Prima
di leggere
(l'ennesima inutile introduzione del Panda)
Non
guardatemi con quelle facce. Lo so che ho altre fanfiction ben più
importanti di queste da portare avanti, ma ho intenzione di
completarle tutte e non ci sarei mai riuscita senza prima postare
almeno il primo capitolo di questa fanfiction. Sto lavorando però
alla fiction sui Nordici e ho quasi finito il terzo capitolo e ho già
in programma il nuovo capitolo di “Famiglia all'Italiana”.
Giuro
ho passato notti insonni a pensare a questa fict. Lo so, sono malata
ma non ho potuto fare altrimenti, mi ha coinvolta troppo.
Cominciamo
ora a parlare della fiction, seriamente.
La
storia è liberamente ispirata al film “Tokyo Godfather”
di Satoshi Kon, che narra di tre barboni della capitale giapponese
-un omosessuale, un ex-giocatore d'azzardo ed una ragazza scappata di
casa- che la Notte di Natale trovano tra i rifiuti una bambina
abbandonata dalla madre e tra mille peripezie tenteranno in tutti i
modi di riportarla dai genitori.
Per
maggiori informazioni sulla trama vi rimando alla buona vecchia wiki
Tokyo
Godfathers e
se non lo avete ancora visto vi consiglio caldamente di vederlo,
perchè è meraviglioso! <3
Mi
ha colpito molto e perciò ho deciso di farne la rivisitazione
Hetaliana.
Ambientata
nella Londra di fine ottocento-inizio novecento la mia storia
prenderà diverse pieghe diverse dal film -e quindi vedendolo
non vi spoilereste nulla-, seguirà il punto di vista di
Francis, un cattolicissimo poeta pensatore emigrato in Inghilterra
per amore. Ho voluto rispecchiare soprattutto in questa fanfiction la
parte del Francia credente fermamente in Dio, quindi non penso sia
OOC quando attribuisce i “miracoli” a dio.
Si
ritrova invischiato con Inghilterra e Seychelles in una vicenda più
grande di loro e delle loro precarie situazioni -Arthur è un
oppiomane instabile e Sesel una ragazza che è stata deportata
illegalmente in nel Regno- per salvare un bambino trovato nella
spazzatura dai mali del mondo.
Vi
avviso: non ci saranno né scene erotiche, né baci e il
tutto non sfiorerà nemmeno l'avvertimento Shonen Ai. Una
semplice commedia drammatica fatta di amore e romanticismo, forse
banale, forse ben scritta, non so. Non sono sicura che questa sarà
una “Bella Storia”, ma voglio far cadere l'eufemismo che
nel fandom di hetalia una fanfiction è bella solo se a rating
Rosso e p0rn. Mi piacerebbe davvero tanto XD Quindi niente sesso,
anche se verranno accennati i vari rapporti avuti in passato da
Francis e ci sarà un lievissimo accenno shonen-ai alla FrUk.
Detto
questo, dopo avervi rotto abbastanza vi lascio alla lettura, sperando
sia piacevole. Commenti positivi e negativi sono ben accetti!
-Titolo:
Un Cadeau de Dieu - Titolo
del Capitolo:
La nuit du Noël.
[1/?] -
Personaggi:
Francia (Francis Bonnefoy), Inghilterra (Arthur Kirkland), Seychelles
(Sesel), America (Alfred F. Jones), Un po' tutti [Presenti e nominati
nel capitolo: Belgio (Bella), Ungheria (Elizaveta Hedelvary), Prussia
(Gilbert Weillschdmit), Cina (Yao Wang), Austria (Roderich
Edelstein), Polonia (Feliks Łukasiewicz)
- Genere:
Commedia, Generale, Drammatico - Rating:
Giallo -
Avvertimenti:
Long Fict, Shonen Ai, Movieverse, Alternative Universe, accennate
presenze di Character!Death -Conteggio
parole:
4004
-Note:
1.Questa fanfiction é liberamente ispirata al film
d'animazione “Tokyo Godfathers”
di Satoshi Kon
2.
