Non
fiatare, non far capire che sei intimorita da loro, lasciale ridere
mentre a passi sicuri ritorni nella tua stanza. Questa è la
filastrocca che mi ripeto mentalmente ogni giorno, da cinque anni per
la precisione. Da quando sono arrivata nel momento peggiore della mia
vita in questa prigione o comunemente detta orfanotrofio. La mia vita
è cambiata in un soffio, da felice è passata a
drammatica come se niente fosse, non ricordo nemmeno quando è
stata l'ultima volta in cui mi sono sentita una normale adolescente,
da ben cinque lunghissimi e interminabili anni nemmeno l'ombra di un
sorriso mi passa fra le labbra, da ben cinque anni vivo come un
emarginata, aspettando solo il momento che la fine arrivi presto,ma
sembra che si diverti a non farmi fare la stessa sorte che è
capitata alle persone a me più cara. Mi ha trovata perfino
qui, tre anni fa, e io non ho potuto fare niente per constrastarla,
forse perchè vive dentro di me, sono io la mia stessa fine,
ormai non c'è altra spiegazione, io ho provocato tutto questo
e niente potrà farmi tornare a vivere normalmente. Mai.
Una
ragazza poco più grande di me, scoppia a ridere quando avverto
una terribile fitta alla testa seguita da un dolore lancinante al
ginocchio. Mi hanno fatta cadere di proposito, sospiro
silenziosamente,ancora a faccia a terra.
Ignorale,
non puoi nulla contro di loro, ignorale e riprendi a camminare,mi
autoconvinco. Premo le mani sul pavimento e riesco a rialzarmi,
nascondendo una lacrima salata che fremeva per uscire, non per il
dolore della botta,ma per l'umiliazione che sono costretta a subire
ventiquattrore su ventiquattro,sempre, costantemente. A volte mi
chiedo se sono sul serio io la cattiva in questa faccenda,se questa è
sul serio una punizione da pagare per quello che ho fatto.
Riprendo
a camminare, con il viso nascosto fra i lucenti capelli biondo
castani. Quando tento di muovere le mani per scostarmi delle ciocche
che non mi permettono di vedere bene, mi accorgo di stare tremando.
No,
devo stare calma,devo...resistere. Strizzo gli occhi per evitare di
far cadere altre lacrime, no...non piangerò,l'ho giurato e una
promessa si mantiene, nonostante tutto.
Non
sarai triste per sempre, promettimi che riuscirai a stare bene.
Queste parole mi ronzano in testa da tempo, pochi ricordi sbiaditi
nel tempo, un altro “incidente” che mi ha trascinato
ancora di più nel baratro buio delle sofferenze.
Cerco
a tentoni la chiave nella tasca, le dita non fanno altro che muoversi
velocemente, senza controllo, e gli occhi pizzicano come ogni volta
cerco di non mostrare la mia debolezza.
Mi
ci vogliono cinque minuti buoni per aprire la porta e chiuderla con
un sonoro tonfo, ignorando le risa dei miei compagni.
Mi
butto di peso sul letto grigio, in perfetta sincronia con il resto
della mia piccola camera. Coperta grigia, lenzuola e cuscino
bianchi,muro grigio e mobili bianchi, ingialliti nel tempo.
Eppure
una volta la mia vita era differente, non era uno schifo, ero la
migliore, la più bella,la più talentuosa, ora invece è
solo un triste ricordo. I giorni in cui mi divertito a cantare con
mio padre, fare spese con mia madre, prendere in giro mio fratello
Fabio quando sbagliava qualche passo di danza con i suoi amici. Tutto
schifosamente finito. Il destino mi ha tolto tutto,anche se mi sento
ripetere continuamente che la colpa è mia, che quello che è
successo anni fa l'ho provocato io. Se tornassi indietro, di sicuro
farei tutto per non far capitare niente a nessuno,perfino sacrificare
la mia stessa vita.
Alzo
lo sguardo aprendo un cassetto del comodino,nel quale sotto i pochi
vestiti è nascosta l'unica cosa preziosa che mi è
rimasta, asciugo con una manica gli occhi inumiditi.
