Saiyuki:Reise
Commento dell'autrice/Ringraziamenti:
allooooooooora. Questa fiction è partita da un sepmlice
abbozzo, ma ha cominciato ad essere un vero e proprio progetto grazie a
Nicole Prince, che leggendola mi ha stimolata,cn minacce e complimenti,
a continuarla, ma soprattutto voglio ringraziarla per le idee che mi ha
dato (non avete idea quanto ci sstiamo lavorando XD)
Spero che appassioni voi come ha appassionato anche noi, so...Let's start!!
E lasciate un commentino please =3
Saiyuki:Reise.
Capitolo I: l’Esploratrice, la Vedova Nera, la Fuggitiva e la Veggente
Misi anche la borraccia nello zaino ed ero pronta.
-Tsuki, non partire.- ad implorarmi era stata mia nonna, una vecchietta
arzilla di ormai ottant’anni che si era presa cura di me dalla morte
dei miei. In verità non era mia nonna, ma ormai era come se lo
fosse davvero ed io non la chiamavo mai con il suo vero nome.
Mi alzai e mi girai a guardarla.
-Devo andare, lo sai.- ribattei e quella sospirò.
-Si, ma vorrei che ci ripensassi.- mi chinai di nuovo per stringere le
cinghia dello zaino e le afferrai con entrambe le mani cercando di
nascondere il tremore.
-Anche se volessi probabilmente non potrei.- replicai con un sorriso
amaro sulle labbra-Il mio viaggio verso est non è stato certo di
piacere, nonna.
-Riguarda per caso la malattia che sta contagiando i demoni, figliola?-
mi domandò rimanendo sull’uscio della stanza che fungeva da
camera fin da quando avevo sei anni.
-Esattamente. Non so perché hanno scelto me, ma sostengono che io posso fare qualcosa.- risposi senza dare dettagli.
La situazione era molto più pericolosa di quanto la nonna
credeva: ultimamente i demoni, che da secoli ormai convivevano nel
mondo con gli umani, avevano iniziato a perdere il controllo e il loro
vero io, noi stesse eravamo state vittima di numerosi attacchi che
avevo sempre sventato da sola abitando isolate dal resto del villaggio,
eppure la nonna non voleva trasferirsi, né mettere ulteriori
protezioni alla casa. C’ero solo io a difenderla ed è per questo
che non volevo partire per il viaggio, ma i tre saggi erano stati
chiari: un ordine chiaro e netto, aggiungerei…
-Io sono onorata della considerazione che avete di me, ma non posso accettare il compito.
-Che cosa? Credo di non aver capito bene.- replicò il saggio centrale, accigliato.
-Avete capito benissimo.- replicai
con tutta la sfrontatezza di cui ero capace-Mia vive sola in montagna
ed io sono la sua unica protezione. Non posso lasciar…
-RIN TSUKI!- urlarono allora le tre
voci quasi fossero una ed una grande aura di energia mi fece mancare il
fiato e cadere a terra, quasi mi stessero soffocando con una catena
invisibile-Non osare mai più rifiutare gli ordini che ti vengono
assegnati! Chi ha dato agli uomini volontà, li ha resi veggenti,
cechi, muti o sordi? Non sono forse gli Dei?! E ora va!- con
quell’ultimo urlo venni sbalzata contro la parete, cosa che mi fece
sputare sangue e tossire mentre mi sollevavo rimanendo però a
carponi.
-C-chiedo…p-perdono, venerabili.-
borbottai con voce rotta dal tossire e dalla rabbia repressa per quella
prepotenza-Partirò.
-Bene!- tuonò quello centrale, poi una delle due donne prese parola, con tono più dolce e quasi materno.
-Sei più importante di quello
che credi, Tsuki…il tuo destino è intrecciato con personaggi ed
eventi altrettanto importanti.- cercava di rassicurarmi ed
ammorbidirmi, quasi mi avesse letto nel pensiero.
-Che volete dire?- domandai allora, più turbata che arrabbiata, ma fu l’altra donna a rispondere.
-Ogni cosa a suo tempo, Tsuki…nel
frattempo trova queste persone…- mi disse tre nomi-E poi con loro ti
dirigerai ad ovest, per cercare il gruppo di Sanzo.- strabuzzai
gli occhi
-Il…gruppo di Sanzo?- domandai.
-Si, con loro saprete cosa fare. E ora vai.
Ed ero tornata a casa, ma solo per ripartire a giorni…il momento era arrivato.
-Nonna…- iniziai-Io devo andare, ma ho una richiesta.- la sentii ridere.
-So già cosa vuoi, Tsuki, e sai già la risposta.- mi rispose placidamente e sorridendo.
-Nonna, per favore!- esclamai girandomi e prendendola per le spalle-Ti
prego vai al villaggio! Senza di me sarai facile bersaglio dei demoni!