Sesel e Bella sono i “Fandom Name” dati a Seychelles e
Belgio, e non mi appartengono.
3.
Tutte le citazioni di poesie appartengono a Charles Baudelaire
4.
Ambientata storicamente nella Londra di fine Ottocento/inizio
Novecento. I riferimenti, più avanti nella storia, ai
“pregiudizi inglesi” sono dovuti al fatto che all'epoca i
diversi dalla società, specialmente orientali, polacchi, russi
ed ebrei, erano ritenuti i colpevoli di tutti i crimini -si pensi al
caso di Jack lo Squartatore, in cui vennero accusati proprio un
ebreo, due polacchi e un russo- e gli omosessuali erano mal visti e
addirittura ripudiati e spesso rinchiusi in prigione -vedere il
famoso esempio di Oscar Wilde- e quindi dovevano agire di nascosto e
si sposavano spesso per nascondere la propria ambiguità.
La
nuit du Noël.
La
neve a Natale, in quei tempi in cui le stagioni sembrano essere
impazzite e fuori da qualsiasi schema che l'uomo possa concepire, è
ormai quasi considerata un miracolo divino.
Miracoli.
Francis
aveva sempre creduto che questi accadano sempre, anche nella più
semplice delle forme, come la nascita di un bambino, la salvezza di
un uomo ormai creduto morto, la cura ad una malattia sconosciuta o
fatti inspiegabili di natura quasi paranormale. Era un timorato di
Dio, certo, ma non per questo perdeva mai le speranze abbandonandosi
in ginocchio in una chiesa a pregare che il Signore risolvesse i suoi
guai per lui. Si rimboccava sempre le maniche e si dava sempre un
gran da fare, sperando sempre che Dio gliela mandasse buona.
La
neve a Natale, appunto, la considerava un miracolo, soprattutto in
una città sporca e inquinata come lo era ormai diventata
Londra.
Nera
come il carbone che l'aveva consumata nei secoli, rendendola buia, si
illuminava di bianco grazie ai candidi cristalli che pian piano la
ricoprivano. Il nato francese passeggiava per le vie della capitale
inglese col naso all'insù fissando il cielo grigio,
calpestando la neve sul marciapiede che, sapeva, ben presto sarebbe
diventata una poltiglia fangosa dal colore della terra.
Ogni
tanto il suo sguardo ceruleo cadeva sul viso dei bambini che facevano
a palle di neve inscenando una piccola guerra tra rivali, bagnandosi
da capo a piedi ignari del fatto che il giorno dopo si sarebbero di
sicuro ritrovati a letto con un bel raffreddore. Leggeva nei loro
occhi spensieratezza, voglia di vivere, tanta quasi ne aveva avuta
lui alla loro età, quando correva per le vie di Parigi e non
immaginava ancora che un giorno avrebbe dovuto abbandonare tutti i
suoi sogni bambineschi per inseguirne un altro ancor più
impossibile da realizzare.
Da
bambino Francis Bonnefoy, dagli occhi color del cielo -quello della
Francia, non di certo quello grigio di Londra- e i capelli lunghi
biondi come oro, tanto bello da far innamorare di sé sia donne
che uomini, non sognava nemmeno il fatto che l'amore lo avrebbe
costretto, da adulto, a fare pazzie.
Imboccò
una via secondaria dirigendosi verso la mensa dei poveri, sapendo che
oramai era tardi e che a momenti avrebbe chiuso i battenti e per
mettere un pezzo di pane sotto i denti avrebbe dovuto poi aspettare
la mattina successiva. Avrebbe volentieri aspettato, se non fosse
stato per altre due bocche da sfamare che lo avrebbero accolto a casa
a randellate se si fosse presentato a mani vuote. Odiava quel genere
di commissioni, ma avevano deciso di fare a turni e quel giorno,
anche se era il Santo Natale, toccava a lui procurare la cena.
Si
mise apposto il giaccone pesante che indossava, elegante, fin troppo
persino per uno come lui, si sistemò i capelli legati
ordinatamente dietro la nuca da un nastro di raso blu e sfoggiò
uno dei suoi più sgargianti e passionali sorrisi alle due
donne che si occupavano di fornire ai poveri di Londra un pasto caldo
a pranzo e a cena.