Un
foglio sbiaditi e mezzo bruciacchiato. Per tutti gli altri questo
foglietto sarebbe un inutile pezzo di carta,inutile. Per me,invece, è
il ricordo a cui sono più legata e che mi permette di andare
avanti, di continuare a lottare per sopravvivere.
Una
canzone, composta con l'aiuto di Fabio quando andavamo io in prima
media e lui in terza. La melodia che aveva composto ritorna in mente
sempre nei sogni,prima che si tramutino in incubi.
Una
semplice canzone per nostro padre,Roberto. L'anno in cui ci aveva
lasciati soli con la mamma pardendo per la Spagna, per poi tornare
alla fine dell'anno promettendo che non sarebbe più scappato
via,e la mamma l'ha perdonato,anche se diceva di odiarlo a morte,ma
sia io che Fabio sapevamo che quei due si amavano e il loro amore
aumentava ogni volta che litigavano seriamente.
Mamma,
papà, mi mancate tanto, quanto vorrei abbracciarvi ancora,ma
non potrò più, voi non siete più con me. Tutto
per colpa mia.
-Bene,direi
che puoi andare-
Non
saluto nemmeno la psicologa quando arrivo fino all'uscita della
schifosa stanza nella quale sono costretta a dire tutto quello che
penso,anche se sono sempre le stesse cose. Vorrei andarmene da qui, e
sentirmi rispondere “non hai nessun posto dove andare”.
Non
so se sono le famiglie a non volermi adottare o la direttrice a non
far si che io me ne vadi, ma come darle torto, sono o non sono la
psicopatica dell'orfanotrofio?
Vado
nella sala mensa e come sempre quasi tutti si voltano nella mia
direzione, se gli sguardi non fossero divertiti o intimoriti direi
quasi di essere una celebrità.
La
cuoca mi porge la solita zuppa disgustosa e mi rintano nel tavolo
accanto ad una delle finestre,oggi il cielo è stranamente
splendente, mentre di solito è cupo come il mio umore. Che sia
un buon segno? Si,certo come no.
Nelle
orecchie mi arriva un ronzio soffocato di risolini, a qualche tavolo
più avanti un gruppo di ragazze della mia età non fanno
altro che indicarmi,ma quando si accorgono che le sto guardando senza
battere ciglio,con un pizzico di malignità negli occhi,
abbassano lo sguardo,spaventate,ma comunque per chissà che
soddisfatte.
Quando
mi decido ad aprire il piatto in cui è conservata la zuppa,
posso giurare di avvertire sguardi curiosi poggiarsi su di me.
Trattengo
il respiro, ho una brutta sensazione...chissà che cosa hanno
combinato....
Quando,però,
il cartoncino fila via liscio come l'olio,sospiro di sollievo. Mi
stavano prendendo in giro? Volevano vedermi spaventata per poi ridere
un altro po'?
Le
mie domande ottengono subito una risposta,nella mensa un urlo
rieccheggia lasciando i presenti raggelati sul posto.
Una
delle ragazze cade all'indietro terrorizzata con gli occhi neri
spalancati e i capelli del medesimo colore scompiliati, dalla sua
zuppa compare un ragno enorme di colore nero.
Le
docenti le vanno a dare una mano,insieme alle sue amiche. Dopo di
chè, ripretosi dallo spavento, indica nella mia direzione.
-è
stata lei! Lo ha messo nella mia zuppa! Ecco perchè mi
guardava in quel modo!-
Ci
metto qualche attimo a capire che sta accusando a me per uno scherzo
di poco gusto. Uno scherzo che le si è rivoltato contro, ecco
perchè ridevano perfidamente, quel ragno era destinato a me.
Lo avevano messo in un piatto che doveva essere consegnato a me,ma la
cuoca deve essersi confusa e l'ha dato a lei. Non sospettando niente.
Ma
la mia teoria verrà smentita, tutti qui mi credono una poco di
buono, di sicuro crederanno alla ragazza e non a me. Ma tentar non
nuoce.