Al villaggio…
-Non cambierebbe nulla.- mi interruppe la nonna-Se i demoni vorranno uccidermi non sarà di certo il villaggio a fermarli.
Era vero.
Per quanto erano vere quelle parole mi fecero male. Sarebbe morta
comunque anche al villaggio se i demoni avessero deciso di attaccare e
io non potevo fare niente.
-Nonna.- sussurrai, poi mi inginocchiai abbracciandole la
gonna-I-io…giuro che tornerò appena possibile, anche a costo di
non mangiare e dormire…non ti accadrà niente.
-Lo so, Tsuki-chan…lo so.- mi disse quella mettendomi una mano sulla
testa-Ora, ho qualcosa per te. Aspettami qui.- si sciolse dal mio
abbraccio e andò nella stanza dove dormiva ed attesi.
Approfittando di quel momento di solitudine mi guardai nello specchio
che dominava il salotto della casa: io, Tsuki Rin, orfana
dall’età di sei anni, ero cresciuta nella spensieratezza fino ai
venti che mi ritrovavo sulle spalle, così come molte cicatrici
lasciate dai demoni contro i quali avevo combattuto. Avevo i capelli
castani che arrivavano fino alla fine della schiena ed erano lisci ma
costantemente spettinati , mentre gli occhi erano molto strani, ed
erano quelli che ogni tanto mi portavano a pensare di essere un Kappa:
erano color indaco, molto particolari, ma uno strano viola, più
lilla che fucsia a dire la verità, screziava l’occhio intorno
all’iride. Certo, sapevo che quelli dei Kappa erano proprio rossi ma di
sicuro i miei non erano occhi umani…Poi ero di media altezza e
corporatura. Tutto qui.
Per quel viaggio mi ero preparata con un completo stile esploratore:
camicia sul color marroncino a maniche lunghe e a zampa di elefante ma
aperta da sopra l’ombelico in giù, in modo che lasciasse la
pancia scoperta, pantaloncini sul marrone che arrivavano sopra il
ginocchio e scarpe piane e comode, naturalmente il tutto condito con un
capello dello stesso tessuto.
Ridacchiai divertita a quell’immagine e solo in quel momento mi accorsi che mia nonna era tornata con una scatola tra le mani.
-Aprila.- mi disse una volta che mi girai verso di lei-Coraggio.- mi incitò vedendo la mia esitazione e allora ubbidii.
C’erano due pistole dentro, identiche, piccolissime e ricaricabili con
proiettili strani…e furono proprio quei proiettili che mi fecero capire
la vera natura di quelle armi.
Erano due Shoreijyu.
Le presi tra le mani e guardai la vecchietta che mi sorrideva.
-Queste erano mie ed ora sono tue…fanne buon uso!
ΩΩΩ
La lucertola correva placidamente sul muretto, ma si accorse presto
dello sguardo di ghiaccio che la seguiva famelico, quasi volesse
mangiarsela.
Il battito cardiaco della preda aumentò, mentre quello del
cacciatore sembrava non esistere, come se uno avesse tolto il battito
cardiaco all’altro, dato che sembrava non gli servisse.
Correre, correre, correre…
Fermarsi, svoltare…
Una fessura, una via verso la libertà e la vita, ancora pochi passi, ancora uno sforzo!
Uno stiletto trapassò il corpo della creatura, che per un attimo
tentò di dimenarsi, poi si abbandonò al trapasso dopo una
breve ma intensa agonia.
-Interessante.- sussurrò la ragazza prendendo nota degli spasmi
del piccolo rettile-Davvero interessante.- gli staccò la coda
con le pinze e la mise in un contenitore isolato di plastica,
promettendosi di esaminarlo più tardi.
-Lui sarebbe fiero di me…se solo non lavorasse per quella donnaccia.-
sospirò, poi una folata di vento freddo la fece rabbrividire in
quella sera.
-Siamo ad agosto e c’è questo freddo?- pensò, ma
notò che le condizioni climatiche erano tornate normali-Qualcosa
cambierà, me lo sento.
In quel momento due demoni giunsero vicino a lei, circondandola.
Ovviamente avevano avuto la furtività di due bisonti, ma la
giovane non se n’era preoccupata minimamente.
-Ma guarda che bella pollastrella…ehilà, bambola, non ti va di
divertirti?- le disse uno cingendole la vita, ma lei non si
spaventò, anzi sorrise.
-Dimmi, bambolo…- prese un coltello e glielo piantò nel ventre,e
lo stesso fece con il suo compagno-Lo sai perché mi chiamano the
Black Widow?
I due erano rimasti scioccati dalla rapidità di quella che
doveva essere la loro preda e che in quel momento si era rivelata
cacciatore.
-N-no…- balbettò quello che aveva parlato per primo con un rivolo di sangue alla bocca-Tu…tu non puoi essere la…
-Beh, lascia che te lo dimostri.- replicò quella, impugnando di nuovo lo stiletto.