«Bonsoir,
mie belle donne! Siete sempre splendide come al solito, e i grigi
fumi dell'Inghilterra non rovinano la vostra bellezza!» esclamò
adulatore, vedendo le due ragazze sistemare i piatti vuoti lasciati
sui tavoli dai commensali che avevano già da tempo consumato
il pasto.
«Smettila
di fare il ruffiano, Bonnefoy! Sei in ritardo come al solito ed io ed
Elizaveta stiamo già mettendo via la roba!» sbottò
la più giovane, dai corti capelli color della paglia sistemati
da un fiocco rosso sul capo e i furenti occhi color smeraldo che,
taglienti, fulminavano il francese con lo sguardo. «Rimani a
digiuno, così impari ad arrivare in orario!» «Ma
chére, suvvia! È Natale, non puoi essere meno acida
almeno nel giorno più sacro dell'anno!? E non pensi alla
povera Sesel? Se non le porto da mangiare morirà di fame e di
stenti e io dissanguato per via delle botte che mi darà!»
«Te le do io le botte, Francis! Io non sono acida!»
sbottò Bella, la belga di origini, facendo il muso duro
davanti al broncio supplichevole dell'uomo che si era addirittura
levato il cappello e aveva fatto il viso da cucciolo bastonato
cercando di corromperla, invano.
Elizaveta
intanto sorrideva assistendo alla scena, sistemando in una borsa i
tre piatti per Francis che aveva già preparato e messo da
parte in precedenza. Lei e la collega ormai sapevano che, quando era
turno di Bonnefoy occuparsi del cibo per sé e i suoi compagni
di sventura, lui arrivava sempre puntualmente in ritardo.
All'ungherese piaceva Francis, non perchè fosse solamente
affascinante e prestante, ma perchè era un pensatore, un amate
delle arti, un poeta e un adulatore del bello e per questo si perdeva
tra le nuvole a fissare le piccole cose materiali assorto nei suoi
pensieri, e finiva sempre col perdere la concezione del tempo...
Era
come Roderich, il suo amante che non c'era più omai, morto
esattamente come il Mozart che tanto amava, dimenticato da tutti
tranne che da lei. Rivedeva nel francese il marito e, per questo,
nonostante Bella replicasse e la sgridasse ogni volta lei si lasciava
persuadere e teneva da parte del cibo anche per lui.
«Oh,
Eliza! Tu sì che sei un angelo caduto dal cielo! Non come
questa racchia!»
«Racchia!?
A me!?» ma Francis non ascoltò le ultime parole della
belga, appoggiandosi al tavolo dietro al quale la bella ungherese
stava sistemando le ultime cose, con un gomito puntellato sulla
tovaglia e la mano a reggere la testa pesante che guardava rapito il
seno formoso della donna.
«Come
vanno le cose, Eliza?» domandò mentre l'altra incurante
dello sguardo blu su di sé finiva di chiudere la borsa e
gliela porgeva.
«Insomma...
da quando Rod non c'è più lavoro alla mensa tutti i
giorni per guadagnare un po' quel che serve per vivere. È un
lavoro duro, ma me la cavo, e Bella allontana tutti i pervertiti che
mettono lo sguardo su di noi e ciò mi aiuta molto» c'era
una nota di malinconia e tristezza nella voce dell'amica, il ricordo
del marito scomparso le feriva sempre il suo giovane cuore martoriato
da un matrimonio finito ancor prima di essere consumato realmente. Le
prese le mani, candide dita rovinate da ustioni e vesciche dovute al
maneggiare ogni giorno fuochi e pentole, cercando di infonderle
sicurezza.