-Non
è vero! Voleva spaventarmi con quel ragno, è colpa sua,
quella zuppa dovrebbe essere la mia,invece per sbaglio sel'è
presa lei- dico alzandomi dalla sedia, mentre alcuni ragazzi alla mia
sfuriata fremono per uscire, mi prendono in giro tutto il tempo,ma
basta una mia mossa a farli scappare via. E non so se mi dispiaccia
più di tanto mettere paura cosi facilmente.
Una
delle docenti guarda prima me e dopo l'altra.
-Bugiarda!
Allora è tutto vero,sei una strega! Una strega! Come faresti a
sapere della mia burla se non fossi tutta matta? Significa che
ragioni in modo brutale, strega asassina !-
I
miei occhi si riducono a due fessure, è ovvio che tutti le
daranno ragione, ha paura, tutti hanno paura quando ci sono io in
gioco. Ma il mio carattere non sparirà, ormai lo so, e sono
pochi i momenti in cui mi sento fiera e decisa, tanto da rischiare
tutto. E quei momenti di solito arrivano quando vengo offesa in
questo modo.
Spingo
la sieda cosi da togliermi dal tavolo e stare in piedi, fisso la
ragazza negli occhi. Con un espressione perfida.
-Come
mi hai chiamato?- Chiedo retorica, in tono minaccioso.
Quella
stupida fa un passo indietro,intimorita.
Mi
avvicino a passi cauti,lenti ma decisi.
Ma
quando sono ad un metro di distanza dalla ragazzina, una delle
docenti si piazza davanti a me, cercando di sembrare autoritaria,ma
anche nei suoi occhi leggo la paura.
-Fermati-
mi ordina- fermati o non saremo cosi cortesi con te, signorina
Bernardi-
Lancio
uno sguardo gelido sia a lei che alla ragazza dietro, che perdente,
si fa difendere da una donna che mi teme ancora più di lei.
Ma
sono costretta ad ubbidire,andare in isolamento un altra volta non
rientra proprio nei miei piani.
Però
come mi insegnava sempre Bianca,mia madre, non devo mai andarmene a
testa bassa. Per cui devo rispondere qualcosa.
-Cortesi?
Secondo lei è una cortesia vivere in questo schifo di posto e
in una camera nella quale nemmeno un barbone metterebbe piede?-
La
docente mi fissa allibita.
-Educazione
e disciplina,signorina-
-Io
sarò educata se lei dirà a tutti questi deficenti di
smetterla di provare a mettermi paura-
La
docente trema per brevi istanti.
-Mi
segua direttamente dalla direttrice-
Come
volevasi dimostrare, ha dato ragione alla piccoletta qui dietro, ecco
perchè quando le passo davanti non posso far altro che tirarle
uno schiaffo in pieno viso.
-Il
suo comportamento è inaccettabile, non le basta quello che le
è capitato signorina?-
-Lei
come avrebbe reagito se qualcuno l'avesse chiamata strega assassina?-
Le chiedo ammiccante. La direttrice balbetta qualcosa di
incomprensibile.
-Mi
ritrovo costretta ad aumentare di nuovo le ore di sedute-
-Faccia
quel che crede- dico, ogni volta che capitano scene di questo genere,
più o meno ogni tre mesi, la direttrice dice la solita frase,
aumenta le mie ore si sedute da quella strizza cervelli e dopo
settimane di dimostrazione che ho ancora la mia sanità
mentale,diminuisce le ore ancora.
Ma
le lacrime ritornano a provare ad uscire, gli incubi non mi
abbandonano, le prese in giro si fanno più frequenti e non
faccio altro che trattenermi dall'assalire qualcuno o dal piangere,
forse per paura che faccia qualcosa di peggiore o forse per mostrare
che sono superiore per quel che vale,fino a quando qualcuno non si
spinge troppo in là e mi ritrovo con una nuova energia che mi
permette di rispondere a tono e di spaventare l'intero orfanotrofio.