Dopo averli uccisi prelevò i tanto amati campioni di sangue e
peluria, poi li ripose nella sua fedele cintura, ritenendosi
soddisfatta per almeno quella giornata.
Non era un caso se aveva quel soprannome…non c’era predatore più
adatto a lei dato che, forse per gusto e malizia o forse per caso,
uccideva solo maschi.
Nessuno avrebbe mai riconosciuto in quella giovane scienziata la “Vedova Nera”.
ΩΩΩ
Correva.
Correva senza guardarsi intorno.
Il cuore in gola, il fiato corto e il vestito strappato e sanguinante
in più punti la affaticavano più del dovuto, ma doveva
correre…
Ne valeva della sua libertà, anzi molto di più, della sua stessa esistenza!
Non voleva tornare indietro, non voleva!
Ignorò la voce di lui che la chiamava sensualmente.
Non puoi fuggire da me,Roxanne…
-Lo so, dannazione, lo so!- pensò la ragazza stringendo i denti.
Ma doveva resistere.
Lui non l’amava,ma era stata il suo passatempo per cercare di andare
avanti e non essendoci riuscito voleva tornare indietro…e lei non
poteva permetterlo.
Bastardo schifoso!
E brutta sgualdrina lei che l’aveva ridotta in quello stato!
Tutta colpa sua!
Lei non era una bambola che prendeva il posto di un’altra bambola, era solo Roxanne, una donna con vita, desideri e sentimenti…
E tra i sentimenti c’era lui.
Lo stesso uomo da cui fuggiva.
Dove vai Roxanne, ti troverò…
-No, no…
Io ti ho trovato.
Si fermò sulla cima di un burrone e si guardò indietro.
E lo vide.
Bello come la notte, perché il giorno era troppo puro e chiaro
per lui, gli occhi penetranti e il sorriso sensualmente perfido e
opportunista!
Ed era per quello che l’amava…
-Non sei stata cortese a scappare.- dichiarò.
-Lo faccio per vivere.- replicò lei cercando di non far tremare la voce di fronte a lui.
-Roxanne, mia cara…tu non vivrai senza di me.- la dura verità, eccola lì.
Su un piatto d’argento, come la testa di Giovanni Battista davanti a Salomè.
-Tu vivi di me.- si avvicinò, ma a sorpresa la ragazza gli
sfuggì dalla mani buttandosi all’indietro nel burrone…e lui,
nella sua sorpresa, poté riflettere negli occhi lucenti il
sorriso di lei che cadeva nel fiume.
ΩΩΩ
Hinata era seduta sotto un albero, e carezzava il suo gatto, che stava
beatamente accoccolato sulle ginocchia della ragazza e faceva le fusa
godendo dell’ombra che il faggio forniva per quella bonaccia d’agosto.
Ma qualcosa turbò quella quiete, quell’immagine di pace che si
era creata: la giovane balzò in piedi, fissando con i suoi occhi
grigi la luna e sorridendo, come se avesse atteso per anni quel
momento, eppure una punta di preoccupazione velava quel sorriso pacato
che avrebbe ammansito anche la più cattiva delle creature.
-E’ giunto il momento.- sussurrò con le mani giunte al petto e chiudendo gli occhi.
Era da un po’ che non succedeva.
Le visioni l’avevano lasciata in pace abbastanza tempo per farle credere che non sarebbero più tornate, ma si sbagliava.
-Che illusa.- pensò con una vena di tristezza. La notizia
l’aveva rincuorata, ma questo significava aver visto qualcosa, qualcosa
che gli esseri umani non potevano vedere se non quando sarebbe accaduto.
Perché lei, semplice sacerdotessa Fudoo, era in grado di
prevedere il futuro portando con se fortuna e disgrazia, sollievo e
sventura, perché le sue visioni si presentavano a loro
piacimento inoltre non erano mai nitide, mai e solo in quella
circostanza era riuscita a leggere il volto di una persona che presto
avrebbe incrociato la sua strada.
Quello di una giovane donna con gli occhi indaco e viola.
- C’è altro, c’è altro.- tentò di concentrarsi, ma
le porte del futuro restarono chiuse per lei, eppure era sicura che non
era sufficiente, le era parso di intravedere altri due volti, o forse
tre…
-Oh, accidenti!- si scansò una ciocca dei suoi lunghissimi
capelli mossi color nocciola e sobbalzò, sentendo qualcosa sulle
caviglie. Abbassò lo sguardo e vide solo il suo gatto che,
turbato dallo scatto della ragazza e poi ignorato reclamava attenzioni
strofinandosi contro le gambe della padrona.
-Hai ragione, piccolo mio, non dovevo ignorarti.- dichiarò
prendendolo in braccio e continuando ad accarezzarlo, poi tornò
a fissare la sera, un punto indefinito nel cielo.
-Molte cose stanno cambiando…è giunto il momento.- ripeté.
Anche se non aveva la minima idea di cosa potesse significare.
Continua...
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