«Secondo
me dovresti accettare la proposta di Gilbert. È bello, è
ricco e soprattutto sposandolo torneresti in patria. L'Inghilterra è
troppo buia, e tu hai bisogno del sole altrimenti diventerai una
vecchia vedova rugosa ma chére!» L'ungherese scosse la
testa, con fare quasi rassegnato, ricambiando la stretta delle mani
di Francis. «Non tradirò mai Roderich, nemmeno dopo la
sua morte. L'ho amato troppo, e tu lo sai»
«Oui,
lo so... l'ho amato anch'io.» sussurrò prendendo
la borsa, salutando la donna con un occhiolino imbattendosi poi nella
furibonda ira di Bella che, con le braccia conserte e gli occhi
iracondi, gli impedì di uscire dalla mensa.
«Questa
volta ti è andata bene, Bonnefoy, ma non la passerai sempre
liscia!» A Francis piaceva la voce di Bella. O meglio, gli
piaceva il suo accento francese, così simile al suo che gli
ricordava un po' la sua amata Francia.
«I
Belgi spingono l'imitazione fino all'eccesso, parola d'onore! Se
prendono talvolta la sifilide lo fanno per assomigliare ai Francesi»
cantilenò sorpassandola con un radioso sorriso, lasciando
l'altra interdetta a riflettere sul senso di quella strana frase:
Francis sapeva che, una volta che Bella avesse intuito ciò che
aveva voluto dire, le avrebbe prese di santa ragione.
Whitechapel
era senz'altro la cosa più orripilante che Francis avesse mai
visto in vita sua. Tetra, buia, abbondante di disponibili prostitute,
fumerie di oppio, ritrovo di gang mafiose e di malviventi, nonché
casa di moltissimi poveracci, lui compreso.
Se
avesse avuto un qualche soldo o se fosse riuscito a guadagnarne
abbastanza, sarebbe tornato a Parigi, che sì aveva i suoi
difetti ma non erano nemmeno paragonabile a quelli di Londra. E
invece era talmente squattrinato da vivere clandestinamente con altre
due persone in un palazzo decadente in una via dimenticata da tutti
fuorché gli uomini che avevano bisogno di un luogo dove
consumare il proprio acquisto, sbattendo contro un muro la propria
puttana.
Non
era quello di certo il tenore di vita che si era prefissato, ma in
quel momento non avrebbe potuto fare altrimenti, ma si era ripromesso
che, in grazia di Dio, sarebbe uscito da quel posto malfamato, e si
sarebbe portato via con sé i suoi coinquilini.
«Sono
a casa, mes amis!» esclamò a gran voce chiamando a
raccolta i suoi due compagni di sventura, appoggiando la borsa di
Elizaveta sul tavolo mentre si sfilava giacca e cappello e li
appoggiava su un chiodo sporgente che fungeva da attaccapanni.
«Era
ora, Francis! Sai che l'ora di cena è passata da tre ore!?»
Sesel.
Una
ragazzina dalla pelle color biscotto che parlava un modesto francese
ed uno strascicato inglese. Non sapeva da dove provenisse -non di
certo dalla Norvegia visto il colore scuro della sua carnagione e il
colore corvino dei suoi capelli-, ma l'aveva incontrata una sera,
proprio a Whitechapel, mentre scappava da un nemico che Francis non
seppe mai chi fosse. La accolse in casa sua, offrendole un tetto ed
un riparo in cambio di un aiuto ad andare avanti, guadagnandosi da
vivere con qualsiasi mezzo eccetto la prostituzione. Così,
come un uragano, Sesel senza cognome e senza passato era entrata
nella sua vita e non accennava ad uscirne.
E
considerava un miracolo il fatto che la giovane fosse finita tra le
sue mani e non tra quelle di un qualche maniaco.
«Perdonami,
piccoletta, ho avuto un imprevisto» «Li conosco, i tuoi
imprevisti. Avrai passato tutto il pomeriggio a bighellonare assorto
in chissà quali pensieri!» esclamò la ragazza
avventandosi sul piatto di patatine fritte e merluzzo rigorosamente
confezionato per non far perdere il contenuto nella borsa,
mangiandolo con gusto e senza un minimo di educazione.
Francis
sapeva che Sesel non era la classica donna da salotto, e mai lo
sarebbe diventata, ma pretendeva che almeno un minimo di etichetta la
seguisse. Quella sera, però, era troppo stanco per qualsiasi
altro litigio, ne aveva già abbastanza della belga.
