Helsinki,
maggio 2010
“Una fan? Ma starai scherzando,
spero!” Mi alzai di scatto dal divano
dell’ufficio di Seppo. Doveva essere completamente impazzito,
se voleva mettere
una fan a lavorare per l’ufficio stampa!
“Cassandra ha un ottimo curriculum,
è in gamba e il fatto che sia fan
della band da anni le farà fare un lavoro migliore di
chiunque altro! Ormai è
deciso Ville, stavolta non hai voce in capitolo, mi dispiace”.
“Ha anche un nome
ridicolo” borbottai.
“Talmente ridicolo che
l’hai perfino messo in una canzone”
ridacchiò
Seppo.
Ecco, se c’era una cosa che non ero
mai riuscito a capire in 15 anni è
che mai e poi mai avrei potuto averla vinta con Seppo. Ma non era detta
l’ultima parola…. Pur
non avendo voce in
capitolo, avrei tentato quanto meno di renderle la vita
impossibile….
Calma, respira.
Primo giorno di lavoro alla
Heartagram limited. Avevo mandato il curriculum per colpa di una
stupida
scommessa con Janne,mio amico dai tempi della scuola superiore,
convinta che
mai e poi mai mi avrebbero preso. E
invece, appena due settimane dopo era arrivata una telefonata, a cui
stavo
anche per rispondere in malo modo, con cui la segretaria di Seppo
Vesterinen mi
comunicava di essere attesa per un colloquio.
Il colloquio era andato benissimo,
ecco svelato il motivo per cui ora mi trovavo davanti allo specchio da
circa
un’ora, con tre quarti del mio guardaroba buttato in malo
modo sul letto.
Sapevo benissimo che non sarebbe stato affatto facile. Gli HIM erano i
miei
idoli da sempre, da quando una me quattordicenne era stata quasi
trascinata di
peso a uno dei loro primi concerti da quella che ai tempi era la mia
migliore
amica. Nemmeno a dirlo, mi ero presa una cotta pazzesca per Ville Valo.
La fine
dell’adolescenza era
riuscita un po’ a
stemperarla, ma nonostante tutto dovevo ammettere che vederlo mi faceva
ancora
un certo effetto. E ora avrei dovuto lavorare con lui, occuparmi delle
interviste e… seguire la band in tour. Magari
tutto questo mi avrebbe aiutata a
liberarmi definitivamente di quell’assurda ossessione
adolescenziale per il
Valo. Forse conoscendolo di persona mi avrebbe finalmente deluso. Forse.
Scartai sistematicamente ogni
maglietta di band che poteva avere anche lui, e alla fine, quasi in
ritardo,
decisi per un paio di jeans e un’anonima magliettina nera.
Non troppo dark, non
troppo colorata. Non
avevo Heartagram
tatuati in vista, quindi sarei tranquillamente potuta passare per una
persona
normale. Un’ultima occhiata allo specchio ed eccomi pronta a
buttarmi nella
fossa dei leoni, ovvero la sala prove, dove avrei conosciuto i ragazzi
di
persona.
Ce la puoi fare, Cassie…. Ma
anche no.
“E’ in ritardo”
sbuffai.
“… di ben cinque minuti,
che guaio!” commentò ridacchiando Migè
“Ti
ricordo che io e Linde ti abbiamo aspettato mezz’ora sotto
casa perché hai
dimenticato di mettere la sveglia”
Sbuffai di nuovo. A volte rimpiangevo il fatto
di non fumare più,
almeno avrei avuto qualcosa da fare mentre pensavo a tutti i modi
possibili per
liberarmi di Cassandra quanto prima.
Due minuti dopo, entrò Seppo
accompagnato dalla nostra nuova addetta
stampa. Accidenti, era carina! Molto carina, per essere sincero. Ma era
pur
sempre una fan, ed ero intenzionato ad avere a che fare con lei il meno
possibile.
La giornata era stata meno
tragica del previsto. Avevo legato sin dal primo momento con
Migè, e anche gli
altri ragazzi erano davvero simpatici e alla mano… beh, a
parte uno. Si era
presentato vestito da barbone, con quella che un tempo era una
maglietta grigia
e adesso aveva più buchi che stoffa, mi aveva stretto la
mano e non mi aveva
più rivolto la parola, limitandosi ad aprire bocca solo per
criticare il modo
di suonare di Gas o di Burton.
Delusa? Assolutamente
no. Anche vestito da barbone, ai
miei occhi era una sorta di apparizione angelica. Ero decisamente un
caso umano
senza speranza.