E
quando la direttrice mi congeda fredda ed una delle bidelle mi porta
nella mia camera,mi stendo sul letto e mi metto il cuscino sulla
faccia urlando per attutire il rumore.
Urlo
e libero tutta la frustrazione e la rabbia che mi brucia nelle vene.
Urlo e per un po' dimentico tutto.
Ma
quando mi ritrovo senza voce,la realtà torna a galla e mi
stringo fra le braccia,chiudendo gli occhi mentre alcuni flash di
ricordi tornano a galla.
Io
che gioco con Fabio, io che festeggio con la mia famiglia, io che
vengo sbattuta in questo posto per sempre.
Strega
assassina.
Lo
sono davvero,e niente cambierà la mia sorte.
Il
giorno dopo sono in giardino, sola naturalmente,ammirando l'unico
albero capace di fare ombra. Tutti gli altri parlano fra loro e ogni
tanto qualcuno si volta a guardarmi per poi allontanarsi.
Patetici.
Ma
anche oggi il sole risplende,c'è aria di cambiamento,o almeno
avverto questa sensazione.
Di
sicuro il cambiamento non sarà per me, io sono costretta a
vivere qui sola per tutta la vita. Sola e umiliata.
La
ragazza di ieri,accanto alle sue amiche, mi fissa divertita, il suo
scherzo è andato meglio di quanto si aspettasse,ma credo che
dovrebbe ricordarsi chi delle due stava tremando come una foglia.
La
fisso con il mio solito sguardo freddo,da perfetta regina di ghiaccio
quale sono,e lei spaventata abbassa la testa. Ma quando riprende a
guardarmi,sussurra una frase che mi fa ribollire il sangue nelle
vene.
-Tanto
lo sai di essere una strega assassina-
E
quando sto per andarle vicino e sferrarle un pugno nello stomaco, una
segretaria di mezza età si avvicina a passo incerto davanti a
me,anche lei come le altre temono che possa perdere il controllo.
-Antonella
Lamas Bernardi?-
Sbuffo,come
se non lo sapesse.
-Cosa
c'è?-
-La
vogliono nell'ufficio della direttrice-
Cosa
ho fatto adesso? Mi sono seduta troppo veloce? Bah, tanto non ho di
meglio da sopportare.
La
segretaria mi accompagna nell'ufficio dove ad attendermi c'è
la direttrice in tutto il suo non splendore.
-Signora
Cooper-
-Si
sieda signorina,prego-
Faccio
come ha detto, le sue mani si muovono dubbiose. Oggi è più
nervosa del solito, ha sognato per caso che la stessi uccidendo
brutalmente? Mi trattengo dal chiderglelo davvero.
-Perchè
mi ha convocata?-
-Devo
parlarti- e da quando mi dà del tu?
-Cosa
ho fatto?-
-Niente,
proprio niente-
-E
allora?-
Di
solito non sono cosi scontrosa,devo comunque evitare di andare in
isolamento,ma la sensazione che sta per accadere qualcosa non accenna
a passare.
-Ecco...devo
darti una notizia-
-Mi
dica-
-Temo
che dovrai sbrigarti a fare i bagagli, andrai via-
-CHE
COSA? Volete rinchiudermi di nuovo in un centro psichiatrico come
l'anno scorso?- Domando furiosa avvicinandomi alla direttrice Cooper
un po' troppo veloce, lei infatti arretra subito.
-No,
no, anche se non sarebbe una cattiva idea-
-Mi
dica immediatamente dove mi manderete!-
-Antonella...sei
stata adottata-
Sei
stata adottata, sto impazzendo o
davvero il destino ha sconvolto la mia vita di nuovo?
Ok,
lo so che ho altre ff da continuare, infatti questa ff doveva essere
pubblicata dopo aver concluso qualche altra cosa, ma non ho potuto
resistere, ho scritto il primo capitolo talmente presa che ho voluto
pubblicarla subito, bhè la situazione di Anto non è
abbastanza chiara, ma si capirà con il tempo,ora la domanda
è...chi l'ha adottata? Vediamo se indovinate,al prossimo
chappy ciao ^^
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