«E
Arthur? Dov'è?» domandò facendo vagare il suo
sguardo lungo l'unica stanza che potevano utilizzare -le altre erano
completamente diroccate, ed utilizzavano quella sia come cucina che
come salotto e camera da letto-, cercando con lo sguardo l'altro
componente di quello sventurato trio.
«Lì,
sepolto tra le coperte. Si era stancato di aspettare e si è
messo a dormire.»
Al
cenno della ragazza il francese adocchiò infatti un cumulo di
coperte che lentamente si alzava e si abbassava con un ritmo regolare
e preciso sul pavimento.
Si
avvicinò a quell'ammasso deforme in punta di piedi,
inginocchiandosi ed abbassandosi fino a sollevare le coperte
mostrando una testa bionda, avvicinandovi le labbra all'orecchio.
«Ehi,
è pronta la cena... svegliati, mon amour!»
«WAA!»
Con un grido ed un sussulto Arthur Kirkland si mise di scatto a
sedere sulle travi scricchiolanti, come se appena destato a causa di
un brutto incubo. E per un attimo pensò di aver solo sognato
la perversa voce di Francis soffiargli quelle parole in un orecchio,
ma per sua sfortuna si sbagliava.
«Maledetto
francese pervertito che non sei altro! Ti sembra questo il modo di
svegliare le persone!?»
Sesel,
prendendo il suo piatto alzandosi per rintanarsi nel suo angolino
privato di casa, alzò gli occhi al cielo maledicendo i due.
Come al solito non facevano altro che litigare e stuzzicarsi a
vicenda e a risentirne erano le sue orecchie. «Siamo alle
solite.»
«Oh
Arthur, è così che insegni le buone maniere alla nostra
piccola protetta?»
«Non
sono piccola, Francis. E tienimi fuori dai vostri battibecchi, io ne
ho abbastanza!»
Sbuffando
contrariato l'inglese si alzò dal giaciglio cercando di
ignorare il più possibile il francese, andando alla ricerca
della cena, ormai fredda.
«Le
ungheresi e le belghe non sanno cucinare del buon cibo inglese»
dichiarò riluttante prendendo la sua porzione di fish and
chips, mentre Sesel lo fulminava
con lo sguardo. «É il cibo inglese che fa schifo, non
come cucinano Bella ed Eliza. E ricordati che loro sono mie amiche!»
Trovandosi
d'accordo con le parole della ragazzina Francis si lasciò
sfuggire un allegra risata mentre si sedeva accanto all'altro uomo
per consumare la sua cena, ricevendo da lui un occhiataccia di
rimprovero. Ma Bonnefoy avrebbe anche perso delle ore a fissare gli
occhi color dei prati dell'inglese. Un verde intenso che ogni giorno
si offuscava sempre di più.
Conobbe
Arthur davanti ad una fumeria d'oppio.
Il
proprietario, un cinese dall'aspetto androgino e dai lunghi capelli
color della pece, lo cacciò fuori quasi a pedate proprio
nell'attimo in cui stava passando lì davanti per tornare a
quella catapecchia che chiamava casa.
Il
suo abbigliamento sgualcito rispecchiava l'uomo che un tempo avrebbe
dovuto essere: un ragazzo ricco e prestante, un nobile, un
diplomatico, un dottore, un avvocato, un politico... non seppe mai
Francis cos'era Arthur nella sua vita precedente, ma sapeva solamente
che aveva solo bisogno di qualcuno su cui fare appoggio in un momento
come quello.
Non
seppe nemmeno quali eventi spinsero l'inglese nelle braccia della
droga, e mai glielo chiese. Lo portò a casa e aspettò
che si riprendesse dagli effetti allucinogeni del papavero
assassino per dirgli che, se non
aveva alcun posto dove andare, avrebbe potuto fermarsi lì e
fare come se fosse a casa sua, per quanto squallida fosse. Invito che
Kirkland accettò volentieri.
«Che
c'é?» domandò sorridendogli vedendo che il suo
viso si incupiva sempre di più.