E di lì a qualche giorno, mi
aspettava quella che di sicuro sarebbe stata una delle prove
più difficili. I
festival estivi.
Rock Im Park
2010
“Si
può sapere dov’è finito Ville? Tra meno
di
mezz’ora ha l’intervista per Radio
Energy!” sbottai rivolta a Migè, mentre
facevamo colazione in albergo.
“Ultimamente ha qualche problema
con la sveglia” ridacchiò sornione.
Questo voleva dire solo una cosa.
Dovevo andare a tirarlo giù dal letto.
Bussai alla porta per un minuto
buono, prima che finalmente si degnasse di aprire… con solo
un asciugamano blu
scuro avvolto attorno alla vita, goccioline d’acqua che
scivolavano sulla pelle
tatuata. Oh. Mio. Dio. No. Sorriso idiota, non osare spuntarmi in
faccia. E voi
ormoni, a cuccia, per favore.
Cassandra, andiamo, datti un
contegno! Ok, calma… perché sono qui? Cosa dovevo
dirgli?
“Ehm… sei in ritardo” borbottai,
cercando di guardare ovunque, tranne il punto in cui si trovava lui.
“Se ne faranno una ragione”
rispose “Entra, mi vesto e scendiamo… sempre che
non ti crei problemi avermi
intorno seminudo… sei arrossita o ti sei semplicemente
truccata troppo?”
ridacchiò.
Se c’era una cosa di cui ero
sicura, era che quest’uomo aveva davvero bisogno di qualcuno
che ridimensionasse
il suo ego.
“Se non crea problemi a te… sei
tu quello mezzo nudo davanti a una sconosciuta, non io”
fortunatamente ero
tornata in me… quasi.
“Peccato, devo ammettere che se
la situazione fosse capovolta, sarebbe un bello spettacolo”
altra risatina. Idiota.
Alzai gli occhi al cielo “Valo,
smettila di fare il cretino. Ti aspetto giù, hai quattro
minuti esatti, non uno
di più. E per le prossime volte, ricordati di metterti
qualcosa addosso prima
di aprire, non si sa mai chi potresti trovarti alla porta”
“Non credo ci siano fan pronte a
saltarmi addosso, qui… a parte te, ovviamente” disse con uno dei suoi
ghigni malefici.
Ok, magari questa gliel’avevo
servita su un piatto d’argento, ma era davvero troppo.
“Mi dispiace deludere il tuo
smisurato ego, ma ci sono anche persone che sono fan solo della tua
musica, e
se ne fregano altamente del tuo aspetto fisico” sbottai,
sbattendo la porta
alle mie spalle.
Quasi mi accasciai contro il muro
del corridoio. Era uno stronzo patentato… un bellissimo
stronzo patentato. Ma
questa realtà, invece di smorzare la mia ossessione per lui,
se possibile la
fece anche aumentare.
E di certo lui non faceva nulla
per migliorare la situazione. Si divertiva a
sperimentare su di me qualsiasi metodo secondo lui adatto
a far crollare
una donna ai suoi piedi, comprese battutine poco felici, sorrisi e
sguardi
languidi dal palco ogni volta che, più o meno per caso, mi
ritrovavo nel
backstage mentre suonavano. Una tortura. Una vera e propria tortura.
Ma a un certo punto, smise di
colpo, diventando fin troppo gentile nei miei confronti. Questo, se
possibile,
mi spaventava ancora di più.
Pier Pressure Festival, Svezia
Ero seduta a gambe incrociate sul
letto della mia camera d’albergo, immersa in almeno un
centinaio di richieste
di interviste quando sentii bussare alla porta. L’ultima
persona che avrei
voluto vedere in camera mia, anche se, almeno stavolta, era vestito.
“Ciao Ville” salutai, cercando di
essere cordiale. “Come mai qui?”
“Seppo mi ha detto che stai
rispondendo alle richieste di nuove interviste… se vuoi
posso aiutarti”
Lo guardai perplessa. Di sicuro
c’era sotto qualcosa. “Se ci
tieni…” risposi, tornando a sedermi sul letto.
Nemmeno
a dirlo, si mise a curiosare in tutti, ma proprio tutti i mucchi di
fogli che
avevo tanto faticato a mettere in ordine.
“Perché hai scartato la richiesta
di Mayra?” chiese.
“I fan la detestano” risposi. “E
considerato che ti ha già intervistato due volte in un anno,
è anche il caso di
lasciar spazio ad altri, no?”
