Questa one-shot nasce dal modo in cui il mio prof di latino
ha spiegato Plinio il Giovane (giudicandolo assolutamente vuoto e fatuo) e dall’ispirazione
che mi ha dato la mia amica Daria circa l’amicizia che Tacito, così serio e
impegnato, secondo lei nutriva nei confronti di Plinio, cioè nessuna.
De Plinii Iunioris idiotae vita
Gaio Cecilio Secondo, chiamato poi Plinio il Giovane in
seguito all’adozione da parte dello zio Plinio il Vecchio, nacque a Como nel 61
d. C.
Se è vero che Annibale è stato il migliore avversario dei
romani nel corso di quasi tutta la loro storia, Plinio fu di certo il più
acerrimo nemico della sua intelligenza, la quale dovette abbandonare il campo,
sconfitta e umiliata, dopo soli 5 anni dalla sua nascita. A quel tempo Plinio
cominciava ad andare a scuola di retorica e oratoria dal maestro Quintiliano,
famoso per la sua passione viscerale per Cicerone. Mentre stava in classe ad
ascoltare elogi sperticati sull’oratore morto più di un secolo prima, Plinio si
fece un grande amico: Publio Cornelio Tacito. A dire il vero, non è che Tacito
fosse molto contento di questa amicizia, e ciò può essere mostrato da un solo
esempio.
Subito dopo il primo giorno di scuola, Plinio si avvicinò a
Tacito e gli disse:- Ciao Tacito, io sono Plinio il Giovane (dev’essere perché
mio zio è quello vecchio, e in effetti è un vero bacucco). Sei mio amico,
vero?-
-No.- rispose secco Tacito guardandolo storto.
Plinio rimase in silenzio per un attimo e poi esclamò:-
Evviva!!!-
-Ma...- disse Tacito stupefatto.
-Lascia stare, lui è Plinio, capisce solo quello che vuole
capire.- gli bisbigliò Romano, un altro che fu in seguito vittima dell’amicizia
di Plinio. Ricevette migliaia di lettere in cui Plinio gli parlava della sua
vita privata, di quello che faceva minuto per minuto ogni giorno, senza
tralasciare nessun particolare. Dopo l’ennesima lettera in cui gli raccontava
di come era riuscito ancora una volta a lavarsi i denti, Romano si suicidò. Ma
questo accadde molti anni dopo. E dato che questo esempio era un po’ breve, ne
metterò un altro (in barba a Plutarco che pensa ne basti uno).
Una volta Plinio andò a casa di Tacito, che stava svolgendo
un tema datogli dal maestro: “Mettere a confronto il divino, sublime,
incommensurabile Cicerone con quella schifezza abominevole di Seneca”.
-Ciao, Tacito, amico mio!- gridò alle spalle del futuro
storico, facendolo sobbalzare.
-Plinio???- esclamò Tacito voltandosi di scatto -Ma come sei
riuscito a entrare? Avevo dato espressamente ordine ai miei schiavi di non
farti passare!-
-Oh, sai, mi sono messo a parlare con loro e li ho convinti,
che sì, servi sunt, immo humiles amici, quindi io sono amico tuo, e perciò loro,
se non vogliono essere cattivi con un amico, devono lasciarmi entrare, altrimenti
un vir bonus dicendi peritus potrebbe mettersi a piangere e poi andremo tutti
quanti in campagnia a dormire sulla riva di un fiume quando la stagione è
favorevole e nascono le roselline.-
Tacito lo guardò incredulo. -Non ha alcun senso quello che
hai appena detto!-
-Lo so, me lo dicevano anche loro, quindi ho dovuto
ripeterglielo 1895 volte. Allora mi hanno lasciato entrare. A dire il vero mi
sembravano un po’ stanchi... Forse dovresti farli lavorare di meno, dopotutto
sono pur sempre esseri umani, dotati di parola e soprattutto di intelletto.-
-Già, a differenza di qualcuno... Ora però sto lavorando
Plinio, lasciami in pace.- disse Tacito rimettendosi a scrivere.
-Siamo amici Tacito, vero?- domandò allora Plinio con un
sorriso da idiota.
-No.-
-Evviva!!!- esclamò Plinio abbracciandolo.
-Aiuto...- mormorò Tacito disperato.
Plinio il Giovane venne adottato dallo zio, Plinio il
Vecchio. Se qualcuno si chiedesse come fosse possibile che una persona sana di
mente adottasse un simile cretino, dovrebbe prima andarsi a leggere la
Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Chiunque creda come lui all’esistenza
degli sciapodi o dei cinocefali o pensi che le macchie lunari siano dovute
all’umidità, come se il cielo fosse una grande cantina stillante umido e gocce
d’acqua e magari ricca di bottiglie di vecchi vini, di certo non può essere definito
totalmente sano di mente. Comunque bisogna riconoscere a Plinio il Vecchio il
merito scientifico di aver osservato l’eruzione del Vesuvio. Peccato tuttavia
che volle andare più vicino per vedere meglio.