«Tu
e quella mocciosa non avete un minimo di rispetto per me! Mi prendete
sempre per il culo! Ma sia tu che lei siete scappati dalla vostra
patria per rifugiarvi nella mia! Quindi dovreste essermene grati!»
Sesel
si lasciò sfuggire una pernacchia mentre riponeva il piatto
vuoto dentro la borsa che il mattino dopo avrebbero dovuto ridare
alla mensa.
«Credimi,
Arthur. Se potessi me ne tornerei da dove sono venuta, peccato che i
tuoi cari amici connazionali mi avete trascinata qui e adesso non ho
un soldo per tornarmene a casa!»
Arthur,
appena finito anche lui di cenare e di rimettere a posto le cose di
Elizaveta, prese alcuni vecchi fogli di giornale e sterpaglie per
accendere quella “cosa” di ferro mal ridotta che
chiamavano stufa, e che stava esattamente accanto allo spazio privato
dell'inglese.
Sesel
si torturava un lembo dell'enorme maglione da uomo che indossava, e
che le ricopriva gran parte del corpo nascondendone le forme, ancora
acerbe, e si mordeva nervosamente il labbro inferiore. Francis sapeva
che in quel momento la ragazza stava tentando di opprimere il
desiderio di saltare al collo del coinquilino inglese e di farlo
fuori con le sue stesse mani. Le cinse le spalle, stringendola a sé
in un abbraccio per poi accarezzarle i lunghi capelli setosi legati
in due codini da due nastri di raso rosso, lo stesso che portava il
francese, di un colore diverso.
«Ti
manca la tua casa, ma petite?» la ragazza fece cenno di sì
con la testa. «Non ne parli mai. Scommetto che è una
bellissima località del sud benedetta da Dio.» ancora un
altro cenno da parte di Sesel, che sorrise malinconica «Era una
bella isola. Immersa nel mare azzurro e circondata da animali e
piante di ogni tipo. Poi sono arrivati gli europei, e hanno
conquistato e depredato tutto, distruggendo ogni cosa»
«Tsk,
quante stronzate.» sbottò Arthur rannicchiato davanti
alla stufa. Faceva freddo e tutti e tre stavano il più
possibile vicino al calore per non morire assiderati la notte.
Francis
lo guardò di sbieco, mentre continuava imperterrito a
coccolare Sesel.
«Non
sei per niente carino con lei, sai?»
«E
perchè dovrei esserlo? È una perfetta sconosciuta, così
come lo sei tu. E poi, se l'Impero deve espandersi paesi privi di
qualsiasi civiltà come il suo possono benissimo essere
spazzati via, non sono di alcun utilità alla Regina!»
Sesel
si alzò di scatto con un ringhio, mirando al collo di Arthur
come un cane rabbioso pronto ad azzannargli la gola. Francis la
lasciò fare, convinto che all'inglese servisse una lezione.
«Bastardo!
Sei solamente un bastardo, come tutti gli altri!»
Poi
si ricordò che era Natale. E il Salvatore aveva insegnato agli
uomini a volersi bene tra di loro, e anche se loro tre non andavano
d'accordo almeno in quel giorno santo dovevano cercare di non
uccidersi tra di loro.
«Dieu,
ragazzi. Evitiamo di farci fuori a vicenda almeno a Natale. Domattina
potremo pestarci finchè vogliamo, ma per ora tregua. Ok?»
Sesel
mollò la presa sulla carotide di Arthur, lasciandolo
respirare, per poi tornare nel suo letto nascondendosi offesa tra le
coperte.
«Inglesi...
francesi... vi odio tutti!» gridò prima di lasciarsi
abbandonare al sonno, trattenendo le lacrime.
Arthur
avvolto nelle coperte pesanti fissava il fuoco dentro il focolare
improvvisato, le iridi opache e lo sguardo assente. Francis invece
contemplava l'inglese, sapendo quanto si stesse rovinando con le
proprie mani, con l'alcol e la droga. Voleva porre fine alle sue
sofferenze, in qualche modo, fargli cessare ogni sua dipendenza, ma
ogni suo sforzo era vano e ogni qualvolta che pensava di aver
distolto Kirkland da quelle malsane abitudini, ecco che vi ci si
rituffava di nuovo dentro fino al collo.