“Anche tu la detesti?” chiese con
un sorrisetto canzonatorio… e devastante. Distolsi lo
sguardo.
“No… sai, non ho molto da
invidiarle, se non il fatto che, beata lei,
deve sopportarti appena una volta
l’anno…”
Ville ridacchiò. “Hai
decisamente un bel caratterino, Cassie”
“Credo di essere stata scelta per
questo … a quanto pare per tenerti testa ci vuole un bel
caratterino” sorrisi
angelica. Questo lavoro iniziava ad essere davvero divertente.
“Sono così insopportabile?”
chiese, di nuovo il sorrisetto canzonatorio sulle labbra.
“Se escludiamo il fatto che ti
diverti a mettere in difficoltà le persone solo per partito
preso, che sei
convinto di avere sempre ragione e che reciti la parte del bello e
impossibile
quando in realtà sei una persona estremamente sensibile e
dolce… no, non sei
insopportabile. Almeno quando decidi di toglierti la maschera ed essere
te
stesso.”
Rimasi senza parole. Ero davvero
così facile da capire, o era lei che
mi sapeva leggere dentro come pochi erano in grado di fare?
“Devo aver centrato il punto, visto
che non parli più” ridacchiò.
“Credevo
fosse impossibile riuscire a farti smettere di parlare”
“Hai finito?” sorrisi.
“No… devo ammettere che
è divertente psicanalizzarti, sei un soggetto
piuttosto interessante.” Ridacchiò, guardandomi
con quegli occhi che da subito
mi avevano colpito per quella luce particolare. “Ma non
è il vostro giorno
libero, oggi? Cosa ci fai chiuso in albergo invece di essere fuori con
gli
altri?”
Avevo due alternative, a questo punto.
Continuare, come diceva lei, a
recitare una parte, oppure dirle la verità, mostrarmi senza
maschera. Scelsi la
seconda possibilità.
“Linde è con Toni Marie,
Migè con Vedrana. Gas e Burton sono tornati a
Helsinki. Mi sentivo…di troppo, ecco. E non ho motivi
particolari per tornare a
casa quando ho un giorno libero.” Dissi, a occhi bassi.
“A parte la mia
chitarra, non c’è nessuno ad aspettarmi”
Fece un sorrisino strano. Probabilmente stava
cercando la battuta acida
adatta alla situazione, ma a quanto pare ci ripensò.
“Senza contare che sei
anche un pochino asociale…. Solo un pochino. Potresti andare
a visitare la
città” sorrise.
“Vorrei farti notare che anche tu
sei chiusa in camera a fare un lavoro
che potresti tranquillamente fare domani… e poi sarei io
l’asociale?”
Alzò le spalle. “Io
almeno non ho problemi ad ammetterlo”
“Se vuoi possiamo fare gli
asociali insieme, stasera” propose.
Lo guardai perplessa. Era… un
invito? O semplicemente l’ennesimo tentativo di farmi cadere
ai suoi piedi per
dimostrarmi che non ero adatta a fare il mio lavoro?
“Grazie, ma credo che me ne
resterò qui” risposi, diffidente.
“Non ti stavo invitando a uscire,
infatti” ridacchiò. “Vedila
così, è una
tregua. Ci facciamo portare da mangiare, vediamo un film, cerchiamo di
non
ucciderci a vicenda con battute acide. Visto che a quanto pare devi
lavorare
con noi, tanto vale provare ad andare d’accordo. Pensi di
potercela fare?”
“Ci posso provare” ridacchiai.
“Ma sei pregato di arrivare vestito, al contrario di come ti
sei fatto trovare qualche
settimana fa”
“Vedrò cosa posso fare”
scoppiò a
ridere, e non riuscii a trattenermi dal ridere a mia volta.
Si presentò un paio d’ore dopo,
vestito stranamente bene, dove per bene si intende una maglietta
stirata e
senza buchi né macchie messa sopra i soliti jeans
larghissimi, con in mano una
confezione formato gigante di Mozartkugeln.
“E quelle?” sorrisi, indicando la
scatola.
“Ho smesso di fumare e di bere ….
vuoi togliermi pure la cioccolata?”
Scossi la testa. “No … basta che
me ne lasci una” sorrisi.
Questa tregua/tentativo di andare
d’accordo rischiava di diventare molto, molto pericoloso. Perché la
verità era che andavamo un
po’ troppo d’accordo. Passammo una
serata decisamente piacevole, mangiando pizza, chiacchierando di
qualsiasi cosa
ci passava per la mente e guardando serie TV in svedese ridoppiandole a modo nostro.