Quando però Tacito fu sul punto di scrivere un capitolo delle
Historiae in cui narrava della distruzione di Ercolano e Pompei, cominciò a
cercare fonti sull’argomento. Tuttavia fece una terribile scoperta: l’unico che
possedeva le pergamene (bruciacchiate e annerite, ma chissà come integre) di
Plinio il Vecchio altri non era che il figlio adottivo. Dopo essersi lungamente
lamentato con Giove e molte altre divinità per la sua infelice sorte, Tacito
dovette scrivere una lettera a Plinio per domandargli informazioni
sull’eruzione del Vesuvio.
Plinio fu così contento che scrisse a Tacito venti lettere.
In realtà parlava dell’eruzione solo per una ventina di righe al più, tutto il
resto era la solita marea di sciocchezze e pinzillacchere con cui Plinio
riempiva tutte le sue lettere.
Con il passare degli anni la situazione a Roma si fece insostenibile:
Plinio rompeva le pallae a metà del ceto dirigente romano con le sue inutili
lettere e inoltre intasava il servizio postale. Così un comitato con a capo
Tacito, Romano e Minicio Fundano (altro sventurato destinatario delle lettere)
si presentò all’imperatore Traiano in persona e lo pregò di mandare via Plinio.
L’imperatore, che conosceva la sua fama di rompiballae, ma non aveva mai
ricevuto nessuna sua lettera, decise che lo avrebbe mandato in Bitinia come suo
legato. Prima però, per far sembrare che ciò fosse una ricompensa per Plinio,
Traiano e Tacito inscenarono un falso processo nei confronti di Mario Prisco
(anche lui tormentato dalla grafomania pliniana) e fecero sì che Plinio
riucisse a farlo condannare per corruzione. Non fu così facile: a un certo
punto del processo Plinio fece un’arringa tanto complicata quanto senza senso
con la quale si accusava da solo e si dichiarava colpevole. Toccò a Mario
Prisco, che in seguito divenne un attore di successo, rimettere a posto le cose
facendo sì che Traiano riuscisse a condannarlo. Dopo quella ignobile farsa,
cancellata per sempre dagli annali di Roma, tutti festeggiarono Plinio il
Giovane per la sua sagacia e abilità retorica e Traiano gli affidò il governo
della Bitinia come premio. Per rendere tutto più verosimile agli occhi di
Plinio, Tacito fu perfino costretto ad abbracciarlo e a chiamarlo amico. E fu
così che la loro amicizia passò alla storia.
Quindi Plinio fu mandato nel 111 d.C. in Bitinia.
Gli abitanti del luogo sapevano che in quella provincia
venivano sempre quei romani che, per un motivo o per l’altro, a Roma non ci
potevano più stare, e d’altronde non sapevano fare nulla, perciò sarebbe stato
folle assegnare loro una provincia più difficile da gestire. Avevano apprezzato
il governo del buon Memnio, che si portava sempre dietro un poeta simpatico e
amante della natura e degli animali, forse un po’ eccentrico, dato che non
partecipava mai ai sacrifici e borbottava sempre qualcosa come “Tantum religio
potuit suadere malorum”. D’altronde i Bitiniani vivevano vicini alla Grecia,
terra di filosofi, ed erano abituati a personaggi bizzarri.
Ma non certo a quel rompiballae di Plinio. Dal primo giorno
che arrivò cominciò a chiedere a tutti se pensassero che fosse una fortuna che
l’imperatore Traiano, nella sua infallibile intelligenza, avesse nominato lui,
uno dei romani più saggi e abili nell’oratoria, governatore della loro
provincia. Dopo un po’ semplicemente lo ignorarono, mettendosi i tappi nelle
orecchie ogni volta che teneva un discorso e dipingendosi gli occhi sulle
palpebre per poter dormire in pace.
Diversamente non poté ignorarlo il povero Traiano, che
continuò a ricevere lettere per tutta la durata del mandato. Non che non abbia
mai provato a farlo smettere.
Per fare un esempio (un bel paradeigma,come
dice Plutarco), una volta Plinio scrisse a Traiano riguardo al problema dei
cristiani. Gli scrisse che gli sembravano sospetti perché si rifiutavano di
dargli i loro indirizzi impedendogli così di scrivere loro che il giorno prima
aveva scoperto che l’unghia del suo alluce destro cresceva più in fretta di
quella del mignolo sinistro.
Quando arrivò la risposta di Traiano, Plinio ordinò
emozionato al suo segretario di leggergliela.
-L’imperatore Traiano dice di lasciare in pace quei poveri
cristi e di smetterla di scassargli le ballae con le tue insulse lettere,
governatore Plinio.-
Plinio rimase in silenzio per un attimo e poi esclamò:-
Evviva!!!-
Purtroppo per tutti, tranne che per i bitiniani, il mandato
di Plinio si esaurì e tornò a Roma. Il giorno prima che arrivasse Romano si
suicidò. Plinio ne fu molto addolorato e continuò a portargli le sue lettere
sulla tomba e a leggergliele ogni giorno. A quanto pare lo spirito di Romano
andò subito nei Campi Elisi, dopo la morte di Plinio, per aver sopportato per
più di un anno quella tortura terribile anche da morto.