«Arthur.
Mi avevi promesso che non saresti più andato alla fumeria»
gli mormorò accarezzandogli con le nocche il viso, l'altro
nemmeno si scompose a quel tocco.
«Non
ci sono andato! Cosa ti fa credere che ci sia andato!»
«Sei
sempre nervoso e acido come una vecchia zitella quando vai a trovare
Wang...»
Dapprima
Arthur lo guardò confuso e spaventato. Francis lo conosceva
così bene, mentre lui non sapeva nulla sul suo conto. Poi
distolse lo sguardo tornando a fissare ipnotizzato le fiamme.
«Me
lo prometti sempre, e poi continui ad andarci ogni volta. Dieu,
Arthur, ti stai uccidendo! E poi dove li trovi i soldi per pagarti
l'oppio? Non sarebbe meglio tenerli da parte per rifarti una vita?»
«Non
ho più speranze di rifarmi una vita, Francis! Il mondo là
fuori mi odia. Sono un oppiomane, un relitto della società che
andrebbe buttato nel Tamigi. La gente come me o muore o finisce in
Australia.» «Questo è un altro degli stupidi
pregiudizi che affliggono voi inglesi, Arthur.» decretò
tirando fuori dalle proprie coperte una bottiglia di vino di seconda
mano che custodiva gelosamente in rammarico ricordo del buon
champagne francese. Quanto avrebbe voluto in quel momento dello
champagne!
«Per
voi diverso vuol dire minaccia. Cinesi, polacchi, russi, italiani,
ebrei, malati deformi, malati di mente, omosessuali, poveri
mendicanti, persino le donne possono essere un potenziale nemico.
Tutte, eccetto la vostra Vittoria, naturellement.»
Bevette
il suo vino, sentendo l'aspro sapore lungo la gola mandandone giù
a gran sorsi, Arthur lo guardò desideroso di berne anche lui
solo un goccio. Un po' compassionevole gli porse la bottiglia che
l'inglese afferrò avidamente cominciando a mandarla giù
tutta di un fiato.
«Io
vado a vedere se trovo in giro qualcosa da bruciare, Kirkland.
Aspettami qui, e chiedi scusa a Sesel.»
Passeggiare
per la Whitechapel di notte era un po' come camminare in un limbo
senza fine dove vengono passati in rassegna tutti i peccati a cui
l'uomo può abbandonarsi.
I
gemiti delle prostitute e dei propri seviziatori riecheggiavano per i
vicoli bui dandogli i brividi.
E
pensare che anche lui, un tempo, poco prima di incontrare Sesel e
Arthur e di vivere una vita da barbone si lasciava affascinare da
quelle donne. Ovviamente ai tempi aveva soldi per pagarle, ma
preferiva sempre la compagnia maschile comunque.
Sì
domandò se il polacco con cui aveva fatto amicizia tempo prima
fosse ancora lì, in quello stesso quartiere, ad offrire
servizi in cambio di ciò che serviva per vivere e pagare gli
usurai. Aveva passato con lui varie notti, forse le più belle
della sua vita. Poi quando perse tutto non lo rivide più. Se
non avesse avuto un compito da svolgere -non voleva di certo morire
di freddo-, avrebbe cercato Feliks e gli avrebbe domandato se in
cambio di amore e poesie avrebbe trascorso un altra notte con lui.
Poesie e amore però non rendono felici gli usurai.
C'era
un mafioso russo che gestiva la zona di Whitechapel dove gli
omosessuali, costretti a fingersi ciò che non erano per
soddisfare una società riluttante del diverso, ritrovavano
fanciulli efebi pronti a soddisfare la loro astinenza sessuale
repressa. E quel russo ci aveva visto giusto, con metà dei
guadagni dei suoi ragazzi si
era fatto una fortuna. Feliks gli raccontava sempre, dopo il sesso,
di quanto il suo usuraio fosse un emerito stronzo, ma ciononostante
non aveva paura di lui.