Erano anni che
non ridevo così tanto.
Non so a che punto della notte mi
svegliai, e scoprii con orrore di essermi addormentata con la testa
appoggiata
alla sua spalla. Dormiva anche Ville, la testa appoggiata alla mia, un
braccio
a farmi da cuscino. Rimasi qualche minuto immobile a guardarlo,
chiedendomi con
un sorriso ebete in faccia se quell’ossessione adolescenziale
avrebbe prima o
poi rischiato di trasformarsi in amore … se solo lui avesse
deciso di
abbandonare per sempre la maschera spaccona e irritante che aveva
deciso di
indossare a mio completo beneficio.
Mi addormentai di nuovo, decisa a
godermi ancora per qualche ora la sensazione di pace e benessere che mi
dava il
suo respiro regolare sulla mia pelle.
Il secondo risveglio fu
decisamente meno piacevole del precedente, grazie a una cuscinata che
mi colpì
in pieno viso.
“Ville, lo sai dove devi
mettertelo quel cuscino?” borbottai, girandomi
dall’altra parte.
“Bonjourrrr, finesse!”
Mi rispose con un francese stentato e una
risata buffa. “Vado in camera mia a fare la
doccia… se vuoi goderti lo
spettacolo puoi passarmi a chiamare tra una decina di minuti”
Fine della tregua, pensai
amaramente mentre il mio cuscino colpiva la porta ormai chiusa.
Vienna, 25
giugno 2010
Quella donna mi
stava
facendo impazzire. Non l’avevo vista per
un’intera settimana dopo il
Pier Pressure, nonostante tutti i giorni accampavo scuse su scuse per
passare
in ufficio da Seppo. Il suo era un comportamento assolutamente sleale,
come si
permetteva di sparire nel nulla per poi materializzarsi a tradimento
tutte le
notti, nei miei sogni?
E ora eccola apparire al gala di ATV
Osterreich come se
niente fosse, bella come non l’avevo
mai vista e… al braccio di un tizio sconosciuto.
Non ero riuscito a staccarle gli occhi di
dosso nemmeno per un minuto.
Ero rimasto distante, con la paura che, se mi fossi avvicinato per
salutarla,
avrebbe potuto leggere nei miei occhi tutti i pensieri che si agitavano
dentro
di me in quel momento.
Desiderio, gelosia e una paura assurda di
perderla… di perdere qualcosa
che in realtà non era stato mio nemmeno per un istante, se
non quando, una
settimana prima, si era addormentata involontariamente tra le mie
braccia. In
quell’unico momento, guardandola dormire prima di scivolare
nel sonno a mia
volta, mi ero
sentito completo, felice. Cassandra
mi aveva restituito un piccolo raggio di quella speranza che credevo
perduta.
Peccato che ora, il vederla abbracciata ad un altro mi dava solo la
sensazione
che la luce che avevo intravisto alla fine del tunnel non fosse altro
che un
treno che sopraggiungeva in corsa, pronto a travolgermi.
“Chi è quel tizio
appiccicato a Cassandra come una piovra?” chiesi a
Migè, facendo il vago.
“Un amico, il suo
ragazzo… chi può dirlo? se non glielo chiedi non
puoi
saperlo” ridacchiò “qualcuno
è geloso, per caso?”
Lo fulminai con lo sguardo. “Ma
figuriamoci! Io geloso di lei?” dissi,
per poi uscire a grandi passi dal locale.
Meno male che c’era Janne. Lo
avevo costretto a prendere un aereo e accompagnarmi al gala, dal
momento che
lui era il principale responsabile della mia attuale situazione. Odiavo
trovarmi in mezzo alla gente… e sapevo di non essere
l’unica. Con mio estremo
disappunto, passai
gran parte della
serata a seguire Ville con lo sguardo. Sembrava agitato, decisamente
poco a suo
agio. Lo vidi uscire, per poi rientrare con una bionda stratosferica
arpionata
al braccio. Immediatamente una sensazione di odio e fastidio mi
colpì proprio
alla bocca dello stomaco. Non andava affatto bene.
“Vado a prendere qualcosa da
bere” dissi a Janne, per poi avvicinarmi a Migè,
intento ad assaggiare tutti i
tipi di tartine presenti sul tavolo.
“Chi è la tizia abbarbicata a
Ville tipo koala?” chiesi, con una leggera punta di
acidità nella voce.