Un giorno Plinio andò da Tacito che stava sistemando e
controllando la sua opera storica ormai completa. Dato che non se ne andava e
Tacito era vecchio (cinque anni più di Plinio, che sebbene ne avesse una
cinquantina, dimostrava ancora le capacità intellettive di un infante) e non
poteva costringerlo con la forza, gli disse di fare qualcosa per aiutarlo.
-Plinio, se proprio vuoi stare qui a rompermi le ballae,
almeno renditi utile: conta quanti libri ho scritto finora, così poi li ordino
per bene.-
Dopo circa dieci minuti, Plinio, facendo sobbalzare ancora
Tacito, esattamente come in gioventù, esclamò trionfante:-Sono trenta!-
-Trenta!? Ma se sono otto mucchi di almeno sei rotoli di
pergamena ciascuno! Ne sei sicuro?-
-Beh, forse sono di più, ma io oltre a trenta non so
contare!-
Tacito si batté una mano sulla fronte per la disperazione:
ma quanto era idiota Plinio?
-Bah, lascia perdere. Tanto nessun altro farà il tuo
errore!-
Circa trecento anni dopo, San Girolamo scrisse la sua
Chronica.
-E l’opera storica di Tacito consta di trenta libri in
tutto.- mormorò mentre scriveva su una pergamena.
-Ma che dici? A me sembrano molti di più!- esclamò il leone.
-E poi come pensi che possano starci circa ottant’anni di storia in soli trenta
libri quando ne ha usati quattro per descriverne uno solo?-
-Oh, sta’ zitto! Cosa vuoi capire, tu? Sei solo uno stupido
gatto troppo cresciuto!- borbottò San Girolamo continuando a scrivere.
Il leone scosse la testa e si accoccolò ai suoi piedi
rassegnato: temeva che l’ignoranza di Girolamo sarebbe stata la rovina di
qualche classicista in futuro, ma era sicuro che il santo non avrebbe mai
ammesso di non saper contare oltre al trenta, orgoglioso com’era.
Pressapoco mille e settecento anni dopo, uno studente di un
liceo classico italiano leggeva una delle domande della terza prova di
maturità.
-“Quanti sono i libri dell’opera storica di Tacito in base
alla testimonianza di San Girolamo e in che modo sono suddivisi fra Historiae e
Annales?” Hum... Allora... Erano... Ehr... Trenta dì conta novembre con april,
giungo e settembre... No, che c’entra... Ah, sì, trenta! Ma come fanno a starci
ottant’anni di storia in soli trenta libri se solo nei primi quattro delle
Historiae c’è soltanto l’anno dei quattro imperatori? Forse mi ricordo male...
Ah, maledetto Girolamo!- borbottava fra sé lo studente disperato.
Torniamo tuttavia alla vita dell’idiota.
Tacito gli intimò di stare fermo e di non fare nulla, se
proprio non voleva andarsene. Il caso volle che quello fosse un giorno
d’inverno molto freddo. La casa di Tacito aveva molti spifferi e Plinio
cominciava a infreddolirsi e tremare. Mentre Tacito era uscito un attimo dalla
stanza per cercare un altro calamaio d’inchiostro, Plinio pensò di ravvivare il
fuoco quasi spento. Non trovò legna, ma c’erano tanti papiri e pergamene.
Quando Tacito rientrò, vide Plinio seduto davanti a un bel
fuoco acceso. Sapendo che non aveva legna in casa, gli venne subito un atroce
sospetto.
-Plinio, come hai fatto ad accendere quel fuoco?- domandò
brusco.
-Oh, ciao, caro amico Tacito! Ho utilizzato un po’ di quelle
cartacce ammucchiate sul tavolo...- rispose l’idiota sorridendo.
-Hai bruciato la parte finale della mia opera storica???-
gridò Tacito diventando paonazzo.
-No, non ho toccato nessuno dei trenta libri delle Historiae
e degli Annales, ho preso quelli che iniziavano con qualcosa tipo principatum
divi Nervi et imperium Traiani, rara temporum felicitate; certamente cartacce,
giusto?- disse tranquillo col suo solito sorriso ebete.
-Hai dato fuoco alla mia opera su questi ultimi anni, che io
da giovane avevo promesso di fare durante la mia vecchiaia??? Brutto imbecille,
idiota, cretino! Ti rendi conto di quello che hai fatto???- urlò Tacito con la
faccia deformata dall’ira. A quel punto Plinio finalmente capì che aveva fatto
qualcosa di male e cominciò a preoccuparsi.
-Siamo amici Tacito, vero?-
-No.-
E questa volta Plinio non disse più “Evviva!!!”.
Da quel lontano giorno del 113 d.C. non si hanno più notizie
di Plinio il Giovane. Qualunque cosa gli sia successa, Tacito si portò il
segreto nella tomba, anche se pare che di notte per molti anni nel cimitero si
aggirassero due fantasmi, dei quali uno cercava sempre di abbracciare l’altro
dicendo che erano amici e non importava che lo avesse ucciso, mentre l’altro
cercava disperatamente di fuggire.