E
per questa sua sfrontatezza che Francis non era sicuro di ritrovare
Feliks sotto quel lampione.
Sospirò
cercando di ignorare quei pensieri dolorosi.
Aveva
ripreso a nevicare, un manto bianco aveva già ricoperto il
marciapiedi e Francis lasciava dietro di sé le orme delle
scarpe consumate che indossava.
Rovistò
tra dei rifiuti alla ricerca di vecchi mobili gettati via da poter
spaccare ed utilizzare come legna da ardere -certo che quel lavoro lo
avrebbe fatto in seguito Arthur-, rabbrividendo di freddo.
«Joyeux
Noël, Francis!» ringhiò a denti stretti per evitare
di imprecare, mentre oggetti disgustosi passavano in rassegna delle
sue dita, fissandole disgustato.
Un
pianto di un neonato ruppe il silenzio di Whitechapel.
Un
pianto disperato, a squarciagola, talmente nitido che Francis giurò
di sentirlo accanto a sé.
Non
poteva essere un bambino in una culla poco distante, ne era sicuro,
quel bambino si trovava tra i rifiuti.
Cacciò
via tutte le cianfrusaglie, sentendo quel lamento sempre più
vicino, quasi disperato e con foga crescente -la paura di essere
arrivato tardi, di non aver potuto fare nulla per qualcuno lo
opprimeva- finchè, nascosto da alcune vecchie coperte, non
fece capolino la figura di un neonato col viso arrossato dal pianto e
le lacrime che sgorgavano copiose.
«Bon
dieu...» mormorò esterrefatto prendendo il bambino tra
le braccia avvolgendolo sempre di più dentro le coperte, unico
riparo dal freddo e dal gelo.
Fissò
la piccola creaturina tra le sue braccia, stringendolo a sé
per infondergli più calore.
Aveva
dei profondissimi occhi azzurri, e i capelli biondo scuro, e ora che
era coccolato da qualcuno e rideva gli sembrava il bambino più
bello del mondo.
«Ehi!
C'è nessuno qui!? C'è un neonato qua!»
Ma
non ottenne nessuna risposta, da nessuno.
«EHI!»
Urlò di nuovo, attirando l'attenzione di una prostituta che
stava rincasando in quel momento. «Lascia perdere. Sarà
il figlio illegittimo di qualche puttanella che non poteva
permettersi di mantenerlo e lo ha lasciato morire lì!»
Francis
fissò boccheggiando la donna, e poi il neonato tra le sue
braccia.
«Ma
come si può abbandonare al suo destino una creatura così
bella?»
In
quel momento il bambino fece una smorfia, un verso strano ed infine
gli sorrise teneramente.
Francis
ricambiò quello sguardo blu profondo con un sorriso.
Si
incamminò sulla strada del ritorno a casa, cullando l'infante
e guardandosi attorno circospetto, sperando di scorgere anche solo in
lontananza la madre, ma fu invano.
«Non
ha visto nessuno lei, madame?» domandò garbatamente alla
prostituta vestita di rosso e nero che stava già correndo via,
fregandosene deliberatamente del francese che reggeva il bambino con
un aria spaesata e il volto triste.
«No,
nessuno. E se le interessa non conosco nessuna delle mie colleghe che
fosse incinta. Mi dia retta, lasci perdere, quel bambino le causerà
solo guai!»
Ma
Francis non aveva alcun intenzione di lasciare quel bambino al freddo
a morire assiderato o divorato dai cani.
Non
credeva alle coincidenze, al caso o ad altre storie che i ciarlatani
raccontavano in giro.
Era
stata la Divina Provvidenza a mettergli in mano quel bambino, come
aveva fatto con Arthur e con Sesel, oppure era stato veramente uno
dei tanti miracoli a farglielo trovare proprio lì e la notte
di Natale.
Sì.
Si
sarebbe preso cura di quel bambino proprio come un padre.
Gli
avrebbe dato ciò che i suoi veri genitori gli avevano negato.
Ed era sicuro che anche Sesel e Arthur avrebbero contribuito a
rendere la vita di quel bambino splendida.
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