Migè non si sforzò affatto di nascondere
una risatina.
“Sai, Cassie… credo proprio che
tu e il secco dobbiate parlare” disse, appoggiandomi una mano
sulla spalla.
Lo guardai con aria
interrogativa. “Parlare di cosa?” chiesi.
“Meno di mezz’ora fa, lui mi ha
chiesto la stessa cosa del tuo accompagnatore. Credo abbia usato il
termine
“piovra”, se non sbaglio”
ridacchiò.
Mi sentii avvampare le guance. “La
mia era una domanda di circostanza, non che mi interessi
davvero”
“Certo … come la sua, immagino. “
rise “Credevo che di persone cocciute come Ville ne
esistessero poche al mondo…
evidentemente eravate destinati a incontrarvi, prima o poi. Ora si
tratta solo
di smetterla di negare l’evidenza, forse tra una decina
d’anni ce la fate”.
Ok, nel mio caso era vero… dovevo
solo accettare il fatto di essere completamente e inesorabilmente persa
per
lui. Ma nel suo caso era lo stesso? E
soprattutto… era davvero
geloso del mio amico gay?
Vienna,
Donauinsel
Festival
Ero di pessimo, pessimo umore. Quel
pover’uomo di Janne aveva dovuto sopportare
per tutta la notte i miei deliri da sciocca sentimentale. Il pacchetto
completo, compreso di lacrime e frasi da adolescente emo alla prima
cotta. La
conclusione era arrivata quando l’avevo
accompagnato in aereoporto. “Parlagli… quello che
hai detto a me puoi dirlo
anche a lui, no?”
Certo. Sicuramente. Ecco svelato
il motivo per cui Janne era single da tempo immemorabile.
Me ne stavo seduta sulle scalette
del palco da circa due ore, con un muso che arrivava praticamente a
terra,
cercando il modo di parlare con Ville senza sembrare una perfetta
idiota.
Maledissi il giorno in cui avevo accettato quella scommessa con Janne e
avevo
inviato quel curriculum. Ero circa al quindicesimo sbuffo, quando Ville
mi si
sedette accanto. Proprio quello che ci voleva.
“Qualcosa non va?” disse,
scostandomi una ciocca di capelli per vedermi in viso. Pessima mossa.
Quel
giorno indossavo una canottierina nera che, senza i capelli sopra, non
copriva
di certo il tatuaggio che da mesi tenevo nascosto.
La scritta “Scream me a dream”,
intrecciata a un Heartagram, proprio sulla spalla che Ville aveva
appena
scoperto.
Mi guardò intensamente negli
occhi, per poi posare delicatamente un bacio sulla mia spalla, accanto
al
tatuaggio. Brividi. Mi alzai in piedi di scatto.
“Si può sapere dove stai andando?
Che ho fatto di male?”
Mi fermai, voltandomi verso di
lui. “A fare le valigie. Hai vinto,
mi
sembra chiaro che non sono in grado di fare questo lavoro,
visto… visto
l’effetto che mi fai” dissi secca, riprendendo a
camminare a passi veloci. Avrei
trovato un autobus, un treno o un taxi per tornare in albergo, no?
Ville scosse la testa. “Sei
talmente concentrata su te stessa da non renderti conto
dell’effetto che fai tu
a me” sospirò “Cassie, se non
l’hai capito mi sto innamorando di te”
“Sì, ok, e io sono la Fata
Turchina” borbottai, per poi fermarmi bruscamente. Non stava
scherzando. Non
aveva la solita voce canzonatoria di quando mi prendeva in giro.
“Potresti
ripetere quello che hai appena detto, per favore?”
Ville si avvicinò a me,
sorridendo. Un sorriso dolce, sincero, che mi fece martellare il cuore
nel
petto.
“Ho detto che mi sto innamorando
di te” sussurrò, sulle mie labbra. Ok, mie care
farfalle nello stomaco, ora scatenatevi
pure, non ho alcuna intenzione di fermarvi, né tantomeno di
fermare le labbra
di Ville appiccicate alle mie. Anche se siamo esattamente nel mezzo
dell’area
vip del festival… oh cazzo.
Quella sera, per la prima volta, gli
HIM suonarono Shatter me with hope. Ville
pronunciò il mio nome con un sorriso dolcissimo, guardando
verso il backstage,
dove sapeva che l’avrei aspettato.
Want
you come and play
with me? Sì,
Valo… eccome se voglio! voglio
giocare con te per il resto della mia vita…
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