riusciva a vedere null’altro che la sua splendida
chioma
rossa, avvolta da tanti puntini di luce mentre camminava lontano da
lui, verso la morte, verso il tanto adorato allievo al quale avrebbe
dato la sua ultima lezione.
Abbassò la
testa, osservando le gocce di pioggia ora, gocce che ticchettavano
ritmicamente nelle piccole pozzanghere ormai formatesi, gocce che
richiamavano tanto le lacrime che stava ancora abbondantemente
versando...anche il cielo, piangeva.
-Gli Dei
piangono la tua scomparsa, Camus...-mormorò, trovando infine
la
forza per parlare, dopo tutte quelle ore di silenzio. Non
più il
loquace Milo, il divertente e irriverente Cavaliere dello Scorpione.
Solo l'ombra di ciò che era stato.
"Vorrebbe
vederti così, Camus?" gli domanda spesso Aiolia, nelle sue
sempre più frequenti visite alla sua Casa. Ma sebbene
sapesse
perfettamente quale fosse la risposta, si rifiutava di darla.
Forse voleva
soffrire, si disse.
Voleva soffrire,
perché Camus meritava tutte le sue lacrime.
Era lì, disteso a terra,
dimenticato.
Milo, nel vedere il corpo di quello
che era stato l'uomo da lui amato, sentì improvvisamente
qualcosa
venirgli meno, un improvviso senso di vuoto prendergli il cuore,
stringendoglielo spasmodicamente.
Lo sapeva.
Lo aveva capito nel momento stesso
in cui aveva sentito svanire il suo Cosmo, nell'attimo stesso in cui
aveva percepito quello di Hyoga espandersi fino al limite e
sovrastando quello del suo amato.
Era stato solo un secondo.
Poi era sparito, e in quel momento,
il tempo per Milo si era fermato.
E lì, aveva capito.
Ma non poteva crederci... infondo
era Camus, un guerriero troppo potente e abile per farsi superare da
chiunque, sebbene forte come Hyoga! E così era corso, aveva
percorso
i gradini del tempio, uno dopo l'altro in una folle corsa, diritto
verso Camus, sperando con tutto se stesso di essersi sbagliato,
pregando Atena di non trovarlo morto, lontano da lui per sempre.
E invece era lì, disteso a terra,
dimenticato.
Avrebbe
tanto voluto chiudere gli occhi, non vedere, eppure non riusciva a
far altro che guardare il corpo morto dell'amato, la gola
così
chiusa da non riuscir quasi a respirare.
Non
riusciva nemmeno a sentire quanto effettivamente facesse freddo in
quella stanza, dopo il combattimento tra i due signori dei ghiacci,
giacché il gelo peggiore, il più intenso, il
più forte, lo aveva
nel cuore.
-Camus...-
mormorò, in piedi di fronte all'ingresso del tempio.
Per
pochi attimi, parve quasi una bambola, ferma e immobile, senza
reazioni.
Poi, con un urlo da bestia ferita e
un gesto rabbioso, dettato dal dolore e dalla disperazione, si
slanciò in avanti, ignorando le fitte causate dai colpi che
poche
ore prima aveva subito in combattimento, chinandosi sul corpo
dell'amato, allungando le braccia e stringendolo a se con bramosa
disperazione, rendendosi conto solo ora, di quanto in realtà
fosse
fragile e delicato.
Lo strinse al cuore, sentendo il
proprio andare a pezzi.
Camus.
Il suo Camus.
Il suo amato Camus.
Giaceva ora senza vita, più freddo
di quanto fosse mai stato, rigiro e immobile tra le sue braccia.
Ucciso da Hyoga, l'allievo che aveva
cercato di salvare, e che alla fine lo aveva distrutto. Il Cavaliere
che lui stesso, per amore di Camus aveva lasciato passare, dicendosi
che si, non poteva essere malvagio se il suo amato lo rispettava
così
tanto.
Che errore!
Quale terribile errore aveva
commesso!
-Ti ho ucciso io...- mormorò
affondando il volto sul di lui petto gelido, coprendo entrambi con i
propri biondi capelli -E' come se ti avessi ucciso io... Camus...
Camus...- singhiozzi rotti dal dolore, dal senso di colpa.
Era come se fosse stato lui, a
dargli il colpo di grazia.
Se solo non avesse permesso a Hyoga
di passare... se solo... se solo.
No.
Ormai non importava più.
Lo strinse di nuovo a se,
possessivamente, quasi avesse paura che potessero portarglielo via in
qualche modo, ricordando perfettamente quanto esso fosse in
realtà
caldo, quando bene si adagiasse tra le sue braccia, quanto dolci
fossero quelle occhiate che sapeva rivolgergli quando credeva di non
esser visto, quando infondo fosse tenera la sua voce, anche nei suoi
frequenti rimproveri.
Ed ora, non c'era più niente.
Solo un guscio vuoto e abbandonato.
E Milo, semplicemente, aveva perso
tutto.
-Camus... Camus...- il suo nome era
come una litania, un lamento funebre per colui che fu, nel cuore
dello Scorpione, il più grande e amato tra i cavalieri.
E fuori dal Tempio, inosservata e
leggiadra, un'unica lucciola volava, timidamente solitaria,
allontanandosi piano piano, da quel Tempio che ora era luogo di
eterno riposo.
Allontanandosi, dal cuore infranto
dello Scorpione.
E Milo alzò lo
sguardo, lasciando che la pioggia gli rigasse il volto mescolandosi
con le lacrime che ne ora ne mai avrebbe finito di versare, incurante
del fatto che gli inzuppasse i capelli, incurante del tuoni che
esplodevano nel cielo ormai avviato verso la sera.
Un cielo scuro,
grigio.
Un cielo
spezzato dai fulmini.
Un cielo, fin
troppo simile al suo cuore.
-Non ci sono più
lucciole, Camus...- mormorò, affondando di nuovo gli occhi
nella
propria mano, senza nemmeno tentare di asciugarli, nel patetico e
inutile tentativo di non guardare la lapide del Cavaliere
dell'Acquario, come se non guardarla la rendesse irreale, la rendesse
vuota.
Si lasciò
cadere a terra, in ginocchio ora, ancor senza smettere di piangere e
singhiozzare come un bambino, portando in avanti le braccia e
appoggiandole a terra, lasciando che le dita affondassero nella terra
molle per la pioggia, tentando di afferrarla come se fosse il corpo
dell'amato che lì sotto riposava.
E non poteva
vedere, il Cavaliere dello Scorpione, l'unica e solitaria lucciola
che aveva alle spalle, che da quando era arrivato lo seguiva
silenzioso, quasi a volerlo vegliare, sfiorandogli appena i capelli e
illuminandosi debolmente, come se lei stessa stesse soffrendo, come
se il dolore dell'umano piangente fosse il proprio, come se soffrisse
lei stessa nel non poter asciugare quegli occhi color del cielo.
E senza
accorgersi di quella eterea presenza, Milo piangeva.
Fine
Ehm...
Ehm...
Salve a
tutti cari lettori della
gloriosa sezione di Saint Seiya U_U
Chiedo
venia per avervi propinato
questa “cosa”, ma da un po' avevo l'idea di
scrivere qualcosa
sulla mia coppia yaoi preferita in assoluto, ovvero Milo e Camus, e
dopo aver letto tutto quello che c'era da leggere, mi sono detta
“perché no!”...spero solo di non avervi
disgustato con il mio
primo tentativo XD
Ci ho
messo un po' a dire il vero,
a formularla, e molto di più a scriverla, perché
questo è proprio
un periodo nero per la mia ispirazione (ç_ç) ma
spero comunque di
essere riuscita a trasmettervi un pochino dell'amore che provo per
questa magnifica coppia, e un po' dell'angoscia che immagino Milo
provi, ogni volta che mi riguardo le puntate della morte di Camus.
Bhe, che
dire, ringrazio tutti voi
per essere arrivati almeno fino alla fine XD vi mando un bacio grande
grande, e spero di rivedervi al mio prossimo lavoro in codesta
sezione (eheheh, no, non demordo!! *_*).
Un bacio,
Tifa.
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